Carmela

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Dopo la festa Visita allo stabilimento Guerini
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CARMELA.

L’infanzia di Carmela fu triste, la madre le morì quando era ancora in fasce, ed essa fu costretta a vegetare sola sola, in una viuzza di Napoli, dove non penetrava raggio di sole, mentre il padre, Giovanni, girava la città vendendo ostriche ed altri frutti di mare.

— Sta tranquilla, e bada di non farti male, — le diceva prima di uscire di casa; poi le lasciava qualche cosa da mangiare, [p. 187 modifica] dei gusci di ostriche per giocare, e se ne andava fino alla sera in giro per la città.

Carmela non ardiva uscire dalla sua buia stradicciuola, ed era contenta quando qualche bimbo del vicinato si fermava a giocare con lei.

Così cresceva pallida, come una pianta priva di sole; avea i capelli nerissimi, che non pettinava mai, arruffati e tanto in disordine che le nascondevano la faccia e gli occhi, belli ed espressivi.

Si era ormai abituata a quella vita e avrebbe desiderato che continuasse per molto tempo, quando avvenne un fatto che portò il disordine in casa, e le fece provare il primo dolore della sua vita.

Un giorno il padre venne a casa ad un’ora insolita conducendo con sè una bella donna, bianca, rossa e grassa; proprio il ritratto della salute,

— Questa donna ti farà da mamma, e non starai più sola, — le disse, — bisogna che tu le voglia bene. [p. 188 modifica]

Carmela alzò gli occhi, guardò la donna e rispose:

— Non avevo bisogno di nessuno; stavo tanto bene sola.

— È un vero mostriciattolo, — disse la donna, dando un’occhiata alla bambina, che s’era rincantucciata e nascosta in mezzo ad un mucchio di cenci.

— È molto buona, e non dà noia; te la raccomando, — soggiunse Giovanni rivolgendosi alla moglie.

Ma ad Anna non piaceva quella bimba, che la chiamava mamma, e le era d’impiccio; essa aveva sposato Giovanni per godersi un po’ di libertà, almeno nei primi anni di matrimonio, e cominciò ad averla in uggia, fin da quel primo giorno.

Per Carmela che desiderava soltanto star quieta, la pace era finita, perchè Anna, amante dei propri comodi e del farsi servire, la faceva sgambettare e lavorare tutto il giorno.

— Bisogna bene che s’avvezzi a far [p. 189 modifica] qualche cosa, se non vuol mangiare il pane a tradimento, — diceva al marito ed alle vicine. Le comandava di far questo o quello, di attingere l’acqua, o accendere il fuoco per far bollire i maccheroni, di scopare le stanze, e magari di aggiustarle i vestiti; se la bimba non ubbidiva, erano busse che cadevano sulle sue spalle senza pietà, sicchè a Carmela toccava rassegnarsi e sgobbare come un mulo.

E fu peggio, quando nacque in casa un’altra bimba, e Carmela fu costretta a fare anche da bambinaia, e guai se non toccava la sua sorellina con tutta delicatezza! Se la bimba faceva capricci, la colpa naturalmente era di Carmela, e a lei toccavano i rimproveri e le busse.

Di carattere dolce, non diceva nulla, non si lagnava, si rassegnava alla sua trista sorte e piangeva in silenzio.

Molte volte s’era proposta di raccontare al padre i maltrattamenti della matrigna, poi non ne aveva avuto il [p. 190 modifica] coraggio. Del resto non avrebbe servito a nulla, perchè Giovanni, innamorato della moglie al punto d’esserne schiavo, non vedeva che cogli occhi di lei, e anch’egli preferiva Graziella, colle sue guancie rosee e paffute, colla allegria chiassosa, che dava vita alla casa come un raggio di sole, a Carmela buona, dolce, ma sempre triste, muta e rassegnata.

Mano mano che Graziella cresceva, erano per lei, non solo le carezze e i baci, ma altresì i vestiti più belli, i bocconi più saporiti; in casa i genitori la tenevano come una regina, e appagavano tutti i suoi desiderii, ed essa era capricciosa, volea sempre uscire, andare a divertirsi, e la mamma che non sapeva negarle nulla, la conduceva al passeggio, in riva al mare, a giocare cogli altri ragazzi, e lasciava Carmela sempre a casa, a far bollire la pentola, come Cenerentola.

