Mia/VIII
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VIII.
Maggio e i suoi fiori, maggio e il suo cielo sereno, le sue nuvole passeggere e i suoi tepori precoci! Maggio che sorride alla villa d'Astianello, e Milla che sorride alle rose di maggio e d'Astianello.
In giardino ce n'è un'infinità, di tutte le qualità, di tutti i colori; ce n'è persino una tutta verde, che non è punto bella, e il cui arbusto costa un occhio del capo.
È una rarità, s'intende. Quella onesta varietà della specie avrebbe il buon senso di non voler nascere a casa nostra, ben sapendo quanto sfiguri in mezzo alle sue splendide sorelline. Ma noi, anzichè saperle grado del suo accorgimento estetico e della sua ritrosia, ne la cast ighiamo sforzandola invece a crescere stentatamente e a fiorire di mala voglia nei nostri giardini.
Milla è stata china, a guardar la macchia, per un po' di tempo. Finalmente si rizza, e, voltandosi, chiama:
— Giuliano!
Ogni traccia di malattia è scomparsa dal suo visino il quale è ormai più tondeggiante e suffuso d'un lieve incarnato. La personcina è sempre snella e minuta, ma le angolosità d'un tempo si vedono più. Milla veste un'elegantissima matinèe di mussola bianca ricamata, adorna d'un profluvio di fiocchi azzurri e fiorellini rosa.... Sta veramente benino quella gentile creatura; il vento fresco del mattino le ha alquanto scomposta la capigliatura, ed i capelli biondi piovono alla rinfusa sulla fronte, adombrando quei cari occhi castani, pieni di luce, di gioia e d'amore.
— Giuliano! — ripetè a voce più alta, voltandosi verso la finestra d'un salottino a terreno.
Giuliano, obbedendo a quel gaio appello, comparve finalmente nel vano interno della finestra. Il suo busto emergeva nello sfondo bruno del vuoto, e la sua faccia campeggiava bene, così bianca, e con tanto oro di capelli e di barba. Guardandolo, però, pareva un poco invecchiato, e, sotto ai suoi begli occhi azzurri, alcune rughette, appena percettibili, s'eran dato convegno. Aveva anch'egli un'espressione ilare e soddisfatta, ed il profumo del suo biondo sigaro d'Avana giungeva sino alla macchia delle rose, mischiandosi in istrana guisa coi loro forti e vari olezzi.
Milla lasciò la macchia e s'accostò al davanzale. Colla destra teneva sola la famosa rosa verde, colla sinistra serrava un mazzo di stupende rose Gloire de Dijon.
— Sai, Giuliano, non mi piace!
— Cosa?
— Questa rosa.
— E perchè non ti piace?
— Perchè non è una rosa schietta come le altre; ha voluto far l'originale, e ciò non va bene.
— No?...
— No! bisogna aver buon senso, e fare ciò che fanno gli altri. E di ciò son tanto persuasa, che non voglio predicar bene e razzolar male. Non voglio essere come la rosa verde. Dunque, a giugno, andremo ai bagni!
— Ma, mia cara, che bisogno c'è di andare ai bagni, se non ne hai voglia? Potremmo benissimo rimanere qui.
— Sì, che ne ho voglia! E poi è giusto; so che, a lungo andare, la campagna ti annoia. Andremo ai bagni.... dove vorrai tu, ben inteso, e poi.... torneremo qui! Ah, qui si sta così bene, non è vero?
— Certo! — disse allegramente Giuliano; ma un'ombra fuggitiva gli passò sulla fronte.
— Dunque — ricominciò Milla — dove andiamo? a San Moritz?
— Eh! vada per San Moritz.
— O a Recoaro, Lucca, Sorrento, Villa d'Este? Basta, decideremo poi. Già, abbiamo tutto il mese per pensarvi. E quest'inverno, per un mese o due, torneremo a Napoli?
— Certo, dove vuoi! Ammenochè gli affari....
— Oh! gli affari! — disse Milla con un'adorabile smorfietta. — Sai che sei insoffribile con questi affari! Dacchè ti sei messo in capo di rivendicare quei possessi nel Genovesato, ti sei cacciato a capo fitto, nei litigi, nei processi, nei consulti d'avvocati, tanto che mi diventi tu pure un vero leguleio.
Rideva, così dicendo, e cercava invano d'assumere un'aria indispettita; ma in cuor suo era tutt'altro che avversa alle occupazioni di Giuliano. Le avevan detto, e s'era persuasa, che una occupazione indefessa, accaparrante poteva benissimo riescire una salvaguardia.
— Orsù — continuò con una soave ipocrisia di pazienza — speriamo che si possa andare a Napoli. Ti ricordi di Napoli?
— Sì — diss'egli lietamente, rimovendo la cenere dall'estremità dello sigaro.
— Oppure, andremo a Nizza. E di Nizza ti rammenti?
— Sì — disse ancora Giuliano, ma non lo disse lietamente.
— Oh! io mi ricordo, sai! La passeggiata degli Inglesi, il Circolo della Méditerranée, et la place Massena, e il Restaurant français, dove abbiam fatta quella famosa colazione. E il Vallon obscur? E Cannes? E Montecarlo? A proposito, bada che, se andiamo a Nizza, stavolta voglio proprio venire anch'io a Montecarlo.
Egli aggrottò le ciglia e parve scontento.
— Oh, bella! — continuò Milla, sempre più infervorata nei suoi progetti. — Ci vanno tutti, ci voglio andare anch'io. E voglio vedere a giocare; chissà che non m'arrischi io pure; sapessi quanto mi rincrebbe di non poter venir con te il giorno in cui ci andasti! Ti ricordi di quel giorno? Non mi sentivo bene, e rimasi a casa. Non volevo far parere, ma mi struggevo di venir anch'io a Monaco!
Giuliano fece una strana smorfia, e balbettò fra i denti qualche parola.
— Ma stavolta — continuò Milla — questo capriccio me lo voglio levare. Sissignore, giocherò anch'io, e vedremo se la perdita di qualche migliaio di lire farà venire, a me pure, la faccia da scomunicato che avevi tu, la sera, quando tornasti.
Le venne voglia di ridere, e rise infatti, celando il visino nella profumata bianchezza delle rose.
Egli s'era voltato bruscamente; per buttar via lo sigaro.
Una brezza freschina passava di lì, suscitando nell'erba un tremolìo di amoerro, e facendo dimenar le cime alle rose, come se fossero tante testine di piccole fate dubbiose. Milla alzò di nuovo il viso, aspirando con gioia la frescura di quell'arietta.
Girò attorno lo sguardo, vide quella bella villa signorile, così idilica, colla sua verde cintura di arrampicanti. Vide il giardino ridente e il piano maestoso e i colli vicini, e tutto ciò le parve bellissimo. Allora pensò che Giuliano, il suo fedele Giuliano, era pure molto bello. E la vita dunque non era forse bellissima anch'essa?... Chiuse gli occhi, e, paga, col cuore riboccante di gratitudine e di dolcezza gioconda, mormorò sommessamente:
— Oh Giuliano! come sono felice!
Rimase per un istante come raccolta nel pensiero della sua felicità, mentre Giuliano, pallido, tormentava fra le dita paffute, i ciondoli del suo orologio.
Milla schiuse gli occhi e diede un sospiro.
— Che peccato che tu debba sempre andar laggiù, a Genova a conferire con quell'avvocato! Non potrebbe venir qui lui ogni tanto?...
— Impossibile! — rispose recisamente Giuliano, mordendosi le labbra. — Ma sarò assente per pochi giorni, te lo prometto.
— E penserai a me? — chiese timidamente Milla, ridendo, e colla vaga intuizione di dire una gran sciocchezza.
— E tu, penserai a me? — rispose Giuliano, colla coscienza di dir cinque parole orribilmente vane e stonate.
— Uhm! — rispose Milla — secondo.... se avrò tempo. Perchè, — soggiunse con un fare soavemente biricchino — se tu hai delle occupazioni.... può darsi che ne abbia anch'io.... e che siano importanti come le tue.
Egli la guardò, con un'espressione indefinibile.
— Come?... — mormorò — che intendi dire?...
— Sei curioso, eh? Ci ho gusto. Oh bella! perchè non avrei anch'io i miei affari.... come li hai tu?...
— Perchè.... — ripetè Giuliano — perchè?...
— Via, via, non far quegli occhiacci. Sai pure che di affari, propriamente detti, non posso sentir a parlare per cinque minuti consecutivi, senza addormentarmi. Ho piena coscienza che, se me ne immischiassi, non sarei nulla più d'una guastamestieri; e poi non sei forse tu che te ne occupi, che pensi e provvedi a tutto onde risparmiarmi ogni briga?
Un profondo ed amaro turbamento si dipinse per un secondo sul volto di Giuliano.
— Cara Milla!... — sussurrò quasi involontariamente, con voce soffocata.
— Zitto là, Giuliano, e torniamo a bomba. Dicevo dunque che le mie occupazioni, le ho anch'io. Ammetto che non somiglino alle tue, ma ciò non scema la loro importanza, e un giorno o l'altro.... forse.... ne vedrai il risultato.
— Oh! oh! — disse Giuliano, ch'era tornato a rasserenarsi, — e non si può saper niente ora?
— Niente affatto. È una sorpresa; resterai con tanto di naso.
E rideva, allegra come una bambina, assaporando anticipatamente la sorpresa e la soddisfazione di suo marito.
Questi le afferrò una mano, abbandonata sul davanzale.
— Milla! — chiese con accento rotto ed angoscioso — Milla! sei felice, nevvero?
Milla tralasciò di ridere. Sporgendosi colla persona oltre il davanzale, chinò il capo sulla spalla di lui. Egli sentiva il battere concitato di quel vero cuor di donna e il calore di quella fronte, ove piovevano scomposti i ricciolini d'oro.
Drelin, drelin, drelin.... la campanella della colazione!
Si divisero ridendo, movendosi entrambi, l'una al di qua, l'altro al di là della finestra, e riuscirono ad incontrarsi sotto il portico.
— A proposito, — disse Milla a suo marito, — ricordati stavolta, di portarmi il pan douce e i canditi. E quando avrai finiti i tuoi affari, andremo ai bagni. — Non voglio essere la rosa verde, — soggiunse ridendo e appuntandosi sul petto una delle rose bianche.
* * * * *
Giuliano partì il giorno susseguente. Milla tenne dietro, sino oltre il cancello del viale all' elegante phaèton che, guidato dal Duca stesso, s'avviava verso la stazione. Poi tornò indietro, asciugandosi gli occhi un po' rossi. Si fermò a terreno e mandò a chiamar Drollino.
— Senti, Drollino, — gli disse appena se lo vide davanti, serio e muto come al solito, — di devi fare un piacere. Sceglimi in scuderia una bestia buona, sicura, proprio quieta.
— Ci sarebbe Calif, — rispose Drollino, dopo aver pensato alquanto.
Calif, ai suoi giorni, era stato un fiero corridore, ma ora era vecchietto assai e aveva smesso ogni baldanza.
— Bravo! Calif; per l'appunto. Sai cosa voglio fare?... Voglio montare a cavallo.
— Lei! — disse Drollino attonito.
Era noto a tutti, nella tenuta, che quell'angiolo della Duchessa aveva sempre avuto una paura terribile dei cavalli.
— Sicuro.... — continuò Milla. — Il Duca avrebbe tanto caro che imparassi. E ora, capisci, approfittando delle sue assenze, voglio fargli questa sorpresa.
Drollino represse una specie d'amaro sorriso, e stette immobile, ascoltando.
— A Nizza avevamo provato, in maneggio; ma sai, non vi riuscivo bene. Ho paura di non esser molto coraggiosa.... Oppure non sapevano insegnarmi. Ma ora, m'insegnerai tu, nevvero?
— Io? — disse impetuosamente, quasi spaventato, Drollino.
— Tu, sì.... — rispose Milla ridendo — cominciando da oggi. Ho la sella e tutto l'occorrente. Va a far sellare Calif, e aspettami in maneggio. Io mi vestirò frattanto, e fra mezz'ora scenderò.
E così accadde che Drollino divenne ipso facto maestro di equitazione della Duchessa.
