Orlando innamorato/Libro terzo/Canto quarto

Libro terzo

Canto quarto

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1   Segnor, se voi potesti ritrovare
     Un che non sappia quel che sia paura,
     O se volesti alcun modo pensare
     Per sbigottire una anima sicura,
     Quando è fortuna quel poneti in mare,
     E si non se spaventa o non se cura,
     Toglietelo per paccio, e non ardito,
     Perché ha con morte il termine de un dito.

2   Orribil cosa è certo il mar turbato,
     E meglio è odirlo dir che farne prova,
     Però creda ciascuno a chi gli è stato,
     E per provar di terra non si mova,
     Come io contava al canto che è passato,
     Di quella nave che entro al mar se trova,
     Sì combattuta da prora e da poppa,
     Che l’acqua ve entra ed escine la stoppa.

3   Mandricardo era in quella e il re Gradasso,
     Re Tibïano e sua figlia Lucina.
     Ora se rompe l’onda a gran fraccasso,
     E mostra un gregge tutta la marina:
     Un gregge bianco, che si pasca al basso,
     Ma sempre mugge e sembra una ruina;
     Stridon le corde e il legno se lamenta:
     Gemendo al fondo, par che ’l suo mal senta.

4   Or questo vento ed or quell’altro salta,
     Non san che farsi e marinari apena;
     Tra’ nivoli talor è la nave alta,
     E talor frega a terra la carrena.
     Sopra a ogni male e sopra a ogni difalta
     Fu quando gionse un colpo ne la antena;
     Piegosse il legno e giù dette alla banda:
     Ciascun cridando a Dio si racomanda.

5   Più de due miglia andò la nave inversa,
     Che a ponto in ponto sta per affondare,
     La gente che vi è dentro è tutta persa:
     Se fa de’ voti, non lo adimandare.
     Ecco da canto gionse una traversa,
     Che a l’altra banda fece traboccare;
     Ciascadun crida e non se ode persona,
     Sì muggia il mare e il vento sì risona.

6   Questo se cangia e muta in uno istante,
     Ora batte davanti, or ne le sponde;
     Spiccosse al fine un groppo da levante
     Con furia tal, che il mar tutto confonde.
     Gionse alla poppa e pinse il legno avante,
     E fece entrar la prora sotto l’onde;
     Sotto acqua via ne andò più d’una arcata,
     Come va il mergo e l’oca alcuna fiata.

7   Pur fuore uscitte, e va con tal ruina
     Qual fuor de la balestra esce la vera.
     Da quella sera insino alla matina
     E da quella matina a l’altra sera,
     Via giorno e notte mai non se raffina,
     Sin che condotta è sopra alla riviera,
     Ove quel monte in Acquamorta bagna
     Il qual divide Francia dalla Spagna.

8   Quivi ad un capo che ha nome la Oruna,
     Smontarno con gran voglia in su la arena,
     E sì sbattuti son dalla fortuna,
     Che sendo in terra nol credono apena.
     Passò il mal tempo e quella notte bruna,
     Con l’alba insieme il cel se raserena,
     E già per tutto essendo chiaro il giorno,
     Deliberarno andar cercando intorno.

9   Cercar deliberarno in che paese
     Sian capitati e chi ne sia segnore,
     E tratto fuor di nave ogni suo arnese,
     Ciascadun se arma e monta il corridore.
     Ma lor vïaggio poco se distese,
     Ché oltra ad un colle odirno un gran rumore,
     Corni, tamburi ed altre voce e trombe,
     Che par che ’l suono insino al cel rimbombe.

10 Il franco re Gradasso e Mandricardo
     Fecer restar la dama e Tibïano.
     Possa alcun de essi a mover non fu tardo,
     Sin che fôr sopra al colle a mano a mano;
     E giù facendo a quel campo riguardo
     Vider coperto a genta armata il piano,
     Che era afrontata insieme a belle schiere
     Sotto a stendardi e segni di bandiere.

