Morgante maggiore/Canto decimoquinto

Canto decimoquinto

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Canto decimoquarto Canto decimosesto
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CANTO DECIMOQUINTO.




ARGOMENTO.

     Rinaldo è in Persia con armata schiera,
E disfida a battaglia l’Amostante:
Orlando da quel carcer, dov’egli era,
È tratto allor da Chiariella amante:
Egli e Rinaldo dal giorno alla sera
Si dan delle picchiate tante e tante:
E di Copardo per un tradimento
Presa è la terra, e l’Amostante è spento.


1 Benigna maestà, vita superna,
     Ch’allumi questo, e quell’altro emispero,
     Principio d’ogni cosa santa eterna,
     Donami grazia che nel giusto impero
     A’ tuoi pie’ santi l’anima discerna,
     Tanto ch’io riconosca il falso e ’l vero,
     E ’nsino al fine il mio debole ingegno,
     Ti priego aiuti, se ’l mio priego è degno.

2 Fecion consiglio Rinaldo e Balante,
     Che si movessi la gente cristiana,
     E che s’andassi a trovar l’Amostante;
     E così confermava Luciana:
     Fu la novella in Persia in poco stante,
     Che ne veniva gran turba pagana;
     E l’Amostante ancor non sapea scorto
     Che gente fussi, e che Vergante è morto.

3 Partissi dunque centoventimila
     Di gente valorosa e fiera e magna,
     Per quel che l’autor nostro compila,
     Con que’ che Luciana avea di Spagna:
     Nè creder ch’egli andassino alla fila;
     Coprieno i monti, il piano e la campagna,
     Tanto che sono in Persia capitati,
     E presso alla città tutti accampati.

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4 Rinaldo, che dì e notte non soggiorna
     Per riavere il suo cugin perfetto,
     Poi ch’attendata fu la gente adorna,
     All’Amostante mandò Ricciardetto,
     Dicendo: A lui va presto, e qui ritorna
     Con la risposta, e conchiudi in effetto,
     Ch’a corpo a corpo oppur campal battaglia
     Subito fuor ne venghi alla schermaglia.

5 E Ricciardetto andò, come e’ gl’impose,
     E fece all’Amostante la ’mbasciata;
     Il qual molto superbo a lui rispose,
     Che non sa chi si sia questa brigata,
     E molta maraviglia ha di tal cose;
     Che la corona sua sempre onorata
     Combatter non è usa mai in Levante
     Con qualche vile arcaito1 o ammirante;

6 Che truovi uom simigliante a sua corona,
     E poi verrà di fuor comunch' e’ vuole
     A corpo a corpo a provar sua persona;
     Ma di campal battaglia assai si duole
     Sanza giusta cagion lecita o buona;
     E poi soggiunse ancor queste parole:
     Se tu non fussi messaggier mandato,
     Colle mie man so ch’io t’arei impiccato.

7 Non lascio per amor, ma per vergogna;
     A quel che t’ha mandato fa’ risposta;
     Domandal s’egli è desto, oppur se sogna;
     Chè molto pazza fu la sua proposta:
     Nè d’aspettar qui altro ti bisogna:
     Questo ti basti, e vattene a tua posta.
     Ma Ricciardetto non fu paziente,
     E così disse disdegnosamente:

8 Se conoscessi ben chi a te mi manda,
     Nol chiameresti arcaito per certo,
     E pazza non terresti sua domanda;
     Ma si conosce il tuo vil core aperto:
     Sappi che stu se’ re da questa banda,
     Quand’io t’avessi pur molto sofferto,
     O Amostante vil, superbo e sciocco,
     Il mio signore acquistato ha il Murrocco;

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9 E di Carrara e d’Arna è coronato,
     E molti altri reami tiene al mondo:
     E non sarebbe Marte biasimato
     Combatter con tal uom sì rubicondo.2
     L’Amostante, veggendol furiato,
     Rispose: In altro modo ti rispondo;
     Ritorna al tuo signor che ti mandoe,
     E dì ch’un gran baron gli manderoe.

10 Ricciardetto tornò nel campo tosto,
     E disse come il fatto era seguito,
     E quel che l’Amostante gli ha risposto.
     Lasciam costor posarsi un poco al lito,
     Chè ’l messo ha fatto quel che gli fu imposto;
     Torniamo all’Amostante sbigottito,
     Che non sapea che farsi, e sta sospeso
     E di tal caso avea nel cor gran peso.

11 Veggendol così afflitto, Chiariella
     Diceva: Io ci conosco un buon rimedio;
     Tu sai che ’l miglior uom che monti in sella
     Si dice ch’è Orlando; ond’io più a tedio
     Non ti terrò, diceva la donzella,
     Poi che tu se’ condotto a questo assedio;
     Sappi che quel che tu tieni in prigione,
     Il conte Orlando è, figliuol di Milone.

12 E credo che farà sol per mio amore
     Ciò ch’io vorrò, chè così m’ha promesso
     Più e più volte, ch’io gli ho fatto onore
     Sempre dal dì che in carcere fu messo.
     Subito crebbe all’Amostante il core,
     E disse: Può Macon far che sia desso:
     Troppo mi piace tu l’abbi onorato,
     Chè ’l Ciel per nostro ben l’ha riservato.

13 Ma vo’ che mi prometta ritornarsi,
     Finita la battaglia, poi in prigione,
     Chè ’l gran Soldan potre’ meco adirarsi,
     Chè sai ch’io ’l presi a sua contemplazione:
     E qualche modo poi potre’ trovarsi
     Per questo mezzo alla sua salvazione.
     E Chiariella a Orlando n’andò presto,
     E d’ogni cosa gli chiosava il testo.