Sulle prime, la cosa durò fatica ad avviarsi. Milla era terribilmente impacciata nella sua lunghissima gonnella di amazzone, e non sapeva raccapezzarsi in nulla. Era molto bellina però, e nell'ampiezza del maneggio la sua figurina delicata, acquistava una nuova leggiadria. Il collo pareva veramente finissimo, quasi esile, così stretto nel collettino ritto, fortemente insaldato, o compito alla chiusura da un nodo di cravatta color verde cupo. Il visino tanto giovane e fresco, coi capelli, strettamente raccolti sulla nuca, e adombrato dalla breve falda d'un pioppino inglese, pareva quello d'un giovanotto di primo pelo. Drollino durava fatica talvolta a non distrarsi, guardandola in quell'aspetto nuovo, che tanto armonizzava colle aspirazioni della sua irresistibile vocazione. E per due ore al giorno, sinchè fu assento il Duca, egli si trovò colla Duchessa, così vestita e affidata completamente a lui. Toccò a lui a metterla in sella, a insegnarle il maneggio delle redini, le chiamate, le attitudini. Milla trovava la cosa ancor più seria di quanto s'era immaginata; non andava avanti che a furia di buona volontà, facendo sforzi eroici per vincere la paura. Ma questa ogni tanto ritornava, invincibile, e Milla, nei suoi sgomenti irragionevoli, temendo sempre di cadere, smarrita, soffocando la voglia di gridare, afferrava con mano convulsa il braccio di Drollino. Questi sentiva alla sua volta uno strano rimescolìo, un intimo turbamento lo sconvolgeva tutto. Ma senza fermarsi a chiedere cosa fosse, lo dominava, e, calmo egli stesso, rassicurava la Duchessa, ripetendole, col suo accento vibrato, di non temere, di fidarsi di lui. Le faceva animo; con un sorriso che aveva qualcosa d'imperioso e di supplichevole ad un tempo, con qualche raro: — Brava! — Milla si fidava, e ciò le giovava immensamente. Persisteva nella sua impresa, sostenuta dal pensiero che tutte queste difficoltà le incontrava per Giuliano, per procurargli il piacere di una sorpresa. E nei momenti critici, quando le pareva proprio di non poter più reggersi in sella, guardava intensamente Drollino, attingendo il sangue freddo nella calma scintillante di quello sguardo, certa che, in ogni caso, la mano di lui l'avrebbe sorretta. Ah, sì, Drollino era proprio un buon maestro!
Siccome il tempo era limitato, le lezioni si ripetevano ogni giorno, benchè, a dir vero, quell'esercizio violento, al quale non era abituata, stancasse non poco la Duchessa. Quando scendeva di sella, a mala pena si reggeva in piedi, e bene spesso, per uscir dal maneggio, doveva appoggiarsi al braccio di Drollino. Oh, com'era stanca.... tanto, che s'abbandonava quasi, così spossata com'era, sul saldo braccio del giovane maestro.
Il ritorno del Duca pose fine al primo periodo delle lezioni.
Egli era pallido, sbattuto; ma ne accagionò presso Milla la stanchezza della nottata, trascorsa in ferrovia. Era un po' nervoso, un po' inquieto; gli affari si complicavano, ma egli voleva spuntarla ad ogni costo, e però gli toccherebbe d'assentarsi ancora, forse, più volte. Portò, oltre ai pandouce ed ai canditi, una splendida collana di corallo e una ventina di gingilli in filagrana. Milla ne fu così lieta che si mise a piangere di contentezza, e non rifiniva di ringraziare suo marito. Ma Giuliano non pareva gustare moltissimo quella sfuriata di ringraziamenti, e forse per interromperli chiese d'un tratto:
— E la sorpresa?
— Non ancora — rispose Milla ridendo — sarà per quest'altra volta.
Ma non fu nemmeno per «quest'altra volta,» benchè, appena ripartito Giuliano, la Duchessa ricominciasse di gran lena le lezioni con Drollino. Quando il Duca tornò, non s'era per anco usciti dal maneggio. Stavolta le portò in regalo un anello in brillanti, ma non chiese della sorpresa. E, in capo a quindici giorni, ricevette delle lettere d'affari che l'obbligarono a ripartire.
Milla, che sulle prime, e per la ragione che sappiamo, aveva fatto buon viso alle nuove occupazioni di Giuliano, cominciava a trovarle ora un tantino indiscrete. Ora per l'appunto, quando egli era diventato così dolce, così compiacente, così premuroso per lei, glielo portavano sempre via.... sempre.... quei benedetti affari!
Milla era veramente felice, dimenticava il passato come si dimentica un brutto sogno. Giuliano s'era completamente ravveduto da quella sciagurata sorpresa dello scorso autunno. In fin dei conti, un po' di colpa ce l'aveva avuta anche lei, colla sua imprudenza. No, ora capiva bene com'è l'esistenza. Bisogna esser prudente, fuggire le occasioni, non mettere la paglia accanto al fuoco! Ora non c'era più pericolo di sorta, ed ella ormai era sicura di nuovo, meglio anzi di prima, del cuore di Giuliano!
Il giorno dopo la terza partenza di suo marito, Milla, nello scendere in maneggio, ebbe una sorpresa. Invece di Calif, trovò ad aspettarla Mia, già insellata e tenuta a mano da Drollino.
Esitò un momento, guardando il giovane.
Egli arrossì, ma disse dolcemente:
— Salga, signora Duchessa.
E quando l'ebbe bene adagiata sulla sella, soggiunse a bassa voce:
— Ho pensato che adesso, coi progressi che abbiamo fatto, sarebbe bene di provare un cavallo nuovo.
— Ma non ti rincresce? — chiese Milla ridendo.
— No — rispose Drollino — e lei ci avrà più piacere a cavalcare Mia.
Infatti, era tutt'altra cosa! Mia aveva il boccato straordinariamente fino, le mosse pronte e leggere. Milla a poco a poco smetteva la paura, e prendeva a gustare l'indicibile soddisfazione del cavalcare. Cominciava a tenersi bene in sella, ad acquistare destrezza e disinvoltura; e Drollino provava un grande orgoglio quando vedeva la leggiadra amazzone, franca ormai e sicura, sul dorso di Mia. Gli parevano tutt'e due, nella bellezza aristocratica delle rispettive loro razze, creature privilegiate, incomparabilmente pregevoli. Entrambe in quel momento gli erano soggette, entrambe egli guidava colla voce, col gesto, collo sguardo; sentiva per entrambe come una bizzarra analogia di ammirazione appassionata; per Milla come per Mia, sarebbe stato capace di tutti i sacrifizi. L'ora della lezione era diventata per lui la più bella ora del giorno; l'aspettava ansiosamente, ma pure non senza un certo vago, nuovo timore, che a lui, così impavido, riesciva inesplicabile. Se a Milla, per esempio, succedesse qualcosa?... se cadesse?... se si facesse male?...
Gli accadeva, certe volte, di dover frenare un tremito quasi doloroso, quando serrava sullo stivaletto inglese della Duchessa la fibbia della staffa, o quando, dandole la briglia, le sua dita s'impigliavano fra quelle della signora. Certe volte, gli venivano delle strane idee; nella sua mente si combinavano certe insensate ipotesi. Se, per esempio, i loro cavalli, prendendo subitamente il morso fra i denti, fuggissero di conserva, e così a rompicollo li portassero lontano lontano.... in un sito d'onde non si potesse far ritorno...; se Mia s'impennasse, ed egli potesse salvare la Duchessa.... magari anche, morendo per lei!... Ma tutta queste vacue immaginazioni frullavano solo per un momento, e di rado, in quella testa di 22 anni, o meglio la sfioravano appena, e subito svanivano, di fronte alla logica semplicissima della realtà.
Il bello fu quando si cominciò ad uscire dal maneggio!
La lezione allora aveva luogo per lo spazio infinito dei pascoli. Drollino, nella sua qualità di maestro, cavalcava a pari della Duchessa; e questa, che non era mai stata altiera co' suoi dipendenti, non sdegnava di rivolgergli la parola, parlandogli alla buona, e facendolo parlare, come quando erano bambini. Drollino era fiero di poter condurre la signora per l'ampio verde dei pascoli che le appartenevano; faceva sfilare le mandre davanti a lei, le spiegava le consuetudini dell'allevamento, le insegnava a discernere le qualità che costituivano il pregio dei prodotti. Le impartiva alcune fra le immense cognizioni ch'egli possedeva sull'allevamento, e sapeva porgerle in un modo che non era nè pedante, nè grossolano. Si infervorava, parlandole di quelle cose che per lui erano intimamente collegate alla forza, all'ardore della sua vocazione; i suoi accenti assumevano una specie di schietta e virile energia, in cui vibrava come un'eco lontana di passione invincibile.... La scena era bella, infinita, davanti a loro. Milla respirava a pieni polmoni l'aria calma e libera della pianura, e si compiaceva d'interrogare Drollino su quanto le cadeva sott'occhio.... Altre volte invece la Duchessa non si sentiva disposta a parlare, ed essi percorrevano in silenzio lunghi tratti di via, al galoppo, mentre lo scalpitìo dei loro cavalli risuonava così unito, così uguale sul terreno da parere il ritmo affrettato d'un ritornello senza fine.
Milla aveva preso a voler bene a Mia; le portava dello zuccaro e l'accarezzava di frequente. E a Drollino succedeva qualche volta, dopo aver ricondotta la cavalla in scuderia, di rimanere per lungo tempo immobile, collo sguardo fisso, colla mano posata sulla lucente criniera di Mia, precisamente al posto dov'era scesa per un istante la carezza lieve della Duchessa.
* * * * *
Quando il Duca era in villa, le cose mutavano affatto, e Drollino evitava con ogni sua possa di trovarsi coi padroni. Stava molto in scuderia, e lo si trovava ordinariamente vicino al box di Mia.
In casa era tornato il tempo lieto. Quello delle scene era passato: il padrone s'era radicalmente corretto..., la malattia della Duchessa aveva fatto miracoli. Egli non pensava neppur per idea a lagnarsi della solitudine, non pareva sentir bisogno alcuno di svago, era affettuosissimo per Milla, e le portava ogni volta bellissimi regali. Tutti dicevano ch'era una vera consolazione, e che ormai la signora Duchessa era proprio felice. E per persuadersene non bastava forse vedere il Viso illuminato, raggiante di Milla? Essa metteva in opera certe raffinatezze, certe civetterie a cui per l'addietro non avrebbe certo pensato. Ogni tanto giungevano da Parigi delle toilettes elegantissime, che la giovane signora sfoggiava ad ogni ritorno di Giuliano. Era sempre in moto per casa, nel giardino s'udiva di frequente la sua esile, ma graziosa vocetta tentare qualche strofa di gentili romanze.
Era più che mai soave ed affabile, profondeva ai poveri vistose elemosine, avrebbe voluto poter sollevare tutte le miserie che la cadevano sott'occhio. Colmava costantemente di fiori gl'innumeri vasetti del suo salotto, e si cullava per ore ed ore nell'hamac, sognando, mezza desta, colle labbra semiaperte, in una dolcezza quasi estatica di sorriso.
Ma un giorno chiese impazientemente a Drollino:
— Ora posso andare sola col Duca?
Drollino rimase un momento in silenzio, come se non avesse afferrato bene il senso di quella domanda, ch'era pur tanto semplice:
— Dico — insistè la Duchessa — se posso andare per conto mio.... senza maestro, insomma?
Egli esitò un poco poi, con voce fioca, disse:
— Non ancora.
Milla, scontenta, tormentava la punta del suo frustino.
— Ha ancora bisogno d'impratichirsi un poco.... — soggiunse Drollino dolcemente. — Ma presto potrà andar sola....
Essa fece un gesto annoiato. — Sola! non ho nessuna idea di andar sola.... Va pure — disse poi distrattamente a Drollino.
Drollino s'inchinò e tornò in scuderia. Camminava a passo lento, a capo chino.... come un uomo che ha ricevuto sul collo un colpo di bastone.
Certo.... la cosa era semplicissima; tanto semplice ch'egli chiedeva a sè stesso come mai non l'avesse avuta sempre davanti agli occhi. Sicuro! quella era la conseguenza immediata del suo zelo nell'insegnar l'equitazione alla Duchessa.... metterla in grado d'accompagnare.... anche a cavallo, suo marito.
