Mia/VII
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VII.
Eran tutte nel salotto rosso, un po' agitate, un po' inquiete.
— Veramente.... Milla si era sentita male?... Oh! poveretta! Ma come.... perchè?... Forse, la stanchezza del ballo....
— Già — osservò la Garbi, — si vedeva, sulla fine, ch'era un po' abbattuta.
— No, — sentenziò una vecchia signora. — Sarà qualche cosa, qualche novità.
— Magari! — risposero in coro il più delle signore, con qualche sorrisetto....
— Davvero?... — osservò Olga, ch'era entrata in quel momento. — Che bella cosa sarebbe, che felicità per entrambi!...
— Tu eri in sala, nevvero.... quando quella poveretta si sentì male? — chiese la contessina Ghisneri.
— Per l'appunto, mia cara, n'ebbi uno spavento grandissimo. Io ero scesa a déjeuner.... A un tratto, Milla comparisce sulla soglia, pallida come uno spettro. Era stata, Dio sa dove, a far la meditazione.... che so io.... a confessarsi. Sapete, poverina, quanto è pia, quanto è buona! Convien dire che l'umido le avesse fatto male, che si fosse strapazzata.... Poi, è delicatina, nevvero?... Insomma, la vidi annaspare, poi svenne.... lì.... sui due piedi. Corsi subito a sostenerla, gridai.... chiamai; per fortuna, c'era gente nella sala del bigliardo.... Venne subito anche il Duca.... scesero le cameriere; la portammo su.... Si riebbe a poco a poco, e l'ho lasciata or ora, che stava meglio.
— Anderò su a vedere — disse la vecchia dama. — Se vi fossero novità.... scriverei subito alla Duchessa Margherita.
— Dov'è ora quella cara signora? — chiese Olga.
— Oh! sempre a Torino. E come dicevo....
— Mia cara Marchesa, — osservò Olga con voce sommessa e carezzevole — rammento ora che Milla stava per addormentarsi; forse un po' di sonno le gioverebbe meglio d'ogni altro rimedio.
In quella entrò Giuliano, e tutti gli furon d'attorno a chiederle notizie di sua moglie. Oh, era una cosa da nulla.... uno sconcerto passeggiero, cagionato dal freddo.... dalla stanchezza. Milla si era riavuta subito.... mandava a salutare le sue buone amiche; dormirebbe per qualche ora, e scenderebbe senza dubbio a desinare.
Giuliano in cuor suo era di cattivissimo umore. Che bestia era stato! uno scolaretto non ci sarebbe cascato più scioccamente.... E in complesso... per.... nulla. E ora chi sa che scena gli toccherebbe, quanti rimproveri gli rivolgerebbe Milla!
Senonchè, con sua grande sorpresa, Milla non gli aveva rivolti rimproveri di sorta. Quand'egli entrò in camera, prima del pranzo, per chiedere sue notizie, la trovò ancora coricata, immobile. Ella parve non avvertirlo; chiuse gli occhi. Giuliano esitò un momento; poi chiamò dolcemente: — Milla! — Essa aprì gli occhi, con un amarissimo sforzo di sorriso, poi, lentamente, li richiuse.
— Milla! — disse ancora Giuliano.
Ella non rispose...; serrò gli occhi più forte, perchè non lasciassero adito ad una lagrima.
Giuliano aspettò un momento, poi se ne andò; adagio e inquieto. Forse avrebbe preferita la scena.
Condusse le signore a fare una trottata. Tornando, si seppe che la Duchessa non scenderebbe neppure a desinare. Le era sopraggiunta un po' di febbre. Gli ospiti espressero naturalmente il loro rammarico; dopo di che, ognuno andò in camera sua a vestirsi pel pranzo.
Ma in quella mezz'ora affaccendata di pettinature riedificate, di vitine assestate alle persone, di fichus drappeggiati sulle spalle, di baffi incerati ed unghie brillantate, una piccante notizia s'insinuò fra una stanza e l'altra, venne scambiata in fretta nella penombra dei corridoi. Dal tinello dei domestici, d'onde aveva prese le mosse, una frase fece rapidamente il giro del primo piano. Quando suonò la prima campana del pranzo, tutti (meno gl'interessati, s'intende) sapevano il vero motivo dello svenimento di Milla. Certo.... era capitata inattesa, e aveva veduto.... aveva udito.... Cosa?... Questo non si diceva, prima perchè non si sapeva bene, e poi perchè nella reticenza c'era un delizioso sottinteso, un ampio orizzonte di supposizioni. L'avvenimento aveva avuto un testimone inavvertito, il domestico che aveva aperta, per la Duchessa, la porta della sala da pranzo.
Naturalmente, le primizie dei commenti ebbero luogo in cucina. Il passato di Olga e di Giuliano non era mai stato un mistero per la servitù; la rinnovata infatuazione del Duca non era certo sfuggita a nessuno di quegli arghi implacabili che si chiamano: i nostri domestici. Si parlava dell'accaduto, senza ombra di reticenza.