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14 Se tu volessi per mio amore, Orlando,
     Combatter con costui che vuol battaglia,
     Questo servigio io lo verrò scultando
     Nel cor per sempre, se Macon mi vaglia;
     Io te ne priego, io mi ti raccomando.
     Un destrier ti darò coperto a maglia.
     Rispose Orlando: Sia quel che ti piace;
     Meglio è morir che stare in contumace.3

15 Ah, disse Chiariella, è questo quello
     Ch’io t’ho promesso mille volte e mille?
     Tu m’hai passato il cor con un coltello:
     Io verrò, dico, queste porte a aprille,
     Come a te fia il piacer, signor mio bello;
     Ma sol, per ricoprir molte faville,
     Carlo aspettavo che di qua passassi,
     Acciò che più sicuro il fatto andassi.

16 Non ti curar prometter ritornarti
     Nella prigion, poi che ’l mio padre vuole,
     Ch’io verrò, per Macone, a liberarti,
     Prima che molti dì s’asconda il sole;
     Io vo’ il destrier e l’arme apparecchiarti.
     Così furon finite le parole,
     E di prigione Orlando è liberato,
     E innanzi all’Amostante appresentato.

17 L’Amostante l’abbraccia umilemente,
     E quanto può del suo fallir si scusa,
     E se gli ha fatto oltraggio, che si pente:
     Il gran Soldan di ciò ne ’ncolpa e accusa;
     E che per far la pace il fe vilmente,
     Come per suo miglior talvolta s’usa,
     E lecito operare era ogni ingegno
     E tradimento, per salvar sè e ’l regno.

18 Orlando, come savio, fu contento,
     E disse: Per amor della tua figlia
     Farò sol quel che ti fia in piacimento,
     Chè così Chiariella mi consiglia;
     Chè so che sanza lei morivo a stento,
     E ch’io sia vivo, mi par maraviglia.
     Armossi tutto innanzi al re pagano,
     E Chiariella l’armò di sua mano.

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19 Come fu armato, saltò in sul destrieri,
     E Chiariella gli fe compagnia,
     Armata con trecento cavalieri:
     Così dall’Amostante si partia,
     Verso dell’oste pigliava il sentieri.
     Come Rinaldo apparir lo vedia,
     Che stava attento armato al padiglione,
     Subitamente montava in arcione.

20 E Luciana anche lui aveva armato,
     E datogli il destrier che gli donoe
     A Siragozza, e poi l’ha accompagnato,
     E molti cavalier seco menoe;
     Adunque il giuoco è molto pareggiato:
     E così inverso Orlando se n’andoe
     Rinaldo, e salutò cortesemente,
     E la risposta fu similemente.

21 Ma l’uno e l’altro quanto può s’ingegna
     Non essere alla voce conosciuto,
     Acciò ch’al suo disegno ognun pervegna;
     Dicea Rinaldo dopo il suo saluto:
     Io credo, cavalier, ch’al campo vegna,
     Per far coll’arme in man quel ch’è dovuto;
     Piglia del campo, ognun mostri sua forza.
     E volson l’uno a poggia, e l’altro a orza.

22 Orlando volse con tanta destrezza,
     Nel dipartirsi, al suo caval la briglia,
     Che non si vide mai tal gentilezza;
     E Luciana affisava le ciglia,
     Parvegli un atto di molta prodezza;
     Ma Chiariella con seco bisbiglia:
     Questo è pur quel che ’l mondo grida certo
     Nell’arme tanto valoroso e sperto.

23 Rivoltava il destrier Rinaldo prima;
     Comincia al modo usato a furiare:
     Orlando che sia vòlto anco si stima,
     Subito in drieto lo venne a trovare;
     Ma non potre’ qui dir prosa nè rima,
     Qual sia il valor ch’ognuno usa mostrare:
     Se Annibal parea l’un, l’altro è Marcello;
     Se l’un volava, e l’altro era un uccello.

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24 E si vedea sol polvere e faville.
     Non credo ch’a veder fussi più degno
     Alla città famosa Ettorre e Achille:
     Ognun di grande ardir mostrava segno:
     Ma che bisogna far tante postille,
     O dar per fede a chi nol crede il pegno?
     Non son costor de’ Paladin di Francia
     I miglior cavalier che portin lancia?

25 Le lance si spezzorno parimente
     Sopra gli scudi, e’ destrier via passorno,
     Come folgore va molto fervente;
     Poi colle spade a ferirsi tornorno;
     Or quivi s’accostò tutta la gente,
     Quivi la zuffa insieme rappiccorno.
     Era venuto a vedere il gigante
     Con Luciana, chiamato Corante.

26 E stava in piè, come un pilastro saldo,
     A veder di costor la gran tempesta:
     E Luciana avea messo a Rinaldo
     Indosso una leggiadra sopravvesta:
     Orlando, ch’era insuperbito e caldo
     Con Durlindana avea stampata questa;
     E Luciana si doleva a morte,
     Dicendo: Mai non vidi uom tanto forte.

27 Egli eran l’uno e l’altro sì infiammati
     Rinaldo e ’l conte Orlando, che l’un l’altro
     Non iscorgea, tanto erano infiammati;
     Nè si vedea vantaggio all’uno o l’altro:
     Ferivansi co’ brandi sì infiammati,
     Che nel colpirsi dicea l’uno all’altro,
     Aiútati da questo, can malfusso;
     E detto questo, si sentiva il busso.

28 Rinaldo dette un colpo al conte Orlando
     Sopra il cimier, che gliel fece sentire
     Frusberta, che ne venne giù fischiando;
     Non ebbe alla sua vita un tal martire;
     E ’nsino in sulla groppa vien piegando,
     E disse: O Dio, non mi lasciar morire;
     Aiutami tu, Vergin benedetta;
     E ’l me’ che può nell’armi si rassetta.

