Nuovo contributo alla numismatica padovana

Luigi Rizzoli Juniore

1897 Indice:Rivista italiana di numismatica 1897.djvu Rivista italiana di numismatica 1897/Padova Nuovo contributo alla numismatica padovana Intestazione 8 dicembre 2019 100% Da definire


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NUOVO CONTRIBUTO


alla


NUMISMATICA PADOVANA




Le monete di Padova repubblica e di Padova sotto la signoria dei Principi da Carrara furono magistralmente illustrate da Giambatista Verci1. Nella sua opera " Dissertazione sulle monete di Padova2 ha saputo presentarci non solo i tipi abbastanza fedelmente riprodotti di dette monete; ma anche, completandone in modo perfetto l’illustrazione, ci ha recati taluni documenti che a queste si riferiscono. Io, dinanzi ad un lavoro così bene condotto, non ostante sia trascorso più di un secolo dalla pubblicazione, abbandonata l’idea che avevo concepita di rifare di sana pianta la storia delle monete della nostra città, m’arrogai soltanto il meno faticoso ma pur non inutile compito di riempiere quelle poche lacune, che nel suddetto lavoro si trovavano, e di rettificare qualche abbaglio preso dallo stesso Verci nel giudicare una moneta spettante ad un’epoca piuttosto che ad un’altra.

Ho creduto inoltre opportuno di riferire, riunendole in un sol capitolo, su quelle monete che Venezia battè per la terraferma, compresa quindi la città di [p. 352 modifica]Padova, od esclusivamente per questa. A tal uopo mi valsi delle erudite opere del Lazari, del Padovan e dell’On. Senatore Papadopoli, dalle quali trassi e riportai notizie e documenti.

Pur essendo di una mole relativamente piccola, questo studio mi ha condotto, per ottenere il fine desiderato, ad affrontare non lievi difficoltà, che solo coll’aiuto di persona più che mai esperta in tale materia3 ho potuto superare.

Pago adunque di avere in breve fatto comprendere il mio intento, senza perdere tempo e spazio in una lunga ed inutile prefazione, entro subito in argomento.




PARTE PRIMA.


Anzitutto il Verci ci presenta una monetuccia, che egli crede sia uno di quei denari piccoli, dei quali tanti documenti padovani fanno menzione. Ammette che essa sia di Padova repubblica e ne avvalora l’asserzione citando i giudizi del Muratori, del Brunacci e di Monsig. Gradenigo.

Si dovrebbe adunque riportare al tempo che va dal 1256, anno che segna la cacciata degli Eccelini da Padova, al 1318, in cui Giacomo da Carrara è scelto dal popolo a tenere il principato nella stessa città4.

Senonchè la grafia delle lettere (tav. n. 1), che, [p. 353 modifica]nella maggior parte degli esemplari da me veduti, sono di un bel carattere gotico, la forma delle rosette, che alternano le lettere della iscrizione circolare del dritto: PADV, la mancanza di scodellatura, che presentano invece le monete che vanno sotto i numeri 2, 3, 4 e 5 nella tavola XX, inserita nella cit. opera dello Zanetti ed inoltre la somiglianza in fatto d’arte che detta moneta ha con il sestino nero o sesino di Francesco il Giovane da Carrara, di cui più innanzi vorrò parlare, tutto insomma mi fa credere che essa spetti ad un tempo di molto posteriore a quello ritenuto dal Verci e precisamente al suddetto Francesco.

Sorregge ancora la mia opinione, il carattere di vera somiglianza che, le rosette, le lettere e la stessa fattura nel suo complesso di, questa moneta, presentano con i denari piccoli, che io assegno a Francesco II, e con la tessera dello stesso signore5.

Devonsi quindi ritenere prime monete di Padova quelle scodellate, che occupano successivamente il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto posto nella detta tavola XX, e che rappresentano i veri denari piccoli, ricordati nei documenti padovani.



Sotto i numeri 6, 7, 8, 9 e io della stessa tavola XX inserita nell’op. cit., si trovano 5 esemplari di monete, che, per avere nel dritto l’insegna dell’aquila imperiale sveva, furono dette grossi aquilini. Di queste monete ne furono battute in Merano, che ce ne dà invero il prototipo6, in Verona, in [p. 354 modifica]Mantova, in Parma, in Vicenza, in Treviso ed in Padova.

I suddetti Aquilini, nel rovescio, tutti, meno quello di Merano, alla sinistra della crocetta, dalla quale principia l’iscrizione, hanno uno scudetto, posto fra trifogli, stellette, rosette, punti, etc, che molto probabilmente possono essere i segni dello zecchiere. Quelli di Padova poi, a differenza degli altri, hanno nel dritto la scritta: PADVA : REGIA7.

Importante è lo stabilire a chi appartenga l’arme, che trovasi nello scudetto dei nostri Aquilini.

Lo Zanetti8 ed il Gennari ammisero che fosse dell’ufficiale, che sovraintendeva alla zecca. Ma questa asserzione non deve essere, a mio avviso, accettata.

Infatti nell’esaminare gli aquilini consimili delle città circonvicine e nel riscontrare in essi l’arme dei vicari imperiali, quale ad esempio degli Scaligeri in Verona, dei Trissino in Vicenza9, dei Conti di Gorizia in Treviso, dei Gonzaga in Mantova, dei da Correggio in Parma10, sono stato indotto a credere che anche l’arme posta nello scudetto degli aquilini padovani appartenga ai vicari imperiali per Federico III e per Enrico di Boemia.

Per di più la mia opinione trova valido appoggio nell’arme dell’aquilino segnato coi numeri 6, 7, 8 e 9 nella più volte cit. tav. XX, appartenendo ad Ulrico di Valdsee, primo vicario in Padova per Federico III dal 5 gennaio 1320 al 5 settembre 1321, che aveva per l’appunto quale insegna gentilizia di sua famiglia una fascia d’argento in campo nero, e così pure nell’arme di un raro aquilino, di cui un esemplare fa [p. 355 modifica]parte della raccolta Bottacin e due altri di quella di famiglia, arme che pare ci presenti una fascia increspata, che corrisponderebbe perfettamente a quella increspata d’argento in campo rosso di Engelmaro di Villandres, vice-capitano in Padova di Corrado d’Ovenstein dalla seconda metà del 1323 al 3 settembre 1328. Ma non è così per gli altri aquilini, di cui uno si trova riprodotto nella medesima tavola al n. io, due altri sono ricordati dal Verci11.

Il primo di questi porta uno scudo con cinque giglietti, il secondo invece un’arme, che sarebbe stata ignota anche al Brunacci, il terzo infine avrebbe avuto due scudetti, dei quali uno il Brunacci stesso chiama d’Austria, l’altro dei Savorgnani. Tutti questi, dico, mi mettono addirittura in un gravissimo imbarazzo, non corrispondendo le armi degli altri vicari e capitani imperiali in Padova, quella ad es. di Corrado d’Ovenstein, capitano di Enrico dal 5 novembre 1321 al 24 luglio 1324 e dal 14 ottobre 1325 al 3 settembre 1328 e quella di Ulrico di Falimberg, capitano di Enrico dal 24 luglio 1324 al 14 ottobre 1325, a quelle testè menzionate.