11 Perché sappiati il tutto, il re Agramante
     Contro al re Carlo avea questa battaglia,
     Come io contai nel libro che è davante:
     Un’altra non fu mai di tal travaglia.
     Quivi era il re Marsilio e Balugante,
     Tanti altri duci e tanta altra canaglia,
     Che in alcun tempo mai né alcuna guerra
     Maggior battaglia non se vidde in terra.

12 Orlando qua non è, ni Feraguto:
     Stava il pagano ad un fiume a cercare
     De l’elmo, qual là giù gli era caduto,
     Sì come io vi ebbi avanti a ricontare.
     Al conte era altro caso intravenuto
     Troppo stupendo e da meravigliare:
     Ché lui, qual vincer suole ogni altra prova,
     Tra dame vinto e preso se ritrova.

13 Di lui poi dirò il fatto tutto intiero,
     Ma non se trova adesso in queste imprese;
     Ben vi è Ranaldo e il marchese Oliviero,
     Èvi Ricardo e Guido e ’l bon Danese,
     Come io contava alor, quando Rugiero
     Tanti baroni alla terra distese
     Di nostra gente, e tal tempesta mena
     Come fa il vento al campo de l’arena.

14 Come si frange il tenero lupino
     O il fusto de’ papaveri ne l’orto,
     Cotal fraccasso mena il paladino;
     Condotta è nostra gente a tristo porto.
     Roverso a terra se trova Turpino,
     Uberto, el duca di Baiona, è morto;
     Avino e Belengiero e Avorio e Ottone
     Sono abattuti, e seco Salamone.

15 Gualtieri ebbe uno incontro ne la testa,
     Che il sangue gli schiattò per naso e bocca,
     E cade trangosciato alla foresta.
     Il giovane Rugiero a gli altri tocca,
     Né se potria contar tanta tempesta:
     Qual tramortito e qual morto trabocca.
     Via va correndo e scontrasi a Ricardo
     Quel duca altiero, nobile e gagliardo.

16 Ispezza il scudo e per la spalla passa,
     Di dietro fore andò il pennon di netto;
     La lancia a mezo l’asta se fraccassa,
     Urtarno e duo corsier petto per petto.
     Rugier quivi Ricardo a terra lassa
     E tra’ la spada, il franco giovanetto,
     La spada qual già fece Falerina,
     Che altra nel mondo mai fu tanto fina.

17 Comincia la battaglia orrenda e fiera,
     Che quasi è stata insino adesso un gioco;
     Sembra Rugier tra gli altri una lumiera,
     Trono e baleno e folgore di foco.
     Or questa abatte ed or quell’altra schiera,
     Par che si trovi a un tratto in ogni loco;
     Volta e rivolta e, come avesse l’ale,
     Per tutto agiongie il giovane reale.

18 La nostra gente fugge in ogni banda:
     Non è da dimandar se avean paura,
     Ché a ciascun colpo un morto a terra manda:
     Sembraglia non fu mai cotanto oscura.
     Già Sinibaldo, il bon conte de Olanda,
     Partito avea dal petto alla cintura,
     E Daniberto, il franco re frisone,
     Avea tagliato insino in su l’arcione.

19 E il duca Aigualdo, il grande e sì diverso,
     Qual fu Ibernese e nacque de gigante,
     Fo da Rugiero agionto in su il traverso,
     E tutto lo tagliò dietro e davante.
     Non è il marchese de Vïena perso,
     Se l’altre gente fuggon tutte quante;
     Se ben gli altri ne vanno, ed Oliviero
     Sol lui se affronta e voltase a Rugiero.

20 Alor se incominciò l’alta travaglia,
     Né questa zuffa come l’altre passa;
     La spada de ciascun così ben taglia,
     Che io so che dove giongie, il segno lassa.
     Ecco il Danese ariva alla battaglia,
     Ecco Ranaldo ariva, che fraccassa
     Tutta la gente e mena tal polvino
     Come il mondo arda e fumi in quel confino.