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29 E trasse con tant’ira Durlindana
     Al prenze, che lo giunse in sull’elmetto,
     Il qual sonò che parve una campana,
     E con fatica alla percossa ha retto;
     Ed ogni cosa vide Luciana,
     Tanto ch’ell’ebbe del colpo sospetto,
     Chè ’nsino al collo del destrier piegossi
     Rinaldo, tal ch’a gran pena rizzossi.

30 Non arebbe però voluti tre
     Ch’uscito sare’ fuor del seminato;4
     Pur si riebbe; e ritornava in sè,
     E ’l brando a’ crini il cavallo ha trovato;
     Sì che due parte del collo gli fe’,
     E ’nsieme con Rinaldo è rovinato:
     Gridò Rinaldo al conte: Traditore,
     Tu l’uccidesti per viltà di core.

31 Rispose Orlando: Traditore o vile
     Non fu’ mai reputato alla mia vita,
     Ma sempre, in verità, baron gentile;
     Or se mi venne la mazza fallita,
     E’ me ne ’ncresce, e però parlo umile:
     Ma innanzi che da me facci partita,
     Io ti farò disdir quel che tu hai detto.
     E poi saltò del suo caval di netto.

32 E cominciorno più aspra battaglia,
     Che si vedessi mai tra due baroni:
     Lo scudo in pezzi l’uno all’altro taglia:
     Non cavalier parieno, anzi dragoni;
     E benchè regga la piastra e la maglia,
     Pe’ colpi spesso cadean ginocchioni;
     E l’uno e l’altro soffiava e sbuffava,
     Come un leone o altra fera brava.

33 Dannosi punte, dannosi fendenti,
     Dannosi stramazzon, danno rovesci;
     Fannosi batter drento all’elmo i denti,
     Frugano in modo da sbucare i pesci
     Alcuna volta co’ brandi taglienti,
     Acciò che meglio il disegno riesci;
     Raddoppia il colpo l’uno a l’altro, e piomba,
     E l’aria e ’l cielo e la terra rimbomba.

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34 Rinaldo un tratto Frusberta riserra,
     Per dare al conte Orlando in sulla testa:
     Orlando si scostò, donde il brando erra,
     E cadde in basso con tanta tempesta,
     Che si ficcò più d’un braccio sotterra:
     Pensa se fatto gli arebbe la festa,
     E se fu grande il furore e la rabbia,
     Ch’appena par che la spada riabbia.

35 Orlando allor se gli scagliava addosso,
     E grida: Or potre’ io, come tu vedi,
     Tagliarti colla spada insino all’osso;
     Poi che tu ha' confitto il brando a’ piedi:
     Ma basta che tu intenda sol ch’io posso,
     Ch’io non son traditor, come tu credi.
     Disse Rinaldo: Ogni ragion hai tue,
     E che sia traditor mai dirò piue.

36 Era già sera, e ’l Sol verso la Spagna
     Nell’ocean tuffava i suoi crin d’oro,
     E Chiariella graziosa e magna
     Benignamente parlava a costoro:
     Perchè e’ si fa già bruna ogni campagna,
     Ponete fine a sì fatto martoro;
     E per mio amor, così vo’ che si segua
     Che venti dì facciate insieme triegua.

37 E l’uno e l’altro rimase contento.
     Diceva Chiariella: Al mio parere,
     Non vidi mai più a uom tanto ardimento,
     Nè mai più penso a’ miei giorni vedere;
     Io triemo tutta, quando io mi rammento
     De’ colpi fatti e del vostro potere:
     E perchè tanta virtù si conservi,
     Ho chiesto triegua e vo’ ch’ognun l’osservi.

38 Rinaldo si tornò col suo Balante
     Al padiglione, e la sua Luciana
     Gli trasse l’arme, ch’avea messe avante.
     Orlando torna alla città pagana:
     E Chiariella disse all’Amostante,
     Che gli pareva oltre ogni cosa umana
     Quel ch’avea fatto in sua presenzia Orlando,
     Dicendo: Quanto so, tel raccomando.

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39 Orlando volle in prigion ritornarsi,
     E rende Durlindana e l’armadura,
     E sta con Chiariella a ragionarsi.
     Or ritorniamo al campo alla pianura:
     Corante l’altro giorno fece armarsi,
     Dicendo: Io intendo provar mia ventura;
     Ed accostossi alle mura alla terra,
     E mandò a dir che cercava di guerra.

40 Aveva cinquecento scelti quello
     De’ miglior ch’egli avessi nel suo campo;
     Era montato in su ’n un suo morello
     Nato d’alfana, e menava gran vampo,
     Chiamando l’Amostante tristo e fello,
     Dicendo: Contro me non arai scampo,
     Nè triegua, o pace, o patti, nè concordia,
     Ch’uom non se’ degno di misericordia.

41 Erano usciti già certi Pagani
     Della città col gigante alla mischia,
     Ma tutti gli straziava come cani;
     A qual le spalle, a chi il capo cincischia,5
     Colpi menando sì aspri e villani,
     Che per paura nessun più s’arrischia
     A dieci braccia accostarsi alla mazza;
     E bisognava, con sì fatta razza.

42 Chiariella sentì che ’l Saracino
     A molti il capo ha schiacciato com'uova,
     E fa fuggire il suo popol meschino;
     Subito Orlando alla prigion ritruova,
     E dice: A questa volta, paladino,
     Aiutami, poi ch’altro non mi giova;
     Sappi ch’egli è comparito un gigante,
     Ch’ammazza ognun che se gli para avante.

43 A te ricorro come mio refugio,
     Che non mi lasci in questi casi stremi;
     E’ debbe avere un poco il cervel bugio,6
     Ch’ognun minaccia, e ’l ciel non par che temi;
     E’ ti convien soccorrer sanza indugio,
     Chè tutto il popol nostro par che tremi,
     E per paura ognun tornato è drento,
     Chè del bastone hanno avuto spavento.

