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316 il morgante maggiore.

74 Pur s’avviava ove e’ sentia gran zuffa,
     E riscontrossi appunto in Ulivieri,
     Ch’era nel mezzo di questa baruffa,
     E della spada gli dette al cimieri,
     Tanto che ’l colpo ne lieva la muffa,
     Ma non potè piegarlo in sul destrieri:
     Ulivier lo conobbe incontanente,
     E trasse della spada un gran fendente.

75 Aveva un cappelletto di cuoio cotto
     L’Amostante la notte in testa messo,
     Ma Ulivier lo passava di sotto,
     E ’l capo e ’l collo al Saracino ha fesso,
     E fecelo d’arcion giù dare il botto;
     La gente si fuggì che gli era appresso,
     Piena di doglia e terrore e sconforto,
     Sì come avvien quando il signore è morto.

76 Rinaldo avea veduto cader quello:
     Benedetto ti sia, gridò, la mano,
     Ch’a quel cagnaccio partisti il cervello,
     Tu se’ pur de’ baron di Carlo Mano.
     Or qui comincia avviarsi il macello;
     Era venuto un gigante Pagano,
     Che si chiamava il feroce Grandono,
     E gettasi tra questi in abbandono.

77 Ulivier riscontrò quel maladetto,
     E trasselo per forza da cavallo,
     Però ch’al colpo suo non ebbe retto,
     Poi si gittava in mezzo a questo ballo;
     E perchè il popol molto è insieme stretto,
     Colpo non mena che giugnessi in fallo:
     E spesso dava anch’a’ suoi di gran botte,
     Chè d’error pieno è il furore e la notte.

78 E mentre che ’l gigante pur combatte,
     Vi sopraggiunse a caso Luciana;
     Ma quel Grandon, com’a costei s’abbatte,
     Gli dette una percossa assai villana,
     Però che le picchiate sue son matte,
     E finalmente in terra giù la spiana;
     E non sentia mai più nè gel nè caldo,
     Se non che corse a quel furor Rinaldo.