MEDEA. 198
A le sue note tira.
Cosi mio dono è Castore e Polluce,
E di Borea i figliuoli,
E Linceo, che la vista ha sì sottile,
Che le cose oltre mar penetra e vede.
E tutti i Minij: però ch’io mi taccio
Del Duce di quei Duci,
Per il qual fasto nulla mi si deve.
Questi imputo a niuno,
A voi ridotto ho glialtri.
Ne mi si puote opporre
Fuor, che questo: che sol per mia cagione
E’ tornata la nave, che fece Argo.
Se a me fosse piaciuto
La mia virginità, se ’l padre mio,
Insieme con sì grandi e chiari Heroi,
Grecia hora ne saria tutta distrutta.
E primo fora stato
Tolto di vita da i feroci Tori
Questo genero tuo.
Sia pur la causa nostra
Da qual si vol fortuna oppressa e vinta:
Nè m’incresce d’havere
Conservati cotanti huomini illustri.
Tutto quel guiderdone,
Ilqual da la mia colpa ho ricevuto
E’ sol presso di te. Se ti gradisce,
Condannami per rea.
Ma intendi il mio peccato,
Son nocevole: questo
Lo confesso Creonte:
Matal sapevi, ch’io
Era, quando io ne venni
A piedi tuoi, et humilmente chiesi