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44 E’ n’ha già bastonati centinaia,
     E trita lor le carni, i nervi e l’ossa.
     Rispose Orlando: Sempre ove a te paia
     La mia persona, Chiariella, è mossa;
     E so, che se m’aspetta alla callaia,7
     Vedrai che la tua gente fia riscossa:
     Fecesi l’arme trovare e ’l cavallo,
     E Chiariella sua sol vuole armallo:

45 E fece armare alquanti cavalieri:
     Orlando disse volea poca gente;
     Che lasci col gigante a lui i pensieri.
     Armossi Chiariella incontanente,
     E con Orlando montava a destrieri.
     Anzi su vi saltò molto attamente;
     E ’l suo fratel, ch’era ardito e gagliardo,
     N’andò con lei, ch’avea nome Copardo.

46 Era il gigante alla porta a aspettare;
     Vide costoro, e innanzi si facea;
     Ma Chiariella, che ’l vide accostare:
     Io vo’ con esso provarmi, dicea,
     Se questa grazia, Orlando, mi vuoi fare.
     Orlando ch’è contento rispondea.
     Allor la dama va inverso il Pagano,
     Che se n’avvide, e prese un’asta in mano.

47 Abbassa la sua lancia Chiariella,
     E poi nel petto al gigante la spezza;
     Ma non si mosse punto della sella
     Per sua gran forza e per la sua grandezza,
     E giunse nello scudo la donzella
     Coll’aste dura e con molta fierezza,
     E fecela cader fuor dell’arcione,
     Che molto spiacque al figliuol di Milone.

48 Corante la volea pigliar pel braccio,
     E come il lupo portarnela via:
     Diceva Orlando: Non gli dare impaccio;
     Se tu la tocchi, per la fede mia,
     Per mezzo il petto la spada ti caccio:
     Oltre, gaglioffo pien di codardia,
     Della tua gran viltà, per Dio, m’incresce,
     Ed è ben ver ch’ogni trista erba cresce.

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49 Non ti vergogni tu, donna sì degna
     Volerne via portar, can peccatore,
     Che in tutte quelle parte ove il Sol regna,
     Non è donzella degna di più onore?
     Nè vo’ che ’l suo cader tuo pregio tegna,
     Chè fu difetto del suo corridore.
     Disse il gigante: Per Macon, ch’io sono
     Contento, e per prigione a te la dono.

50 Orlando disse: Tu mi pari or saggio,
     Che quel che non puoi vender vuoi don farne.
     Se tu vedessi costei nel visaggio,
     Diresti: Cibo non è da beccarne
     Un uom sì rozzo, rustico e selvaggio;
     Ch’io so che’ denti tuoi non son da starne.
     Allor Copardo addosso a quel si getta,
     Per far della sorella sua vendetta.

51 E l’uno e l’altro una lancia pigliava,
     E di concordia insieme si sfidaro;
     Ma alfin Copardo in terra si trovava,
     E restò prigionier sanza riparo:
     Perchè Corante a Orlando parlava:
     Che costui sia prigion tu intendi chiaro.
     Così, per non opporsi alla ragione,
     Copardo n’andò preso al padiglione.

52 Disse il gigante: Ed anco la donzella
     È mia prigion, ma non la vo’ contendere,
     Però ch’io la gittai pur della sella,
     E s’io volessi, io te la farei rendere;
     Chè tu dicesti, ch’io ti donai quella
     Per questo ch’io non la potevo vendere.
     Orlando disse: Sia come si vuole,
     Con l’arme arai costei, non con parole.

53 Disse il gigante: Disfidato sia,
     Da poi che tu m’hai tolto la mia preda,
     Poi mi minacci, e dimmi villania
     E credi per viltà te la conceda;
     Io t’ho donato per mia cortesia
     Questa donzella, e par che tu nol creda.
     Orlando al suo caval la briglia volse,
     Ed una arcata o più del campo tolse.

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54 Poi ritornava, per dargli la mancia,
     E ’l Saracin colla lancia s’abbassa;
     Ma ’l conte Orlando gli pose alla pancia,
     E ’l petto e ’l cuore e le reni gli passa:
     Due braccia o più riusciva la lancia,
     E parve allor rovinassi una massa:
     Perchè Corante abbandonava il freno,
     E dette un vecchio colpo in sul terreno.

55 Rinaldo al padiglione aveva detto,
     Quando Copardo prigion fu menato,
     Che andassi tra le squadre a suo diletto,
     Chè gl’increscea di tenerlo legato;
     E giurato gli avea per Macometto,
     Se dal gigante non è liberato,
     Rappresentarsi a ogni suo volere;
     E va pel campo veggendo le schiere.

56 In questo tempo la novella viene,
     Come Corante caduto era morto,
     E che passato è ’l ferro per le schiene:
     Ebbe di questo Rinaldo sconforto;
     E volle chi l’uccise intender bene,
     Giurando vendicar sì fatto torto:
     E minacciava, e facea gran tagliata,8
     Comunch’e’ fussi la triegua spirata.

57 Copardo già pel campo aveva inteso,
     Come quest’era d’Orlando cugino;
     Però veggendo Rinaldo sì acceso,
     Rispose: A me perdona, paladino,
     Per quel ch’i’ ho da tua gente compreso,
     La pace si farà con poco vino;9
     Io t’ho a dir cose che ti piaceranno,
     E sia silenzio posto a tanto affanno.

58 Sappi, che quel c’ha combattuto teco,
     È il conte Orlando, che preso dimora,
     E a tua posta il menerò qui meco,
     Per quello Dio che la mia gente adora.
     Rinaldo, il dì che combattè con seco,
     Di sua gran forza era ammirato ancora,
     E cominciossi tosto a ricordare,
     Ch’altri ch’Orlando nol poteva fare.