I più compativano Milla, e fra questi erano, naturalmente, i dipendenti nati della casa. Ma un certo nucleo si ostinava a proteggere Olga, una bella donna, perdio, e che, quando montava a cavallo, mostrava d'avere un gran coraggio e un polso d'acciaio!
Qualcuno interpellò Drollino:
— Che te ne pare, eh?...
Ma egli non rispose; disse che aveva altro pel capo.... un certo puledro che gli pareva tendere ad azzoppare. Prese il berretto ed uscì, benchè piovesse che Dio la mandava.
Olga scese a desinare, bellissima nel velluto verde-oliva della sua ricca toilette. Ma alle entrées cominciò a sospettare qualcosa. Sorprese qualche sorrisetto bizzarro, qualche occhiata curiosa, che si fermava un momento addosso a lei e poi fuggiva rapidissimamente.
All'arrosto, era quasi certa; al caffè, non serbava ombra di dubbio. Qualcuna si rivolse a lei per chiederle, con una strana inflessione di voce, le notizie di quella cara Milla.
Olga non si scompose per nulla. Celò a meraviglia la sua viva irritazione, fu più serena, più affettuosa, più amabile che mai. Rispose sempre a tuono, ignorando i sorrisi, ostinandosi a non afferrare nulla più del senso letterale delle varie interrogazioni che le venivano rivolte.
Ma, in fondo al cuore, era furibonda. Con Milla, ben inteso. Cos'era venuto in mente a quella sciocchina d'invitarla ad Astianello per farle poi di quelle scene mute da vittima? E il bello era che lei non se ne curava per nulla di quello stolido di Giuliano, ed era animata delle migliori intenzioni. Lui, si sa, sfido io!
Olga aveva voluto provare, divertirsi un poco, nulla più. L'avevano invitata per far vedere che non la temevano; è naturale ch'essa desse loro una piccola lezione. Ma ora Milla, colle sue imprudenze, la metteva in una posizione falsa, seccante..., e quasi quasi meritava davvero....
Durante tutta la sera, quella valente schermitrice fu impareggiabile. Si mostrò così gentile, così naturalmente calma, seppe talmente manovrare, celando l'apparenza d'ogni manovra, che a poco a poco i più creduli cominciarono a dubitare. E giunta l'ora di separarsi pel riposo notturno, alcune fra le signore chiedevano a sè stesse: — E se non fosse vero? — Molti aspettavano l'indomani per decidere. Bisognava vederle di fronte.... Milla e la Baronessa. Davvero, sarebbe interessante. A domani, dunque. Intanto non ci si annoiava ad Astianello.
Ma l'indomani non fu apportatore della scena desiderata. Milla non si era alzata e la febbriciattola perdurava.
Giuliano era crudelmente imbarazzato. I suoi doveri di padrone di casa lo assorbivano in parte, occupavano buona parte del giorno; ma ogni tanto bisognava pure che salisse a tener compagnia a sua moglie, e quelle brevi soste nella camera azzurra non riescivano punto piacevoli. Eppure Milla continuava ad astenersi dalle scene; essa non gli rivolgeva mai la parola, non lo guardava. Era sfinita, non provava che un immenso disgusto, un imperioso bisogno di assopirsi, d'annientarsi nell'oblio. Oh! se avesse avuto sua madre! Se avesse potuto chinare sul seno d'una vera amica la sua povera testa così greve ed ardente e narrare, piangendo, la sua sventura! Ella, che aveva tanto d'uopo d'amore, di simpatia! Si sentiva, per la prima volta in vita sua, supremamente offesa.... Quando vedeva Giuliano, il suo orgoglio di donna onesta si ribellava, imponeva silenzio all'amore. Essa non poteva parlargli, non poteva guardarlo.... La forza della volontà aveva e serbava alzata una barriera che pareva di ghiaccio. Ma dietro a quella barriera, il povero cuore di donna sanguinava lentamente, in silenzio!...
Il giorno dopo, fu chiamato il medico del villaggio. Era un buon diavolo, onesto e capace. Giudicò, colla sua semplice esperienza, che la Duchessa avesse, più che altro, bisogno di riposo; e, vedendo che le circostanze, il tramestìo degli ospiti non si prestavano guari all'attuazione di questo desiderio, pensò di parlarne francamente al Duca. Ma il caso aveva disposto altrimenti. Nello scender le scale, s'imbattè in una vecchia signora, la quale prese a informarsi minutamente della salute di Milla, e finì coll'alludere discretamente alla possibilità d'uno stato interessante.
Povera contessa Nemi, ci teneva allo stato interessante di Milla! Ai suoi tempi, era il solo male che patissero le spose, ed essa non ne intendeva altri. Rimase dunque attonita e quasi scandalizzata quando udì che si trattava invece d'una febbre continua. Oh Dio.... ella che aveva tanta paura delle febbri.... Ma di che sorta di febbre si trattava?... Sperava bene che non fosse infiammatoria.... non attaccaticcia....