Se per caso mostrava desiderio anch’essa di uscire, per vedere qualche cosa di più [p. 191 modifica] gaio della stradicciuola, dove vegetava priva d’un raggio di luce, la madre le faceva capire che colla sua faccia gialla era ben meglio che restasse nell’ombra, e già che non poteva brillare alla luce del sole dovea rassegnarsi ad essere utile alla famiglia.

Carmela nel suo isolamento aveva un solo amico: il figlio d’una vicina che abitava nella stessa viuzza, e che da bambino aveva giocato assieme a lei coi gusci d’ostriche. Egli si chiamava Gennaro, e quando sapeva che la signora Anna era uscita, andava dalla Carmela a raccontarle i piccoli avvenimenti della sua scuola, le parlava dei compagni, dei suoi divertimenti, della campagna, del mare e delle rappresentazioni di Pulcinella, alle quali assisteva spesso, ed essa stava là intenta ad ascoltarlo, pendeva dalle sue labbra e per quei racconti avrebbe lasciato qualunque divertimento.

Un giorno Gennaro la venne a [p. 192 modifica] salutare; avea stabilito di andar a fare il mozzo sopra un bastimento, e dovea andare lontano lontano a girare il mondo, perchè volea diventare marinaio.

— Che farò ora senza di te? — disse Carmela.

— M’aspetterai, e quando ritornerò, ti racconterò tante belle storie di paesi che non conosci.

— Vedrai delle altre bambine, e ti dimenticherai di me, che sono brutta.

— Non è vero, i tuoi occhi sono tanto belli e buoni, che non li dimenticherò certamente.

Era la prima volta che Carmela sentiva fare un elogio della sua persona, ed era commossa, avrebbe voluto dire tante cose al suo amico, ma non poteva; un groppo alla gola le toglieva il fiato; però lo guardò coi suoi occhi buoni, con uno sguardo espressivo che voleva dire: — Torna presto.

Dopo quel giorno, rimase ancora più [p. 193 modifica]triste; ma quando la matrigna le diceva che era un mostriciattolo, essa pensava alle parole di Gennaro, e si consolava.

Graziella cresceva a vista d’occhio, era bianca, rossa e prosperosa, ma di una bellezza volgare; avea poco cuore, e quando poteva, cercava d’umiliare la sorella in tutti i modi possibili; raccontava i suoi trionfi, i complimenti che le venivano fatti; era continuamente occupata ad adornarsi e ad agghindarsi allo specchio, pensava sempre a vestiti nuovi, tanto che il babbo dovea lavorare dalla mattina alla sera, per appagare i suoi capricci.

— Ma non ti pare che sarebbe tempo che Graziella guadagnasse qualche cosa? — diceva Giovanni alla moglie.

— Lascia che si diverta, è ancora una bimba, — rispondeva Anna; però, un giorno si decise di metterla da una sarta, affinchè imparasse il mestiere; ma ciò non valse ad altro che a darle un pretesto per [p. 194 modifica] stare di più fuori di casa, e per diventare più vanerella.

Carmela s’era rassegnata anch’essa a tenere Graziella come un essere privilegiato, e l’ammirava continuamente; si divertiva anzi ad ornarla come una bambola, ed a vederla farsi più bella, dopo aver indossato la veste nuova che aveva aiutato a cucirle, rubando delle ore al sonno.

Graziella era una piccola egoista, non amava che sè stessa. Accarezzava Carmela quando aveva bisogno del suo aiuto; la mamma, perchè la conducesse ai divertimenti; il babbo, quando voleva che le desse quattrini per comperare dei fronzoli; e godeva la vita senza pensieri, passando lunghe ore fuori di casa, assieme alla madre, non curandosi nè di Giovanni, che lavorava come un cane, nè di Carmela, che si preoccupava di preparare loro la minestra, e porre in ordine la casa.

