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canto decimoquinto. 321

99 E’ parevon di Danne15 i suoi crin d’oro,
     Ella pareva Venere nel volto;
     Gli occhi stelle eran dell’eterno coro,
     Del naso avea a Giunon l’esemplo tolto;
     La bocca e’ denti d’un celeste avoro,
     E ’l mento tondo e fesso e ben raccolto;
     La bianca gola e l’una e l’altra spalla
     Si crederia che tolto avessi a Palla.

100 E svelte, e destre, e spedite le braccia
     Aveva, lunga e candida la mana,
     Da potere sbarrar ben l’arco a caccia,
     Tanto che in questo somiglia Diana:
     Dunque ogni cosa par che si confaccia,
     Dunque non era questa donna umana:
     Nel petto larga quanto vuol misura,
     Proserpina parea nella cintura.

101 E Deiopeia pareva ne’ fianchi,
     Da portare il turcasso, e le quadrelle;
     Mostrava solo i pie’ piccoli e bianchi;
     Pensa che l’altre parte anch’eran belle,
     Tanto che nulla cosa a costei manchi:
     A questo modo fatte son le stelle,
     E vadinsi le ninfe a ripor tutte,
     Chè certo allato a questa sarien brutte.

102 Avea certi atti dolci e certi risi,
     Certi soavi e leggiadri costumi,
     Da fare spalancar sei paradisi,
     E correr sù pe’ monti all’erta i fiumi,
     Da fare innamorar cento Narcisi,
     Non che Gioseppe per lei si consumi:
     Parea ne’ passi e l’abito Rachele,
     Le sue parole eran zucchero e mèle.

103 Era tutta cortese, era gentile,
     Onesta, savia, pura e vergognosa,
     Nelle promesse sue sempre virile,
     Alcuna volta un poco disdegnosa,
     Con un atto magnalmo e signorile,
     Ch’era di sangue e di cor generosa:
     Eron tante virtù raccolte in lei,
     Che più non è nel mondo, o fra gli Dei.