Pure non volendo in alcun modo rinunziare alla mia credenza, che è anche quella del conservatore del Museo Bottacin, deciso di risolvere la questione nel senso da me espresso, non dubito ad ammettere che le armi che si scorgono nei detti scudetti, eccetto quelle spettanti ad Ulrico di Valdsee e a Engelmaro di Villandres, siano state erroneamente interpretate, tanto più che quei pochi esemplari che si conoscono sono disgraziatamente così sciupati dal tempo ed in ispecial modo in quella parte dove cade lo scudetto, da non potersi con precisione stabilire quale arme veramente sia in essi rappresentata.

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Ad Jacopino che tenne il governo di Padova assieme al nipote Francesco I dal 1350 al 1355, anno in cui venne da questo relegato nella rocca di Monselice12 il Verci attribuisce il carrarino, che nel rovescio ha la figura di S. Prosdocimo seduto, ed all’intorno * S * PSDOCIMVS *; nel dritto una croce ornata, tagliante tutta l’area, negli angoli superiori della quale si leggono le lettere I A e negli inferiori si vedono due piccoli carri, all’intorno: * CIVIT * PAD.

Naturalmente come le lettere I A possono significare Jacopino, non meno verosimilmente indicano Jacopo II, anzi a questo io l’attribuisco, accogliendo le molte e buone ragioni, addotte dallo Zanetti in sua nota alla dissertazione del Verci, ragioni che qui intendo riassumere. Anzitutto perchè Jacopino da solo non battè mai monete, e lo provano non solo la mancanza di queste, ma anche il sigillo apposto in fine di un documento spettante ad Jacopino e Francesco I13 nel quale non si trovano i nomi dei detti principi, ma il solo carro; in secondo luogo perchè la paleografia delle lettere, la grandezza della moneta, il complesso della fattura ed il peso sentono più dell’arte degli aquilini, che non di quella più moderna dei carrarini di Francesco I.


Ciò che s’è detto per il carrarino devesi pure ripetere per il denaro piccolo, che il Verci ritiene di [p. 357 modifica]Jacopino e che noi, collo Zanetti, assegneremo ad Jacopo II. Tale denaro ha nel dritto una stella grande di 6 raggi con all’intorno + PADVA, nel rovescio I ed all’intorno + CIVITAS.



Il defunto Sig. Carlo Kunz in una nota ad una sua memoria, intitolata: Monete inedite di Trieste e Trento14, fa cenno di una moneta che egli chiama denaretto e dice simile a quelli di Ubertino, di Jacopo II e di Francesco I15.

Tale moneta ha nel rovescio, in luogo della consueta iniziale del nome del principe, un piccolo carro, arme dei Carraresi (tav. n. 2). Ritiene che ne sia stato autore lo stesso Ubertino, " che poi in un simile conio, fatto più ardito, fece inserire la iniziale V del suo nome. „

Senonchè in una seconda sua memoria pubblicata due anni più tardi16, ritrattando tacitamente ciò che avea detto nell’Archeografo, viene ad ammettere che questo denaretto possa essere un " primo tentativo di moneta carrarese, e perciò spettante verosimilmente a Marsilio, secondo signore di questa città. „ Io invece, basandomi su quel sigillo, che più sopra ho ricordato, appartenente ad Jacopino e Francesco I, nel quale anziché i nomi dei detti signori si vede il solo carro e su due tessere pure di Jacopino e Francesco I, delle quali una riprodotta nella [p. 358 modifica]dissertazione del Verci17, un’altra posseduta dalla mia famiglia e che hanno in ambo i lati il solo carro, condividendo l’opinione del conservatore del M. Bottacin, l’assegnerei a questi due principi, che insieme tennero il dominio di Padova dal 1350 al 1355.



Accanto a questa moneta deve a ragione essere collocato un denaro piccolo inedito, che si trova nella raccolta di cose padovane della mia famiglia.

Probabilmente esso altro non è, che una prova di zecca, male riuscita, della stessa moneta teste illustrata (tav. n. 3).

L’arte infatti, perfettamente somigliante, dimostra ad evidenza la contemporaneità della battitura delle due monete in parola.

Comunque sia, questo denaro che direttamente mi riporta al sigillo e alle tessere, spettanti al condominio di Jacopino e di Francesco il Vecchio, non dubito attribuirlo ai due principi suddetti.



Ai primi tempi della signoria di Francesco il Vecchio, il Kunz18 assegnava una moneta, ignota allo stesso Verci, avente da un lato: una testa coi capelli ricciuti, rivolta a sinistra ed all’intorno +CIVITAS, dall’altro: nell’area la lettera F ed all’intorno + PADVA (tav. n. 4).

Il dotto numismatico ritenne ciò per la somiglianza, che detta moneta presentava con quella che occupa il primo posto nella presente dissertazione.

[p. 359 modifica]Il documento però dell’anno 1398, riportato dal Verci19, ci riferisce sulla coniazione di 20000 libbre " sextinorum nigrorum ad ligam oncie unius et quartorum duorum argenti fini, et ad contum seu numerum librarum sex pro qualibet marca paduana. „ Orbene, avendo la moneta in parola una testa, che è precisamente quella di un negro e non essendosi ancora trovate monete corrispondenti a quelle nominate nel documento, io sarei d’opinione di considerarla uno dei detti sestini neri, i quali per l’appunto avrebbero assunto questo nome non dalla qualità del metallo usato per la loro coniazione20, ma invece dalla testa del negro che ne occupa l’area del dritto.

Conforta inoltre la mia opinione la perfetta somiglianza che essi hanno coi denari piccoli e con la tessera di Francesco II, per cui, allo stesso modo che la prima moneta da me descritta, mi sento inclinato ad attribuirla al secondo anziché al primo Francesco.



Assai difficile riesce l’illustrazione di una monetina, che ritengo possa essere un mezzo bagattino. Lo Zanetti stesso si dichiara incapace di classificarla e si rivolge agli eruditi padovani per ottenere una esauriente spiegazione21.

Da allora nessuno mai ha creduto di esporre un giudizio qualsiasi intorno a questa moneta, sia per la mancanza di documenti ad essa riferentisi, sia per l’impossibilità di confronti in fatto d’arte.

Io pure mi trovo sfornito di prove attendibili per stabilire a chi appartenga o cosa voglia indicare [p. 360 modifica]quello scudo con tre onde che si vede nel suo dritto22 (tav. n. 5).

Ma se per questa parte non ho trovato modo di dare una giusta interpretazione alla moneta, non mi è sfuggito un dato così importante, da decidermi ad ammettere e con molta probabilità l’epoca alla quale essa deve spettare.

