Piccolo mondo moderno/Capitolo quarto. Il caffè del commendatore/III
Questo testo è stato riletto e controllato. |
Il caffè del commendatore
III
◄ | Capitolo quarto. Il caffè del commendatore - II | Capitolo quinto. Numina, non nomina - I | ► |
III.
Dieci minuti dopo il suo ritorno da Roma, l’ottimo Commendatore sedette fresco, sereno, davanti a un mucchio enorme di lettere e stampe, suonò per la cameriera e le ordinò un caffè forte. Nello stesso momento il cuoco annunciò il signor Soldini. “Portane due„, disse il Commendatore alla cameriera. La cameriera capitò a suo tempo con due caffè, ma tosto aperto l’uscio alle spalle del Soldini, vide ch’era venuta con lui anche la sua signora, ripiegò silenziosamente in cucina e si consultò con il collega. Doveva tornar dal padrone con tre
caffè? “Per quei musi?„ rispose il cuoco radicale. “Ma no, ma no!„ Non sarebbero più partiti! E Ciotti Çeóla saliva le scale in quel momento per avere anche lui la sua udienza. Il secondo caffè poteva servire benissimo per lui. La cameriera, liberale moderata, cedette sul primo punto ma protestò che sarebbe morta piuttosto di portare il caffè a Ciotti Çeóla.
Soldini era venuto infatti con la signora e con molte scuse per questa sopraggiunta complicazione del colloquio. Siccome fra la signora e lui c’era qualche disparità di vedute circa l’argomento di che avrebbero parlato in seguito, siccome la signora credeva fosse in potere del Commendatore un modo di togliere ogni ragione di dissidio, siccome confidavano entrambi pienamente nella rettitudine della sua coscienza morale e religiosa, così il marito aveva detto alla moglie: “Vieni anche tu, parliamogli insieme„. Mentre Soldini spiegava ciò al Commendatore con la sua parola eletta e lucida, chiamandolo, tra scherzosamente e rispettosamente, avversario politico, la signora, tutta confusa, rossa, ridente, si scusava di una propria supposta sfacciataggine con dei “cosa dirà Lei? cosa dirà Lei?„ e il Commendatore, ripetendo “un piacere! un piacere!„ si cercava frettolosamente, con qualche angustia, nel capo tutte le possibili vie, facili e difficili, pacifiche e malsicure, che il discorso avrebbe potuto prendere.
Ecco, intanto; proprio di politica non si trattava. A questo esordio del marito la signora esclamò che se si trattasse proprio di politica ella non se ne vorrebbe immischiare. Il Commendatore, esperto degli uomini e delle cose, pensò tosto, pure ammettendo la buona fede degli interlocutori suoi, che dunque nel discorso atteso la politica c’entrava molto. Infatti gli amici politici del Soldini credevano sapere che gli avversari lavorassero per lo scioglimento del Consiglio comunale e predisponessero la candidatura liberale di Maironi servendosi del consigliere delegato Bassanelli, reggente la Prefettura da pochi giorni, compagno d’armi, nel 1859, di Maironi padre. Se ciò avvenisse, il giornale clericale avrebbe fatto a Maironi, per volontà di certi capi del partito, una guerra a coltello.
“Tu no!„ esclamò la signora.
“Ecco il punto!„ rispose il marito, sorridendo. E proseguì a dimostrare che in quel caso il diritto di guerra a coltello ci sarebbe stato.
Quindi spiegò al Commendatore che mentre le altre signore del partito erano inviperite contro Maironi e lo avrebbero mangiato vivo, sua moglie non pensava che alla salute di quell’anima e tremava di vederla buttarsi senza ritegno all’errore e al male, tremava che una parte di responsabilità ne avesse a pesare anche su di lui, Soldini; forse la parte maggiore perchè Soldini non userebbe mai l’ingiuria spregevole, ma con la sua fredda, misurata urbanità recherebbe ferite più profonde. “Mia moglie mi fa quest’onore„, diss’egli ridendo. E soggiunse che a suo avviso ell’aveva torto. “La diserzione al nemico è sempre atto moralmente colpevole. Un atto immorale pubblico dev’essere pubblicamente e severissimamente biasimato nella forma che il tempo e il luogo consentono. Questo me l’accorderà. Ebbene, abbia pazienza. I liberali, quando ci combattono, amano fare un grande sfoggio di Vangelo. Non parlo di Lei, che non lo fa; ma gli altri ho paura che ne sappiano di Vangelo quanto ne so io di astronomia, cioè quattro o cinque cose grosse, la strapazzata ai Farisei, il perdono dell’adultera e, sopra tutto, regnum meum non est de hoc mundo. Ora nel Vangelo si vede usata da Cristo l’invettiva senza femminili timidezze, contro quei colpevoli appunto che lo movevano a sdegno per un carattere di viltà che aveva la loro colpa; solamente... badi bene perchè io non voglio essere accusato di scarsa carità cristiana verso Maironi! Solamente non contro Giuda. I Farisei avevano molto del buono, per essi ci poteva essere rimedio ancora e Cristo scagliò l’invettiva. Contro Giuda no perchè lì non c’era più rimedio, in Giuda era entrato Satana„.