21 Quando Rugier, che stava alla vedetta,
     Se accorse che sua gente in volta andava,
     Come dal cel scendesse una saetta,
     Con tal furore ad Olivier menava.
     Menava ad ambe mano, e per la fretta,
     Come a Dio piacque, il brando se voltava;
     Colse di piatto, e fo la botta tanta,
     Che l’elmo come un vetro a pezzi schianta.

22 Ed Olivier rimase tramortito
     Per il gran colpo avuto a tal tempesta;
     Senza elmo apparve il suo viso fiorito,
     E cadde de lo arcione alla foresta.
     Quando il vidde Rugiero a tal partito,
     Che tutta a sangue gli piovea la testa,
     Molto ne dolse al giovane cortese,
     Onde nel prato subito discese.

23 Essendo sopra al campo dismontato
     Raccolse nelle braccia quel barone
     Per ordinar che fusse medicato,
     Sempre piangendo a gran compassïone.
     In questo fatto standosi occupato,
     Ecco alle spalle a lui gionse Grifone:
     Grifone, il falso conte di Maganza,
     Vien speronando e aresta la sua lanza.

24 Di tutta possa il conte maledetto
     Entro alle spalle un gran colpo gli diede,
     Sì che tomar lo fece a suo dispetto:
     Tomò Rugiero e pur rimase in piede;
     Mai non fu visto un salto così netto.
     Ora presto si volta e Grifon vede,
     Che per farlo morir non stava a bada:
     Rotta la lancia, avea tratta la spada.

25 Ma Rugier se voltò con molta fretta,
     Cridando: - Tu sei morto, traditore! -
     Grifone il falso ponto non lo aspetta,
     Come colui che vile era di core.
     Ove è più folta la battaglia e stretta,
     In quella parte volta il corridore;
     Tra gente e gente e tra l’arme se caccia,
     Né può soffrir veder Rugiero in faccia.

26 Questo altro il segue a piede, minacciando
     Che lo farà morir come ribaldo;
     E quel fuggendo, e questo seguitando,
     Gionsero al loco dove era Ranaldo,
     Quale avea fatto tal menar del brando,
     Che ’l campo correa tutto a sangue caldo.
     Parea di sangue il campo una marina:
     Veduta non fu mai tanta ruina.

27 Grifon cridava: - Aiutame per Dio!
     Aiutame per Dio! ché più non posso;
     Ché questo saracin malvaggio e rio
     Per tradimento a morte me ha percosso. -
     Quando Ranaldo quella voce odìo,
     Voltò Baiardo e subito fu mosso
     Per urtarsi a Rugiero a corso pieno;
     Ma, veggendolo a piè, ritenne il freno.

28 Sappiati che il destrier del paladino
     Era rimaso là dove discese.
     Là presso sopra il campo era Turpino
     Che da’ Pagani un pezzo se diffese;
     Essendo a quel destrier dunque vicino,
     A lui se accosta e per la briglia il prese;
     E destramente ne lo arcion salito
     Ritorna alla battaglia il prete ardito.

29 Rugiero adunque, come ebbi a contare,
     Se ritrovava a piedi in su quel piano.
     Fuggito è via Grifone e non appare,
     E lui affronta il sir di Montealbano;
     Il qual nol volse con Baiardo urtare,
     Però che ad esso parve atto villano,
     Ma de arcion salta alla campagna aperta
     Col scudo in braccio e con la sua Fusberta.

30 Tra lor se cominciò zuffa sì brava,
     Che ogni om per meraviglia stava muto;
     Né già Ranaldo stracco si mostrava,
     Benché abbia combattuto il giorno tuto;
     E l’uno e l’altro a tal furia menava,
     Che meraviglia è che non sia destruto.
     Non che il scudo a ciascuno e l’elmo grosso,
     Ma un monte a quei gran colpi serìa mosso.