Nel rovescio ha una rosa con all’intorno + CIVITAS. Ebbene questa rosa trova perfetto riscontro in quella d’una preziosa medaglia d’argento23, comunemente attribuita a Francesco il Vecchio, di cui un bellissimo esemplare esiste nel Museo Bottacin, medaglia che nel mezzo del rovescio ha il Padre Eterno ed all’intorno + REX REGVM · J · DN S · DOMINAMTIVM , nel dritto poi una sfera armillare, che farebbe pensare a quella esistente sopra il campanile dell’ateneo patavino, al quale più volte i Principi da Carrara aveano accordati privilegi24 ed all’intorno + FRANCISCI · DE · CARARIA · J /   (tav. n. 14).


Naturalmente per questa rosa, che non so precisare se sia un segno dello zecchiere od un semplice riempitivo di spazio, veniamo accertati che detti pezzi furono contemporaneamente battuti, allorquando cioè era signore di Padova il vecchio Francesco.

A chi diligentemente prenda in esame i denari piccoli fino ad ora attribuiti a Francesco I, non deve [p. 361 modifica]sfuggire un’assai manifesta diversità, dipendente non dalla sola grandezza, siccome fu notato dal Brunacci25, ma ben anco dal genere della lavorazione.

Alcuni di questi denari infatti, che si mostrano battuti in più volte per i segni diversi dello zecchiere e sono molto sottili e scodellati, sono tali da ricondurci per il loro complesso artistico a quelli più antichi di Ubertino da Carrara, nei quali la valentìa e la finezza dell’artista sono invero encomiabili (tav. n. 6).

Altri invece sono di uno spessore e peso maggiore, piani e mentre manifestano, posti a confronto coi primi, un’arte più rozza, forse perchè battuti in fretta ed in tempi fortunosi per la signoria carrarese, per contro si rivelano più moderni in ispecie per le rosette che stanno accanto alla crocetta del rovescio (tav. n. 7).

Questi ultimi adunque ho creduto, fin da principio, di assegnarh a Francesco Novello, del quale non si conoscevano i denari piccoli, ma soltanto i documenti che ad essi si riferivano; quelli al primo Francesco.

Fatte queste brevi note sulla numismatica padovana, m’interessa mettere alla conoscenza degli studiosi una moneta di Francesco II da Carrara, della quale, per quanto mi consta, non esiste che un disegno, trovato fra le carte di famiglia.

Detto disegno, finemente eseguito dal defunto mio zio Pietro Rizzoli26, ci dà l’impronta di un Carrarino da due soldi, avente da un lato: la figura [p. 362 modifica]di S. Antonio in piedi, con un ramoscello di gigli in una mano e il vangelo nell’altra, ed ai lati del santo ·V· — ·N·, all’intorno: ° SANTVS ° ANTONI °; dall’altro: il carro fra le lettere F ed · I °, ed all’intorno: · FRANCISCI · DE · CARARIA · (tav. n. 8).

Che tale moneta abbia esistito realmente e sia quindi andata a far parte di una qualche collezione numismatica, anzitutto lo prova il n. 1174 preceduto dalle lettere P. R. M., che si trova nell’angolo inferiore destro del cartoncino, sul quale è tracciato il disegno.

Sia il numero, che le lettere, attestano che quel disegno venne tratto indubbiamente da un catalogo di monete, nel quale la nostra aveva per l’appunto il n. 1174.

Nell’impossibilità di accertare tale cosa, mi rivolgo fin d’ora alla cortesia ed erudizione dei numismatici per avere schiarimenti, atti a togliere ogni dubbio sulla esistenza del detto carrarino.

Altre considerazioni poi, oltre le suaccennate, mi inducono ad ammettere la coniazione di questa moneta, malgrado sia, come già dissi, irreperibile.

Molte delle monete battute dai Principi da Carrara sono andate totalmente perdute, molte invece sono ridotte ad un numero così esiguo, da occupare, ben a ragione, un posto assai onorevole in quelle fortunate collezioni, che di esse trovansi in possesso. Per esempio del ducato d’oro di Francesco il Vecchio, oggi tanto ricercato, credo che soltanto tre esemplari si conoscano, dei quali uno presso il gabinetto numismatico di Vienna, un secondo in Padova presso il Museo Bottacin, un terzo presso la nobile famiglia padovana dei Papafava27.

[p. 363 modifica]Del mezzo ducato d’oro dello stesso principe, non si conosce poi alcun esemplare né alcun documento, nonostante molti cronisti padovani, e fra questi lo storico Gattari, parlino di tale moneta, di cui è fatta chiara ed esatta descrizione.

Per non citare altre monete delle quali si fa menzione nei documenti e che gli eruditi non seppero o non poterono ancora identificare, di un soldino di Francesco il Vecchio, del quale il Verci ci dà anche il disegno28, ora non si conosce alcun esemplare.

Niente di più facile adunque, che anche il Carrarino colla figura di S. Antonio, del quale non esistono né documenti, ne esemplari, sia pur esso andato perduto. L’epoca della coniazione dovrassi riportare all’ultimo anno (1405) della dominazione Carrarese in Padova. In questo tempo ardeva sanguinosa la guerra tra Francesco Novello e la serenissima Repubblica. Le risorse finanziarie del principe da Carrara, causa l’infausta guerra, erano presso che esauste. 1 soldati non pagati, difettavano anche di viveri. Novello da Carrara, in sì grave contingenza, pensò di ricorrere ad un mezzo non mai fino allora tentato, quello di spogliare la basilica di S. Antonio, ricca d’ornamenti d’oro e d’argento di gran valore, ornamenti dei quali era stata donata dai vari principi da Carrara, che si succedettero nel dominio di Padova. Il valore complessivo di questa prima spogliazione si fa risalire a ducati d’oro 172029.

Senonchè dolente di aver saccheggiato il famoso tempio, quasi contemporaneamente alla detta spogliazione volle il Novello ricompensarlo dei danni sofferti, concedendogli la Castaldia d’Anguillara, affittata [p. 364 modifica]allora per annue lire 1100 di denari piccoli e un animale suino di 200 libbre30, a patto però che coi proventi venissero rifatti i calici, i tabernacoli, i vasellami ed altre opere d’orificeria, che per necessità di guerra avea dovuto sottrarre.

Col continuare della guerra che, quanto più a lungo si protraeva, altrettanto più disastrosa tornava ai Carraresi, di nuovo facevasi sentire il bisogno di denaro, i cittadini affamati domandavano pane e i soldati non pagati si rifiutavano di combattere. Francesco Novello non esitò di mettere una seconda volta la mano spogliatrice nella basilica di S. Antonio, impadronendosi di 50 marche e mezzo d’argento dorato. Ma 27 giorni innanzi che Padova cadesse sotto il dominio della Veneta Repubblica, Francesco II volle ricompensarla dei nuovi danni patiti e con atto notarile del 30 ottobre 1405 pagò 404 ducati d’oro, corrispondenti all’argento, di cui erasi antecedentemente insignorito31.