Ancora qualche giorno, e le lezioni sarebbero finite.... ed egli diventava inutile a Milla.
Ebbene.... tanto meglio!... Egli era stanco di quella vita, ne sentiva talvolta come una specie d'uggia dolorosa, provava da qualche tempo in qua un'irritazione latente, ma incessante. Sentiva, così ad intervalli, un desiderio febbrile d'allontanarsi di lì, di mutar vita.... d'imbattersi in qualche distrazione nuova, potente, che lo togliesse alla vita stupida, inerte che avrebbe condotto ad Astianello quando fossero finite le lezioni dell'arte ch'egli idolatrava!...
L'antica tentazione riprese il suo impero sul cuore di quel giovane impetuoso. Egli si sentiva spostato ad Astianello, sapeva che i suoi compagni non l'avevano caro. In quanto ai padroni.... Del Duca, in fondo, non si poteva lagnare. Perchè, dunque, continuava ad odiarlo?... perchè, quando lo vedeva giungere bello, placido, colla barba d'oro così ben pettinata, si sentiva fremere e ribollire il sangue? Oh, no! non s'era mai potuto avvezzare a vederlo, a saperlo padrone, quell'intruso, quel gaudente, che tutto doveva all'amore d'una donna, e che, per rimeritarla, l'aveva un tempo resa infelice, l'aveva quasi condotta sull'orlo della tomba!... Drollino taceva, mordendosi le labbra, quando sentiva dai suoi compagni, o dai contadini, vantare l'attuale condotta di Giuliano; e quando lo vedeva accanto alla Duchessa, gli venivano degl'impeti violentissimi d'avversione. La diffidenza continuava, acre, spietata, nutrendosi del proprio elemento. Ora che non aveva più una ragione positiva di odiare quell'uomo, Drollino capiva d'odiarlo maggiormente. C'era dei momenti in cui gli veniva come un insano rammarico che Giuliano avesse lasciata la Russa. Pure egli avrebbe data la vita perchè Milla fosse felice.... Cos'era dunque questa contraddizione strana.... questa sensazione? Rimaneva come sbigottito da questa lotta interna, ch'egli non sapeva spiegare a sè stesso, e che lo tormentava. E un bel giorno, così all'improvviso, Drollino prese una decisione.
* * * * *
— Impossibile! — sclamò la Duchessa, quando l'agente venne ad informarla che il capo di scuderia s'era congedato per la fine del mese.
— Impossibile! — ripetè, con vero dispiacere, — Ma perchè vuol andar via Drollino? cos'è accaduto?... che ragioni dà?
— Ragioni, a dir vero, non ne dà nessune, signora Duchessa. È venuto nello studio stamane e ha detto che se n'andava, ecco tutto!
Milla non poteva capacitarsi.
— Provi a mandarlo da me, chissà che io non venga a capo di scoprir qualcosa. Dev'essere un malinteso. E lei, signor Damelli, non ha proprio nessun sentore dei motivi, delle intenzioni di quel giovane?
— Nessuno, signora Duchessa. — A meno che... non so.... m'hanno detto ch'egli avrebbe l'idea di farsi soldato.
— Soldato?... ripetè Milla. Soldato?
Il signor Damelli si congedò e di lì a cinque minuti capitò Drollino.
La Duchessa si trovava in quel tal salotto chinese dove tanti anni addietro, aveva saputo ottenere per Drollino, il dono di Mia e dove aveva dato a questo, per forza, quel memorabile bacio.
Milla avrebbe voluto ora far della diplomazia con Drollino. Ma la diplomazia non era mai stato il forte di quella cara donnina. Si limitò dunque a chiedere impetuosamente al giovane, il quale stava muto, grave dinanzi a lei:
— Oh Drollino! è vero che vuoi andar via?
— È vero, signora Duchessa.
— Ma perchè.... che idea!... ma ti pare?... Ti hanno fatto qualche torto, qualche soverchieria?
— No.... signora Duchessa.
— Di' la verità.... Hai qualche motivo?
— Nessun motivo, signora Duchessa. È così.... una mia idea.
— Vuoi che ti faccia aumentare il salario? vuoi tornare alla tenuta? Se desideri qualcosa, dillo francamente. Lo sai che sono sempre contenta di te e che t'ho sempre voluto bene.
— Lo so, rispose Drollino con voce tremante. E una specie di sorriso, stranamente triste passò sul volto dei giovane.
— E anche mio marito, — proseguì Milla, anche lui, adesso, ti vuol bene.
Il sorriso scomparve in un baleno dal volto di Drollino e gli succedette una lieve contrazione nervosa.
— Sicuro, — continuò Milla, con soave insistenza, avevamo anche fissato di mandarti a Londra, perchè accompagnassi qui i cavalli nuovi, pel tiro a quattro.
Ma la Duchessa dovette accorgersi, studiando la fisonomia inflessibile di Drollino, che neppure quella splendida suggestione, valeva a farlo recedere dal suo proposito.
Non insistette. Quell'ostinazione invincibile la offendeva.
— Allora, — disse con subita alterigia, quand'è così, va pure.
Ma un momento dopo, sentì una lagrima spuntarle sul ciglio. Ella voleva bene ai suoi; a quelli di casa sua. E ne rimanevano pochi ormai ad Astianello. I nuovi servitori, scelti dal Duca, avevano a poco a poco, accaparrati i posti migliori.
E ora.... anche Drollino. Era un altro lembo del passato che scompariva.
Egli vide quella lagrima e rimase inchiodato al suo posto pallido, atterrito.
— Signora Duchessa, — disse con voce tremante; creda.... anch'io.... mi perdoni....
— Oh Drollino! sclamò Milla, smettendo subito il fare risentito, perchè mi dai questo dispiacere?
Egli fece un passo avanti.
— Oh no.... non dica così.... signora Duchessa.... creda.... anzi.... che io....
— Ti assicuro — proseguì Milla, che faresti tanto dispiacere anche al Duca.
Drollino diè un passo indietro, volle parlare, ma non gli venne fatto....
— È impossibile! disse finalmente — bisogna che vada.
Ma il suo viso aveva un'espressione così turbata, che Milla non seppe più adirarsi.
— Dimmi almeno il perchè? — chiese mestamente.
Il giovane scosse il capo.
— Che vuole — signora Duchessa, m'è venuto un desiderio, che so io, una smania di girare il mondo, di veder degli altri siti, delle altre tenute. Ma mi ricorderò sempre sa, di lei.... della sua bontà per me. E forse, di qui a un po' di anni.... chissà che non torni.... già.... a cercare ancora.... i miei cavalli.... qui a Astianello.
Drollino non sapeva più quel che dicesse. Milla, invece, cominciava a persuadersi.
— Ah! Drollino!... mi rincresce tanto. Avevo certe idee.... certi progetti.... Pensa.... andar via ora, dopo che m'avevi insegnato a montar a cavallo.
Il giovane si morse le labbra.
— Sicuro.... — rispose — così adesso si divertirà.... Adesso che può andar sola....
Un momento di silenzio regnò nella sala. Poi Drollino disse timidamente, con uno sforzo terribile:
— Signora Duchessa, vuol tenere Mia?
— Mia!... — esclamò la Duchessa, maravigliata e commossa.
— Sì, signora...; scuserà se mi prendo questa libertà, ma ho visto che vanno così bene loro due.... e son persuaso che la tratterà sempre bene, nevvero?... e così forse.... si ricorderanno qualche volta di me....
— Oh! Drollino — disse intenerita la Duchessa — vuoi proprio lasciarmi Mia?... Ma non ti rincresce.... davvero?
— No, no.... non mi rincresce.... Tanto, non saprei come fare a condurla ora.... e poi è giusto.... perchè, si ricorda?... è stata lei che me l'ha fatta avere....
Gli pareva di compiere un doloroso atto di giustizia. Aveva la mente e gli occhi pieni del ricordo della scena accaduta lì.... in quella stessa sala, tanti anni prima. Si vedeva, bambino, debole, agitato, sentiva ancora sulle labbra un'impressione che gli pareva quella d'un ferro rovente, l'impressione d'un bacio di bambina.
Milla, con un atto inconsulto, gli stese la mano.... Ma subito, memore che non andava fatto, la ritrasse. Ma era indicibilmente commossa, mormorò:
— Oh Drollino, oh Drollino!... — con un accento di gratitudine che valutava e compensava tutto il sacrificio di quel povero ragazzo.
Egli tremava lievemente, e teneva il capo chino come un colpevole.
In quel bizzarro colloquio successe una pausa bizzarra anch'essa.... piena per entrambi d'indefinibili incertezze.
— Senti, Drollino — disse finalmente la padrona — vedo che tu.... hai proprio fissato di andar via.... Ma non farmi il dispiacere di farlo ora, mentre siamo qui. Tanto, fra poco, andiamo ai bagni. — Sperava che in quel tempo si ravvedesse, chi lo sa, che rinunziasse a quel suo assurdo progetto.
Egli rimase scontento, combattuto. Avrebbe preferito andarsene subito. Un segreto istinto gli suggeriva di rifiutare, di lasciare Astianello al più presto. Ma gli occhi castani di Milla, ancora umidi di quella lagrima, erano alzati a guardarlo, senza alterigia di sorta, pieni di benevolenza e di dolcezza. Egli non seppe dir di no.... Fece un cenno d'adesione, e chinò ancora il capo.
— In quanto a Mia — disse Milla affettuosamente — ti ringrazio.... la terrò sempre cara, e non ti dimenticherò mai.
Egli se ne andò colle labbra strette strette, cogli occhi semi-chiusi.
Il Duca, quando riseppe la cosa, non mostrò, a dir vero, tutto il rincrescimento che Milla gli aveva generosamente attribuito. Non gli faceva nè caldo, nè freddo, ora che non c'erano ospiti in villa. Non perdette però quell'occasione di canzonare Milla, pei gusti vagabondi dei suoi protetti. Non si commosse nemmeno pel dono di Mia. Chiese solo a sua moglie quanto aveva avuta la dabbenaggine di pagargliela a colui.
— Pagarla.... sclamò Milla — che cascava dalle nuvole.... pagarla?... Ma t'accerto che non è stato nulla di simile.... Non abbiamo scambiata una parola, su questo proposito.
— Eh! lo so anch'io che con te, non avrà parlato di prezzo. Ma te ne avvedrai quando farai i conti col signor Damelli.
— Credi.... proprio?... E io che m'ero commossa!... Ma pure....
— Per bacco, mia cara, è chiara come il giorno. Voleva liberarsene; non sapeva come, e te l'ha affibbiata; ecco tutto! Ora poi sarei curioso di sapere ciò che pretendi fare di quella bestia, tu che non hai mai voluto saperne di cavalcare.
— Ah! — rispose Milla, lieta del suo mistero. — Non importa, lascia fare a me!... L'attaccherò alla giardiniera, e imparerò a guidare.
— Uhm! — disse il Duca — è troppo forte per la giardiniera, andrebbe meglio col phaèton. È ancora una buona cavalla. Quasi quasi, ora che non è più di quel biricchino, avrei una mezza idea di provarla io stesso. Domani forse....
* * * * *
Drollino era fermo sulla soglia del cancello di fronte al viale. E quivi per l'appunto vide Mia, la sua Mia, attaccata al phaèton e guidata dal Duca.
Non molto ben guidata, a dir vero; Giuliano la conduceva come un dilettante conduce, per lo più, un cavallo che sta provando. Alquanto a casaccio, cioè, tirando indiscretamente i filetti ora a destra, ora a sinistra, tormentandole il morso in bocca, spingendola, con certe mosse intempestive delle redini che dovevano torturare la povera bestia, abituata alla mano salda, mirabilmente esperta, di Drollino.
Questi divenne livido, sentì nell'interno dell'animo come uno schianto. Cogli occhi spalancati, immoto, come impietrito, guardò quello spettacolo, che lo straziava.
Il Duca non s'avvide di lui. S'indispettiva contro Mia che non voleva ubbidirlo, e, in difetto di più persuasivi argomenti, le rovesciò addosso una furia di scudisciate.
Drollino trattenne un grido. Ah! quelle scudisciate! gli parve d'averle ricevute lui, attraverso alla vita! Ebbe un impulso violento e prepotente di spiccare un salto, di precipitarsi verso il phaèton, d'afferrare lui lo scudiscio e di....