— Eh! eh! — disse il dottore, cogliendo la palla al balzo — non so, spero che non sia.... non si può precisar nulla per ora..., ma non vorrei.... che.... certi lontani indizi di tifoidea.... Dio guardi, potrebbero far capolino da un momento all'altro....
La contessa Nemi strisciò frettolosamente una semi-riverenza, e scappò via. Il medico s'allontanò ridendo, senza nessun rimorso pel suo stratagemma. I medici di campagna hanno talvolta delle benefiche audacie di questo genere.
La sera stessa, la Contessa riceveva una lettera del suo notaio, che, per un affare urgentissimo, la richiamava a casa. E, caso singolare, la Garbi aveva notizie non troppo buone di sua madre. Due partenze furono dunque annunziate per l'indomani. Le signore chiedevano col più vivo affetto notizie di Milla, ma nessuna insistè, come avevan fatto tanto gentilmente nei primi tempi, nell'offrirsi a tenerle compagnia. E in capo a due giorni Olga pensò bene di ricevere un telegramma di suo marito, il quale le chiedeva di venire a raggiungerlo, scusandosi di non poter egli stesso recarsi a riprenderla, per affari molto intricati, della cancelleria, s'intende.
Giuliano, quando seppe di questo telegramma, ebbe un momento di viva irritazione. Ecco che se ne andavano tutti e lo lasciavano lì solo.... in faccia a quella donnina smorta, che non gli faceva scene, ma non voleva saperne di alzarsi, nè di guardarlo in viso.
Poi ebbe un sentimento di soddisfazione. Eh, eh..., la cosa prendeva un certo aspetto.... Meglio così.... forse la posizione avrebbe potuto farsi critica, ed egli era tanto.... creolo!
* * * * *
Olga prese a tempo la decisione di partire. Dubbi o non dubbi, la sua fermata ad Astianello non era più indicata: le altre signore formavano un formidabile areopago.
La simpatia per Milla era tornata, alla lontana sì, ma viva assai, avvalorata dall'invidia che, alla lunga, Olga doveva pur destare in un circolo femminile. L'invidia non ha molta strada da fare per diventar censura, e la Russa conosceva molto bene ciò ch'era atto a giovarle, o a recarle danno. Aveva saputo sino ad allora farsi perdonar molto, e non compromettere in nessuna delle sue varie vicende di.... cuore l'invidiabile posto che occupava nella società. C'era rimasta, imponendosi o altrimenti, anche a dispetto della sua lunga avventura con Giuliano..., ma essa sapeva benissimo sino a che punto si può gettare impunemente della polvere negli ocelli. Trovò dunque un effetto di partenza felicissimo; l'onore della ritirata era più che salvo!... Ma in fondo era indispettita, e, all'ultimo momento, un dubbio l'aveva inquietata. Forse la malattia di Milla era un'astuzia di guerra.... la Duchessa si liberava così di lei e delle sue apprensioni.... E, sotto l'impressione di quel sospetto, morse per un secondo le bellissime labbra.
Di Giuliano non le importava affatto; pure seppe così bene simulare presso di lui che, nell'animo di questi, quel po' di rimorso relativo che s'era andato formando a fatica, tacque subitamente per dar luogo ad una specie di vigliacco dispetto! Olga se ne avvide, e, mentre saliva nel legno che doveva condurla alla stazione, mandò in su uno sguardo rapido, ma strano, verso la finestra chiusa della camera di Milla. E lasciò per lei i più affettuosi, i più cordiali saluti, certa di rivederla presto, perfettamente guarita, fresca come una rosa. E frattanto ella stessa era bellissima, forte e formidabile nella pienezza vigorosa delle forme. Era molto attraente così, in abito da viaggio. Le sue pelliccie non l'infagottavano punto come infagottano il più delle signore; parevano avvolgerla come il manto d'una regina selvaggia.
E Giuliano rimase solo coll'ammalata.
Non già un'ammalata grave. Di tifoidea nessun indizio; la febbriciattola non cresceva, e veniva solo ogni tanto. Milla s'era alzata per salutare la vecchia signora, amica di sua suocera, e anche per assicurarla che ora stava propriamente benino. Ma, dopo la partenza degli ultimi ospiti, era tornata a star così così. Non usciva più di camera, mangiava poco o nulla, e ogni tanto si metteva a piangere in silenzio. Con Giuliano non scambiava che qualche rara e indifferente parola. Era esausta di forze, ma resisteva, e in quella lotta, che nessuno avvertiva, la sua energia si consumava. Il suo era uno di quei graduati sfinimenti a cui certi temperamenti femminili si prestano fatalmente. Questo bizzarro genere di malattia non è punto mortale in sè stesso, si può benissimo guarire, solo però quando lo si voglia assolutamente. Se no, si muore, commettendo innocentemente un insensato e crudele suicidio.