Da ciò facilmente si comprende come Francesco Novello, coll’argento o la prima o la seconda volta sottratto dal tempio di S. Antonio, per il quale tanta venerazione nutriva, abbia potuto ordinare la battitura del carrarino coll’effigie del Santo, se si pensa ancora che i principi da Carrara sulle loro monete aveano soltanto l’impronta degli altri santi protettori della città, cioè Prosdocimo, Daniele e Giustina, i quali spettano all’era romana e non mai quella di S. Antonio, di ben poco anteriore ad essi.

Riguardo poi alla scomparsa di tale moneta si trova attendibile spiegazione, se si tiene conto dello scarso numero di monete di questo genere che deve essere stato battuto, stante la ristrettezza del tempo, [p. 365 modifica]che va dalle spogliazioni alla fine della guerra con la Repubblica Veneta. Anzi prova la fretta, con cui devono essere state coniate, la mancanza delle sigle Z o P, iniziali dei nomi degli incisori o zecchieri del Novello, corrispondenti a Zuanne degli Adenti e a Pietro dall’Oglio.

Naturalmente questi pochi esemplari coniati o si resero irreperibili o furono, al tempo della conquista, distrutti dalla stessa Repubblica Veneta, fors’anco per togliere qualunque ricordo della passata ed odiata dominazione Carrarese.



PARTE SECONDA.


Prima di entrare nella trattazione delle monete venete per Padova, merita che dagli studiosi della numismatica sia fatta speciale considerazione di un importante documento, tratto dal Capitolare delle brocche, il quale dimostra le relazioni monetarie esistenti fra Venezia e Padova fin dall’anno 137832. In quest’anno e precisamente nel 18 gennaio, essendo questa la data del documento, teneva la signoria di Padova Francesco il Vecchio da Carrara ed era doge di Venezia Andrea Contarini. Per nulla amichevoli risultano dal documento dette relazioni fra le due vicine città, ordinandosi esphcitamente dai Veneziani, che fossero bandite dai loro stati talune monete dei Carraresi, perchè non corrispondenti per il loro valore intrinseco a quello nominale.

[p. 366 modifica]È ben naturale adunque che Venezia, dopo la conquista della nostra città, ne abolisse le monete, che vi erano in circolazione e vi introducesse le proprie. Ma sia durante il principato di Michele Steno (1400-1413), sia durante quello di Tomaso Mocenigo (1414-1423) non ci è dato trovare documenti attestanti la sostituzione delle monete Padovane con quelle Veneziane, nè riferentisi alla coniazione di tipi speciali di monete per la nuova provincia soggetta.

Dinanzi ad una mancanza di documenti sì dannosa per il nostro studio, non possiamo fare a meno di ritenere che Venezia, forse troppo intenta nel riordinare l’amministrazione della nostra città, nella quale, ed è bene il notarlo, scorgiamo fin d’ora rispecchiate molte di quelle magistrature, caratteristiche della città dominatrice, non abbia pensato a regolarne con speciali ducali anche la circolazione monetaria.

Sotto il doge Francesco Foscari (1423-1457) con un decreto del senato in data 24 maggio 1442 si dà ordine ai massari dell’argento di mandare a Padova, Treviso ed in altri luoghi della terraferma, nonchè nel Friuli delle monete dette bagattini, fatti colla stessa lega determinata precedentemente e si stabiHsce il minimo di tali piccole monete (parvuli), che deve essere dato in pagamento per ogni ducato dal rettore delle provincie33. Questo documento è il primo che, assieme a quello d’altre terre, ci presenta il nome di Padova.

Il Lazari, nella sua opera sulle monete veneziane, credette erroneamente che il bagattino testè ricordato, fosse quello che da un lato porta la croce a braccia eguali, accantonata dalle quattro lettere F F D V e dall’altra il leone accosciato, che tiene il vangelo tra [p. 367 modifica]le zampe anteriori34, mentre invece, siccome giustamente dimostrò l’On. Sen. Nicolò Papadopoli, è quello che fu battuto per Brescia e per la Lombardia35.

In Padova avrebbe avuto corso, per il decreto ricordato, il bagattino che, nella tav. XV inserita nella cit. op. del Papadopoli, va sotto il n. 7.

Nel dritto ha una croce in un cerchio ed all’intorno: + FRAC · FODVX, nel rovescio pure una croce in un cerchio ed all’intorno: + MARCV (tav. n. 9). Esiste di questa moneta anche una variante, che ha l’iscrizione così concepita: nel dritto: + FRA · FO · DVX, nel rovescio: + MARCVS.

Senonchè la grande copia di bagattini, che erano stati emessi e le numerose falsificazioni che se ne erano fatte, aveano generato, in ispecie nella nostra città, una perniciosa confusione. Il senato veneto costretto per ciò a provvedere, con una terminazione del 21 giugno 144636 ordina la coniazione di piccoli o denari di nuovo tipo, in sostituzione dei precedenti ed obbliga i possessori delle monete, dichiarate fuori corso, a presentarle agli ufficiali della zecca.

Sebbene non sia espresso nel documento, è facile intendere, come dice il Papadopoli37, che si tratta della sostituzione di quei piccoli scodellati, che si coniavano per Venezia e che aveano corso nel dogato e nei territori vicini di Padova e Treviso.

I nuovi piccoli hanno nel dritto: una croce patente in un cerchio; all’intorno · FRA · FO · DVX ·, nel rovescio: un leone nimbato, senza ali, rampante a sinistra; nel campo: S ·· M (tav. n. 10).

[p. 368 modifica]Nel 18 dicembre del 1453 si decreta dal Senato la coniazione di quattrini da 4 piccoli l’uno, per un valore corrispondente a 20000 ducati38.

Tali quattrini, che dovevano servire a tutte le terre del dogato e quindi anche a Padova, eccettuata però Venezia, furono battuti più che tutto per fornire una moneta comune a tutte le provincie e nello stesso tempo capace di suddividerne esattamente le varie lire.

Il quattrino accennato è quello che nel dritto ha una croce patente, colle braccia divise longitudinalmente in tre comparti ed all’intorno: · + · FRA · FOSCARI · DVX; nel rovescio, un leone nimbato, rampante a sinistra, avente nella zampa destra anteriore la spada e all’intorno: + · S · MARCVS · VENETI · (tav. n. 11).

Di questa moneta il Papadopoli riporta anche una variante, la quale ha nel dritto: la croce colle estremità ornate di ricci39.

Molto probabilmente questa variante può appartenere ad una coniazione posteriore di qualche tempo alla prima, determinata forse dalla pratica utilità, che l’uso di detti quattrini doveva arrecare alle varie provincie. Infatti per un documento, in data 16 marzo 1456, riportato dal Papadopoli, e pertinente al Maggior Consiglio, si viene a sapere che alla zecca erano stati battuti quattrini et parvuli di diverso tipo in tempi diversi40. Così viene comprovato quanto dissi or ora, a proposito della variante.

Del tempo del dogato di Francesco Foscari non mi consta abbiano ad esistere altri documenti che, pure per incidenza, parlino delle monete di Padova. Neppure del doge Pasquale Malipiero (1457-1462) ci [p. 369 modifica]è dato rinvenire, se pur ve ne furono emanati, speciali decreti riguardanti il sistema monetario della nostra città.

