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364 | luigi rizzoli |
lora per annue lire 1100 di denari piccoli e un animale suino di 200 libbre1, a patto però che coi proventi venissero rifatti i calici, i tabernacoli, i vasellami ed altre opere d’orificeria, che per necessità di guerra avea dovuto sottrarre.
Col continuare della guerra che, quanto più a lungo si protraeva, altrettanto più disastrosa tornava ai Carraresi, di nuovo facevasi sentire il bisogno di denaro, i cittadini affamati domandavano pane e i soldati non pagati si rifiutavano di combattere. Francesco Novello non esitò di mettere una seconda volta la mano spogliatrice nella basilica di S. Antonio, impadronendosi di 50 marche e mezzo d’argento dorato. Ma 27 giorni innanzi che Padova cadesse sotto il dominio della Veneta Repubblica, Francesco II volle ricompensarla dei nuovi danni patiti e con atto notarile del 30 ottobre 1405 pagò 404 ducati d’oro, corrispondenti all’argento, di cui erasi antecedentemente insignorito2.
Da ciò facilmente si comprende come Francesco Novello, coll’argento o la prima o la seconda volta sottratto dal tempio di S. Antonio, per il quale tanta venerazione nutriva, abbia potuto ordinare la battitura del carrarino coll’effigie del Santo, se si pensa ancora che i principi da Carrara sulle loro monete aveano soltanto l’impronta degli altri santi protettori della città, cioè Prosdocimo, Daniele e Giustina, i quali spettano all’era romana e non mai quella di S. Antonio, di ben poco anteriore ad essi.
Riguardo poi alla scomparsa di tale moneta si trova attendibile spiegazione, se si tiene conto dello scarso numero di monete di questo genere che deve essere stato battuto, stante la ristrettezza del tempo,