Un giorno Anna e Graziella si [p. 195 modifica] spaventarono nell’udire che una loro vicina era morta di vaiuolo, e che la malattia regnava nella città. Ebbero subito il pensiero di andare lontano; ma Giovanni disse che non avea quattrini da sprecare per capricci. Perciò dovettero rassegnarsi a rimanere, ma tremavano dalla paura di prendere la malattia, e quando uscivano di casa, cercavano di star in mezzo alla via per non toccare il muro; non parlavano più coi vicini, ed erano infelici di dover vivere con quel pensiero. Un giorno Giovanni venne a casa con una febbre fortissima, e le due donne divennero pallide come morte, quando il dottore affermò che si trattava di vaiuolo.

Il primo pensiero di Anna fu di mandare il marito all’ospedale, dicendo che sarebbe stato curato meglio; ma egli disse che voleva morire nel suo letto: in quanto a lei era padronissima di andarsene, se temeva di prendere il male; in quanto a lui qualche santo lo avrebbe aiutato. [p. 196 modifica]

— Non è per me, è per Graziella, — disse Anna, — sarebbe peccato che la sua faccia rimanesse butterata; non posso permettere che rimanga qui a questo pericolo.

— Andate, — disse Carmela, — resterò io che sono brutta.

Anna non si fece ripetere due volte questa proposta, e rispose:

— È giusto; è inutile che stiamo qui tutti; tu sola basti; poi si tratta di tuo padre: ti raccomando di curarlo bene e guarda di non prender quel brutto male; anzi è meglio che tu ti faccia vaccinare.

Anna non s’avvicinò nemmeno al letto per salutare il marito, e assieme a Graziella, che quando aveva inteso parlare di vaiuolo non era più entrata in casa, andò a Portici, presso una vecchia parente.

Carmela rimase sola accanto al letto dell’ammalato, non dormendo nè giorno nè notte per assisterlo, e quando il dottore le diceva: [p. 197 modifica]

— Badate, è una malattia contagiosa, non vi avvicinate troppo a vostro padre — essa non gli dava retta, e si contentava di lavarsi col sublimato corrosivo o coll’acido fenico, dicendo:

— Faccio queste cose, perchè voglio star bene e poter assistere mio padre, e che non resti solo; ma per me, non m’importa di nulla.

Per parecchi giorni sopportò le più crudeli sofferenze; avvilita dall’impotenza di recar sollievo al povero infermo. Vi fu un momento che il padre, in preda ad una febbre ardente, voleva gettarsi dalla finestra, ed essa temè di non aver abbastanza forza per trattenerlo. Nè poteva far assegnamento sull’aiuto di alcuno, perchè tutti fuggivano la loro casa come se fossero appestati, ed essa era alla disperazione; sola, col padre delirante, che voleva alzarsi, che non la riconosceva più, e la cacciava via. Fortunatamente quel periodo non durò molto, e a furia di cure [p. 198 modifica] e di riguardi il male prese una buona piega: ma bisognava vedere com’era sfigurato il povero Giovanni! avea la faccia gonfia, tutta piena di piaghe, e Carmela con una pazienza da santa, vinceva il ribrezzo e la nausea che quella vista le incuteva, per curarlo e diminuirgli lo spasimo.

Furono venti giorni di vero martirio per la povera figliuola; e quello che le dispiaceva di più, era vedere che nè la madre nè Graziella davano segno di vita, mentre l’ammalato domandava nel delirio continuamente di loro.

Quando Giovanni incominciò a star meglio, allora conobbe la grande abnegazione della sua figlia, e l’egoismo della moglie e di Graziella, e disse a Carmela:

— Tu sei un angelo. Guai se non eri tu a curarmi! sarei morto come un cane; e dire che a te non badavo nemmeno! Come mi pento d’essere stato così ingiusto! Ma ora, noi due staremo sempre [p. 199 modifica] assieme, e le altre resteranno là dove sono andate; non le voglio più vedere.

Carmela le difendeva: — Sarebbe stato un peccato che Graziella venisse presa da una malattia così terribile, che può lasciar tracce sul viso, — diceva scusandole.