“Peuh peuh peuh„, fece il Commendatore, mostrando di gustar poco questi sottili ragionamenti. “Ci sarebbe alquanto a ridire su alcune cose che Lei ha detto; sulla viltà di certe diserzioni, per esempio, e sulle invettive evangeliche paragonate con le invettive giornalistiche„. Qui il Commendatore cominciò a gonfiarsi di riso. “Se Lei„, diss’egli, “vuole assumersi la parte di Cristo, ci pensi Lei; ma insomma, cosa c’entro io con Satana?„ E diede in una risata sonora.
“Non ha mai picchiato al Suo uscio?„ disse la signora ridendo pure. Almeno perchè Lei gli faccia avere una commenda dei Ss. Maurizio e Lazzaro? O un posto al Ministero dell’Istruzione pubblica? — Adesso parlo io, vero? Vede, certi amici di mio marito, ottime persone ma poco pratiche del mondo, hanno condotta male tutta questa faccenda di Maironi fin da principio. E l’hanno condotta male per non avere ascoltato mio marito„.
Soldini la interruppe. “Eh, se non mi ascolta sempre neppure mia moglie!„
“Parliamo„, continuò la signora, “con la libertà dei nostri capelli grigi. Il primo chiasso grande per questa disgraziata relazione lo hanno fatto i liberali, e si capisce, trattandosi di un clericale. Io sono convinta che il chiasso era peggiore del male e che usando prudenza e carità verso un uomo fortemente tentato, bisogna dirlo, verso un giovine in quelle condizioni, si poteva salvare tutto. Invece quegli amici hanno incominciato con imprudenti smentite, quasi solenni, poi hanno avuto una reazione di ferocia più imprudente ancora e adesso Lei sente che intenzioni hanno. Sarà il loro diritto ma questo è il modo di perdere le anime, non di riguadagnarle. Lei dirà: perchè questa donna ci si riscalda tanto? Mi ci riscaldo perchè Maironi, prima, veniva qualche volta da noi e mi ero posta in capo che quel giovane, che pure trovavo un po’ eccessivo, impulsivo, come dicono adesso, un giorno o l’altro sarebbe diventato qualcuno„.
La cameriera fece capolino da un uscio laterale e disse piano al padrone con un sorrisetto sarcastico:
“Ghe xe el signor conte Çeóla„.
“Santi numi!„ brontolò il Commendatore mentre a Soldini sfuggiva un lievissimo sorriso. “Aspetti! Aspetti!„ E accennò alla signora, che si era alzata, di rimettersi a sedere.
“Ah, Commendatore!„ diss’ella, “Lei solo può metterci d’accordo!„ “Io?„
Questa poi, davvero, il Commendatore non se l’aspettava.
“Certamente„, fece Soldini. E pigliò a spiegargli l’enigma. Si sapeva che lo scioglimento del Consiglio comunale stava sul tappeto della Prefettura. Qualcuno pretendeva che Bassanelli avesse già sollecitato il decreto reale. Ora se il decreto reale veniva, occorreva che il Commendatore persuadesse Maironi a declinare la candidatura. “Il pensiero di mia moglie„, conchiuse il cavaliere Soldini, “è questo: se non si posa una candidatura liberale Maironi, il giornale cattolico sta zitto. Il Commendatore impedirà in qualunque modo, o premendo sullo stesso Maironi o premendo sul partito liberale, che quella candidatura si posi„.
“Eh, eh, eh, Lei mi fa un’intimazione da barcaiuolo veneziano!„ disse il Commendatore, cacciandosi ridente le mani in tasca e articolando quasi con uno sforzo le parole scherzose. “Scià premi! Scià premi! Ma io ho voglia di stalìr! Di stalìr!„ E fuori la sua solita risatina. Soggiunse poi, serio, che di elezioni non si era mai occupato e non intendeva occuparsi.
“Abbia pazienza„, replicò il cavaliere. “Quello è il pensiero di mia moglie. Francamente, il pensiero mio è un poco diverso. Ecco. Io non credo nè che Maironi ascolterebbe Lei nè che accetterà una candidatura liberale. Vi è una cosa che non ho detta neppure a mia moglie e che dirò adesso. Io dubito che Maironi sia per entrare in quella strana categoria di gran signori socialisti che abbiamo in Italia. Badi, sa; fra quelli di buona fede e non fra quelli che si fanno socialisti per assicurarsi dall’incendio; ecco, Lei mi capisce. Maironi è appunto un impulsivo di buona fede. Io questo lo desumo da varie piccole, piccolissime cose che so e anche da certo discorso ch’egli deve aver fatto al Bassanelli, il quale non gli è poi tanto cordiale amico, per certe sue intime ragioni...„.