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59 E se non fusse la sorella mia,
     Dicea Copardo, che s’è innamorata
     Della sua fama e di sua gagliardia,
     Sarebbe or la sua vita annichilata,
     Perchè il mio padre non lo conoscia;
     Ma poi che vide la terra assediata,
     Gli dette Chiariella per rimedio
     Di liberarlo, per levar l’assedio.

60 Ma per paura lo tien del Soldano,
     E non gli dà di partirsi licenzia;
     Ma tu se’ qui or con armata mano:
     Io ti darò la città in tua potenzia,
     Tanto m’incresce di tal caso strano
     D’un uom sì degno e di tanta eccellenzia:
     La mia sorella tanto amor gli porta,
     Ch’a tradimento daremti una porta.

61 Rinaldo, ch’avea già legato il core
     Per gran dolcezza, abbracciava Copardo,
     E disse: Io sento già tanto fervore
     Del mio cugin, che tutto nel petto ardo;
     So che tu parli con perfetto amore,
     Se bene alle parole tue riguardo:
     E Chiariella, per la fede mia,
     Si loderà della sua cortesia.

62 A mio parer, ritorna alla cittate,
     E dì con Chiariella questo fatto:
     Quando fia tempo poi me n’avvisate,
     Ch’io so che riuscir ci debbe il tratto,
     Ch’io mi confido nella tua bontate,
     Sanza far teco altra convegna o patto.
     E dettegli il cavallo e l’armi sue,
     E presto al padre suo dinanzi fue.

63 L’Amostante dicea: Chi t’ha mandato?
     Copardo disse: Da me son fuggito.
     Rispose l’Amostante: Tu hai fallato;
     Poi disse: Forse è pur miglior partito,
     Chè non t’avessi un giorno là impiccato.
     Copardo a Chiariella sua n’è ito,
     Ed ogni cosa ragionorno insieme,
     E la fanciulla d’allegrezza geme.

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64 Erasi Orlando tornato in prigione,
     Quel dì ch’al campo avea morto Corante:
     La damigella fe conclusione
     Di tradir la sua patria e l’Amostante,
     E rinnegar con questo anco Macone;
     Or vedi questo amor quanto è costante!
     Lasciò Copardo, e vassene ad Orlando,
     Che si vivea all’usato sospirando.

65 E disse: Che diresti tu, barone,
     Se fussi il tuo Rinaldo qua venuto,
     Per liberarti e trarti di prigione,
     E se tu avessi con lui combattuto,
     E mortogli già sotto il suo roncione,10
     Acciò che non ti puossi dare aiuto?
     Non sarebbe ragion, tu confessassi
     Essere ingrato a chi ne domandassi?

66 Or oltre io ti vo’ dir presto ogni cosa,
     E darti una novella, che fia buona,
     Ch’io veggo la tua vita assai dogliosa;
     Sappi che il tuo Rinaldo c’è in persona
     Per trarti di prigion sì tenebrosa,
     Come colui che ’l grande amore sprona:
     Per questo all’Amostante ha mosso guerra,
     E per tuo amor si combatte la terra.

67 Copardo è ritornato, e detto ha questo;
     E perch’io t’ho donato il mio amor tutto,
     L’anima e ’l cuore, e s’altro ci è di resto,
     M’accordo che il mio padre sia distrutto,
     E dare al tuo cugin la città presto,
     Acciò che del mio amor tu vegga il frutto,
     Ch’io non ti pasca più di foglie e fiori,11
     E che tu esca omai di carcer fuori.

68 Orlando, quando intese Chiariella,
     Rispose: Io credo tu fussi mandata
     Il primo dì dal Ciel una angiolella,
     Ch’alla prigion mi ti fusti mostrata;
     E se’ sempre poi stata la mia stella,
     E la mia calamita a te voltata:
     Qual merito, qual fato vuol ch’io sia
     In grazia tanto a Chiariella mia?

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69 Io ti dono le chiavi in sempiterno
     Della mia vita, e tien tu il core e l’alma,
     Io vo’ che il nostro amor si facci eterno;
     Tu se’ colei che l’ulivo e la palma
     M’arrechi, e che mi cavi dello inferno,
     E la tempesta mia converti in calma.
     E non potè più oltre Orlando dire,
     Tanta dolcezza gli parea sentire.

70 Chiariella a Copardo ritornava,
     Ed ordinò che la notte seguente
     Rinaldo venga, ed Orlando cavava
     Di fuor della prigion segretamente;
     Ed a Rinaldo un messaggio mandava,
     E scrisse che venissi arditamente;
     E soggiugnea queste parole appresso:
     Giunta la lettra, sia impiccato il messo.

71 Rinaldo, ch’a questa opera era attento,
     Aveva in punto già le genti armate,
     La lettera ubbidiva a compimento;
     Al messo sue vivande ebbe ordinate,
     E fecegli de’ calci dare al vento:12
     Poi se n’andò alla porta alla cittate,
     Quivi trovava insieme armati in sella
     Copardo con Orlando e Chiariella.

72 Preso la porta, levorno il romore:
     A sacco, a sacco! alla morte, alla morte!
     E muoia l’Amostante traditore,
     E’ suoi seguaci, e tutta la sua corte!
     Il popol si destò tutto a furore,
     Vide i nimici già drento alle porte,
     E chi fuggiva, e chi per arme è corso,
     Chi si nasconde, e chi chiama soccorso.

73 L’Amostante si desta spaventato,
     E sente tanta gente e tante grida;
     Subito alcun de’ servi ha domandato:
     Che vuol dir questo che il popolo strida?
     Il me’ che può si lieva, e fussi armato,
     E corre come cieco sanza guida:
     E non sapea lui stesso ove e’ si vada,
     Chè avea smarrita e la mente e la strada.

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74 Pur s’avviava ove e’ sentia gran zuffa,
     E riscontrossi appunto in Ulivieri,
     Ch’era nel mezzo di questa baruffa,
     E della spada gli dette al cimieri,
     Tanto che ’l colpo ne lieva la muffa,
     Ma non potè piegarlo in sul destrieri:
     Ulivier lo conobbe incontanente,
     E trasse della spada un gran fendente.