Sotto il doge Cristoforo Moro (1462-1471), per decreto 3 settembre 1463, venne ordinata dal senato la battitura di piccoli copoluti per la somma di 3000 marchi di quattrini di conio veneziano41.

Queste monete chiamate copolute perchè alquanto scodellate42 dovevano sostituire i precedenti bagattini, che si spendevano in Venezia, in Padova, in Treviso ed in altri luoghi affine di abolire le numerose falsificazioni, che di questi ultimi eransi fatte.

I nuovi piccoli sciffati, che contraddistinguono in modo assai evidente le monete piccole di Cristoforo Moro da quelle degli altri dogi, erano di rame mescolato con poco argento. Nel dritto aveano una croce patente, accantonata da quattro bisanti, alle estremità delle braccia altri quattro bisanti e fra le braccia della stessa croce: le lettere C M D V; nel rovescio: un leone accosciato, nimbato, col vangelo fra le zampe anteriori ed all’intorno + · S · M · VENETI · (tav. n. 12).

Anche di questa moneta si fecero in breve numerose falsificazioni.

Per due volte allora si tentò di ottenerne l’abolizione e la sostituzione con monete di puro rame, allo scopo di rendere infruttuose le contraffazioni, ma per due volte le proposte vennero respinte.

Qualche raro esemplare di piccoli grandi43, di puro rame, che ancor oggi ci è dato conservare, testifica che assieme alle proposte, erano stati presentati alla votazione del senato, anche i tipi delle nuove [p. 370 modifica]monete, che dovevano prendere il posto delle precedenti44.

La storia delle monete veneziane per Padova, dal doge Cristoforo Moro ad Agostino Barbarigo, presenta una nuova deplorevole lacuna, alla quale non mi è possibile riparare.

Essendo doge Agostino Barbarigo (1486-1501), venne presa dal consiglio dei dieci una determinazione, nel 20 dicembre 1486, colla quale, constatata la scarsezza di oboli sia in Venezia, che in Padova, se ne ordinava una nuova coniazione per la somma di 400 ducati, dei quali una metà dovea sopperire ai bisogni di Venezia ed una metà a quelli di Padova45. Dovevano però le dette città rimandare all’ufficio della zecca un numero di monete d’argento, corrispondente al valore delle monete piccole ricevute.

Nel citato documento non si fa parola del tipo della moneta di cui volevasi la riconiazione. Esaminate, nell’opera del Padovan46 le monete battute da Agostino Barbarigo, ho trovato un bagattino colla testa di S. Marco ed una croce, ed un mezzo bagattino colle iniziali A · B · D . V, simile a quello del Moro.

Con molta probabilità il documento può alludere ad uno di questi due tipi, dovendosi notare fin d’ora, siccome anche sostiene il Papadopoli, che la moneta chiamata dal Padovan mezzo bagattino, altro non è che un vero e proprio bagattino, e che la differenza di grandezza dipende esclusivamente dalla diversa lega, con cui quelle monete furono battute.

Nella impossibilità di giudicare in questo caso categoricamente, mi rivolgo al sereno giudizio degli studiosi, onde ottenere una soluzione confacente e sopra tutto conforme alla verità.

[p. 371 modifica] Nel 31 agosto 1491 il consiglio dei dieci emanò un nuovo decreto, col quale si stabiliva la coniazione di bagattini di puro rame per Padova ed il suo distretto, aventi da un lato l’imagine di S. Marco in forma di leone e dall’altro una croce47.

Vincenzo Lazari fu il primo ad identificare ed illustrare tali monete, phe a vero dire sono pur ora assai comuni. Nella interpretazione però delle sigle, che stanno fra le zampe del leone nel rovescio della moneta, incorse in errore, ammettendo che fossero le iniziali dei nomi dei podestà di Padova, mentre invece sono le iniziali dei massari o zecchieri sopraintendenti alla coniazione48.

Infatti le iniziali ricordate dal Lazari: C. K, Z. F. M, A. F, M. B, corrispondono perfettamente a quelle di Cristoforo Canal, Zan Francesco Miani, Alvise Foscarini e Marcantonio Bollani, massari all’argento sotto il doge Agostino Barbarigo.

Le sigle Z. R, M. L, ricordate pure dal Lazari, alle quali non so trovare nomi di massari corrispondenti, devono essere state erroneamente lette, tanto pili che nel Museo Correr, citato dal Lazari nelle sue memorie, e nel Museo Bottacin esse non si trovano.

A meglio illustrare questo bagattino ne do la descrizione: nel dritto: croce patente accantonata da quattro bisanti; alle estremità della braccia altri quattro bisanti, il tutto in un cerchio; all’intorno: X AVG · BARBADICO · DVX; nel rovescio: leone nimbato, alato, stante a destra, tiene colle zampe anteriori il vessillo; tra le zampe vi sono varie sigle; all’intorno: SANCTVS · MARCVS · VENETI · (tav. n. 13).

Bagattini di tipo eguale a questo ora descritto, ne furono battuti ancora altre volte, secondo risulta [p. 372 modifica]da decreti del consiglio dei dieci del 27 novembre 1494 e 19 dicembre 1498.

Sotto il nome di bagattino o quattrino od obolo per Padova, Vincenzo Padovan, nella sua opera citata49, descrive una moneta, che per il suo tipo è assai somigliante al bagattino col S. Liberale, coniato per Treviso in forza della determinazione del consiglio dei dieci in data 24 ottobre 1492, quando cioè era doge Agostino Barbarigo.

Le notizie, che il Padovan riporta intorno al detto bagattino, non sono per nulla tratte da documenti. Egli venne informato dal Sig. G. M. Urbani de Gheltof, che asseriva di aver veduto il bagattino, da un distinto raccoglitore di monete Italiane, il Sig. Walter Gow di Dublino50.

In verità, senza avere prove di fatto, è assai facile dubitare della autenticità di tale moneta. Ciò non di meno, considerando che Venezia battè monete per Rovigo, Bergamo e Ravenna, città inferiori in potenza a Padova, e così pure per il Levante, coll’impronta dei Santi protettori dei detti luoghi, non è a far meraviglia che anche per Padova siano state battute monete coll’effigie di uno dei suoi santi patroni.

Ammettendo adunque l’esistenza di tale moneta, non si incorrerà nel pericolo di errare, ritenendola una prova di zecca, consimile per istile a quelle di puro rame di Treviso, Traù, Cattaro, Sebenico, Lesina e Spalato.

Eccone la descrizione: nel dritto: il Patrono della città, assiso di fronte, in manto ed insegne vescovili, all’intorno: + · S · PROSD · PADVE ·; nel rovescio: il leone in soldo dell’evangelista entro un semplice cerchietto, all’intorno: + · SANCTVS · MARCVS · VENETI ·

[p. 373 modifica]Per deliberazione presa dal Consiglio dei dieci nel 31 marzo 1503, sotto il doge Leonardo Loredan (1501-1521), si ordina la coniazione di oboli ad solitam stampam per la somma di 100 ducati, nell’intento di favorire la città di Padova51. Il Lazari opina che tali oboli siano dello stesso tipo di quelli coniati da Agostino Barbarigo, colla croce da un lato e col leone dall’altro52 ed io, nulla trovando a dire in proposito, m’associo pienamente a lui.