Due settimane passarono così. Giuliano incominciava a impensierirsi, e il medico del villaggio a non saper più che dire. Un giorno, uscì a proporre che si chiamasse un altro dottore.... per avere un parere di più.
— Ah! — disse Giuliano.
Si sgomentò. E se veramente la povera Milla.... fosse proprio così malata.... per aver udito quello sciagurato colloquio! Che stupido era mai stato! E Olga lo aveva canzonato bellamente; dopo tutto!.... Mentre invece Milla l'adorava, povera creatura! Oh! sì!... ci voleva proprio un bravo medico, una celebrità. E la celebrità, chiamata telegraficamente da Giuliano, capitò pochi giorni dopo ad Astianello.
Non disse gran cosa, in complesso. Parlò di nervi, di gran simpatico, d'anemia, di debolezza. E mentre faceva queste osservazioni e teneva fra le mani il polso bianco e magro di Milla, guardava attentamente ora Giuliano, ora la faccia rigida della Duchessa.
Finì dunque coll'assicurare che non c'era nulla di grave; ordinò marziali, accennò alla necessità d'una vita molto quieta; e suggerì di passar l'invernata nel Mezzogiorno. Poi se ne andò, certo in cuor suo che quella donna soffriva crudelmente, senza concedersi uno sfogo. Il celebre dottore non era soltanto celebre, era vecchio, conosceva del pari la donna e la vita.
Nell'andarsene, ebbe una sorpresa. Giungendo alla stazione, vi trovò ad attenderlo un giovinotto bruno, magro, con due occhi assai vivi e profondi, il quale, qualificandosi per un addetto della tenuta d'Astianello, gli chiese semplicemente, ma in modo abbastanza categorico, se la Duchessa fosse ammalata molto, molto?...
Il medico non ricusò di rispondere, ma non si curò di dare al giovanotto nulla più d'una di quelle elementari risposte, ch'egli giudicava sufficienti a soddisfare la curiosità o l'attaccamento ai padroni, da parte d'una persona di servizio.
Ma Drollino non si contentò.
— Potrebbe morire? chiese colla massima calma.
La celebrità medica, impazientita alzò le spalle.
— Caro mio, che andate chiedendo? Perchè dovrebbe morire? Ha un buon temperamento, è giovane. Ha bisogno di quiete e che la lascino stare in pace, ecco tutto.
— Già, disse Drollino.... Ma se invece....
Rimase in silenzio, con un'espressione bizzarra e cupamente inquieta.
— Che ci siano ancora dei servitori affezionati? chiese a sè stesso il celebre medico mentre saliva sul treno, in una bella carrozza di prima classe.
* * * * *
— Ecco qua, borbottava in guardaroba, la vecchia Tonia, è la terza volta che viene oggi, colla scusa di prender le notizie della signora Duchessa.
— Eh, eh! rispose la Teresa, la guardarobiera in secondo, non ha poi tutti i torti; non è il diavolo la Carolina. E lui ha un bel salario ora, e sono tutti e due della tenuta. Sarebbe un bel matrimonio.
La Carolina entrò all'improvviso.
— Che c'è? chiese stizzosa, indovinando che la sua venuta aveva troncato un discorso.
— Niente, niente. Si diceva soltanto di.... Drollino.
— Miracolo! ribattè la giovane.... E sarà per dirne del male, mi figuro! tutti ce l'hanno amara con quel poveretto. E io invece sostengo che....
— Eh! si sa, si sa....
— Cosa si sa?... Non è vero niente, a me non me ne importa niente affatto di colui, non mi dispiace, no, perchè è un buon figliuolo, affezionato alla signora.
— Sfido io, saltò su a dire la Teresa, sono stati beneficati tutti dalla casa, quando c'era il padrone vecchio.
— Bene, bene.... Oh gli altri non sono forse stati beneficati anche loro?... Eppure.... guardate se si rammentano di venire a vedere se la padrona è viva o morta.
— Caspita! susurrò la Tonia, non hanno mica le ragioni che può avere Drollino di venire in guardaroba.
La Carolina arrossì e tentò una smorfia.
— No, no ve l'assicuro, viene proprio soltanto per sapere.... — Ma lo diceva mollemente, con un mezzo sorriso biricchino e un po' ipocrita.
— Non è vero che sia cattivo, proseguì, anzi, ha buonissime maniere. Vien su adagino.... per non far strepito e sta a sentire tutto quello che gli dico.
E gliene diceva, quella buona ragazza.... Si rifaceva con lui delle lunghe ore silenziose che le toccava passare in camera della Duchessa. Gli narrava in disteso come la padrona divenisse ogni giorno più pallida e più magra, e come ella la ritrovasse sempre immobile, cogli occhi chiusi e con certi lagrimoni tanto fatti, sulle guancie. No, no, alla Carolina non la davano a bere e i medici potevano dir nomacci latini quanti ne volevano, ma il male di quella signora era tutta passione, ecco cos'era, le gelosie e le pene che le aveva fatte passare il Duca per quella strega grassa, per quella Russa che rideva sempre.
