74 Pur s’avviava ove e’ sentia gran zuffa,
E riscontrossi appunto in Ulivieri,
Ch’era nel mezzo di questa baruffa,
E della spada gli dette al cimieri,
Tanto che ’l colpo ne lieva la muffa,
Ma non potè piegarlo in sul destrieri:
Ulivier lo conobbe incontanente,
E trasse della spada un gran fendente.
75 Aveva un cappelletto di cuoio cotto
L’Amostante la notte in testa messo,
Ma Ulivier lo passava di sotto,
E ’l capo e ’l collo al Saracino ha fesso,
E fecelo d’arcion giù dare il botto;
La gente si fuggì che gli era appresso,
Piena di doglia e terrore e sconforto,
Sì come avvien quando il signore è morto.
76 Rinaldo avea veduto cader quello:
Benedetto ti sia, gridò, la mano,
Ch’a quel cagnaccio partisti il cervello,
Tu se’ pur de’ baron di Carlo Mano.
Or qui comincia avviarsi il macello;
Era venuto un gigante Pagano,
Che si chiamava il feroce Grandono,
E gettasi tra questi in abbandono.
77 Ulivier riscontrò quel maladetto,
E trasselo per forza da cavallo,
Però ch’al colpo suo non ebbe retto,
Poi si gittava in mezzo a questo ballo;
E perchè il popol molto è insieme stretto,
Colpo non mena che giugnessi in fallo:
E spesso dava anch’a’ suoi di gran botte,
Chè d’error pieno è il furore e la notte.
78 E mentre che ’l gigante pur combatte,
Vi sopraggiunse a caso Luciana;
Ma quel Grandon, com’a costei s’abbatte,
Gli dette una percossa assai villana,
Però che le picchiate sue son matte,
E finalmente in terra giù la spiana;
E non sentia mai più nè gel nè caldo,
Se non che corse a quel furor Rinaldo.