“Non so niente, non so niente„, s’affrettò a dire il Commendatore con il tono di uno che neppure vuol sapere. “Ma io so„, riprese l’altro. “Ora se per caso, avendo luogo le elezioni generali, Maironi fosse portato e si lasciasse portare dai socialisti, pensi come lo dovrei garbatamente malmenare! Lei vede ora, Commendatore, dove riesco e in qual modo Ella può evitare a mia moglie e a me, forse per la salute di un’anima e certo per la nostra pace domestica, il dissidio di cui abbiamo parlato!„
Così dicendo, il cavalier Soldini rideva e il Commendatore rispose “no no no, non vedo, non vedo, non vedo„, ridendo anche lui, come uno che vedesse benissimo.
“Ho sbagliato di grosso„ riprese il primo, “poco fa. Lo scioglimento del Consiglio non è sul tappeto della Prefettura, è sul tappeto di un tavolino molto più visibile agli occhi miei!„
“Oh che salti!„ esclamò il Commendatore, ridendo ancora. “Oh che salti! Lei mi crea, un momento fa, gondoliere veneziano e adesso mi nomina ministro dell’interno. Oh che salti!„ E più di questa esclamazione, cinque o sei volte ripetuta di poi, “oh che salti, oh che salti!„ il cavalier Soldini con tutta l’abilità sua e la signora Soldini con tutta la sua foga sincera non poterono cavare al Commendatore; il quale, malgrado quel fare scherzoso, era stato fin da principio del colloquio attentissimamente in guardia, nel dubbio di una premeditata architettura di tutta la scena per lo scopo clericale: evitare lo scioglimento del Consiglio. In questo egli faceva torto almeno alla signora. Per compenso ricondusse cavallerescamente fino alla scala i suoi visitatori, molto curiosi di vedere l’annunciato autore putativo della crisi municipale, un giovinotto dalla faccia poco simpatica che stava nell’anticamera, duro come uno che non può liberarsi da certo imbarazzo, da certa soggezione e non vorrebbe parere timido nè ossequente e ha per giunta in testa un discorsino da recitare. Egli cominciò la sua recita troppo presto, appena il Commendatore rientrò nell’anticamera dall’aver accompagnato il Soldini alla scala, la interruppe, la ricominciò, parlando italiano: “prima di tutto... Ella crederà... prima di tutto... Ella crederà forse...„, mentre il Commendatore, con la sua umile affabilità, insisteva perchè egli entrasse nello studio, perchè sedesse, costringendolo a rifarsi da capo ogni momento. Finalmente gli riuscì di condurre innanzi, sotto gli occhi pacifici e benevoli dell’onnipotente abbandonato fra le braccia della sua poltrona, il discorsino.
“Prima di tutto, Ella crederà forse che io sia venuto a raccomandarmi, ma questo non è vero. Io son venuto per la giustizia, per causa della iniquità di persone che non meritano di essere il Municipio, non meritano, di una città, infatti, gloriosa, dirò. Credo che Lei saprà chi sono e cosa mi è toccato a me„.
Il paziente Commendatore, che lo guardava sempre tra blando e serio, accennò di sì. Egli sapeva che Ricciotti Pomato, da ragazzo, si era gittato nel fiume per salvare un compagno e che il suo bell’atto gli era stato fatale perchè, trattandosi di un povero figliuolo, il Municipio, la stampa, i cittadini cospicui, a forza di suonargli intorno tutte le trombe dell’adulazione, gli avevano intronato in piena regola il cervello che continuava a suonare e suonare di queste lodi, come una conchiglia marina suona e suona in perpetuo dell’Oceano che un giorno la empì di fragore.
La prima iniquità del Municipio clericale era questa che dopo la sciagurata faccenda delle brache, il tale assessore non voleva più favorire, secondo aveva prima promesso, nel conferimento di certe doti municipali, l’Annetta Pomato, sorella di Ciotti. La seconda era che il tale altro assessore intendeva proporre per una di quelle doti la figlia di una sua ganza. “Ohi, ohi!„ fece il Commendatore, sgomentato. “No, no, no! Non dica di queste cose!„ “Sacrosanta!„ esclamò l’altro e continuò a snocciolare il rosario delle iniquità. Si preferisce il tal fornitore, con danno del Comune, perchè è clericale o anche solo perchè la domenica tiene il negozio chiuso. Si nega una gratificazione al tale impiegato perchè scrive nel giornale dei socialisti. Alla Biblioteca, invece di Ricciotti si nomina il fratello di un sagrestano, che neppure sa parlare in buona lingua. Chi sa quando la buona lingua di Çeóla si sarebbe chetata, se il Commendatore, che pareva stare sui carboni ardenti, non l’avesse interrotto.