Ma Giovanni non voleva saperne più nè della moglie, nè dell’altra figliuola, e diceva abbracciando Carmela:

— Si sta tanto bene noi due, e non voglio più che tu faccia la vita che facevi una volta; verrai con me a girare la città, a respirar un po’ d’aria libera: ne hai di bisogno, sei tanto pallida.

Quando la casa tu disinfettata, e Giovanni guarito, ritornò Anna, ma egli non la volle vedere.

Anna se la prese con Carmela, dicendo che le aveva guastato il marito, che non le voleva in casa perchè Graziella era più bella di lei; e mentre s’avventava contro la figliuola per batterla, entrò Giovanni, che, rivoltosi alla moglie, disse: [p. 200 modifica]

— Voi non siete degna di respirare l’aria che respira quest’angelo; voi mi avete abbandonato, essa mi ha assistito e m’ha salvato. — Poi a Carmela, disse: — Andiamo via noi da questa casa, giacchè loro non vogliono andarsene. — E condusse fuori la figlia, la quale diceva alla matrigna:

— Vado per obbedienza.

Giovanni era forte, robusto e non avea paura del mare; s’unì ad una compagnia di pescatori, e quando faceva buona pesca, andava a venderla assieme a Carmela, la quale si sentiva rivivere trovandosi tutto il giorno all’aria aperta che le accarezzava la faccia, le penetrava nei polmoni, e la rinvigoriva.

Essa però pensava sempre ad Anna e Graziella, che non sapevano lavorare, e sarebbero certo morte di fame; e quando il padre aveva fatto una buona pesca, riempiva in segreto una cesta di pesci, e sull’imbrunire andava nell’antica viuzza [p. 201 modifica] accanto alla casa dove era nata, e sulla soglia lasciava la cesta, e poi rifaceva la via in un lampo.

Anna e Graziella quando la prima volta trovarono i pesci presso l’uscio, dissero:

— È la provvidenza che si ricorda di noi.

Esse non erano più riconoscibili tanto soffrivano; non sapevano lavorare, e per conseguenza non avevano di che mangiare.

Graziella era bensì ritornata a lavorare dalla sarta, ma non guadagnava che pochi centesimi. Anna aveva offerto i suoi servizi a qualche famiglia, ma non essendo buona a nulla, dopo le prime prove veniva licenziata.

— Tutto colpa di quel mostricciattolo di Carmela, che ha stregato Giovanni durante la malattia, — diceva Anna, e si sentiva crescer l’odio che aveva sempre avuto per quella fanciulla.

Quando trovavano la cesta di pesce sulla porta, dicevano che certo qualche [p. 202 modifica] buona fata pensava a loro, e per far qualche soldo, vendevano il pesce ai vicini.

Graziella sarebbe stata curiosa di sapere chi dovesse ringraziare del pesce, e volea spiare sull’uscio per scoprire qualche cosa; ma Anna non volea saper nulla: diceva che era meglio credere che venisse dal cielo e non aver obbligazioni con alcuno.

Una sera che Carmela avea portato il pesce al posto consueto, e se ne tornava a casa, incontrò nella viottola buia un bel marinaio che la guardò negli occhi.

— Gennaro, siete voi?

— Carmela! — esclamò, — non vi avrei più riconosciuta, vi siete fatta bella come una fata.

— E nemmeno io vi avrei riconosciuto, se il cuore non m’avesse detto che eravate voi.

— Ma che cosa fate ora?

— Sto in riva al mare, e faccio la pescatrice.

— Volete che vi accompagni! [p. 203 modifica]

— Venite.

Così traversarono la città raccontandosi a vicenda le loro avventure di tutto il tempo in cui erano stati lontani. Ad un certo punto, il marinaio si fermò, e le chiese guardandola negli occhi:

— Volete che ci sposiamo? io sono stanco di star solo.

— Perchè no? — rispose Carmela, — se è contento il babbo!

— Andiamo a chiederglielo, — disse Gennaro.

E senza por tempo in mezzo, andò da Giovanni a chiedergli la mano della figlia.

Il giovane era forte e aveva voglia di lavorare, e Giovanni non seppe trovar altra risposta che questa:

— Se vi piacete, pensateci voi; io non ho nulla in contrario.

E così combinarono, e Carmela si sentiva contenta come una regina.