Drollino ascoltava attentamente questi sfoghi della Carolina, senza dir nulla, senz'avvedersi che la cameriera belloccia e garbata avrebbe forse parlato anche di qualcos'altro. Egli aveva ben poco da fare in quei giorni e però ammazzava il tempo a furia di lunghe, faticose cavalcate, al ritorno delle quali Mia era bene spesso tutta bianca di schiuma.
Qualche volta, in casa o pel viale Drollino si imbatteva col Duca. Giuliano non s'accorgeva sempre della presenza del giovane, ma Drollino avvertiva ogni volta, con una specie d'intuizione, l'appressarsi del padrone e se n'aveva il tempo, evitava l'incontro. Sentiva, vedendolo, uno strano brivido nel sangue, involontariamente digrignava i denti, gli veniva come un'insana voglia d'essere insolente verso quell'uomo, di ribellarsi a lui. Un'acre bestemmia pareva destarglisi in bocca. Ma allora gli veniva in mente la Duchessa, a cui le bestemmie spiacevano tanto, e non ardiva proferirne.... Eppure con quale piacere egli le avrebbe scaraventate in faccia al Duca.
Lo odiava profondamente.... senza scrupoli di sorta. Egli non era persuaso di essere al suo servizio. La sua padrona era Milla. E ora Milla.... forse morrebbe per colui!
Una volta Drollino, capitando in scuderia, ci trovò il Duca, che a passo lento e a capo chino traversava l'andito. Gli tenne dietro con uno sguardo torvo, e un'idea confusa, ma terribile, gli balenò nella mente.
E per salvarsi da quel pensiero, ne evocò un altro, non mai completamente abbandonato per l'addietro, un pensiero che l'aveva agitato sin da bambino, quello di fuggire con Mia, d'andar lontano lontano. Così non saprebbe nulla, non vedrebbe nulla se.... caso mai!...
Lasciò la scuderia, e si diresse verso il suo antico alloggio.
Era una piccola cascina, addossata ad un vasto fabbricato ad uso fienile, e stava proprio dirimpetto alla grande estesa del piano. Un vecchio guardiano dei pascoli vi faceva dimora colla famiglia. L'alloggio di Drollino consisteva in una ex-cucina a terreno; egli vi aveva lasciato il suo letto, due seggiole e una vecchia cassapanca, dove serbava, alla rinfusa, i pochi panni ereditati dal padre, i suoi, non quelli di livrea, e qualche cianfrusaglia. Era un pezzo che non capitava laggiù. La massaia aveva approfittato della sua assenza per ammonticchiare in un canto della stanza l'ultima raccolta delle patate; ampie ragnatele si erano acquartierate fra le travi del soffitto, e l'unica finestrina aveva i vetri rotti.
Aprì la cassapanca, e prese a rovistare nei vecchi panni. A un tratto s'arrestò. Gli era capitato sotto le dita un oggetto pesante, freddo. Con un gesto vivace l'estrasse. Era una vecchia pistola a due canne, ed egli riconobbe subito la solita arma di guardia di suo padre. L'esaminò a lungo; era ancora in discreto stato; cercando bene, trovò pure in un angolo della cassapanca lo scatolino delle cariche.
Drollino non pensò a rimettere in ordine i panni. Guardava fisso fisso, come magnetizzato, quell'arma vecchia, cogli acciai un poco irrugginiti.
Lentamente prese a pulirla, la rimise in assetto, poi la caricò, pensando: — Servirà pel viaggio.
Ma quando la vide lucida, forbita, pronta, col grilletto obbediente, si fermò di nuovo. Aveva il volto acceso, le tempia gli martellavano; ed egli alzava, riabbassava, trattenendolo, il cane, con un gesto che aveva qualcosa di convulso, come se si dibattesse nello stretto di un'intima, formidabile lotta.
Finalmente, su quella faccia stravolta passò il lampo d'un pensiero che vinceva. Drollino cacciò la pistola nella tasca interna della giacca che indossava, poi ricacciò tutti assieme e confusamente i panni nell'interno della cassapanca.
Giunto a casa, chiese della Duchessa. La febbre era aumentata.
L'indomani, cadde la prima neve e seppellì nel bianco silenzio invernale gli orizzonti della splendida villa. Una grande malinconia invase al casa. Il Duca non si vedeva quasi più, e Milla, da più giorni non si alzava. Il freddo capitato così improvvisamente, le aveva fatto male. Non già che soffrisse molto; anzi, s'era come adagiata in una grande quiete funesta, le pareva di sentirsi cullata nella progressione lenta, molle d'un'atonia che l'assopiva dolcemente. E se a capo di questa progressione ci fosse anche la fine.... ebbene.... tanto meglio!... Così non si poteva vivere. Umiliarsi, ella?... tanto offesa.... dimenticare? Ah no!... piuttosto morire, morire....