31 Durando aspra e crudel quella contesa,
     Ecco Agramante ariva a la battaglia,
     Che caccia e Cristïani alla distesa,
     Come fa il foco posto ne la paglia.
     Re Carlo e’ nostri non pôn far diffesa,
     Tanta è la folta di quella canaglia,
     Che sembra un fiume grosso che trabocca:
     Per un de’ nostri, cento e più ne tocca.

32 Avanti a gli altri el re di Garamanta,
     Io dico il dispietato Martasino,
     Qual vien cridando, a gran voce se vanta
     Di prender vivo il figlio de Pipino.
     Tanto è il romore e la gente cotanta,
     Che il campo trema per ogni confino,
     E tale è il saettar fuor di misura,
     Che al nivolo de’ dardi il cel se oscura.

33 La gente nostra fugge in ogni lato,
     E quella che se arresta riman morta.
     Quivi è Sobrino, il vecchio disperato,
     Che per insegna il foco a l’elmo porta;
     E Balifronte, in su un gambelo armato,
     Taglia a due mano ed ha la spada torta;
     E Barigano e Alzirdo e Dardinello
     Ciascun de’ Cristïan fa più macello.

34 Oh! chi vedesse in faccia il re Carlone
     Guardare il cielo e non parlar nïente:
     E sassi mossi avria a compassïone,
     Veggendol lacrimar sì rottamente.
     - Campati voi, - diceva al duca Amone
     - Campati, Naimo e Gano, il mio parente,
     Campati tutti quanti, e me lassati,
     Ché qua voglio io purgare e mei peccati.

35 Se a Dio, che è mio segnor, piace ch’io mora,
     Fia il suo volere, io sono apparecchiato;
     Ma questa è sol la doglia che mi accora,
     Che perir veggio il popul battezato
     Per man di gente che Macone adora.
     O re del celo, mio segnor beato,
     Se il fallir nostro a vendicar ti mena,
     Fa che io sol pèra e sol porti la pena. -

36 Ciascun di quei baron che Carlo ascolta,
     Piangono anco essi e risponder non sano.
     Già la schiera reale in fuga è volta,
     E boni e tristi in frotta se ne vano.
     La folta grande è già tutta ricolta
     Ove Rugiero e ’l sir de Montealbano
     Facean battaglia sì feroce e dura,
     Che de questi altri alcun de lor non cura.

37 Ma tanto è la ruina e il gran disvario
     Di quella gente, e chi fugge e chi caccia,
     Chi cade avanti, e chi per il contrario,
     E chi da un lato e chi d’altro tramaccia;
     Onde a que’ dui baron fu necessario
     Spartir la zuffa, e sì grande la traccia
     Gli urtava adosso e tanta la zinia,
     Che alcun di lor non sa dove si sia.

38 Partito l’un da l’altro e a forza ispento,
     Ché una gran frotta a lor percosse in mezo,
     Rimase ciascun de essi mal contento,
     Che non si discernia chi avesse el pezo;
     Ma pur Ranaldo è quel dal gran lamento,
     Dicendo: - O Dio del cel, ch’è quel ch’io vezo?
     La nostra gente fugge in abandono,
     Ed io che posso far che a piedi sono? -

39 Così dicendo se pone a cercare,
     E vede il suo Baiardo avanti poco.
     A lui se accosta, e, volendo montare,
     Il destrier volta e fugge di quel loco.
     Ranaldo si voleva disperare
     Dicendo: - Adesso è ben tempo da gioco!
     Deh sta, ti dico, bestia maledetta! -
     Baiardo pur va inanti e non lo aspetta.

40 E lui, pur seguitando il suo destriero,
     Se fu condutto entro una selva scura,
     Onde lasciarlo un pezo è di mestiero,
     Ch’egli incontrò in quel loco alta ventura.
     Ora torno a contarvi di Rugiero,
     Qual pure è a piedi in su quella pianura,
     E ben se augura indarno il suo Frontino:
     Eccoti avanti a lui passa Turpino.