“Tutto questo sarà e non sarà, ma che ci posso far io?„ L'altro fece il sordo e tirò via. Si era licenziato un libraio inquilino del Comune perchè vendeva le Memorie di Garibaldi.
Ecco all’uscio il naso della cameriera.
“Signor, ghe sarìa el signor Maroni„.
Il Commendatore significò a Çeóla piuttosto con un gesto che con parole come non vedesse alcuna ragione di prolungare un tale colloquio. Allora finalmente Çeóla voltò la sua carta coperta. “La perdoni!„ diss’egli. “Tutto il paese dice che lo scioglimento del Consiglio comunale dipende da Lei e che Lei è contrario„. “Ma che, ma che!„ esclamò il Commendatore. L’altro continuò imperterrito, malgrado interruzioni continue. “Adesso io Le dico che siamo molti...„. “Ma sì, ma sì...„ “... che se le elezioni si fa subito voteremo per i liberali senza domandare posti per noi, senza domandare...„ “Va bene, va bene, ma se io non c’entro!„ “... e se le elezioni non si fa subito ci teniamo liberi...„. Ma sì, ma sì, è inutile dirle a me, queste cose, facciano quello che vogliono!„ “... e se ci teniamo liberi vuol dire che ci sarà dei conti da fare perchè potrebbe succedere fatti strepitosi, e questa è una cosa che potrebbe anche interessare giusto il signor Maironi che credo che sarà lui e che la serva avrà fallato a dire„.
Se la cameriera Rosina avesse udito Ricciotti Çeóla chiamarla serva, lo serviva lei. Ma la Rosina, considerato che adesso nell’anticamera ci stava un signore per bene e non mal veduto dal feroce collega di cucina, si disponeva lietamente a portare i due caffè nello studio di quel povero santo Giobbe del padrone appena fosse partito l’odioso Ciotti. Uditolo scender la scala, si mosse dall’alto del terzo piano. Appena toccato il secondo incontrò un amico e parente della famiglia, che allungò, con un viso beato, le mani cupide al vassoio: “Brava ciò! quel che ghe vol per mi che go magnà i gnochi!„ La Rosina si difese accanitamente e l’altro incalzò con l’attacco. “No che l’è per el signor Maroni!„
“Te ghe ne scaldarè un altro„.
“No ghe n’è più!„
“E ti falo fresco!„ L’amico si trangugiò la sua tazza di caffè caldo con molti voluttuosi muggiti e soffi e la Rosina ritornò brontolando in cucina.
Maironi aveva fatto alcune visite al Commendatore durante il suo sindacato per consultarlo in argomenti di amministrazione o per raccomandargli qualche interesse pubblico. N’era sempre stato accolto cordialmente. Adesso era venuto a malincuore, sospettando che gli si volesse parlare di politica. Sapeva che i liberali speravano di approfittare della sua defezione dagli amici antichi e gli sarebbe spiaciuto di aver a sostenere un assalto condotto da quell’uomo tanto rispettabile e buono, al quale non avrebbe potuto rispondere così vigoroso come ad altri. E dal cedere abborriva. Ne abborriva non solamente per l’attrazione che l’idea socialista esercitava sopra di lui ma più ancora perchè la compagnia dei liberali gli pareva sonnolenta e il programma impotente a generare l’azione intensa di cui sentiva più e più il bisogno nella inquietudine divorante dell’anima, tormentata dalla più profonda scontentezza di sè, dalla impotenza dell’amore a infonderle pace.
Il Commendatore, licenziato Çeóla non bruscamente ma tuttavia senza troppe cerimonie, sdegnando i sommessi lamenti dei propri nervi per il caffè loro negato malgrado tanti fedeli servigi, fece al nuovo venuto un’accoglienza festosissima. Andò a raccoglierlo nell’anticamera, e prima di farselo sedere vicino, gli mostrò dei libri pervenutigli di recente; fra gli altri, un trattato di trigonometria.
“Vede, vede?„ diss’egli: “Tu non credevi ch’io geometra fossi„. Ci aveva pure Le socialisme intégral. “Questo lo conoscerà? Sogni, sogni sentimentali!„
Maironi lo conosceva infatti. Già nell’anteriore suo stato d’animo, preso dalla curiosità del socialismo, aveva letto un compendio francese del Capitale di Marx, Progress and Poverty di George e il libro di Benoit Malon.