75 Aveva un cappelletto di cuoio cotto
     L’Amostante la notte in testa messo,
     Ma Ulivier lo passava di sotto,
     E ’l capo e ’l collo al Saracino ha fesso,
     E fecelo d’arcion giù dare il botto;
     La gente si fuggì che gli era appresso,
     Piena di doglia e terrore e sconforto,
     Sì come avvien quando il signore è morto.

76 Rinaldo avea veduto cader quello:
     Benedetto ti sia, gridò, la mano,
     Ch’a quel cagnaccio partisti il cervello,
     Tu se’ pur de’ baron di Carlo Mano.
     Or qui comincia avviarsi il macello;
     Era venuto un gigante Pagano,
     Che si chiamava il feroce Grandono,
     E gettasi tra questi in abbandono.

77 Ulivier riscontrò quel maladetto,
     E trasselo per forza da cavallo,
     Però ch’al colpo suo non ebbe retto,
     Poi si gittava in mezzo a questo ballo;
     E perchè il popol molto è insieme stretto,
     Colpo non mena che giugnessi in fallo:
     E spesso dava anch’a’ suoi di gran botte,
     Chè d’error pieno è il furore e la notte.

78 E mentre che ’l gigante pur combatte,
     Vi sopraggiunse a caso Luciana;
     Ma quel Grandon, com’a costei s’abbatte,
     Gli dette una percossa assai villana,
     Però che le picchiate sue son matte,
     E finalmente in terra giù la spiana;
     E non sentia mai più nè gel nè caldo,
     Se non che corse a quel furor Rinaldo.

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79 E ripose a caval questa e ’l marchese,
     E domandò chi l’aveva abbattuto.
     Disse Ulivieri: In terra mi distese
     Un gran gigante, e poi non l’ho veduto.
     Mentre che sono in sì fatte contese,
     Orlando a Ricciardetto s’è abbattuto,
     E perchè e’ nol conobbe nella stretta,
     Lui e ’l caval d’un colpo in terra getta.

80 E poi trovò Terigi suo scudiere,
     E sopra l’elmo gli appiccava il brando:
     Per modo che rovina del destriere,
     Benchè l’elmetto non venga spezzando;
     Quando Terigi si vide cadere,
     Dicea fra sè: Dove se’ tu, Orlando?
     Chè stu ci fussi, i’ non sarei cascato,
     E pur cadendo io sarei vendicato.

81 Orlando il riconobbe alle parole:
     Dismontò presto, e chiesegli perdono,
     Dicendo: Del tuo caso assai mi duole,
     Ma che tu monti in sella sarà buono;
     Così sempre la notte avvenir suole.
     Diceva Orlando: Or gli altri dove sono?
     Aresti tu veduto Ricciardetto,
     O Ulivier? ch’i’ ho di lor sospetto.

82 Disse Terigi: Ulivier vidi dianzi,
     Che cacciava una turba di Pagani;
     Ma Ricciardetto è in terra qui dinanzi,
     E stato sarai tu colle tue mani:
     Credo che poco di vita gli avanzi;
     Morto l’aranno questi cani alani.
     Orlando guarda, e Ricciardetto vede
     Che si difende con la spada a piede.

83 E grida: Ah, Ricciardetto, hai tu paura?
     Orlando è teco; tu non puoi perire,
     Chè sai ch’io ho fatata la ventura;
     Quel che t’ha fatto della sella uscire,
     È stato un gran tuo amico, o tua sciagura.
     Quando Ricciardo sentì così dire,
     Disse: Per certo io mi maravigliai,
     Chè con un colpo io e ’l caval cascai.

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84 E dissi fra me stesso: Ecci Pagano,
     Il qual dovessi aver tanto valore?
     Allora Orlando stringe il brando in mano,
     E gettasi là in mezzo del furore,
     E grida: Ah, traditor popol villano,
     Con un soletto acquistar credi onore?
     A drieto, Saracin, canaglia, porci,
     Che Ricciardetto mio credete torci.

85 E Ricciardetto in sul caval rimonta,
     E di Rinaldo cercan per la terra,
     Tanto che Orlando e Rinaldo s’affronta,
     E cominciorno a rinforzar la guerra;
     E Chiariella i suoi peccati sconta,
     Che spesse volte si truova a gran serra,
     E con fatica ha salvata la vita,
     Chè da Copardo e gli altri era smarrita.

86 Combatteron costor tutta la notte;
     Ma i terrazzani alfin domandon patti
     Ch’avien le membra faticate e rotte,
     E dubitavan non esser disfatti:
     Era tra lor delle persone dotte;
     Poson giù l’arme con questi contratti,
     Che la città sia lor liberamente,
     Salvando tutta la roba e la gente.

87 Era apparito in oriente il giorno,
     E Chiariella a Rinaldo ne viene,
     E sì diceva: Cavaliere adorno,
     Le cose veggo omai che vanno bene.
     E tutti insieme al gran palazzo andorno;
     Rinaldo per la man Copardo tiene,
     E molte cose con esso favella;
     Orlando sempre allato ha Chiariella.

88 Vennevi il popol tutto la mattina
     A visitar costor come signori;
     Rinaldo parla con molta dottrina:
     O Chiariella, quanto m’innamori!
     Di questa terra vo’ che sia reina
     Pe’ beneficj e i servigi e gli onori,
     Per non parer per nessun modo ingrato,
     E ’l tuo Copardo re sia coronato.

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89 E fe’ dell’Amostante ritrovare
     Il corpo, e poi gli dette sepultura,
     E tutta la città fece ordinare;
     Orlando d’ogni cosa gli diè cura,
     E sta con Chiariella a motteggiare,
     Quando cavalca insin fuor delle mura.
     Ed ogni dì se ne vanno a sollazzo:
     Rinaldo governava nel palazzo.