Adunque soltanto per l’iscrizione circolare del dritto il bagattino di Leonardo Loredan varia da quello già descritto di Agostino Barbarigo, avendo: LEO · LAVREDAN · DVX · Fra le zampe anteriori e posteriori del leone vi sono le sigle A. M, che corrispondono alle iniziali di Alvise Miani, massaro all’argento nel 1503 e non a quelle di Alvise Molin, podestà di Padova, siccome ritenne erroneamente il Lazari. Con questa moneta, che sarebbe stata l’ultima battuta espressamente per Padova, do termine a questa breve trattazione sulle monete venete per la nostra città.

Dal doge Leonardo Loredan in poi, si deve credere che le monete speciali per le varie città siano state definitivamente abolite e sostituite dalle vere e proprie monete Veneziane, sia per porre fine alla confusione causata dall’uso nelle varie provincie delle diverse lire, sia per porre un freno maggiore alle numerose falsificazioni, che delle monete eransi fatte.

Dal documento infatti, in data 12 ottobre 151953, riportante un decreto del consiglio dei dieci, si arguisce che venne determinata la soppressione dei bagattini di vario tipo, che circolavano nelle varie città di terraferma, come Padova e Treviso, e in quelle [p. 374 modifica]del Levante, come Zara, Spalato, Sebenico, Lesina, Antivari e Traù e la sostituizione di essi con un bagattino di tipo unico, avente da un lato: il leone di S. Marco entro un quadrangolo, al di fuori del quale, nel mezzo dei lati, quattro rosette o stelline; dall’altro: il busto della Vergine col bambino ed all’intorno · R · C · — · L · A · (Regina-coeli-laetare-alleluia) e sotto il busto: il segno o le sigle del massaro.

In grandissima quantità si trovano anche ora tali monetine, che, messe in corso per tutte le terre soggette a Venezia, continuarono molto probabilmente ad essere battute per tutto il secolo XVII.


Padova, Giugno 1897.


Luigi Rizzoli Junior.               







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DOCUMENTO I.


mccclxxviii, die xviii Januarii, in Rogatis.


Cum in Padua fiat de novo quaedam moneta nova ad formam soldinorum nostrorum, quae moneta nova habet ab uno latere charium, et ab alla parte crucem, quae moneta nova est cum magna utilitate nostrorum inimicorum et damno terrae nostrae;

Vadit pars, quod praedicta moneta nova in totum sit bannita de Venetiis, et de omnibus terris, locis, et civitatibus Communis Venetiarum, et insuper pro bono et commodo nostrorum civium et fidelium qui ad praesens reperirent apud se de dictis monetis, ut ex hoc non recipiant notabile damnum, ordinetur, quod assignetur eis terminus per totum mensem praesentem; videlicet cuilibet qui haberet de eis, quod possit dictas monetas usque. ad dictum terminum portare ad officium monetae, ubi habebunt de qualibet marcha praedictarum solidos quatuordecim, existentibus ipsis monetis bonis de argento; et si essent de falsis, illas debeant incidere officiales nostri, et restituere illis quorum essent, sine aliqua poena. Elapso vero dicto termino, omnes quibus dictae monetae novae factae in Padua, vel carrarini novi vel veteres reperti fuerint, tam falsi quam boni, debeant perdere praedictas omnes, et tantumdem pro poena: de qua poena non possit fieri gratia, donum. remissio, revocatio vel aliqua declaratio, aliquo modo vel ingenio, sub poena librarum mille prò quolibet ponente vel consentiente partem in contrarium.

Et praedicta stridentur publice in locis solitis, et committantur omnibus officialibus nostris quibus commissa sunt negotia argenti et monetarum, habentibus ipsis officialibus partem suam solitam de poenis, ut habent de aliis sui officii.



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DOCUMENTO II.


mccccxlii, die xxiiii maii.


Cum pridie captum fuerit in isto Consilio, quod in cecha nostra argenti fiant de bagatinis pro Pergamo, Brixia, Verona et Vincentia, et nihil expressum sit de Padua, Tarvisio, et aliis terris nostris,

Vadit pars, quod massarii nostri monete argenti mittere debeant Paduam, Tervisium, et ad alias terras nostras a parte terre et in Patriam Foriiulii, de bagatinis qui expenduntur in dictis locis, factis ad ligam, sicut captum est in isto Consilio. Et rectores nostri dari facere debeant soldos quinque pro ducato de camera de parvulis predictis in omnibus solutionibus et subventionibus quas facient et fieri facient, sicut pridie captum fuit de aliis terris nostris. Rectores vero Padue dari facere debeant in solutionibus que fient per cameram illam de parvulis predictis illam partem que solita est dari, dummodo sit maior soldorum quinque pro ducato. Et non possint rectores sive camerarii omnium terrarum et locorum nostrorum dare in solutionibus predictis alios bagatinos sive parvulos, quam illos quos habebunt a massariis nostris monete argenti, sub pena contenta in parte furantium; teneanturque rectores predicti, sub pena ducatorum quingentorum, remittere de tempore in tempus in auro vel argento valorem dictorum parvulorum quos recipient nostris massariis argenti. Et teneantur dicti massarii tenere computum ordinatum in uno quaterno separate de expensis et utilitatibus dictorum bagatinorum. Et sub pena ducatorum ducentorum in bonis suis propriis teneantur dicti Massarii argenti portare nostris Gubernatoribus introituum pecunias que extrahentur de utilitate dictorum bagatinorum pro solutione Illustris Comitis Francisci.

Senato, Terra, reg. 1, carte 67 tergo.


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DOCUMENTO III.

mccccxlvi, die xxi junii.


Cum per hoc consilium sub die VII mensis mail nuper elapsi facta fuerit certa provisio super facto parvulorum falsorum presentandorum et cetera, prout in ea latius continetur, que utilis fuit acque bona. Sed cum in civitatibus et terris nostris a parte terre propter magnam moltitudinem parvulorum, et maxime in civitate nostra Padue, sit exorta maxima confusio in facto ipsorum parvulorum, adeo quod nedum utile, sed necessarium sit super ipsis parvulis facere talem provisionem quod unusquisque se valeat intelligere;

Vadit pars, quod in nomine Dei de novo fiat et fieri debeat una nova stampa et forma ipsorum parvulorum, sicut collegio melius videbitur, Sed quod ipsi parvuli de nove stampandi sint illius lige etbonitatis cuius sunt parvuli stampe presentis et quod de cetero parvuli huius presentis stampe non fiant neque stampentur. Sed ut provideatur inconvenientiis presentibus, ex nunc sit captum, quod omnes et singuli qui habent parvulos in hac civitate nostra, teneantur et debeant illos presentare officialibus nostre monete....

Senato, Terra, reg. 1, carte 195.