Ma si contenne. Si morse a sangue le labbra, e torse lo sguardo. Mia si avviava con un trotto incerto, rotto, pesante, mentre il Duca, con una aria avvezza, dimenava trionfalmente la frusta.
Drollino s'accorse d'esser tutto sudato. Un pensiero crudele gli passò pel capo: — Oh! se Mia potesse impennarsi in quel momento, far cadere colui.... fargli rompere il collo....
Oh, se avesse saputo.... se avesse potuto prevedere.... Egli, che aveva fatto quel supremo sacrifizio per lei.... per la Duchessa.... perchè avesse una buona cavalla e un motivo di ricordarsi.... del passato. Oh! se avesse saputo.... Mia.... la sua Mia!
Un'onda di torbide fantasie gli sconvolse per un momento il cervello; gli parve di smarrire ogni idea che non fosse dolore, ira, rabbia impotente.
No, non poteva far nulla.... ormai.... Certo.... egli era stato un grande imbecille; la colpa era sua. Doveva pur saperlo ciò che il Duca era per Milla. Un idolo a cui tutto era dovuto, persino l'omaggio ultimo.... il dono lasciato a lei, per lei da un povero cavallaro che se ne andava. Non ebbe un pensiero di rimprovero per Milla. Ma la sua avversione per Giuliano prese da quel punto le proporzioni d'una passione tormentosa.
Se ne andò verso il pascolo, e non tornò alla villa se non tre giorni dopo, quando seppe che Giuliano era andato di nuovo per la quarta volta a Genova, onde conferire con quella celebrità d'avvocato che trattava i suoi affari.
* * * * *
Non si doveva risapere, eppure si riseppe. Fu per tutti una gran maraviglia, e se ne parlò molto, sottovoce, con una vera grandine di commenti. Va via per questo, per quest'altro. Non si poteva adottare la versione nuda e semplice dell'affare: un capriccio di Drollino. Ci doveva esser qualche motivo segreto, qualche grossa magagna scoperta di recente.
— Eh! — osservò sghignazzando Battista in un conciliabolo tenuto allo scopo di discutere la questione — avranno scoperto qualche cosa di questo genere. — E fece colle dite aperto il gesto come di chi pizzica le corde dell'arpa. — E siccome è uno della casa, e lo proteggono a spada tratta, avranno accomodato le cose alla chetichella.... e fanno figurare che....
— Non è vero, non è vero niente — urlò inviperita la Carolina, prendendo le difese di Drollino con un calore, con una energia che le valsero addirittura un subisso di allusioni più o meno riguardose; ma tutte dirette a constatare lo stato veramente anormale del suo cuore. Tanto che, sentendosi così accanitamente attaccata, la giovane battè una pronta ritirata, e si rifugiò nei solinghi recessi della guardaroba a piangere le sue speranze perdute, e a disperarsi della partenza di Drollino e dell'insolenza di Battista.
Anche il conciliabolo ebbe un'eco, mentre sarebbe stato assai più desiderabile che non l'avesse avuto. E fu la Carolina stessa che, vantandosi apertamente della sua difesa, disse a Drollino cos'aveva detto di lui quel birbante di Battista. Drollino l'ascoltò in pace, non le fece nè ringraziamenti, nè scuse. Non si indignò delle accuse del cameriere; ebbe un'ombra strana, pallida di sorriso. Forse non si maravigliò; certo è che non accennò d'esser maravigliato. La Carolina rimase scontenta e perplessa. Aveva sperato, senza confessarlo a sè stessa, che Drollino sarebbe rimasto più colpito dal suo generoso intervento e avrebbe data maggior importanza alla sua rivelazione. Ma invece se ne andrebbe quietamente, senza rompere il muso a quella canaglia di Battista.
Poichè, è d'uopo confessarlo, il cameriere del signor Duca non godeva affatto le simpatie dei suoi colleghi. Non si poteva negare la sua valentìa, egli possedeva in tutto e per tutto l'arte del suo mestiere.
Ma la sua onestà non era neppur più problematica ed egli, da qualche tempo in qua, si trascurava non poco. Battista era bene spesso ubbriaco, e s'andava ingolfando in certe avventure rustiche, tutt'altro che perdonabili e pur sempre, se non perdonate, ignorate dall'inesauribile indulgenza del Duca. Ora poi, in assenza del padrone, Battista abusava assolutamente della sua libertà.... al punto di passare quasi tutta la giornata, nonchè parecchie ore della sera, in una botteguccia con spaccio di liquori, situata alla estremità del paese e dove trovava del rhum più forte di quello della dispensa, un'ostessa tarchiata e tre o quattro buoni compagni, ai quali egli insegnava dei bellissimi giuochi di carte di una facilità maravigliosa, e che ogni persona che si rispetta deve aver famigliari. I buoni compagni avevano un'ammirazione illimitata per quel personaggio così ben vestito e colle tasche così ben guarnite.
Drollino non aveva certamente fatto gran caso del riferto della Carolina. Ma nella sua mente, così logica e risoluta, invece della gratitudine, si levava per l'appunto una specie di rammarico e l'idea che la cameriera avesse fatto male a dirgli come fosse andata la cosa. Ora, tornava proprio indispensabile, prima ch'egli lasciasse Astianello, ch'egli si prendesse la briga di cacciar quattro denti in gola, a quella canaglia.
Lasciò passar qualche giorno; poi si decise. Già.... non lo aveva mai potuto soffrire colui; quel protetto del signor Duca!
Andò a cercarlo la sera stessa, nel noto botteghino. Laggiù si giocava molto e sicuri, dietro la complice ombra d'una cortina di cotone verde che separava dalla bottega propriamente un bugigattolo scuro, stretto, sucidissimo. La rustica sirena era andata ad una sagra vicina e in vece sua stava al banco un ragazzotto mezzo addormentato.
Drollino non penetrò nell'antro dove si giocava, stette in bottega aspettando, paziente ed immobile, davanti ad un bicchierino d'anisette.
Dietro la cortina verde, si sentiva un vocìo assordante ed un continuo moto di bicchieri, e ogni tanto lo squillo d'una moneta che risonava sul tavolo. Allora soltanto il ragazzo si riscoteva, destandosi come al suono d'una musica gradita e collo sguardo stupido, ma già vizioso, ammiccava confidenzialmente Drollino.
— È il signor Battista! disse alfine e con voce misteriosa. È proprio lui.... se sapesse.... quanti!...
— Quanti?... Che?... rispose Drollino distrattamente.
— Oh bella? denari. Non sa che lui perde sempre; e sempre paga.
Il bello della cosa, pel ragazzo, era per l'appunto che il perdente pagasse. Drollino invece non esternò nessuna meraviglia. Ma con un susseguirsi, macchinalmente ragionato, di pensieri, egli finiva col chiedere a sè stesso: Come fa?...
Battista aveva un forte salario; questo si sapeva. Ma si sapeva pure che aveva dei vizi, anzi molti vizi, e che a mantenerli tutti, non sarebbero bastate tre di quelle splendide paghe. E ora giocava così rovinosamente e pagava.... pagava....
Di là, si sentivano correre le monete sul tavolo ma eran gli avversari che vincevano. Era facile, ascoltando, tener dietro alle varie fasi del giuoco.
— Come mai? chiedeva ostinatamente Drollino a sè stesso.
Finalmente ebbe termine la partita, ed i giocatori entrarono tutti nel botteghino, che si riempì subito d'un denso fumo di pipe, e dell'eco di grossolane esclamazioni, di parolaccie, di sguaiati scoppi di risa. I vincitori facevano gazzarra, ma il vinto era anch'esso di buonissimo umore e rideva, più rumorosamente degli altri. Anzi volle pagare ancora un bicchiere di vino bianco alla compagnia.
— Diavolo! — urlò al ragazzotto che vedendoli già alticci, esitava a servirli, hai capito di stappare? Hai paura, forse, che non ti si paghi? Sappi, brutta faccia di pagnotta, che dove c'è Battista, la miseria non ci può stare e che a casa mia quando non ce n'è più, ce n'è ancora.
Scoccava già la mezzanotte, quando la comitiva si sciolse.
Battista uscì ultimo, e Drollino, il quale lo aveva sempre aspettato in silenzio e senza unirsi ai buoni compagni, gli tenne dietro. Lo lasciò andare avanti finchè non ebbe oltrepassato il villaggio. Non voleva provocar chiassi e baruffe in vicinanza dell'abitato. Le ragioni che aveva da dirgli gliele direbbe all'aperto, sulla strada maestra.
Senonchè, quando furono usciti dall'ombra delle case, egli s'accorse che colui aveva un modo bizzarro di camminare, tutto a sbalzi e a zig-zag.
— Ho capito, pensò Drollino; è ubbriaco.
Non volle profittare di quella circostanza, cimentandosi con un uomo che non avrebbe potuto tenergli testa.
— Sarà per un'altra volta! mormorò fra sè e sè.
E si pose a camminare frettolosamente, senza altro intendimento che di far pronto ritorno alla villa.
Ma, oltrepassando il cameriere, s'avvide che questi era affatto incapace di raccapezzare dove metteva i piedi. Era uno sconcio spettacolo quell'uomo che camminava barcollando sulla strada, battuta dal lume di luna, in vicinanza della villa... Bell'onore per la casa.... se qualcuno lo vedeva.
E, sotto l'impero di questo timore, Drollino risolse di ricondurre egli stesso Battista per evitare, se si poteva, ogni scandalo. Gli s'accostò e lo chiamò forte per nome.
— Ah! — rispose l'altro fermandosi.... — sei tu, Drollino?... Bel nome davvero.... E un bel giovanotto, anche.... ma allegro come un martôro. E dunque eh! ho sentito che te ne vai.... Fai bene, perdio.... Si vegeta in questa baracca, in questo nido di.... colombini.
E strizzava gli occhi sorridendo sguaiatamente, con un'espressione che tentava d'essere ironica.
— Bisogna vedere il mondo.... ragazzo mio.... Andare di qua, di là..., a Parigi.... a Londra.... fare come ho fatto io col signor Duca.... Ah! allora però.... non erano i tempi buoni come adesso!... Denari, ora, denari come terra.... Il signor Duca.... non dice mai di no.... quel briccone! Sfido io, sfi....
Ora si trattava di mettersi pel viale, e c'era da passare la porticina. Fu una vera impresa che Drollino condusse a buon fine, impiegandovi però più d'un quarto d'ora. Poi dovette aiutare colui a percorrere il viale, evitando di urtare i tronchi degl'ippocastani, in quell'ombra fitta che Battista faceva risonare delle sue frasi sempre più sconnesse d'ubbriaco di buon umore. Ma, come Dio volle, giunsero sulla spianata.
Erano scoccate le dodici; la villa dormiva quietamente, con tutte le finestre chiuse, nel silenzio della notte.
Battista continuava a parlare, consigliando fervorosamente Drollino a imitarlo, a star allegro, ad assicurarsi.... le bontà del padrone. Gl'insegnava che i padroni vanno tenuti per il collo, vanno! E non bisognava star ingrognati, bisognava essere come lui, allegri, sollazzevoli.
E subito, colla voce avvinazzata, si pose improvvisamente a cantare le prime strofe d'una canzonaccia.
— Cristo! — sclamò a bassa voce Drollino, tappandogli la bocca colle mani, — taci, mascalzone; potresti destar la signora Duchessa!
— Ah! — rispose impermalito l'ubbriaco — che maniere!... va al diavolo tu e la Duchessa!... Me ne importa tanto di quella faccia di carta!
Ma di subito cangiò parere.
— A proposito, — disse con somma confidenza a Drollino — se vuoi venir qui.... ho una cosa da dirle.... alla signora Duchessa. Ho da dirle....
E alzava la voce. Drollino, fremendo, lo interrompeva, cercava di condurlo via in fretta, ma Battista, incaponito in un'ideaccia tutta sua, non voleva muoversi, e seguitava a parlar forte.
Drollino stava per afferrarlo alla vita, portarlo via a forza, e quindi gettarlo in un angolo remoto del giardino a smaltire il suo vino; ma invece rimase immobile come impietrito, guardando l'ubbriaco con uno sguardo spaventato. Una, fra le insensate frasi dello sciagurato cameriere l'aveva colpito. — Valla a chiamare.... voglio dirle la verità.... di Genova e del signor Duca.