“Saranno sogni„, diss’egli vivacemente, “ma Lei crede pure che ci è stato qualche sogno rivelatore del futuro!„
“Si accomodi, si accomodi„, fece il Commendatore, ritraendo in fretta la mano indagatrice dal tocco di quel sangue che bolliva.
Ed entrò subito nel discorso delle due cose per le quali aveva pregato Piero di venire. A sussidio di certi suoi studi storici, intanto, gli occorrevano alcune copie di documenti dell’archivio municipale di Brescia. Si rivolgeva, per averle, alla cortesia di Maironi. Supponeva che Maironi facesse gite frequenti a Brescia; non possedeva egli grandi poderi nel Bresciano? Pigiò molto su questi grandi poderi e poi toccò dei fastidi della vita cittadina, della sorte beata di chi può vivere sulle proprie terre occupandosi di esse, studiando, magari anche sognando un poco! E qui mise a posto una delle sue risatine discrete. Queste parole, cercate con intenzione più profonda, volendo dire e non dire, gli servirono di passaggio all’argomento delicato dove poi, con abbondanti cautele, mise il piede.
L’argomento era la candidatura senatoria di Zaneto. Il Commendatore pigliò le mosse appunto da Brescia, dalle condizioni politiche di quella città e della provincia, dalla importanza che il Ministero attribuiva, ragionevolmente, a certa elezione politica che avrebbe avuto luogo colà in epoca non lontana. Egli calò con lente e larghe ruote del discorso, come un alato diffidente, a toccare, a sfiorare appena certo messaggio portato da un membro del Parlamento circa supposte condizioni alla nomina di Zaneto, soffiate da un ministro nell’orecchio dell’onorevole, tra le quali vi era l’appoggio di Maironi al candidato ministeriale in quel collegio del Bresciano. Maironi, mal soffrendo gli avvolgimenti di parole del prudente Commendatore, sentendo che sola cagione del suo parlare involuto era la paura di toccare Jeanne, di alludere a Jeanne cui l’onorevole Berardini aveva tenuto quel discorso, risentendosi di questi riguardi quasi offensivi per Jeanne e per lui, non attese altro e protestò che questo non era possibile, che egli non prendeva impegno, assolutamente, nè di sostenere nè di combattere alcuno. “Abbia pazienza„, fece il Commendatore desideroso in quel momento non tanto d’indurre Piero a una risoluzione qualsiasi quanto di appagare sè stesso conducendo i proprii studiati periodi a fine. E li condusse a fine spiegando lungamente e minutamente, non senza rifarsi talvolta da capo per amore di chiarezza, che forse in tutto questo vi era, quanto all’esito, un eccesso di ottimismo, che neppure quel ministro, forse, era in grado di promettere, ma che una probabilità, una probabilità — il Commendatore insistette sul vocabolo — c’era senza dubbio e che, senza dubbio, l’elezione di Brescia poteva pesar molto sulla bilancia.
“Ecco„ diss’egli, soddisfatto, sorridente, liberato dal suo gomitolo di ragionamenti, da ogni scrupolo di silenzi male serbati. “E spero di non aver meritato l’epigramma di un mio carissimo amico briccone, molto briccone: longus esse laborat, obscurus fit„.
L’altro rinnovò anche più vibrate le sue proteste, le quali adesso vennero accolte in pace con un “faccia Lei, faccia Lei, cosa Le posso dire?„ Tanto in pace che Maironi n’ebbe la impressione di certa spiacevole indifferenza e gli venne una gran voglia di scuoter l’uomo con qualche audace parola.
“Non è per la questione di Brescia„ diss’egli “è perchè ho affatto altre idee„.
“Bene! bene! bene!„ fece il Commendatore col viso di chi pensasse — male! male! male! — come certo confessore veneto andava dicendo — ben! ben! — ad ogni nuovo peccato che gli snocciolava il penitente. “Senta!„ diss’egli alquanto solenne e come uscendo con autorità da una breve meditazione: “Non s’impegni troppo presto con queste idee che dice. Vita doctrix! Frequenti un poco di più la scuola della vita, ma proprio da scolaro che sta sul banco ad ascoltare e guardare. E poi... e poi... e poi!...„.
Il Commendatore scosse la mano destra in aria come benedicendo il soffitto, per significare che poi gli avrebbe dato anche licenza di salire sulla cattedra.
Il naso di Rosina. “Signor, ghe xe el signor prefeto„.
Maironi si alzò, promise di occuparsi dei documenti desiderati e partì contento di aver detto abbastanza chiaro, posto quel buon intenditore, l’animo suo. S’incontrò nell’anticamera con il zoppicante Bassanelli, consigliere delegato reggente la Prefettura dopo il trasloco del Prefetto. Si scambiarono un saluto freddo.