DOCUMENTO IV.

mccccliii, die xviii decembris.


Item quod ad officium Ceche nostre cuniari debeant, in quatrinis a parvulis quatuor pro quatrino, ducati XX millia, incipiendo die primo januarii proximi; qui quatrini dispensentur in omnibus terris nostris, excepta hac civitate. Et ad hoc deputentur apotece quatuor. Verum post factam dictam summam, non possint amplius fieri quatrini sine licentia et ordine huius consilii.

Senato, Terra, reg. 3, carte 92.


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DOCUMENTO V


mcccclxiii, die iii, septembris.


Per la parte prexa i di preteriti in questo conseio, tra le altre cosse fo provisto che tutti, si qui chome altrove dove se spende bagatini, fosseno tegnudi portar tutti quelli i qual havesseno ala zecha et ai luogi da esser deputadi, azò che i boni bagatini fosseno cernidi dai falsi; et necessario sia che essa parte sia reformada; per tanto, l’andera parte.

Che perchè ala cecha nostra se truova bona summa de quatrini cuniadi del cunio nostro, ne i qual sono karati d’argento per marcha, como è la liga di nostri pizoli, da mo sia presco che per i nostri massari de la cecha sia tolto marche tre di quatrini sopradicti, e quelli sia fondudi in tavole e de quelle sia fatto pizoli copoludi; i qual pizoli, stampidi che i serano, siano messi in casson e de quelli per algun modo non se possa cambiar, per far nè oro, nè arzento, ma solo se debia dar a tuti quelli che porterà pizoli boni cuniadi del nostro cunio, e sia dadi daner per daner. Nè altramente possa insir de la cecha nostra. Et per più execution de questa nostra intention, da mo sia prexo che i nostri massari de la cecha non possa cambiar nè far cambiar pizoli a oro nè ad argento, soto pena de ducati V et privation del officio; e per il simel i soprastanti fondadori o fanti de quel officio, che savesse chel fosse sta cambiado pizoli a oro over argento per i nostri massari, e quelli non accusasse al officio di nostri avogadori de chomum, subito sia cassi del suo officio nè mai più possa esser in officio algun de quella cecha.

De le manifature del far di dicti pizoli, sia pagado di pizoli, i qual pizoli che per i maistri de quella cecha i haverà habudo per sua manifatura, quelli fuor de la cecha possi cambiar per oro e per argento chon le condicion infrascripte.

E perchè el non se chunia più de marche III.m quelli sia fondudi in tavole, e quelle sia consignade per pexo, chome se fa a i nostri massari de la cecha del argento, e quelle sia dade fuora a lavorar ala maistranza e lavorade. E perchè [p. 379 modifica]nel lavorar di dicti pizoli ne va assai in cesare, quelle se possa refonder tante volte, quanto se salda el conto de le diete marche III.m di pizoli fatti, nè più per algun modo se possa fonder senza licentia de questo conscio, soto pena a quelli fondadori de ducati cento per un, et d’esser privadi del officio.

Tutti siano tegnudi da questo dì in avanti, fino per tutto dì XV del presente, portar i pizoli de zascaduna sorta i haverano alla cecha qui in Veniexia. A Padua veramente e a Treviso, ai luogi che sarano ordenadi; a i qual tuti per i boni pizoli che sarano cernidi dai falsi, serano dadi tanti pizoli copoludi quanti boni pizoli del nostro cunio passado i haverano presentado, i qual siano desfati, et de quei poi siano facti pizoli copoludi in quella somma che parerà a questo conscio. E i pizoli falsi similiter siano desfati, et la massa loro sia restituida a quelli de chi la sera.

E passado el termine suprascripto, sì qui, chome in Padoa et ne i altri luogi nostri predicti, non se possi spender per algun muodo se non pizoli copoludi et del nostro cunio, soto pena de perder quelli; et oltra questo, per zascadun pizolo pizoli 6 per pena, segondo le lege nostre. E i prefati pizoli copoludi che de cetero se spenderano, non se possino spender se non a menudo, zoè da soldi 5 et da lì in zoso, sotto pena de perder quelli et el dopiò più per pena. Nè in manifature over altre mercedi da esser pagadi per zascadun modo, over ad imprestedo o altramente, dicti pizoli copoludi dar a spender se possino, so la predicta pena. E sia in libertà di chi torà questi pizoli retegnirli per soi, habiando anchora la pena ut supra.

I banchieri sì de questa cita, chome de Padoa e d’altri luoghi nostri dove se spendeno pizoli, non possino tegnir ne i suoi banchi over altrove questi pizoli, sì in scanuzi come altramente, nè comprar nè vender quelli, nè dar ad imprestedo, over de quelli far marchadantia per algun muodo, soto la pena et stricture dechiaride de sopra. E questa parte, qui et ne le altre terre et luogi predicti, debia esser publicada azò che la sia nota a tutti.

De parte 84; — de non 6; — non sinceri 11.

Senato, Terra, reg. 5, carte 70.



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DOCUMENTO VI.

mcccclxxxvi, die xx decembris.


Est magna indigentia obolorum tam in hac urbe quam in civitate Padue cum incomodo multo populi minuti desiderantis habere ex illis, Eapropter,

Vadit pars, quod auctoritate huius consilii mandetur massariis nostris ceche argenti ut cudi faciant de presenti ducatos quadringentos parvulorum sive obolorum predictorum quorum ducati ducenti sint pro hac civitate et alii ducati ducenti prout videbitur capitibus mittantur ad rectores nostros Padue dispensandos illi populo cum ordine quod remittant alterotantas argenteas monetas ad officium ceche prefatum.

(Cons. X., Misti, R. 23, e. 68).



DOCUMENTO VII.

mccccxci, die ultima augusti.


Quia oratores fidelissime communitatis nostre Padue; ad presentiam capitum huius consilii comparentes post declaratam necessitatem, et incomodum quam et quod patitur ille fidelissimus populus ob defectum obolorum, supplicarunt provideri de obolis, et de tali sorte obolorum qui non possint ab falsificatoribus viciari cum consequenti multiplicatione, cum damno postea dictorum fidelium, Eapropter

Vadit pars; quod auctoritate huius consilii, captum et deliberatum sit, quod in cecha nostra cudi debeant modo et in futurum bagatini sortis et qualitatis nunc huic Consilio ostense, que est valute duodecim ad marchetum, quia sunt ex ramine puro, expendendi in Padua et paduano territorio ad nationem predictam duodecim ad marchetum, et fiant cum imagine Sancti Marci in forma leonis ab uno latere et cum una cruce ab altero, sicuti etiam concessum fuit Veronensibus. Et pro nunc mandetur cudi et mitti ad cameram nostram Padue ducatos ducentos cum ordine et mandato ad illos rectores nostros, quod remittant ad capita et camerarium huius consilii alterotantas monetas auri vel argenti.

(Cons. X, Misti, F. 5).



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DODUMENTO VIII.

m.d.iii, die ultima martii.