— Il signor Duca?... — chiese cautamente Drollino, chinandosi verso Battista. — Genova?..
— Sì, sì — ripeteva con voce gorgogliante l'ubbriaco — tanto bisogna che lo sappia.... un giorno o l'altro.... che la Russa.... E l'avvocato.... ah! l'avvocato!...
L'occhio di Drollino ebbe un lampo di feroce ansietà. Egli si chinò ancora di più sull'ubbriaco, che seguitava:
— L'avvocato! l'ho visto io, l'avvocato!... Eh uno strascico lungo lungo di seta e tanti bei ricciolini, e quelle spalle bianche. Per Dio, ha ragione il Duca.... è bella quella Russa....
Di subito l'ubbriaco si fece malinconico.
— Poverina! — disse, tentando di accennare le finestre della facciata — poverina, povera donnina, mi fa pena.... se sapesse?...
E si mise a piagnucolare: l'ubbriachezza in lui si faceva tenera, sentimentale! E nell'iterarsi di grotteschi singhiozzi, in quel lagrimare ributtante, le frasi riuscivano smozzicate, e le parole, rotte, non avevan più senso.
Drollino rimase un momento in forse: — Vino o verità? — chiese angosciosamente a sè stesso, guardando Battista, che, colpito improvvisamente dal sonno plumbeo dell'ebbrezza, s'era buttato sull'erba e pareva già addormentato.
— Bisogna saperlo.... ad ogni costo — mormorò sotto voce Drollino. — E se è vero!...
Nel vivo lume della luna, una mano bruna, nervosa si protese con un gesto di minaccia implacabile.
Poi Drollino afferrò l'ubbriaco, inetto ormai ad opporgli la minima resistenza; se lo cacciò sulle spalle come un sacco di biada, e, passando dalla scala interna di servizio, lo portò nella propria cameretta, quella che occupava attualmente al terzo piano della villa. Lo gettò sul letto in modo abbastanza ruvido; ma il sonno dell'ubbriaco era ormai così profondo ch'egli non se ne risentì per nulla.
Drollino sedette appiè del letto, e rimase desto per tutta la notte, vegliando Battista.
Era giorno fatto quando il cameriere si risentì; girò attorno gli sguardi, attonito di trovarsi lì, in camera di Drollino.
— Cosa diamine? — chiese.
— Nulla, mio caro.... Ti ho trovato per via e t'ho portato qui.
— Oh! — rispose Battista confuso, ma tentando un risolino. — Ho capito. Eh, son traditori questi vostri vinetti leggieri; e poi un po' di rhum.... sicuro.
Non era più brillo, ma aveva ancora la testa balorda, lo stomaco sconvolto, o parlava con un fare melenso.
— Sicchè — continuò, alquanto impacciato — m'hai proprio trovato per via? Sarà, sarà.... non mi ricordo più! E dormivo, eh?
— No, allora non dormivi; non facevi che strillare e chiacchierare.
— Ah! sì, chiacchieravo? — E divenuto subitamente inquieto, soggiunse in tono negligente: — Oh bella, chiacchieravo? e, così per curiosità.... cosa dicevo?
Drollino alzò le spalle, e si sforzò a sorridere. L'altro non ardiva insistere, ma lo guardava, dubbioso.
— Mio caro — continuò Drollino — sta tranquillo. Hai detto un monte di bestialità. Per fortuna che c'ero soltanto io a udirti, e ciò che tu dicevi lo sapevo da un pezzo.
— Tu...! — sclamò Battista con vivo malcontento. — Sapevi già.... cosa?
— Ma certo! — continuò freddamente Drollino. — Credevi d'esser tu solo a possedere il segreto del signor Duca?
— Ma come diavolo hai fatto a sapere?
— Ch'egli si reca là a Genova.... — ed esitò ammiccando.
— Sì, per trovarsi con lei! — finì brutalmente Battista — con la Russa. Capirai, tutte questo reticenze, che sugo hanno adesso? Il diavolo ci porti.
— Questo — rispose pacatamente Drollino — è affar mio e non ti riguarda.
— Ma, allora, perchè non me ne hai mai parlato?
— Perchè? Perchè non m'accomodava. Cosa c'entro io con questo cose? Io me ne vado fra poco, e buona notte. E può essere che, per tacere, avessi anch'io delle buone ragioni come le hai tu.
Battista non arrossì, e si pose vivamente le mani in tasca.
— Non ce n'è quasi più — disse, facendo ballare fra le dita due o tre monete. — Io però le godo e sto allegro, e fo star allegri gli altri, mentre tu.... Che bocca amara m'è rimasta!... A dir vero, il Duca fa le cose bene.... da gran signore, non è vero?
Drollino assentì. Certo; il Duca pagava bene il loro silenzio.
— Eh! — continuò Battista con una risata maligna — non gli conviene a far diversamente. Davvero, si troverebbe in un bell'impiccio se a me saltasse il ticchio.... Perchè, capisci, l'andrà; finchè mi pare, ma se un bel giorno colui mi rompesse proprio le tasche, io vado da lei, e le rifiato tutto quanto; capisci?
— Ah! le rifiati tutto quanto.... Andiamo, via, non sei capace!
— Io non son capace!... L'avresti a vedere. Vado là, franco come uno schioppo, e le conto la storia. Signora Duchessa; succede così e così. Il suo signor marito va a Genova per abboccarsi coll'avvocato.... E l'avvocato, Dio mi danni, è la Russa.... quella Baronessa che.... se l'è tornato a prendere per vendetta.
— Per vendetta? — chiese tranquillamente Drollino, stendendo appiè del letto la sua snella persona.
— Sicuro — continuò Battista, che, passato il primo momento di dispetto, trovava ora un certo gusto a potere finalmente parlar con qualcuno di quella cosa così gustosa e proficua. — Ce l'aveva amara con la Duchessa, perchè qui erano accadute quelle scene, ti ricordi? Bene, dunque, quando noi fummo a Napoli, essa scrisse al padrone. Ma questi aveva ancora la paura che gli morisse la moglie, e non rispose. Allora quella s'impuntigliò, e gli tenne dietro a Nizza. La signora era un po' indisposta e usciva di rado. Un giorno, lui se ne va a Montecarlo, e ci trova la Russa. Stette ancora un poco sul tentennare, poi ci ricascò.... meglio di prima. Ecco qua.... la sapevi tu com'era andata?
— No — confessò umilmente Drollino — non la sapevo così lunga. Sapevo solo che ora.... si ritrovavano a Genova, colla scusa dell'avvocato. Mi figuro che sarà sempre una cosa in grande. Ha cavalli, lei? — chiese poscia con una subita premura di professione.
— No, rimessa.
— Ah! e lui?
— Niente, carrozza d'albergo. Lei sta in un villino, laggiù verso via Carignano. La sera sul tardi escono assieme, vanno all'Acquasola.
Qui diede in un riso sguaiato.
— Una bella coppia.... sai....
— Certo — rispose Drollino, — una bella coppia....
— E la Duchessa? — continuò Battista — se lo sapesse!... Io dico che se lo sa stavolta, gli riprende tutti i soldi che gli ha dato e lo manda al diavolo.... ammenochè.... non si consoli.
— Come?...
— Eh, diamine! facendo altrettanto.
Drollino si drizzò d'un salto, cogli occhi iniettati di sangue, pallido come un morto, e per un momento guardò l'ex-ubbriaco in un modo molto bizzarro e poco rassicurante. Ma subito si calmò, e si mise a ridere.
Si sarebbe detto che, a furia di star sempre così serio, avesse dimenticato come si fa a ridere; certo che il suo ridere non somigliava a quello di nessun altro.
— Ah! vorresti provare.... dici?...
— Sì.... per curiosità. Vorrei provare come la piglia. Certe volte, quando la vedo allegra, contenta, mi viene come una rabbia, una smania di dire la verità a quella povera donna. Almeno non farebbe più la figura d'una bambina, e non si struggerebbe più dietro a quella perla di marito, che va a Genova.... coi denari di sua moglie, beninteso. E a te — domandò ancora Battista con un rimasuglio d'inquietudine — questa voglia non ti vien mai?... dico..., non vorrei che tu m'avessi a prevenire.... sai, perchè potrebbe darsi che lei, per saper bene.... — E fece il gesto di chi snocciola denari.
— No — disse Drollino.... — io non ho nessuna idea di parlare. E ora me ne vado, per cui.... Tanto, questa storia finirà presto.... — soggiunse con molta calma.
— Finirà? — chiese l'altro sbadigliando — credi che finirà?... Per bacco, mi dispiacerebbe.... è un provento che mi garba.... E perchè finirebbe?... sono innamorati cotti! La Russa gli comanda a bacchetta, lo tratta come un imbecille, e lui.... contentone. Perchè avrebbe a finire?
— Perchè finirà — disse con gran pacatezza Drollino.
E scese lentamente; era l'ora del primo pasto dei cavalli.
Battista, rassicurato, si ricacciò sotto le coltri per finir di riposarsi; tanto, lui non aveva nulla da fare.... in casa ora c'era la cuccagna!
Dopo il mezzodì, Drollino si presentò all'agente e gli chiese due giorni di permesso. Voleva andar a vedere i puledri di casa Canossa, prima che partissero per l'Esposizione ippica.
L'agente accordò il congedo. Drollino se ne andò la sera stessa; e in capo a due giorni era di ritorno.
Tutti gli furono attorno a chieder dei puledri. Ma non ne disse gran che, non ne fece maraviglie. Erano così così, come gli altri....
Non era stato alla tenuta Canossa; era stato a Genova e all'Acquasola. Celato dietro una macchia, aveva visto passare, in una carrozza di rimessa, il Duca e la Baronessa.... Era saltato in legnetto di piazza e aveva tenuto dietro al loro equipaggio sino alle prime case di via Carignano.
Nei giorni seguenti diede ancora due o tre lezioni alla Duchessa, e rinunciò a dare la progettata lezione a Battista. Drollino era quieto, calmo assai....
La sera dopo, mentre si distribuiva l'ultima razione di biada, il signor Damelli capitò in scuderia, e diede precisamente quest'ordine:
— Domattina alle dieci l'americana ad un cavallo per andare alla stazione a prendere il signor Duca.
Drollino ch'era poco lungi, udì quell'ordine. Alzò bruscamente il capo, e appoggiò per un secondo la mano sul muro, come se si sentisse minacciato da una vertigine.
Poi disse rispettosamente:
— Sì signore.... ci penso io.
* * * * *
L'indomani, il tempo era splendido. Suonavano le otto del mattino, e sulla spianata della rimessa Drollino si teneva ritto davanti a Mia, già attaccata al phaèton e che, impaziente dell'indugio, allungava ogni tanto il collo e colla lunga coda flagellava i suoi nobili fianchi. Battista, già in livrea, ma colla tunica ancora sbottonata, lisciava col gomito il pelo del cappello a coccarda. Un vecchio mozzo, col capo coperto da una berretta scozzese e colla pipa in bocca, stava poco lungi dal legno e guardava con ammirazione la cavalla che, annoiata dalle mosche, or coll'una e or coll'altra zampa tormentava il terreno.
— Ci siamo? — chiese il cocchiere, infilando i guanti di pelle rossa.
— Un momento, — rispose Drollino, mentre colla mano tremante disponeva sul frontale una ciocca della criniera di Mia.
Il cocchiere salì a cassetta ed afferrò le redini.
Nella corte rustica, vicino alla rimessa, s'udì l'ululato cupo di un cane.
— Cattivo segno, — osservò il mozzo, togliendosi la pipa di bocca. — Pedrolo.... badate un po' ai fatti vostri.
Il cocchiere si mise a ridere, agitando festosamente la frusta.
— Quante bestialità! — rispose con gaio sprezzo. Era contento di guidar Mia, quella famosa Mia, che per tanto tempo era stata così esclusivamente custodita da Drollino.
Drollino passò ancora una volta, con una carezza prolungata e tremante, la mano sulla criniera di Mia.... la guardò per un secondo, con una intensità disperata.... Poi si ritrasse, e senza parlare, con un piccolo gesto, avvisò il cocchiere che poteva partire.