“Che ghe porta el cafè a quel zoto?„ pensò Rosina, riparato il guasto di quell’altro libero bevitore. Il padrone suonò per ordinare che non si lasciasse più passar nessuno e Rosina ebbe soltanto il coraggio di origliar un poco all’uscio. Udì Bassanelli dir forte: “Commendatore mio, andemo zoti!„ e il padrone ridere. Poi non le riuscì di afferrare altro e se ne andò brontolando contro il Governo, che nominava prefetti di quel genere, senza un poco di sussiego, di dignità.
La faccia, il pelo e la gamba sinistra, la gamba di Palestro, del cavaliere Bassanelli avevano cambiato molto da quella sera del 1859 passata trincando nella gaia compagnia dei Sette Sapienti all’Isola Bella, dove uno dei Sette, Franco Maironi, era venuto ad abbracciar sua moglie prima di arruolarsi per la guerra. Nello spirito egli era ancora il bonario e rude originale dell’Isola Bella. La molta cultura, la qualità dell’ufficio, la dimestichezza con persone affabili e corrette gli avevano alquanto levigato il linguaggio senza cancellarne tutte le pittoresche audacie. Scettico fino all’osso, saturo fino alla midolla di senso del reale e del pratico, mangiaradicali quanto pochi e mangiapreti nell’intimo del suo stomaco quanto nessuno, corteggiatore e disprezzatore delle donne, il Padovano copriva i propri sentimenti sin là dove le convenienze dell’ufficio volevano e non più oltre. Aveva moltissimo rispetto e non altrettanta simpatia per il Commendatore, uomo troppo religioso per lui, troppo legato con ecclesiastici, troppo cauto nella parola, troppo schivo del giudicar franco, del chiamar le cose con il loro nome. Non gli piaceva interamente di averlo nella sede della Prefettura benchè lo conoscesse mitissimo e il navigare fra i deputati gli riuscisse più difficile, più pericoloso assai che l’accordarsi con lui, al quale il Ministero rinviava sempre la Prefettura nelle faccende più delicate. Ora la faccenda delicata era lo scioglimento del Consiglio comunale, invocato dai liberali e possibile a giustificarsi con la composizione del Consiglio stesso dove la maggioranza clericale prevaleva per pochi voti e pareva impotente a trovare un sindaco. Bassanelli era trattenuto nella sua buona volontà di mandare i clericali all’aria dal timore di una coalizione, nelle elezioni generali, del partito costituzionale con i partiti estremi. Per questo gli importava di assicurarsi che la direzione del movimento elettorale capitasse, nel caso, in mani sicure. E qui le faccende zoppicavano per causa di certe iniziative prese da persone ambiziose, di nessuna autorità: gente che faceva montare in furore Bassanelli. “Almanco, se no se pol drizzarghe la testa che se podesse slongarghe el colo!„ Erano liberali avanzati, liberali “non dei miei„ diceva Bassanelli con il suo sale grosso, “ma dei calzoni altrui, dei calzoni senza filettatura„. Avevano applaudito all’eroe della Biblioteca, avrebbero fatto anche più per un sorrisetto, per una paroletta, per un articolino di Pomato padre, figlio e comp. “Senta, Commendatore„, proruppe il feroce spirito padovano, “ieri un moderato marmotta mi diceva: — se la va da petrolio a candeloto, meio el candeloto! — Bene, io non solamente sono anticlericale ma non ho neppure, per mia disgrazia, la fede che ha Lei, questo mondo cane mi pare tanto sconfinato che non so capire come ve ne possa essere un altro; per vivere da galantuomo non mi sento alcun bisogno di preti; ma in verità di Dio, quasi quasi, piuttosto che vedere in Municipio certi liberali, mi terrei questo povero mucchietto di sacrestanelli mezzo rabbiosi, e mezzo tabaccosi!„
Durante un discorso tanto eretico il povero Commendatore si era molto rannuvolato. “Adesso concludiamo qualche cosa„, diss’egli grave, senza guardare Bassanelli. E consigliò di non fare ancora proposte al Ministero, di star a vedere. Avvertì che il deputato del collegio si adoperava molto, a Roma, per lo scioglimento e che poteva forse venire all’improvviso da Roma l’ordine più o meno esplicito di proporlo. Nell’alzarsi per partire Bassanelli gli chiese perdono di averlo scandalezzato con il suo ateismo e ricordò Franco Maironi, il padre dell’ex-sindaco, che lo strapazzava per l’ateismo come per “certe altre cosettine„ ma gli voleva un gran bene; e quando lo strapazzava pareva insieme un diavolo e un santo. “A proposito, bravo; cosa mi racconta dell’ex-sindaco?„ disse il Commendatore, scrutando il viso dell’altro, anche per certa curiosità del segreto al quale aveva accennato il Soldini. Bassanelli esplose, rosso come un gambero. “Non me ne parli! Non me ne parli! Quello è un pazzo! Quello non è degno...„.