41 Turpino era montato a quel ronzone,
     Ché il suo tra’ Saracini avea smarito,
     Come io contai alor quando Grifone
     Ne le spalle a Rugiero avea ferito;
     Or correndo venìa per un vallone.
     Quando lo vidde il giovanetto ardito,
     Dico Rugiero avanti a sé lo vide,
     Non dimandar se de allegrezza ride.

42 E così a piede se il pone a seguire
     Cridando: - Aspetta, ché il cavallo è mio! -
     E il bon Turpin, che vede ogni om fuggire,
     Non avea de aspettarlo alcun desio;
     Ma per la pressa avanti non può gire,
     Tanta è la folta di quel popul rio;
     Sì sono e nostri stretti e inviluppati,
     Che forza fo a fuggir da l’un de’ lati.

43 Fugge Turpino, e Rugiero a le spalle,
     Sin che condotti fôrno a un stretto passo,
     Ove tra duo colletti era una valle;
     La giù cade Turpino a gran fraccasso.
     Rugiero a meza costa per un calle
     Vide il prete caduto al fondo basso,
     Ove l’acqua e il pantano a ponto chiude;
     Embragato era quello alla palude.

44 Rugier ridendo del poggio discese
     E il vescovo aiutò, che se anegava.
     Poi che for l’ebbe tratto, il caval prese;
     A lui davante quello appresentava,
     E proferiva con parlar cortese,
     Che lo prendesse, se gli bisognava.
     - Se Dio me aiuti, - disse a lui Turpino
     - Tu non nascesti mai di Saracino.

45 Né credo mai che tanta cortesia
     Potesse dar natura ad un Pagano:
     Prendi il destriero e vanne alla tua via:
     Se lo togliessi, ben serìa villano! -
     Così gli disse, e poi si dispartia
     Correndo a piedi, e ritornò nel piano,
     E trovò un Saracin fuor di sentiero:
     Tagliolli il capo e prese il suo destriero.

46 E tanto corse, che gionse la traccia
     De’ Cristiani che ogniom fuggia più forte;
     Non ve si vede chi diffesa faccia:
     Chi non puotè fuggire, ebbe la morte.
     Sei giorni e notti sempre ebber la caccia
     Sino a Parigi, e sino in su le porte
     Occisa fo la gente sbigotita:
     Maggior sconfitta mai non fu sentita.

47 Tra’ Cristïani sol Danese Ogiero
     Fe’ gran prodezze, la persona degna,
     Ché di quel stormo periglioso e fiero
     Riportò salva la reale insegna.
     Preso rimase il marchese Oliviero,
     Ottone ancor, che tra gli Anglesi regna,
     Re Desiderio e lo re Salamone,
     Duca Ricardo fo seco pregione.

48 De gli altri che fôr presi e che fôr morti
     Non se potria contar la quantitate,
     Cotanti campïon valenti e forti
     Fôr presi, o posti al taglio de le spate.
     Chi contarebbe e pianti e’ disconforti,
     Che a Parigi eran dentro alla cittate?
     Ciascadun crede e dice lacrimando
     Che gli è morto Ranaldo e il conte Orlando.

49 Fanciulli e vecchi e dame tutte quante
     La notte fier’ la guardia a’ muri intorno;
     Ma de Parigi più non dico avante.
     Torno a Rugiero, il giovanetto adorno,
     Qual gionse al loco dove Bradamante
     La gran battaglia avea fatta quel giorno
     Con Rodamonte, come io vi contai;
     Non so se vi ricorda ove io lasciai.

50 Nel libro che più giorni è già compito,
     Narrai questa gran zuffa, e come il conte
     Rimaso era de un colpo tramortito,
     Quando percosso fo da Rodamonte;
     E come stando ad estremo partito,
     Quella donzella, fior di Chiaramonte,
     Io dico Bradamante la signora,
     Fece la zuffa che io contava alora.