Quod fidelissime comunitati nostre Padue: ita supplicanti prò opportunitatibus mentis pietatis Padue concedatur et ita mandetur camerario huius consilii: quod cudi facere debeat in cecha nostra ducatos centum obolorum ad solitam stampam, dantibus ipsis oratoribus, sicut se offerunt, ducatos centum ad incontrum.

(Con. X, Misti, F. 15).



DOCUMENTO IX.

m.d.xix, die xii octobris.


Battandosi sulla cecha nostra bagatini de rame Zalo, tuti de uno medemo peso et precio, per Padoa: Treviso: Zara.: Spalato: Sibinico: Liesna: Antivari et Trahu. Quali tuti sonno de diverse stampe, et per la diversità de stampe quelle se fano con grande spesa dispendio et fatica, si come bora està dechiarito: et essendo al tuto necessario proveder. Si per evitar la spesa: come etiam per la commodita de i populi. Pero Landara parte: che per auctorita de questo Conseio, tute octo diete diverse stampe de bagatini che sonno de una medesima charata, peso: et precio, se debano batter et far de una sola stampa la qual sia da una banda San Marco in soldo e dalaltra la nostra Dona dela instessa grandeza, qualità et sorte se battevano in dieta Cecha et bora està monstrada a questo Conseio. Et azo la presente deliberation sortisca votivo effecto, sia preso: Che per el cassier de dicto conseio sia comprado rame Zalo per la summa de ducati cento. Qual rame sia posto in Cecha, et desso batudo li dicti ducati cento in tanti bagatini dela stampa soprascrita, et cussi habia ad continuar battendo ogni mese ducati cento et non pini per fina che altro sarà deliberato per questo Conseio. I qual ducati 100 romagnir debano al continuo in deposito in essa cecha nostra, azo che dicti bagatini possine sempre haverli senza difficulta, ne obstaculo alcuno.

(Cons. X, Misti, R. 43, c. 77).




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Tav. VI.


Note

  1. Il Verci rifece ed ampliò l’opera " De re nummaria Patavinorum „ del Brunacci.
  2. La detta dissertazione si trova inserita nel Vol. III della Raccolta delle Zecche d’Italia dello Zanetti, dal quale venne sapientemente annotata.
  3. Intendo alludere al benemerito conservatore del Museo Bottacin sig. Luigi Rizzoli.
  4. A. Gloria, Quadro Storico-Cronologico di Padova. Padova, 1856.
  5. Zanetti, Op. cit,, Vol. III, pag. 435, n. 6.
  6. Periodico di Numismatica e Sfragistica diretto dal March. Strozzi. Vol. II, pag. 85.
  7. Ab. Giuseppe Gennari, Sopra il titolo di Regia dato a Padova. Padova, 1795.
  8. Zanetti, Op. cit., Vol. III, pag. 383, nota 3Ó3.
  9. Gaetano Girolamo Maccà, Trattato della Zecca Vicentina, pag. 116-130.
  10. Period. Num. e Sfrag. cit., Vol. II, anno 1869, pag. 63.
  11. Zanetti, Op. cit., Vol. III, pag. 387.
  12. Andrea Gloria, Monumenti della Università di Padova. Vol. II 1318-1405), pag. 21.
  13. Zanetti, Op. cit., Vol. III, pag. 391, nota 367.
  14. Archeografo Triestino. Vol. V, fasc. I, anno 1867.
  15. Questa raro pezzo era posseduto dallo stesso Kunz, che lo vendette poi al Sig. Sipilli di Trieste. Ora ci riesce oltremmodo difficile ritrovarne la traccia.
  16. Period. Num. e Sfrag. cit., Vol. II, anno 1869, pag. 73.
  17. Zanetti, Op. cit., Vol. III, pag. 435, n. 8.
  18. Period. Num. e Sfragis. cit., Vol. II, pag. 81.
  19. Zanetti, Op. cit., Vol. III, pag. 418-422.
  20. Ivi, pag. 422, nota 490.
  21. Ivi, pag. 483.
  22. Un’antica famiglia padovana di nome Basili aveva per arme tre onde; ma con ciò nulla possiamo spiegare.
  23. Appel Joseph, Münzen und Medaillen der weltlichen Fürsten und Herren aus dem Mittelalter und der neuern Zeit. Vol. III., parte I, pag. 236, n. 863, tav. pag. 640, Wien, 1824.
    Period. Num. e Sfrag. cit., Vol. I, 1868. Memoria del Friedlaender.
  24. Giovanni Cittadella, Storia della Dominazione Carrarese in Padova. Vol. II, pag. 535 e seg.
  25. Zanetti, Op. cit., Vol. III.
  26. Mi è sommamente grato ricordare il detto mio zio, appassionatissimo cultore della scienza delle monete, che imprese a raccogliere ed illustrare. Quale studente della facoltà di Matematica in questa R. Università, nel 1848 si arruolò nel Corpo Franco Universitario e fece le campagne di Vicenza, Treviso, Brondolo e Venezia. Morì di anni 22 il 14 dicembre 1851 per infezione malarica, presa durante l’assedio di Venezia.
  27. A proposito della rarità di questa moneta, il Kunz riferisce che era peregrina fino dal tempo in cai fu battuta o poco dopo. Aggiunge ancora che, nella interessante tariffa del secolo XV, pubblicata dal dottissimo F. Ganurrini, si legge: " Fiorini di Padova con l’arme del Signore da un lato e dall’altro un Santo, trovansene pochi. „
  28. Zanetti, Op. cit., Vol. III, Tav. XXI, n. 22.
  29. Bernardo Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova. Vol. I, pag. 46-48.
  30. Ivi, Vol. I, Documento XXVIII.
  31. Ivi, Vol. I, Documento XXX.
  32. Documento I.
  33. Documento II.
  34. Vincenzo Lazari, Le monete dei Possedimenti Veneziani di Oltremare e di Terraferma. Venezia, 1851, pag. 136-137.
  35. Nicolò Papadopoli, Le Monete di Venezia, (dalle Origini a Cristoforo Moro). Venezia, 1893, pag. 260.
  36. Documento III.
  37. Nicolò Papadopoli, Op. cit., pag. 263.
  38. Documento IV.
  39. Nicolò Papadopoli, Op. cit., pag. 272, n. 13 e tav. XV, n. 10.
  40. Ivi, Doc. XXXI, pag. 371.
  41. Documento V.
  42. N. Papadopoli, Op. cit., pag. 285.
  43. Erano chiamati piccoli grandi per distinguerli dai piccoli fino allora in uso, che erano di un diametro minore.
  44. Nicolò Papadopoli, Op. cit., pag. 284-286.
  45. Documento VI.
  46. Vincenzo Padovan, Le Monete dei Veneziani, Venezia, 1881.
  47. Documento VII.
  48. V. Lazari, Op. cit., pag. 137-138.
  49. V. Padovan, Op. cit., pag. 358.
  50. Bullettino di Arti, Industrie e curiosità Veneziane, Anno II (1878-1879), pag. 142.
  51. Documento VIII.
  52. V. Lazari, Op. cit., pag. 137.
  53. Documento IX.