“Ah ta ta ta, ohi ohi ohi„, interruppe il Commendatore.
“... Non è degno di suo padre, no! Gli ho già detto qualche cosa di simile e un’altra volta, se mi capita, glielo dirò più chiaro! A meno che non ritorni indietro!„
“Come come come come? Che non torni clericale?„ Il buon Commendatore rideva sperando ammorzare con un po’ d’ilarità quel furore.
“Ma che clericale! Se va dritto ai socialisti! Quello è un pazzo, Le dico. Mi ha fatto dei discorsi da pazzo, uno di questi giorni, appunto sulle elezioni comunali, con certe idee impossibili ad afferrare. La se provi a rancurar col cucchiaio il chiaro d’uovo ne la supa: istesso! Il clericale era la crisalide di un anarchico; vedrà! E ci farà del male, qui. Ci farà del male, per i quattrini, per il nome e per un certo ingegno che ha„.
Il Commendatore afferrò il momento buono. “Mandiamolo via„, diss’egli. “Io lo manderei al Polo antartico, anima mia, col diretto delle cinque; ma come si fa?„
In città si diceva che Bassanelli, malgrado i suoi cinquantaquattro anni, il suo cinismo, le sue affermazioni di non gustare, in fatto di donne, che “le ochete bianche e molesine„, fosse innamorato di Jeanne Dessalle ch’egli aveva conosciuto da ragazza e visitava spesso a villa Diedo. Bassanelli non sapeva che ciò si dicesse e neppure lo sapeva il Commendatore.
“E se... e se... e se...„, cominciò quest’ultimo. Si arenò nel terzo se. “Pensavo una cosa„, diss’egli. “Se Lei ch’è in relazione con villa Diedo, cercasse di persuadere quella benedetta signora... santo cielo!... basta!„ Espresso con queste due esclamazioni di biasimo e di carità il suo giudizio sulla condotta della “benedetta signora„, egli proseguì a dire che forse Bassanelli avrebbe potuto persuaderla della convenienza per Maironi di allontanarsi dalla città quando si aprisse il periodo elettorale, e di non accettare alcuna candidatura.
“Io?„ fece Bassanelli. “Glielo dirò a nome Suo, se vuole„.
“Misericordia!„ esclamò il Commendatore, spaventato. “No no, cosa Le viene in mente? Misericordia!„ “Caro Commendatore„, disse Bassanelli, “la femmina è l’impugnatura del maschio, Lei lo saprebbe se non vivesse fra i cori degli angeli, dei Principati e delle Dominazioni; e se mostrasse di saperlo non intendo come si farebbe torto. Questa impugnatura può essere l’amante, ma può essere anche la moglie, può essere la cuoca. Si figuri che la mia cuoca, la quale sta in casa mia da trent’anni, fa di me quello che vuole: e i suoi seduttori sono quindi miei padroni. Se fosse un cuoco gli vorrei forse bene ma non sarebbe il mio padrone. È la femminilità di quel piccolo cartoccio di grinze che mi soggioga„.
Ancora il naso di Rosina. “Signor! Don Giuseppe Flores!„
“Siamo intesi, dunque!„ disse Bassanelli. “Parlo in Suo nome!„. E mentre il Commendatore lo inseguiva con la voce, “no no, non facciamo scherzi!„ e gli giungevano sempre più fievoli i “sì! sì! sì!„ del Padovano fuggente per le anticamere, don Giuseppe Flores entrò nello studio. Il Commendatore si affrettò a incontrarlo col più sorpreso e riverente viso. Alle spalle di don Giuseppe, Rosina faceva dei gesti al padrone per chiedergli se dovesse portare ora i due caffè. Il Commendatore non pose attenzione ai suoi gesti e immaginando che don Giuseppe, rarissimo visitatore, avesse a fargli qualche discorso riservato, le rinnovò invece l’ordine di non lasciar entrare nessuno. Seduti l’uno accanto all’altro nella ricreante coscienza dei loro felici consensi religiosi e morali, di una mutua devozione senza familiarità, ma tuttavia profonda, i due uomini di Dio, tanto diversi fra loro, tanto bene conformati nella loro natura e anche nelle particolari virtù ai còmpiti, pure affatto diversi, loro assegnati dal Padre, si parlarono a lungo, sotto voce. Prima parlò don Giuseppe, porgendosi tutto, tratto tratto, e sorridendo allora di un vivo sorriso al Commendatore che l’ascoltava più grave, pensava cose attinenti al soggetto del discorso e non sapute dal prete, le cose apprese dalla bocca del Soldini e del Bassanelli, che gli lasciavano poca speranza di poter corrispondere ai desideri della marchesa Nene. Egli le disse poi, queste cose. Disse anche del consiglio dato a Bassanelli e della bizzarra pensata di costui che gli procacciava della molestia. Via, questo invocare l’azione della signora Dessalle era in certo modo un riconoscere ufficialmente, per trarne giovamento, uno stato di cose che per nessun conto andava riconosciuto. Che ne diceva don Giuseppe? Don Giuseppe parve un poco incerto, masticò alquanto, non si spiegò bene, parendogli che in fatto non fosse opportuno di cercare quell’appoggio e insieme non volendo troppo turbare il venerato amico.