S'udì in breve la sabbia del viale scricchiolare sotto le ruote del leggero equipaggio, mentre il rumore del trotto elegante di Mia si perdeva nella lontananza.
Drollino stava sempre immobile, fissando come trasognato lo spazio dove Mia, un momento prima, aveva alzata, verso lui, la sua fina testina.
— Per bacco! — disse il mozzo con molta simpatia professionale — capisco, sapete. Non c'è che dire, una bestia che non ha l'uguale. Vi rincrescerà, eh?
Drollino diede un guizzo coma se una serpe gli avesse morso il tallone.... Poi chiese impetuosamente:
— Cosa?...
— Oh bella!... che ve l'abbiano portata via. È una cosa curiosa, sapete, che ve ne siate stancato così, mentre, non c'è che dire, è ancora un fior di cavalla! E l'avete proprio voluta cedere al Duca!... Chissà, eh.... che buon affare?...
Uno spasimo passò sulla faccia di Drollino, ma egli rimase muto.
— Eh! si capisce. Se vi è venuto questo capriccio di girar il mondo, vi gioveranno più i denari che la cavalla. E a dirla schietta — continuò il mozzo, che s'era proprio messo in mente di voler consolar Drollino ad ogni costo — la Mia era ormai un po' sul tempo anche lei, come me! E poi il suo piccolo difetto ce l'aveva pure.... quello di non voler sentire gli spari.... E non s'è mai voluta correggere.... eh?...
— No — stridette Drollino — no!
Il vecchio mozzo si mise a ridere.
— Via, via!... non v'arrabbiate a questo modo. Si sa che avete fatto di tutto per toglierle quel vizio. È inutile.... ho provato anch'io. Una volta nella tenuta c'era un alzano che....
Ma la storia dell'alzano non progredì. Drollino, il quale era stato per un momento come sprofondato nelle sue riflessioni, si scosse bruscamente e s'allontanò a rapidi passi.
Il mozzo rimase lì, in asso.
— Cosa diavolo gli piglia a colui? — disse tenendo dietro collo sguardo a Drollino, il quale pareva quasi fuggire, tanto correva, nella direzione della tenuta.
Non eran cinque minuti che Drollino era scomparso, quando Vincenzo, il cameriere della Duchessa, si presentò sulla spianata.
— Drollino — chiamò — Drollino!
— È andato via or ora — rispose il vecchio mozzo. — Cosa c'è?
— Subito, subito, insellare Mia per la signora Duchessa, e Drollino si prepara ad accompagnarla.
Il mozzo s'alzò.
— Mi dispiace — disse — ma in quanto a Mia la signora è bell'e servita. La cavalla è stata attaccata all'americana ed è già a mezza strada della stazione. E Drollino è andato via per i pascoli, a zonzo.... Dio sa dove!...
Il domestico scomparve, ma tornò subito, dopo cinque minuti, trafelato.
— Sellare Calif; subito al momento, e chiamare Toni per andar dietro alla signora.
Toni era in scuderia e fu subito avvisato.
Dodici minuti dopo, Milla, con un nuovo abito da amazzone, giuntole il giorno avanti da Torino, col volto splendido della gioia misteriosa e biricchina della sua sorpresa, s'avviava al trotto, seguita da Toni, per la strada che dalla villa conduce alla stazione.
Drollino invece si dirigeva verso la sua antica dimora, nel grande cascinale. Camminava a passi concitati stringendo le palme, barcollando ogni tanto come sotto l'influenza d'un principio d'ubbriachezza. Un momento, sentì che non stava più in piedi.... e cercò di reggersi, brancolando, come se fosse al buio.
Un grido soffocato gli uscì dal petto: — Mia! povera Mia!
Sulle sue gote brune, schizzò una lagrima. Ma subito, come sotto un soffio ardente, asciugò.
Si gettò bocconi sull'erba. Era appena fuori del giardino. La villa era bellissima a vedersi, ancora immersa nel bacio mattiniero del sole, cinta di verdura, colle lucide persiane inverniciate di recente.
Egli mordeva l'erba, digrignando i denti furiosamente. Ma a un tratto si calmò. Il suo sguardo fisso, teso, si spingeva nell'interno della camera della Duchessa.
La finestra del terrazzino era aperta, si vedevano passare pel vano le teste delle cameriere in faccende. La brezza entrava curiosa, molle, agitando le vecchie frangie degli addobbi della finestra, enfiando, come fossero lembi di vele, i tessuti leggeri dei cortinaggi, le bianche cortine del letto.
Drollino si fece calmo. Guardò a lungo lassù, come se quella vista gli facesse bene, rinnovasse in lui l'energia dello spirito.
— Per lei! — disse finalmente a bassa voce, agitando la mano nel vuoto, con un gesto pazzo ed appassionato di saluto.
S'alzò rinfrancato, ed in breve fu alla sua antica stanzetta. Vi rimase circa un quarto d'ora. N'uscì senza che nessuno l'avvertisse, vestito dei panni suoi, bianco come un cencio lavato, e colla destra stretta al petto, sopra la tasca del lato ministro. Si mise pei campi, in salita, evitando di por piede sulla strada maestra, e pur costeggiandola.
* * * * *
Egli stava immobile, accasciato dietro il muricciuolo del cimitero, che in un dato punto, rasenta la strada maestra fra Astianello e la stazione.
Era un cimitero piccolissimo, brutto, una vera miseria di cimitero. Apparteneva a un paesucolo vicino, il quale non era nulla più che una frazione di Astianello.
Il luogo era molto triste anche nella giocondità dell'ora mattutina. Aveva un non so che di abbandonato, che dava alla malinconia naturale del sito un carattere speciale.... pareva la dimora dell'oblìo. Quelle povere tombe recavano patenti le traccie dell'intemperie; sulla cappelletta di mezzo una misera immagine a fresco del Redentore, arrossata dal gelo, si scrostava lentamente, trascinando nella sua rovina l'intonaco, che si andava quasi sfarinando. Nel lato settentrionale del recinto l'erba era umidissima, e la rugiada si ostinava a serbar lucido lo zoccolo di pietra dell'unico monumentino che vantasse il cimitero. Qualche aristocratica croce di ferro si notava ancora in quel lembo riservato, ma era tuttora nell'ombra. Nel lato soleggiato era la fossa comune, quella dei poverissimi del comune. Al centro s'alzava una buona croce di legno, forte e poderosa, e bastava per tutti i morti di quella classe.
La porticina pareva chiusa. Drollino, nell'entrare, aveva avuta la precauzione d'accostarla.
Non si moveva punto.... Stava rannicchiato appiè del muricciolo, silenzioso, immobile come le tombe senza nome che lo attorniavano.... Era livido in volto e teneva gli occhi sbarrati, ma sui tratti così alterati, recava, come incisa, l'espressione immutabile d'una selvaggia determinazione.
A un tratto s'alzò, e d'un salto, aggrappandosi alle tegole, sollevò il capo oltre il livello del muricciolo.... scrutando collo sguardo l'aperta campagna.
Aveva scelto bene il suo posto di agguato. La strada maestra passava, scendendo, davanti al piccolo cimitero. Oltrepassandolo d'un trar di sassi, faceva un gomito con una brusca voltata. Dall'altro lato della via, il terreno si rompeva in uno scoscendimento ripido, terminando in un burrone ghiaioso, che ai tempi di piova si mutava in un torrentello. Quello era forse il solo punto della via che richiedesse un po' d'attenzione in chi transitava di là. Anni addietro, un carrettiere ubbriaco s'era ucciso, precipitando col suo mulo da quell'erta traditora. Occhio ci voleva, e stare attenti, specialmente allo svolto.
L'orologio d'un campanile poco lontano suonò le dieci.
— Ancora mezz'ora! — pensò Drollino.
Scese, si terse il sudore che gli rigava le tempie, estrasse di tasca la pistola, la osservò attentamente, e la depose sul terreno accanto a sè, a portata della sua mano destra. Nella macchia vicina i passeri spionciavano senza fine, in lontananza il picchio ripeteva a misurati intervalli la sua barocca canzone, nell'erba del cimitero gl'insetti si movevano, saltavano, si facevano strada, fra gli steli. Attorno alla croce comune, due farfalle, d'un bel giallo chiaro, si inseguivano amorosamente.
Drollino non guardava attorno a sè. Teneva fisso al suolo quel terribile sguardo interno, che l'occhio trova soltanto nei momenti supremi della vita. Ogni tanto, quando sulla strada sottostante udiva avvicinarsi il rumore d'una carrozza, Drollino illividiva, s'alzava, stava in ascolto un momento, poi guardava in giù.
— Non è lui — diceva ogni volta, quasi ad alta voce.
E con una terribile pazienza, tornava a sedere, celato dal muricciuolo.
S'era alzato un po' di vento; l'erbe grasse, ben nutrite del cimitero, ebbero un moto, quasi un fremito di conscio ribrezzo.
* * * * *
Il treno era giunto, in ritardo però di quasi un quarto d'ora, e il Duca Giuliano usciva frettolosamente dalla stazione, cercando qua e là collo sguardo il legno che doveva trovarsi ad aspettare. E non solo vide il legno, la graziosa americana, alla quale era attaccata Mia, ma vide altresì una elegantissima amazzone, che, seguita da un groom in livrea, si avanzava alla sua volta.
— Giuliano! Giuliano! — disse l'amazzone, accostandosi e ridendo lietamente.
Egli rimase di princisbecco.... quando ravvisò sua moglie; e
— Milla! — sclamò con accento schiettamente ammirativo.
— È la mia sorpresa, — continuò Milla, beata del successo del suo segreto. — Sapevo che lo desideravi, e, mentre eri assente, ho imparato. Non te lo dissi che avevo anch'io i miei affari?
Il Duca la contemplava muto e pallido.
— Milla! — esclamò involontariamente, — tu sei un angiolo e io sono un.... — Si fermò un momento, poi finì la frase: — un marito veramente fortunato.
E subito le fece mille complimenti, lodò il suo pensiero, il suo buon gusto. Quell'abito le stava a pennello.... come aveva scelto bene il colore verde bottiglia, e che felice idea quella di quei bottoni larghi, dorati della giacchetta! E che amore di tuba.... Era veramente un'amazzone classica! Ora sì che era contento.... ora andrebbero assieme alla mattina a far delle trottate lunghe, piacevolissime. Ma che brava Milla!
— Ora andiamo a casa, — disse finalmente il Duca; — vuoi che t'accompagni a cavallo?
— Veramente, — rispose Milla — ora che ho fatta la mia figura, preferirei quasi di venir teco. Sono un poco stanca.
— Benissimo! — disse il Duca — Battista e Toni condurranno a casa i cavalli, e io ti farò da automedonte, se non sdegni il mio legnetto da giovanotto.
Milla scosse il capo, scese da cavallo, e salì prontamente sull'americana a fianco del marito.
Era lietissima! — Quanto mi diverte — disse — oh come me la godo.... dobbiamo far la figura di due scapestrati, nevvero, di due scappati da casa!
Quell'idea la divertiva immensamente. Si figurava che i passeri delle siepi l'avrebbero presa per una perversa creatura, in piena rivoluzione contro le convenienze. Diceva mille gentili pazzie, col volto acceso dal piacere, ed era veramente carina sotto l'ombra di quel cappello mascolino.
E Giuliano, guidando Mia, che in quel giorno pareva straordinariamente docile e savia, guardava con vero piacere la Duchessa, che gli pareva molto più bellina del solito, con quel non so che di nuovo, di biricchino, di piccante che s'era messo addosso, in un colla foggia ardita, quasi mascolina, del suo acconciamento. E allora, nell'animo vigliacco del creolo, un'ignobile contentezza si diffuse. Il rimorso si ritrasse davanti alla segreta soddisfazione d'aver così bene organizzato il libro mastro, in partita doppia, della sua esistenza. Ora cominciava ad apprezzar Milla.... si proponeva di crearle un'esistenza veramente beata.