90 Or ci convien lasciar costoro un poco;
     Il Soldan si tornava a Babillona,13
     Fatta la pace, e messo Orlando in loco
     Che pensò che lasciassi la persona:
     Sentì come era acceso un altro foco,
     E come egli era morta la Corona
     Dell’Amostante, e presa la sua terra,
     E cominciava a dubitar di guerra.

91 In drieto verso Persia ritornava
     Col campo tutto per miglior partito,
     E presso a poche leghe s’accampava;
     E ’ntese meglio il caso come era ito:
     Un suo messaggio alla città mandava,
     E duolsi,l’Amostante sia perito,
     Ma che comunche la cosa si sia,
     Che s’appartiene a lui la signoria.

92 E se Rinaldo la terra non lascia,
     Che s’apparecchi di difender quella;
     Se non che gli darà di molta ambascia:
     E troppo biasimava Chiariella,
     Che come meretrice, anzi bagascia14
     D’Orlando, il tradimento avea fatt’ella;
     Ed era un barbassor molto stimato
     Colui che imbasciadore avea mandato.

93 Giunse al palazzo, ove ciascun dimora,
     Il barbassoro, e spose la ’mbasciata:
     Quel Macometto, che per noi s’adora
     Distrugga questa gente battezzata;
     E ’l mio signor ch’è nel campo di fuora,
     E la sua figlia, c’ha l’arma incantata,
     Famosa e forte, che si chiama Antea,
     Salvi e mantenga; in tal modo dicea

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94 E guardi e salvi ciascun Saracino,
     E spezialmente que’ del gran Soldano;
     E viva Trivigante ed Apollino,
     E sia distrutto ogni fedel cristiano;
     E sopra tutti Orlando paladino,
     E ’l superbo signor di Montalbano,
     Astolfo, col Danese, ed Ulivieri,
     E Carlo, e Francia, e tutti i cavalieri.

95 Rinaldo non potè più tanto orgoglio
     Sofferir del Pagan bestiale e matto,
     Che par che gli abbi trovati tra l’oglio;
     Disse a Orlando: Io vo’ fare un bel tratto,
     Ch’io so punire i pazzi, quand’io voglio:
     Vedrem come a saltar costui fia adatto,
     O com’egli abbi la persona destra.
     E ’n piazza lo gittò d’una finestra.

96 La novella al Soldan n’andò di volo;
     Donde il Soldan si duol molto aspramente,
     E minacciava apparecchiar lo stuolo,
     E la città assediar con la sua gente;
     Veggendol la sua figlia in tanto duolo,
     Diceva: La ragion ti reco a mente,
     Che non dovea però il tuo barbassoro
     Parlar come si dice in concestoro.

97 Per quel ch’io intendo, e’ disse cose strane;
     Se vuoi che la ’mbasciata da tua parte
     Udita sia dalle gente cristiane,
     Non ti bisogna altro messaggio o carte:
     Lascia andar me, che con parole umane
     Dirò con miglior modo e miglior arte;
     E so ch’io tornerò con la risposta.
     Donde il Soldan rispose: Va’a tua posta.

98 Questa fanciulla udito avea per fama
     Rinaldo nominar molto in Soria;
     E perchè le virtù molto quella ama,
     S’innamorò della sua gagliardia.
     Or s’alcun vuol saper come si chiama,
     Quantunque il barbassor detto l’avia,
     Replicheren ch’ell’avea nome Antea,
     E tutte sue bellezze eran di dea.

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99 E’ parevon di Danne15 i suoi crin d’oro,
     Ella pareva Venere nel volto;
     Gli occhi stelle eran dell’eterno coro,
     Del naso avea a Giunon l’esemplo tolto;
     La bocca e’ denti d’un celeste avoro,
     E ’l mento tondo e fesso e ben raccolto;
     La bianca gola e l’una e l’altra spalla
     Si crederia che tolto avessi a Palla.

100 E svelte, e destre, e spedite le braccia
     Aveva, lunga e candida la mana,
     Da potere sbarrar ben l’arco a caccia,
     Tanto che in questo somiglia Diana:
     Dunque ogni cosa par che si confaccia,
     Dunque non era questa donna umana:
     Nel petto larga quanto vuol misura,
     Proserpina parea nella cintura.

101 E Deiopeia pareva ne’ fianchi,
     Da portare il turcasso, e le quadrelle;
     Mostrava solo i pie’ piccoli e bianchi;
     Pensa che l’altre parte anch’eran belle,
     Tanto che nulla cosa a costei manchi:
     A questo modo fatte son le stelle,
     E vadinsi le ninfe a ripor tutte,
     Chè certo allato a questa sarien brutte.

102 Avea certi atti dolci e certi risi,
     Certi soavi e leggiadri costumi,
     Da fare spalancar sei paradisi,
     E correr sù pe’ monti all’erta i fiumi,
     Da fare innamorar cento Narcisi,
     Non che Gioseppe per lei si consumi:
     Parea ne’ passi e l’abito Rachele,
     Le sue parole eran zucchero e mèle.

103 Era tutta cortese, era gentile,
     Onesta, savia, pura e vergognosa,
     Nelle promesse sue sempre virile,
     Alcuna volta un poco disdegnosa,
     Con un atto magnalmo e signorile,
     Ch’era di sangue e di cor generosa:
     Eron tante virtù raccolte in lei,
     Che più non è nel mondo, o fra gli Dei.

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104 Sapeva tutte l’arti liberali,
     Portava spesso il falcon pellegrino,
     Feriva a caccia lioni e cinghiali:
     Quando cavalca un pulito ronzino,
     E correr nol facea, ma mettere ali,
     Da ogni man lo volgeva latino;16
     E nel voltar, chi vedeva da parte,
     Are’ giurato poi che fussi Marte.