Però il giorno del matrimonio, disse al padre: [p. 204 modifica]

— Perchè io sia felice devi farmi un bel regalo.

— Tu sai che non sono ricco.

— Ma tu puoi fare quello che chiedo.

— Ebbene; che cosa vuoi?

— Prima, promettimi che lo farai.

— Sentiamo.

— Devi perdonare alla mamma e a Graziella.

— Non me ne parlare.

— Ti prego, babbo, se vedessi come hanno sofferto; non si riconoscono più: sii buono, fammi contenta. Dunque, le faccio venire?

— Fa pure, sei tu la padrona.

E Carmela corse, anzi volò alla sua vecchia casa, entrò come un razzo, e disse:

— Mamma? Graziella? venite, venite, il babbo vi perdona.

Graziella la guardava stupefatta, Anna era muta dalla sorpresa.

Finalmente Graziella le gettò piangendo le braccia al collo, e le disse: [p. 205 modifica]

— Sei stata tu, non è vero, a far decidere il padre? Quanto sei buona! E fosti anche tu quella che ci portava sempre il pesce, e pensava a noi?

— È stato chi è stato, e non se ne parli più; il babbo vi perdona, ed è contento di ritornare con voi; andiamo. — E le trascinò fuori, fino in fondo alla strada, dove Giovanni e Gennaro l’aspettavano.

— Ecco, babbo, oggi tutti devono esser felici, abbraccia la mamma e Graziella! — Poi presentò il suo sposo.

— Che bel giovane! — disse Anna. — Si diventa buoni quando si hanno di quelle fortune! — soggiunse ironicamente.

— Io la sposo, perchè Carmela è sempre stata buona, — disse Gennaro, — perchè ho saputo l’assistenza che ha fatto a Giovanni quando fu ammalato, e penso che se mai mi capiterà una disgrazia simile, non mi lascerà morir solo come un cane.

— Basta, basta, — disse Carmela, — [p. 206 modifica] non voglio che pensiamo a malinconie, dobbiamo stare allegri.

Graziella disse alla mamma:

— È vero! Carmela merita la sua fortuna; Gennaro ha ragione, è sempre stata buona anche quando io era cattiva; ma ora che ho provato che cosa è soffrire, ho più compassione per gli infelici.

Carmela la fece star zitta dandole un bel bacio.

Giovanni disse a Gennaro, scotendo il capo:

— Graziella è giovane, e se ne farà ancora qualche cosa: ma l’altra è proprio incorreggibile.


Quando Maria ebbe terminato, quell’uditorio stato attento dal principio alla fine incominciò a far dei commenti, tutti ammirarono la bontà e l’abnegazione di Carmela, ed erano contenti che l’altra ragazza fosse stata punita. Maria osservava che quantunque nel mondo i buoni non siano sempre premiati e i cattivi puniti, in ogni modo far il proprio dovere è una tale soddisfazione che non ha bisogno d’altri [p. 207 modifica] compensi. Mario come al solito avea fatto la caricatura di Carmela brutta come un mostriciattolo, con una grande cesta di pesci sulla testa e Graziella davanti allo specchio a farsi bella.

Intanto venne la signora Guerini colla carrozza a prendere i figli, e pregò Maria di andar spesso alla villa, dove quasi tutti i giorni dopo la cinque vi era un po' di gente e i ragazzi si sarebbero divertiti giocando assieme.

Maria ringraziò, e disse: — che non avrebbe potuto approfittare spesso dell'invito, temendo che i troppi divertimenti servissero a distrarre i suoi fratelli dagli studii, specialmente Carlo che dovea ripetere l'esame; ma chiese il permesso di condurli invece a vedere la fabbrica, perchè essi lo desideravano e sarebbe stata una cosa molto istruttiva.

La signora Guerini disse che alla fabbrica potevano andare quando credevano, anzi soggiunse che Alberto ed Elvira sarebbero stati felici di accompagnarli. Così fissarono la gita per la mattina dopo, e Vittorio pensava di mettere intanto in ordine la sua macchinetta fotografica, e far fotografie e poi andare a svilupparle nella camera oscura di Alberto.