Non era forse uno squisito contrasto quello che l'aspettava di piè fermo, ad ogni suo ritorno da Genova? Nella placida, profonda corruzione dell'animo suo, il gentiluomo aveva poste le basi del modus vivendi per l'avvenire, e si congratulava ignobilmente con sè stesso. Marito ed amante fortunato, egli godeva contemporaneamente gli orgasmi febbrili d'un antico ardore, ravvivato nell'attrattiva suprema d'un secondo adulterio, e le pure, soavi soddisfazioni d'un affetto ingenuo, delicato, gentile.... quasi abbastanza attraente per dare una certa poesia persino alla noiosa prosa dell'amore legittimo.
Egli pensava così, e sul suo capo il cielo azzurreggiava intensamente, il sole irradiava la sua strada, la campagna amena, sorridente lo accompagnava colle sue verdi, infinite giocondità.
Per un po' quei due scappati da casa chiacchierarono allegramente. Ma, quando furono al principio della discesa, Giuliano disse a Milla:
— Ora, carina, fammi il piacere di star quieta per un momento; siamo vicini ad una certa voltata alla quale bisogna star attenti. Ci vuol occhio e un cavallo sodo.
— Oh! Mia è una perla — rispose Milla, crogiolandosi nel suo cantuccio e imitando scherzosamente la posa classica d'un groom a cassetto.
Giuliano serrò il freno della meccanica, e, benchè la discesa non fosse ancora principiata, mise Mia al passo.
Drollino, dietro al muro del cimitero, aveva udito da lungi il passo di Mia. Oh! quel passo della sua cavalla!... l'avrebbe riconosciuto fra mille. Sentì nel cuore un gran schianto, una ribellione tremenda. Ma non cedette. Solo per esser più sicuro, guardò ancora una volta oltre il sommo del muricciuolo.
No, non s'era ingannato. Sulla strada il sole batteva splendidamente suscitando dei riflessi abbaglianti nei cristalli dei fanali. Ma ciò non gli impedì di ravvisare Mia, l'americana, la barba bionda del Duca, e accanto a lui l'uniforme verde coi bottoni dorati di Battista. Ecco, il momento era venuto.
Scese, armò il cane della pistola, e, nicchiato dietro il muro, aspettò che la carrozza passasse precisamente di lì. Mormorò due nomi: — Mia e Milla! — Sì, egli liberava entrambe da un ignobile giogo! Esse non lo sapevano, ma egli le vendicava in un punto solo, Mia e Milla!
No! la Duchessa non doveva correre il rischio delle rivelazioni d'un mascalzone! E se moriva anche lui, questo mascalzone; ebbene, meglio così, il segreto che, svelato, potrebbe uccidere la Duchessa, morrebbe con lui e col Duca, laggiù, in quel burrone.
Mia giungeva in quel momento, al passo, davanti al muro del cimitero.
Drollino cessò di pensare. Sorrise, alzò la pistola e sparò.
Fu un tonfo terribile.
Subito, in strada, s'udì un galoppo sfrenato, poi un grido di donna disperato, acutissimo.
Drollino balzò in piedi, s'avventò al vertice del muricciuolo e guardò in giù.
Mia, furente, fuggiva a precipizio per la discesa con degli sbalzi violentissimi. Il Duca, stravolto in viso, tirava le redini a dritta e a sinistra con tutta la forza dei polsi; accanto a lui, invece di Battista, c'era una donna.
Teneva il capo rovesciato all'indietro, il cappello le era caduto, e Drollino ravvisò la Duchessa.
Rimase un secondo come fulminato. Poi urlò — Cristo! — s'avventò all'altro lato del muricciuolo, spiccò un salto e cadde sulla via. Si rizzò colle mani insanguinate. Mia, in preda al suo parossismo di terrore, precipitando per la china giungeva in quel momento. Faceva scarti violenti che sconquassavano l'americana, aveva la criniera al vento, le nari fumanti.
Il Duca, cogli occhi smisuratamente aperti, gridava: aiuto! Era pazzo di terrore, fissava il burrone verso cui si sentiva irresistibilmente trascinato. Gettò un urlo e chiuse gli occhi.
Milla era svenuta.
Drollino, con un salto da pantera, s'era gettato sulla cavalla, avvinghiandosele al morso, opponendo all'impeto delirante della corsa sfrenata la forza d'una resistenza quasi sovrumana. L'uomo ed il cavallo lottarono un momento, poi s'udì un nitrito di dolore, uno schianto di legnami che si spezzano, poi, in un nuvolo di polvere, si vide a pochi passi dal ciglio del burrone un informe gruppo di membra umane e cavalline, che dibattendosi e rotolando, cadevano assieme. La carrozza, con un ultimo violento sobbalzo, si fermò, mentre quell'ammasso s'agitava sul terreno con una serie di moti convulsi, che s'andarono gradatamente quietando. Tutto ciò era accaduto in pochi secondi. Il Duca aprì gli occhi, si vide salvo, e vide che Milla era soltanto svenuta. La sollevò fra le braccia e l'adagiò sull'erba, al sicuro. Poi si accostò di nuovo al legno spezzato. Vide Mia, distesa per terra, che dava gli ultimi tratti, e, sotto al fianco palpitante della cavalla, vide colui che con atto di audacia disperata era giunto in suo aiuto, in quel supremo istante di pericolo. Si chinò a guardare, e in quell'uomo, immobile, morto forse o privo di sensi, ravvisò Drollino.
Il rimbombo dello sparo aveva chiamata gente. La Duchessa, che cominciava a riaversi, fu sopra una barella improvvisata ricondotta alla villa. Il Duca, rassicurato sul conto di sua moglie, volle tornare sul luogo del disastro dove i sopraggiunti finivano allora allora di liberare Drollino.
L'infelice giovane era ancor vivo, ma il suo stato metteva raccapriccio. Nella sua lotta disperata colla cavalla aveva ricevuto da questa un violento calcio nel petto; un braccio era spezzato, e al disopra dell'occhio destro il sangue generoso del giovane, spicciava abbondante da una ampia ferita.
Il medico del villaggio, chiamato in fretta e furia, visitò sul luogo stesso Drollino, che i contadini avevano adagiato sui cuscini della carrozza.
Pareva ancora svenuto. Il dottore, dopo averlo attentamente esaminato, si lasciò sfuggire un ehm che non prometteva nulla di buono. Il Duca lo interrogò ansiosamente.
— Mi spiace — rispose il dottore, — ma temo che i polmoni siano in isconquasso. È un uomo andato.... questione di giorni..., capisce?
Drollino ebbe un moto ed un gemito. Era tornato in sè.... aveva udita la sua condanna?
Chi potrebbe dirlo? Sul suo volto macchiato di sangue e di polvere l'espressione era illeggibile.
Lo trasportarono, semivivo, nella sua antica stanzetta della cascina, al limitare dei pascoli.
* * * * *
La Duchessa s'era addormentata, e Giuliano, ritto a piè del letto, guardava la bella testina serena, adagiata mollemente sul guanciale. Egli aveva voluto, per eccesso di precauzione, che Milla rimanesse a letto durante i primi tre giorni susseguiti al terribile avvenimento. Ma la giovane signora s'era prontamente riavuta. D'altronde, la scossa non era stata eccessiva, neppur per il suo delicato organismo. Svenuta sui primordii del pericolo, ella non aveva assistito a tutte le fasi del disastro: ritrovatasi incolume a casa, e vedendo illeso Giuliano, non aveva pensato che a ringraziare fervorosamente Iddio. Le avevan detto che la carrozza s'era fermata a tempo.
Il Duca, per non arrecarle dispiacere, aveva espressamente proibito che le si parlasse di Drollino. Milla ignorava quella coraggiosa intervenzione e le sue fatali conseguenze. Sempre allo scopo di non affliggerla, non le tennero neppur parola della morte di Mia. Giuliano le asseverò essere lo sparo fatale, che tanto aveva spaventata la cavalla, nulla più che l'opera d'un cacciatore di passere. Milla accettò, senza discuterla, la versione di Giuliano; si calmò gradatamente, tornò lieta e serena. Non era forse Giuliano il suo profeta infallibile e adorato? perchè non gli crederebbe quando per l'appunto egli diceva così? Ecco, per esempio, egli le aveva detto or ora: — Sii buona, e provati a dormire, hai bisogno davvero d'una dormitina. — Ella non sentiva affatto il bisogno della dormitina; pure, a furia di star quieta e immobile, il sonno era venuto. Dormiva ora placidamente, con un abbandono dolce e sicuro, con una mano ancora serrata fra quelle di Giuliano. E così noi, nella calma fiduciosa del suo sonno sereno, vediamo per l'ultima volta la nostra eroina, la Duchessa Milla Lantieri dei Principi d'Astianello.
Giuliano districò pianamente le proprie dita dalle dita di sua moglie, depose con delicata cura la mano di Milla sulla rimboccatura del lenzuolo, poi quasi furtivamente, in punta di piedi, uscì dalla stanza.
Era profondamente turbato.... il corso pericolo, quel vedersi, sentirsi di fronte a una morte terribile, e, diciamo pure, anche il pensiero della sorte che aveva minacciata la Duchessa, avevano lasciato nell'animo suo un'impressione grave. Il creolo era stato fortemente scosso; non poteva sopportare il ricordo di quel momento, ma il ricordo implacabile non lo abbandonava mai. La sua riconoscenza per Drollino era infinita, e l'idea che quell'infelice morisse, così, per loro, gli era penosissima. E, come se non bastasse, gli era giunta all'orecchio una strana diceria, che aboliva intieramente il cacciatore di passere, ed evocava in sua vece un nemico ignoto, implacabile, il quale, edotto del difetto di Mia, ne aveva calcolate le conseguenze, e s'era valso d'un mezzo che non lasciava traccie, e avrebbe infallibilmente sortito i più funesti effetti, se Drollino, per un'inesplicabile, quasi miracolosa circostanza del caso, non si fosse trovato lì per l'appunto in quell'istante fatale. Ma come scoprirlo questo strano nemico, come garantirsene in avvenire.... a chi chiedere?... Drollino solo forse avrebbe potuto dir qualche cosa. Ma Drollino, poveretto, non era certo in grado di fornir ragguagli: le lesioni interne erano così gravi da non lasciar la benchè minima speranza: s'indeboliva gradatamente, aveva continui sbocchi di sangue, ed ogni parola che pronunziasse equivaleva ad un agitare della clessidra, quando gli ultimi granelli di sabbia stanno per cadere lungo la strettissima gola del cristallo.
In villa e per tutta quanta la tenuta la relazione dell'avvenimento aveva suscitate forti emozioni, ammirazione illimitata per Drollino, e dubbi gravi assai. Da tutti si compiangeva il giovane capo di scuderia, si vantava il suo atto eroico di abnegazione, gli si perdonava ora, in grazia dell'accaduto, il suo carattere aspro e orgoglioso, le bizze, l'indipendenza un po' selvatica del suo passato. Il primo giorno, alla cascina, c'era stata una vera processione dei camerati della tenuta; ma ora il medico, d'accordo con Drollino stesso, aveva rigorosamente proibite le visite; eccettuate, ben inteso, quelle del Duca.
Il Duca si mostrava angustiato dallo stato di Drollino. Veniva spesso a vederlo, e inquieto del rapido progresso del male, si recava alla cascina ogni qualvolta poteva allontanarsi dalla villa senza dar sospetto a sua moglie. E anche stavolta, non appena vide Milla addormentata, uscì in fretta, dirigendosi verso la cascina. Nel cortile, all'ombra d'un vecchio fico, stava riunito un gruppo di contadini, inquilini del cascinale. Al giunger del Duca, s'alzaron tutti, salutando rispettosamente.
Giuliano si fermò a chieder loro notizie dell'ammalato.
Un vecchietto rubizzo rispose subito e per tutti:
— Male, male assai, signor padrone. Stamane è venuto il prevosto, e gli ha fatto fare le sue divozioni; e il dottore ha detto che sarà un miracolo se passa la notte.
Il Duca mise un sospiro profondo e sincero.
— Vuole andar su? — chiese premurosamente una donnetta attempata, ch'era allora allora sbucata da una prossima cucina. — Vedrà che cosa da far pena! Son io che lo veglio, quel poveretto, e da tre notti non chiudo occhio.
E così parlando, precedeva il Duca su una scaletta di legno, e poscia per un andito scuro che faceva capo alla camera di Drollino. Entrarono entrambi in punta di piedi.