105 Questo cavallo al Soldan fu mandato,
     Che gliel mandò l’arcaito Almansore,
     Di Barberia, e in Arabia era nato,
     Nè mai si vide il più bel corridore;
     Il padre a questa l’aveva donato,
     Però che molto l’aveva nel core:
     Tra falago e sdonnino era il mantello,
     Nè vedrà mai Soria simile a quello.

106 Egli avea tutte le fattezze pronte
     Di buon caval, come udirete appresso,
     Perchè nato non sia di Chiaramonte:
     Piccola testa, e in bocca molto fesso;
     Un occhio vivo, una rosetta in fronte;
     Larghe le nari; e ’l labbro arriccia spesso;
     Corto l’orecchio, e lungo e forte il collo;
     Leggier sì, ch’a la man non dava un crollo.

107 Ma una cosa nol faceva brutto,
     Ch’egli era largo tre palmi nel petto,
     Corto di schiena, e ben quartato tutto,
     Grosse le gambe, e d’ogni cosa netto,
     Corte le giunte, e ’l piè largo, alto, asciutto,
     E molto lieto e grato nello aspetto;
     Serra la coda, e anitrisce e raspa,
     Sempre le zampe palleggiava e innaspa.

108 Il primo dì ch’Antea volle provallo,
     Fe cose in Babillona in su la piazza,
     Che fu troppo mirabil sanza fallo
     Quand’ella vide così buona razza,
     E le virtù del possente cavallo,
     Vennegli voglia portar la corazza,
     E da quel tempo cominciò armarsi,
     E in giostre e ’n torniamenti esprimentarsi.

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109 Poi cominciò in battaglia andare armata
     Come Camilla o la Pantesilea,
     E la sua armadura era incantata,
     Che nessun ferro tagliar ne potea;
     Era in Domasco suta lavorata,
     Fornita d’oro, e più che ’l Sol lucea;
     E quanti cavalier giostran con quella,
     Tanti gittati avea fuor della sella.

110 Eran venuti di tutto Levante,
     Di Persia, di Fenicia, e dello Egitto,
     Ed alcun cavalier famoso errante,
     Ognuno aveva abbattuto e sconfitto;
     Nessun baron più gli veniva avante,
     Che colla lancia non lo facci al gitto;
     E ’nsino al ciel la fama risonava,
     E Babillonia e ’l Soldan l’adorava.

111 E maraviglia non è che l’adori,
     Ch’ogni suo effetto pareva divino
     Al tutto dello uman costume fuori;
     Massime là quel popol saracino,
     Ch’era già avvezzo a mille antichi errori,
     Come si legge di Belo e di Nino:17
     Donde e’ credevon certo che costei
     Fussi nata del seme degli Dei.

112 E’ si potre’ mill’altre cose ancora
     Delle virtù di questa donna dire;
     Ma perchè e’ fugge il tempo, e così l’ora,
     La nostra storia ci convien seguire:
     E se talvolta un bel canto innamora,
     Pure alfin piace nuove cose udire;
     Così direm nel bel cantar seguente,
     Acciò che a tutti consoli la mente.

Note

  1. [p. 342 modifica]arcaito. Titolo di dignità militare presso i Maomettani.
  2. [p. 342 modifica]rubicondo. Fiero, valoroso.
  3. [p. 342 modifica]stare in contumace. Stare in prigione.
  4. [p. 342 modifica]Ch’uscito sare’ fuor del seminato. Uscir del seminato vale perdere l’intelletto, impazzare. I Latini dicevano delirare, che significa in sostanza lo stesso, essendo formato dello [p. 343 modifica]preposizione de, e della voce lira, la quale, secondo Columella, significa lo stesso che porca, cioè quel rialto di terra che rimane fra l’un solco e l’altro, e dove si sparge il seme.
  5. [p. 343 modifica]cincischi. Cincischiare significa tagliare disegualmente e male, come fanno i ferri mal taglienti.
  6. [p. 343 modifica]il cervel bugio. Il cervello bucato, cioè guasto.
  7. [p. 343 modifica]alla callaia. Al varco, al passo.
  8. [p. 343 modifica]facea gran tagliata. Cioè, minacciava con molte parole, e bravando.
  9. [p. 343 modifica]con poco vino. Facilmente.
  10. [p. 343 modifica]roncione. Cavallo; lo stesso che ronzone.
  11. [p. 343 modifica]di foglie e fiori. Cioè, di semplici apparenze d’amore.
  12. [p. 343 modifica]E fecegli de’ calci dare al vento. Lo fece impiccare; il che si dice anche dar calci al rovaio, che è il vento di tramontana.
  13. [p. 343 modifica]Babillona. Babilonia.
  14. [p. 343 modifica]anzi bagascia. Bagascia è lo stesso che meretrice, ma più abietta e più vile, e tal differenza è indicata dal Poeta colla particella anzi. Viene forse, secondo il Menagio, dal tedesco balg, che significa pelle, e concubina, siccome scortum presso i Latini. Altri però trasse questa voce da vagus, per questo che i Latini indicarono alcuna volta col nome di vaganti o vagabonde le femmine di mondo, come si cava da Plauto nel Soldato Millantatore, ove dice: «Te alloquar, vitii probrique plena, quæ circum vicinos vagas.» Atto II, sc. 5.
  15. [p. 343 modifica]Danne. Dafne, ninfa.
  16. [p. 343 modifica]latino. Avverbialmente, alla usanza latina.
  17. [p. 343 modifica]di Belo e di Nino. Il Belo babilonese che molti vogliono esser lo stesso che il Belo egiziano, fu, secondo i Greci, figliuolo di Nettuno e di Libia, e condusse una colonia in Babilonia, sulle rive dell'Eufrate. Nino fu re d’ Assiria.