51 Da poi se dipartitte il paladino,
     Ed incontrolli ciò che io vi ebbi a dire;
     Tra Bradamante adunque e il Saracino
     Rimase la battaglia a diffinire.
     Non stava alcuno a quel loco vicino,
     Né vi era chi potesse dipartire
     L’aspra contesa e il grande assalto e fiero,
     Sin che vi gionse il giovane Rugiero.

52 Gionto sopra a quel colle il giovanetto
     Vista ebbe la battaglia giù nel fondo,
     E fermosse a mirarla per diletto,
     Ché assalto non fu mai sì furibondo;
     Perocché chi in quel tempo avesse eletto
     Un par de bon guerreri in tutto il mondo,
     Non l’avria avuto più compiuto a pieno
     Che Bradamante e il figliol de Ulïeno.

53 E ben ne dimostrarno esperïenza
     A quel che han fatto e quel che fanno ancora;
     Par che la zuffa pur mo si comenza,
     Sì frescamente ciascadun lavora,
     E se quel coglie, questo non va senza.
     Da un colpo a l’altro mai non è dimora,
     E nel colpir fan foco e tal fiammelle,
     Che par che il lampo gionga nelle stelle.

54 Rugiero alcun de’ duo non cognoscia,
     Ché mai non gli avea visti in altro loco,
     Ma entrambi li lodava, e discernia
     Che tra lor di vantaggio era assai poco.
     Mirando l’aspre offese ben vedia
     Cotal battaglia non esser da gioco,
     Ma che è tra Saracino e Cristïano,
     Onde discese subito nel piano.

55 - Se alcun de voi - disse egli - adora Cristo,
     Fermesi un poco e intenda quel ch’io parlo,
     Ché annunzio gli darò dolente e tristo:
     Sconfitto al tutto è il campo del re Carlo,
     Ciò ch’io vi dico, con questi occhi ho visto.
     Onde, se alcun volesse seguitarlo,
     A far lunga dimora non bisogna,
     Ché alle confine è forse di Guascogna. -

56 Quando la dama intese così dire,
     Dal fren per doglia abandonò la mano,
     E tutta in faccia se ebbe a scolorire,
     Dicendo a Rodamonte: - Bel germano,
     Questo che io chiedo, non me lo disdire:
     Lascia che io segua il mio segnor soprano,
     Tanto che a quello io me ritrovi apresso,
     Ché il mio volere è di morir con esso. -

57 Diceva Rodamonte borbottando:
     - A risponderti presto, io nol vo’ fare.
     Io stava alla battaglia con Orlando:
     Tu te togliesti tal rogna a grattare.
     Di qua non andarai mai, se non quando
     Io stia così che io nol possa vetare:
     Onde, se vôi che ’l tuo partir sia corto,
     Fa che me getti in questo prato morto. -

58 Quando Rugier cotal parlare intese,
     Di prender questa zuffa ebbe gran voglia,
     E Rodamonte in tal modo riprese
     Dicendo: - Esser non può ch’io non me doglia,
     Se io trovo gentil omo discortese,
     Però che bene è un ramo senza foglia,
     Fiume senza onda e casa senza via
     La gentilezza senza cortesia. -

59 A Bradamante poi disse: - Barone,
     Ove ti piace ormai rivolgi il freno,
     E se costui vorà pur questïone,
     De la battaglia non gli verrò meno. -
     La dama se partì senza tenzone,
     E Rodamonte disse: - Io vedo a pieno
     Che medico debbi esser naturale,
     Da poi che a posta vai cercando il male.

60 Or te diffendi, paccio da catena,
     Da poi che per altrui morir te piace. -
     Non minaccia Rugier, ma crida e mena,
     E l’altro a lui ritocca e già non tace.
     Ciascun di questi è fiero e di gran lena,
     Onde battaglia orrenda e pertinace
     Ed altre belle cose dir vi voglio,
     Se piace a Dio ch’io segua come io soglio.