Giuliano era, dal canto suo, profondamente agitato. Un rimorso grave turbava quell'anima impotente. Egli provava il sincero desiderio di salvare quella donna, che alla sconfinata vanità di lui offriva l'olocausto della propria vita. Lungi dall'immediato dominio di Olga, egli tornava in sè, si pentiva d'averla amata ancora, gli pareva d'abborrirla. S'inteneriva sulla sorte di sua moglie, piangeva spesso, uscendo dalla camera azzurra. Avrebbe pur voluto (egli che detestava le scene) cadere ai piedi di Milla, dirle che però, in fondo, non era colpevole come forse ella lo credeva.... implorare cionnullameno il suo perdono... giurarle, e mantenerle poi, una fede sincera e.... assoluta.
Tentò due o tre volte una spiegazione. Ma essa lo guardò con un'alterigia così profonda, così glaciale, ch'egli interruppe subito i preliminari e rimise la spiegazione a.... più tardi.
Un giorno, la Carolina annunziò a Drollino una cosa che le faceva molta pena. La Duchessa aveva mandato a chiamare il padre Loria.
Drollino non disse nulla più che il suo solito «Ah!» ma lo disse con un accento rauco, quasi gutturale.
Allora la Carolina volle rassicurarlo. Oh! oh!... non era già perchè proprio si fosse a questi estremi; ma la signora Duchessa era tanto pia, e poi.... forse....
Drollino rimase serio, cupo, cogli occhi fissi sul tavolone dove si stirava.
Nevicava fitto fitto, a grandi falde, lente e sfioccate, e il padre Loria giunse sotto l'atrio in uno stato proprio compassionevole. Mentre si asciugava davanti al fuoco acceso nel gran camino della stanza da pranzo, il duca venne a incontrarlo. Il colloquio fu breve, riuscì freddo, quasi come la giornata. Il prete e il padrone di casa si studiavano a vicenda, e a vicenda diffidavano l'uno dell'altro.
Giuliano ebbe due o tre frasi un po' contorte; raccomandava di non stancare la Duchessa, già piuttosto deboluccia, poveretta. Il padre Loria ebbe due o tre mosse del capo, che non rassicurarono al tutto il Duca. Ma questo dovette pure mormorare un cortese: — S'accomodi, — sulla soglia della camera azzurra, e ritirarsi adagino, mentre la dolce figura paterna del sacerdote s'accostava lentamente al letto di Milla.
Il padre Loria non fece certamente apposta a inquietare e a stancare la Duchessa Milla, ma certo è che la inquietò e la stancò orribilmente, e il loro colloquio riuscì critico e tempestoso. Fu un vero duello tra l'autorità e la ribellione.
Milla gli narrò ogni cosa con uno sfogo febbrile, con tutto l'impeto del suo risentimento, col bisogno di simpatia che la torturava. Gli narrò, con subita energia, il suo amore pel marito, e il dolore che sentiva roderle la vita, come il verme rode la radice d'un fiore. Oh! essa l'aveva amato tanto.... così ardentemente.... No, la sua mitezza non era stata vigliaccheria, la sua docilità, tenera, inesauribile non era la debolezza d'un'anima inetta al dominio; era stato un volere ragionato, era la sua interpretazione dell'amore, era una insaziabile necessità di sacrifizio, una manìa innamorata di abnegazione! Essa si era fidata.... aveva voluto fargli vedere che si fidava!... Voleva a tutti i costi bastare al cuore di quell'uomo! E tutto ciò non era valso a nulla. Era caduto un'altra volta ai piedi di quella.... E ora?
Il padre Loria la lasciò dire. Ma, quando essa ebbe finito, quando, ancor tutta fremente del suo sfogo, si lasciò ricadere sui guanciali con un gesto risoluto, egli prese a parlare.
Non fece discorsi lunghi.
— La comprendo e la compatisco, — mormorò dolcemente. Poi, mentr'ella lo guardava smarrita cogli occhi grondanti lacrime, ingiunse pacatamente: — Ora bisogna far due cose. La prima: perdonare.
Essa ebbe un lungo brivido. — E poi? — chiese con un'appassionata ironia.
— Bisogna vivere.... — rispose semplicemente il padre Loria.
Un'ora dopo, quando il vecchio prete uscì dalla camera della Duchessa, s'imbattè subito col Duca, il quale, impaziente ed inquieto per il lungo protrarsi del colloquio, camminava a gran passi in su ed in giù nel corritoio. Confessore e marito scambiarono un saluto cortesissimo.... ancor più cortese di quello dell'arrivo.... ma non meno diffidente e pieno di mutua avversione.