“E Lei, don Giuseppe?„ disse questi. “Lei che conosce Maironi, che ha conosciuto, credo, i suoi genitori, perchè non potrebbe tentar qualche cosa?„
Don Giuseppe sospirò, si passò una mano sugli occhi. “Povero me„, rispose, “non so far niente, non so agire, non so parlare; una miseria!„
Il Commendatore, pur protestando, si tenne sicuro ch’egli avrebbe invece fatto qualche cosa. Tacque, però, questa fiducia.
“Allora„, diss’egli, “se noi non ci possiamo far niente, speriamo bene. Vedrà che adesso il Signore piglia in mano la cosa Lui„.
Finalmente, liberato il campo, la Rosina entrò portando il caffè.
“Xela stà una procession, signor!„
“Ti pare?„ fece il mansueto padrone.
“Mi digo!„ rispose Rosina. “E l’ultimo xe stà el santo„.
Soggiunse che un momento prima si erano trovati a salir la scala insieme il marchese Scremin e quel tale ch’era venuto a raccomandarsi un’altra volta per l’appalto dei pozzi neri delle caserme a Verona. Ella li aveva licenziati ambedue. La fedele cameriera stette a guardare con materna compiacenza il padrone che sorbiva pian piano i meritati conforti della bevanda spirituale. Gli propose di aprire le finestre; c’era un tale odore! Di che? Il Commendatore non sentiva niente. Altro che odore! Odore “de siori e de poareti, del mistrà de Çeóla e della tintura del prefeto„. Il padrone non credeva a questa tintura del consigliere Bassanelli e Rosina rise arditamente della ingenuità di lui. E non meno arditamente gli domandò cosa gli avesse raccontato “quel dalla Biblioteca„. Intanto gli avrà raccomandata sua sorella Artemide. Rosina sapeva che quest’Artemide, cameriera pur lei, avrebbe dovuto venire col fratello ma che la sua signora l’aveva fatta stare a letto perchè il medico condotto le ordinasse l’olio di ricino. L’Artemide, nella sua qualità di povera, aveva diritto alle medicine gratuite e l’olio di ricino ordinato a lei lo avrebbe invece preso il padroncino che s’era rimpinzato di paste.
“Ohi ohi ohi!„ fece il Commendatore, ridendo.
Rosina cantò poi le lodi dei Soldini. Clericali ma però brave persone, tanto di buone maniere, tanto nobili. E quel Quaiotto che voleva farli andar via! “Un vilan, madre mia!„ E il Commendatore: “zitto, zitto, zitto!„ E il signor Maironi? Aveva egli raccontato che sua moglie stava molto meglio ma per causa di quella brutta... E il Commendatore da capo: “zitto, zitto, basta, basta!„ Rosina si meravigliò. Che male c’era? “L’è troppo santo, elo„. E quell’altro povero zoppo, con la sua cuoca che gli rubava fin le camicie per regalarle al suo amoroso vecchio!
“Basta insomma! Porta via!„
Il Commendatore diede una spinta al vassoio del caffè, intendendo spingere così anche Rosina fuori dell’uscio. Rosina si difese. Non era meglio di saperle le cose? “Saperle sì, dirle no„. E come avrebbe fatto lui a saperle se nessuno gliele diceva?
“Mah, figlia mia, c’è molti modi di venire a sapere le cose. Ascolta, del resto„.
Qui il Commendatore mostrò a Rosina un libriccino legato in pelle nera. “C’è più sapienza in una paginetta di questo libro che in tutte le teste di tutti i commendatori e di tutte le loro cameriere. E se tu potessi capire il latino ti darei a leggere qui de evitatione curiosae...„.
“Sì signore„, saltò su a dire la Rosina, pronta, “ma mi no son curiosa!„
“Va va va!„
Quando Rosina, mogia mogia, si fu incamminata verso l’uscio brontolando “mi no che no son curiosa„, il padrone la richiamò. “Senti, Rosina. Chi ti ha detto che la signora Maironi sta tanto meglio?„
Trionfo dell’ancella. “Védelo védelo védelo che l’è curioso anca lu?„
E la impertinente creatura trottò via senz’altra risposta con il vassoio del caffè.