La stanza era pulita; le patate c'eran tuttora, ma ammonticchiate accuratamente in un canto, e non davan noia. La finestrina era chiusa, e alla rottura dei vetri s'era riparato apponendo sulla intelaiatura qualche spesso foglio di carta, attraverso il quale giungeva affiochita la luce dall'esterno. Drollino sedeva sul letto, appoggiandosi ad un ammasso di cuscini, e si sentiva sin dall'uscio lo sforzo penoso del suo alitare. Il braccio rotto stava inerte e stecchito nella sua fasciatura appeso al collo con un foulard rosso, colla mano libera; il giovane portava ogni tanto alle labbra un fazzoletto bianco, e lo ritraeva quindi macchiato di sangue. Una benda bianca gli serrava di sbieco la fronte, e lasciava vedere soltanto l'occhio sinistro stranamente quieto e profondo, d'una luminosità quasi paurosa. Qualche chiazza di sangue qua e là sulle lenzuola.
Il Duca, col cuore stretto da un'angoscia profonda, sedette appiè del letto, su una seggiola che la vecchia gli aveva premurosamente recata. Salutò l'ammalato, e cercò d'intavolare qualche frase di conforto e di speranza. Ma non proseguì. L'occhio di Drollino s'era repentinamente fissato su di lui con una forza così intensa di divieto che il Duca smarrì il filo del discorso, e tacque.
Drollino alzò la mano che reggeva il fazzoletto, guardò la vecchia, e, con quel cencio insanguinato, le accennò la porta.
La vecchia allibì, rimase un momento in forse; poi, completamente dominata, uscì senza far rumore.
Al Duca parve che nella camera fosse piombata in quell'istante un'ombra nuova ed arcana. E stava fermo, inchiodato sulla seggiola da una possa misteriosa, ch'egli subiva suo malgrado.
Drollino continuava a fissarlo col suo occhio da ciclope, acceso dall'ardor della febbre. Il silenzio continuava oppressivo, pesante.
Finalmente il Duca, tormentato, chiese a Drollino se avesse qualche cosa da dirgli.
— Sì, — rispose Drollino.
La voce di Drollino era orribile a udirsi: roca, sibilante, con un suono alterato, gutturale, come il congegno d'una macchina che, spazzata, stride sotto la mano di chi lo tenta.
Il Duca dominò un brivido, e continuò:
— Forse, nevvero, vuoi parlarmi dell'accidente in cui la tua generosa audacia.... Sapresti.... potresti dirmi chi?... Si dice che sia stato un attentato. E tu sai...?
— Lo so!
— Oh, te se prego.... parla.... Capisci bene, è necessario.... perchè possa premunirmi.... per l'avvenire.
Drollino ebbe una specie di sorriso, e le sue labbra si contrassero con un'espressione d'ironia.
— Non c'è più bisogno di precauzioni! egli non può più farle del male. Guardi....
E col fazzoletto indicò sè stesso.
Giuliano non poteva, non voleva capire. Gettò un grido.
— Tu? — disse finalmente, balzando indietro e tremando.
— Io.
— Tu.... sciagurato!... apposta?... apposta?... perchè rimanessimo uccisi?
Drollino scosse il capo.
— Non loro due.... io non sapevo che ci fosse anche la signora.... Volevo.... solamente lei....
Sulle tempie del Duca scorrevano grosse goccie di sudore.
— Tu — sclamò ancora — tu? ma perchè? cosa t'ho fatto?
— A me.... nulla — rispose Drollino fra due sibili. — Ma perchè guidava Mia? e perchè voleva far morire la nostra.... signora?
— Io? — gridò inorridito il Duca; — ma tu sei impazzito?
— No, — rispose Drollino, — l'ha detto il dottore.... e non era giusto ch'ella morisse.... per causa sua.... Si ricordi.... l'autunno scorso....
Il Duca cominciava a capire. Si fece pallidissimo; cercò invano, con uno sforzo disperato, una parola di diniego, di scusa da gettare in faccia a quel morente. Ma non la trovò, e non poteva mentire davanti a quell'occhio unico che lo guardava immobile.
Drollino gli accennò d'avvicinarsi.
— Non abbia paura, — continuò, serbando sempre quel funebre simulacro di sorriso — ora, ora.... vede bene.... è finita.
Si fermò, la voce gli venne meno in uno schianto di tosse, che gli empi la bocca d'una salivazione sanguigna.
Giuliano aspettò, tremando verga a verga; poi:
— Ma ora.... ora.... — tentò di mormorare.
— Ora.... — rispose con uno stridore soffocato Drollino. E avventò, ergendo il capo, una sola parola: — Genova!
Atterrito, annientato, il Duca chinò la testa. Vacillava come un giunco mosso dal vento.
Drollino, passato l'accesso, continuava:
— Ora, sarebbe morta, forse.... quando lo avesse saputo.... E lei, signor Duca.... ha preso Mia.... Allora mi sono ricordato, e volevo che Mia fosse la causa.... Ma ho visto la Duchessa, e sono venuto....
Non potè proseguire; un secondo impeto di tosse gli mozzava quell'aspro filo di voce. Allora, nell'accesso stesso sbattuto dallo sforzo dello schianto rantoloso della tosse, ma tenendo sempre Giuliano sotto il fascino spietato del suo sguardo, Drollino lasciò andare il fazzoletto, e sollevando la mano, come un giudice che condanna inesorabilmente, alzò un dito.
Nel silenzio della stanza si sentiva l'affanno ormai, quasi parimenti angoscioso, di due aliti oppressi.
Un gorgoglio s'affoltò nella gola di Drollino. Ma egli, con uno sforzo supremo, mormorò ancora una parola:
— Si ricordi!...
Poi tacque, cessò di guardar Giuliano, e adagiò il capo sui guanciali.
Passò un minuto prima che il Duca trovasse la forza di uscire.
Sulla soglia della cascina s'imbattè col dottore.
— Sta male, eh! quel poveraccio? — chiese il medico, vedendo il viso alterato di Giuliano.
— Sì.... — balbettò il Duca — temo che....
— Per bacco!... l'ho detto subito che era affar di pochi giorni. Ma lei non ci venga più qui. Vada via, che questi non sono spettacoli per lor signori; e tanto, ormai è finita. Vada via, le dico, e mi cambi subito quella brutta cera, che, se no, son capace di farle un salasso qui sui due piedi.
Giuliano rispose con un tentativo di sorriso agli scherzi e ai consigli del medico; poi s'allontanò adagio adagio, perchè dal cascinale non si avvedessero ch'egli si reggeva a stento sulle gambe. E solo quando fu lontano sulla via, lungi da ogni sguardo, nell'ombra discreta d'una macchia, allora soltanto si lasciò andare. Cadde a sedere su un tronco d'albero.... brancolando.... cercando un appoggio, come una donna che vien meno.
Il Duca era vinto.... la scena era stata troppo forte per lui. Sulla sua fronte pallida il sudore si rinnovava ogni momento. Balbettava sconnesse parole.... batteva i denti.... rabbrividiva, smentendo, nel codardo abbandono di quel momento, tutta la sua calma di gentiluomo, la sua placidità di uomo forte, la sua stupenda indifferenza di creolo. Ebbe uno scoppio di pianto nervoso, quasi isterico, e non cercò di frenarlo: chi lo vedeva colà, chi lo udiva?... Milla non era in presenza del suo idolo. Olga era a Genova, lungi dal suo schiavo gran signore! E i passeri della macchia non si curavano punto di quel Duca in lagrime, buttato là come un cencio.... scosso da quei singhiozzi spasmodici.... che non erano forse nè tutta paura, nè tutto rimorso!...
* * * * *
La camera di Drollino era quasi buia. Per terra, in un angolo, ardeva un lumicino d'olio, e la sua poca luce era attenuata da una specie di paralume improvvisato. Dietro ai vetri e alla carta della finestrina, s'urtava un raggio di luna che cercava d'insinuarsi all'interno disegnando sull'ammattonato e sulle pareti lunghe striscie bianche, d'uno splendore freddo ed immobile. Nel camino ardevano lentamente alcuni rimasugli di legna umida, e una vecchietta, adagiata in un rustico seggiolone impagliato, lottava ostinatamente col sonno. Un gentile odore d'erba secca veniva dal vicino fienile, e nel silenzio della stanza giungeva ancora dal prossimo piano uno stridore ritmico e incessante di grilli, cui teneva bordone una voce più immediata, uscita dal focolare stesso del camino. E, a lunghi intervalli, qualche nitrito affievolito dalla distanza.... qualche lontano interrotto canto di rossignolo.... le voci solitarie dei pascoli, che si stendevano addormentati ora e ravvolti nell'ombra notturna e infinita del piano.
La donna non ne poteva più. Lo aveva detto al Duca; eran tre notti che non chiudeva gli occhi! E ora quei poveri occhi stanchi si chiudevano irresistibilmente. Il rumore affannoso, sibilante che Drollino faceva respirando, non bastava più a tenerla desta. E i grilli, nell'interminabile monotonia del loro coro, non parevano modulare che una sola parola: dormire, dormire!
A dir vero, Drollino pareva molto più quieto adesso; il rumore dei suoi rantoli affaticati pareva diminuire. Ora invece vaneggiava.
Sulle prime, essa aveva voluto dar retta alle parole, alle frasi interrotte di quel quieto delirio. Ma poi se n'era stancata; eran tutte frasi del suo mestiere, e non si capiva nulla. Piuttosto, per tenersi desta, ricorse al rosario. Ma nemmen questo valeva: essa pronunciava affatto macchinalmente quelle note e sacre parole; la mente le si intorpidiva nel sonno.
— Mia! sta quieta, — diceva dolcemente Drollino. — No, no, non va bene così! più ritta.... Avanzi il ginocchio.... ora terrò la staffa.... tiri a destra.
La vecchia provò a cambiare. Salve regina, vita dulcedo, spes nostra....
Drollino continuava sempre più sommessamente: — Volti, ora; aspetti.... poggi sul fianco, niente paura..., più alta la briglia. Non abbia paura..., non si farà male.... son qua io....
In quegli accenti spezzati si sentiva una modulazione quasi carezzevole, qualche cosa di indicibilmente sentito e profondo. La vecchia si destò con un sobbalzo, e continuò: in hac.... lacrimarum valle....
Di repente sul volto di Drollino si operò un mutamento. I tratti s'affilarono, informandosi sulle ossa, che parvero avanzarsi sotto la pelle e sporgersi con un più marcato rilievo. Il volto assunse una tinta grigiastra, d'una trasparenza perlacea, e sotto alla quale s'accusava, sotto un lividore quasi violaceo, il colore di un frutto troppo maturo che, toccato, si ammacca.
La vecchia s'era addormentata. Russava ora ella stessa, colla corona abbandonata sulle scarne nocche delle dita. La lucernetta, in cui l'olio veniva meno, mandava una luce vacillante, che si esauriva lottando ad un tempo contro l'ombra della stanza e il chiarore incerto del lume di luna.
Allora, nell'agonia solitaria di Drollino, cominciò la splendida gloria d'un sogno. L'ordine della sua esistenza si capovolse negli ultimi sforzi della memoria: presso alla fine, egli rivisse, l'estasi suprema di un'ora della sua prima gioventù.
— Dagli un bacio, — diceva il Principe ridendo. E la testolina bruna della bambina si chinava verso di lui; due labbruzze strette, allungate cercavano le sue; una vocina festosa ripeteva: — Prendi, Drollino, prendi!
Egli non si tirò in là, non ricusò. Mosso il braccio, brancolando nel buio, come se volesse stringere.... afferrare.
Poi, con un'ospressione di supremo trionfo, gridò: — Mia!
La vecchia si destò di botto.... Gesù Maria!... parlava sempre quel poveretto, non si chetava mai! Ecco che adesso chiamava la sua cavalla.
* * * * *
Stette ancora in ascolto, ma non sentì più nulla. Le parve anzi che il rantolo fosse cessato.... a un tratto. Inquieta, s'alzò, attizzò il lucignolo della lucerna e s'accostò al letto!
E subito, spaventata, si ritrasse per chiamar gente.
La camera s'empì in breve di contadini. Ma nessuno ormai, nulla al mondo poteva turbare l'ultimo sogno di Drollino. Lo spirito, all'estremo, s'era rifugiato in quel sogno, e aveva varcato il confine.
FINE.