Giuliano sentiva qualche cosa nell'aria. La minaccia, per esempio, d'una spiegazione, che ora, suggerita dal prete, gli pareva di nuovo formidabile ad incontrarsi. E fu per lui un vero sollievo quando udì dalla cameriera che la signora, stanchissima, aveva raccomandato la lasciassero riposare.
Milla aveva riposato...; ma ora era spossata.... Quel riposo era stato in realtà una delle più aspre battaglie intime del suo povero cuore offeso e innamorato a un tempo. La religione aveva dato un consiglio; e la natura e la gioventù l'avevano avvalorato, con un assenso segreto...; ma l'orgoglio aveva avuto anch'esso la sua ribelle parola.
Il crepuscolo invernale, prolungato dal bianco riflesso della neve caduta e da quella tuttora cadente, scendeva lento, in una mezza luce grigiastra. Nella progressione graduata della penombra, il letto ampio, coi parati di raso sbiadito spiccava netto. La bianchezza del visino di Milla si confondeva col morbido bianco dei guanciali, pareva quasi assumere l'area sfumatura di contorni d'una larva.
— Comanda la lucerna? — chiese a bassa voce la cameriera.
— No, — rispose Milla, con voce stranamente affievolita. Va pure.... voglio riposare.
La giovane uscì, in punta di piedi.
Il silenzio della stanza era grave e solenne. Giuliano provava un'angoscia inesplicabile, guardava, come affascinato il candore opaco del letto, tentava d'afferrar nettamente, collo sguardo, l'incerto contorno di quel corpicino femminile che giaceva, spossato, sotto alle lenzuola e pareva quasi farsi di nebbia, illanguidire nell'ombra cupa che andava invadendo la stanza. Avrebbe voluto parlare a Milla, udire la sua voce, ne sentiva come un bisogno angoscioso. E mentre pensava come potrebbe rivolgere a Milla una domanda anche indifferente, ma che la obbligasse a rispondere, ecco che per l'appunto quella povera e debole vocetta s'alzò in seno al silenzio pesante e misterioso, pronunziando una parola, che, da tempo non s'era sprigionata dalle labbra di Milla.
— Giuliano!
Egli trasalì e si chinò sul letto, premurosamente, con un terrore indistinto di quell'ora e di quell'accento.
Ella gli porse la sua manina tanto smagrita.
— Giuliano.... — ripetè lentamente, non debbo.... non bisogna che io me ne vada. E per ciò.... sai....
Oh! non la sapeva recitare quella lezione; così sublime e così crudele. Tremava.... si confondeva.
— Sai.... — proseguì con uno sforzo eroico, volevo dirti che.... che io non mi ricorderò più di niente. Ma bisogna che anche tu... se vuoi ch'io....
Egli non la lasciò finire. Si gettò in ginocchio, le afferrò le mani, le chiese perdono, con accento rotto, appassionato, le giurò ch'egli l'adorava, che non era realmente colpevole, che ciò ch'ella aveva udito non era stato che l'espressione d'un momento di delirio passeggero.... un capriccio passeggero, senza base, senza conseguenze.... E iterava proteste, ardenti e sincere, com'era in quel momento, ardente e sincero il suo ravvedimento. E in quella tempestosa reazione, in quel subito rinnovarsi del suo amore per la donna ch'egli temeva di perdere; Giuliano riesciva eloquentissimo e si presentava sotto un aspetto nuovo, l'aspetto cioè ch'egli, nella placida sicurezza del suo dominio su Milla, non si era mai curato d'assumere per lei.
— Ma tu m'ami, dunque, tu m'ami? — chiese l'ammalata, balzata in quel momento in una calda e rapida transazione del suo amore, che le faceva ancora scusare, perdonare, scordar tutto, che la consegnava cieca, sorda, smemorata, in braccio ad una più potente, ad una più salda illusione.
Egli la copriva di baci. Oh! se l'amava! Se aveva sofferto.... Oh la sua Milla! la sua Milla adorata! Non era punto: creolo.... in quel momento!
Allora Milla ebbe un subito e febbrile risveglio delle forze. S'alzò a sedere sul letto, s'avvinghiò colle braccia scarne al collo di Giuliano e gli si strinse convulsa sul petto, con un grido supremo di trionfo e di desiderio: Vivere!... vivere!...
* * * * *
La villa era ancor tutta sottosopra. Poche ore prima il Duca e la Duchessa erano partiti per Napoli, dove li avrebbe raggiunti la vecchia Duchessa Lantieri.
La partenza era recente e l'ardore dei commenti non era pur anche venuto meno. Veramente la signora non era al tutto ristabilita; stava però assai meglio. Ma ne aveva patito del male, poveretta! E che festa per tutti, quando, era scesa a desinare per la prima volta!
Non la scorderebbero così presto, quella sera. Il pranzo era stato preparato, non già nel salone grande, ma in un salottino caldo, caldo, ornato delle più belle camelie della serra! Finito il desinare, la Duchessa, appoggiata al braccio di suo marito, era venuta un momento sotto il portico, per ringraziare quella brava gente che aveva tanto gridato: Evviva! Aveva parlato quasi a tutti, aveva riconosciuta la vecchia portinaia, salutata la fattora, poi aveva osservato che ci erano due guardiani dei pascoli e persino Drollino, il quale, da quel selvaticone che sarebbe sempre, se ne stava mezzo nascosto, dietro uno dei pilastri. Anzi, lo fece chiamare.
— Ho saputo — gli disse soavemente — che tu pure venivi spesso a chieder mie nuove. Ti ringrazio.
Egli la guardava fisso.... come incantato. Com'era bella e pallida.... e com'era diversa dalle altre!
Giuliano, che aveva bevuto del Johannisberg molto vecchio in onore della Duchessa, era di lietissimo umore!
— Certo.... — sclamò benignamente — veniva ogni giorno a chiedere alla Carolina.... eh!... eh!... guarda.... Drollino!
Drollino guardò infatti il Duca, e in modo siffatto che questi, pur continuando a ridere, non proseguì a toccar quel tasto. E un momento dopo, temendo che Milla fosse stanca, la condusse via.
Milla non si oppose; senz'avvedersene, ricadeva invincibilmente nella obbedienza cieca e fiduciosa dell'amor suo.
Partirono adunque sui primi di dicembre, contenti, felici, e in perfetta armonia. In casa rimaneva tuttora parte della servitù, quella che avrebbe più tardi raggiunti i padroni a Napoli, e quella fissa per tutto l'anno ad Astianello.
La sera stessa si trovarono riuniti in cucina, attorno all'allegra fiammata del caminone. Drollino ci andò pure un momento, prima di recarsi a letto.
Nel crocchio si discutevano, naturalmente, gli ultimi avvenimenti di quella fortunosa villeggiatura.
— E la Russa? — chiese a un tratto il paggetto.
Il capo cuoco alzò una mano a livello del mento, e con una vivace smorfia soffiò rapidamente sul palmo.
— Andata! — soggiunse con un'espressione comicissima, come un prestidigitatore che fa scomparire una pallina di sughero.
E fu una risata generale.
Ma il paggetto maligno insistè:
— Per sempre?...
Il cocchiere alzò le spalle con un'aria da filosofo.
— Caro mio, chi sa l'avvenire?... Speriamo di sì! Certo è che, in grazia di quella diavolessa, la nostra povera signora è stata a un brutto rischio.
— Io dico che se le capita un'altra volta.... — prese a sentenziare il maggiordomo.
— Muore, eh, muore davvero? — interrogo premurosamente il paggetto.
— Al diavolo i monelli — rispose stizzosamente il maggiordomo; — che c'entri tu, bardassa, a far cotesti discorsi?
E per fargli vedere che non c'entrava proprio, accennò ad allungargli una pedata.
Ma non l'allungò, e si mise a ridere.
Drollino uscì dalla cucina senza che nessuno se ne accorgesse, e si recò in scuderia.
In quell'ambiente vasto, l'atmosfera aveva un tepore dolce, e l'occhio si riposava in una semioscurità, rotta ad intervalli dal chiarore di certe lampadine appese alle arcate della volta. In fondo, presso alta porta d'uscita, un piccolo lume ad olio ardeva vacillando davanti ad un quadretto di Sant'Antonio e socio. In un box aperto e disoccupato, il sorvegliante di servizio, coricato su di una branda ed avvolto nel suo bigio mantellone, russava saporitamente.
In scuderia non c'erano in quei giorni più di una quindicina di cavalli. Stavano quieti. I più dormivano, alcuni si movevano ogni tanto, con un lieve scalpitìo, accusando le proprie mosse col rumore delle palle di legno appese alle cavezze.... che si urtavano contro le pareti esterne delle mangiatoie.
Mia era ultima nel compartimento di destra, e dormiva stesa di fianco sulla paglia; ma quando Drollino, avvicinandosi, la chiamò sommessamente per nome, la povera bestia, destandosi, si rizzò impetuosamente, con quel moto così rapido proprio del cavallo fino che non si vuol lasciar sorprendere in una posa d'inazione. Voltò la testina intelligente, e fissò il padrone coi grandi occhi espressivi.
— Mia! — disse Drollino col tono monotono di chi parla in sogno, e accarezzando la lucida groppa della cavalla. — Mia!... è partita!...
Il riverbero del lumicino di Sant'Antonio accendeva un punto luminoso nella pupilla attenta di Mia.
— Mia! — continuò Drollino collo stesso accento — se lei fosse morta.... io l'avrei ammazzato.... sai?...
Uno dei cavalli vicini diè un forte strappo alla corda, e la palla picchiò rumorosamente contro la barriera.
— Ohe! — borbottò il mozzo, fra il sonno e la veglia.
Una gran quiete regnò in scuderia.