Lucifero/Canto duodecimo

Canto duodecimo

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Canto undecimo Canto decimoterzo
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CANTO DUODECIMO





Argomento.


Lucifero giunge in Roma. — La breccia di Porta Pia. — La festa del Colossèo. — Voce d’Isdrael. — Voce di Numi. — Voce di Sacerdoti. — Voce di Santi. — Voce di Diavoli. — Voce del Tevere. — Voce della Savoia. — Voce della Corsica. — Voce dell’Istria. — Voce di popoli slavi. — Voce della Germania. — Spavento dei beati alla nuova che Lucifero è in Roma. — Santa Caterina rimproverandoli acerbamente, si offre di scendere in terra e di piegare con la sua eloquenza il nemico. — Iddio, benchè dubbioso del buon successo, glielo accorda; e, mentre ella si dispone a partire, Santa Teresa dà scandaloso spettacolo della sua pazzia.


    Poich’avvolse così d’alti dispregi
Le parole d’Olimpio e il reo costume,
Che risibil comporta il secol nostro,
L’auree sale d’Egeria e le tranquille
5Sedi d’Etruria abbandonò l’eroe;
E a te si volse, o del suo cor supremo
Desiro e dei suoi passi ultimo segno,
Tiberina città, che tutta chiudi



E a te si volse, o del suo cor supremo
Desiro e de’ suoi passi ultimo segno,
Tiberina città....

(pag. 227)


Del popolo latin l’anima e ’l fato.

    10Date querce ed allori a le recenti
Brecce di Porta Pia, date corone
Al sabaudo monarca, itale genti;
E custode di lor l’inno risuone,
Che diêr braccia e pensieri
15E la vita al grand’uopo! Are son fatti
Li trafficati e neri
Templi dei dieci colli,
Cui geme al piè, d’onta e di rabbia tinto,

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Chi al ciel serva la terra, e alla codarda
20Fede contenne il Pensier divo avvinto.

    Saldo negli anni, occulto
Nell’ombra e tutto cinto
D’armi e d’insidie, il piè dentro al profondo
Petto d’Adamo, il capo agli astri, il grido
25Ai poli, eterno si tenea l’infido
Pescator galilèo reggere il mondo.
Ma come avvien, che ròsa
Dai secoli e dai flutti in mar ruina
A novo urto di turbo ispida rupe,
30Che negra e minacciosa,
Riprodotta dall’onda, al navigante
Pendea su’l capo, e gli oscurava il core;
Tal, pugnato dagli anni e più da questo
Eterno flutto del pensier, che invade
35Ogni creata cosa,
Trema, balena e cade
Il doppio soglio a Libertà funesto.

    Dei primi onori il vanto
Miete al certo colui, che primo accoglie
40Arduo pensier nell’alma, e chi l’ignudo
Pensier nella feconda opra traduce.
Dai domestici affetti e dalle braccia
D’ogni più cara illusíon si scioglie;
E oltre ad uso mortal guardando in faccia
45Ad inaccessi veri,
Sordo dei figli e della sposa al pianto,
Là sè stesso periglia ove più crudo
Ferve il conflitto; e a recar vita e luce
Corre colà, colà vince e procombe,
50Dove più ferrei e neri
Pugnan fantasmi, e più la notte incombe.

    Però, sola e più degna

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Eternità che al gener nostro assente
La fatale Natura, a noi nel petto
55Vivrete eternamente,
Quantunque siete, o eroi
Dell’umano pensier; sia che mutando
La molle cetra in brando,
O in viva fiamma di Sofia l’acume,
60O in fulmine la voce,
Nel più chiuso del cor portaste oltraggio
A questa vaticana idra feroce,
Cui non giovò dar vostre carni a morte,
Quando la fiamma inesorata e il ferro,
65Che brevemente il corpo vostro offese,
Ruppe il suo petto, e le sue membra incese.

    Ma non senza gran laude alle venture
Genti andrà il nome e il grido
Di chi l’ultimo crollo a la superba
70Mole impavido impresse, onde stupite
Mirâr le più gagliarde anime, e intorno
Tremar parve la terra. O benedetti
Voi, che la vita acerba
Fidaste, o giovinetti,
75All’onor del gran fatto, e benedetta
La destinata mente
Di lui, che custodita entro ai gelosi
Carceri adríanèi la vita inferma,
Inesorabilmente
80Fulminò a morte indegna
L’italico vessillo e i vostri pettí!

    Veglian su l’infrequente
Uscio le madri abbandonate, o accolte
L’anima tutta nel pensier di voi,
85Lascian piangenti a mercenarie mani
Le vigilate masserizie, e vanno
Dove a lenir l’affanno

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Una voce di ciel par che le chiami.
Ardono i ceri; un’onda
90D’incensi e timíami
Vaporan l’are; una pietosa, incerta
Melodia le devote anime inonda;
E di profumo avvolto e di splendori,
La sacra ostia consacra, e preci ignote
95Mormora il sacerdote.

    Qual improvviso e fiero
Tuono per li diffusi archi rimbomba?
Come dischiusa tomba
Pute e nereggia il sacro tempio; stride
100Il percosso saltèro;
Illividito e nero
Guizzi sanguigni avventa
Ogni lume, ogni cero;
Rosseggia l’elevata ostia, ed infetta
105D’orrida tabe, al volto
Delle pie turbe e al cor dardi saetta
Di sdegno e di vendetta;
Urla sui tormentati organi eretta
La cieca Morte, e invita
110A nova tresca il pallido Levita.
Ecco, spumeggia di sangue recente
Il benedetto calice; volteggia
Da feroce disio fatto più lieve
L’inebbríato Prete…
115Madri, madri, fuggite: il sangue è quello
Dei figli vostri; il santo vecchio ha sete;
Madri fuggite: il sangue
Dei vostri figli ei beve!

    Ma di sangue che parlo? Ecco, fiammeggia
120Sui debellati altari
Il vessillo d’Italia! Oh salve, oh viva
Nel tuo triplice raggio, iride santa

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Di libertà! Dalla percossa riva
Della tumida Senna ululi avventi
125La piagata nel cor druda di Brenno,
Cui la vittoria altrui par sua sconfitta:
Fuor d’ogni modo e senno,
Ebbra d’invidia, esulti
Prostituta liberta, e d’impudenti
130Minaccie a te, sacro vessillo, insulti,
E al sangue nostro. Il dì verrà, nè incerti
O lontani presagi al carme io fido,
Che, ravveduta o stanca
Dal sozzo amplesso di plebei Caini,
135Te chiamerà, come chi piange. Al grido
Risonerà l’irta Pirene; e quale
Iena sorpresa all’avvenir del giorno,
L’iberico soggiorno e il reo pugnale
Lascerà urlando il bieco
140Masnadier di Castiglia. Allor saprai,
Putta dell’Ebro infuríata, a quanta
Luce di libertà volgesti il tergo
Quel dì che ai tuoi rissosi
Schiavi t’abbandonò l’italo alunno,
145E dalle regie chiome
Strappò sdegnoso il serto,
Pur che la fronte altera
Erger potesse intemerata al sole,
E, monda del tuo sangue, al patrio albergo
150Recar la spada ed onorato il nome.

    Venga, oh! tosto, quel dì! Cessi il furente
Baccar di questa erine
Licenzíosa, a cui
Vanto di libertà danno i suoi drudi
155E quanti han voglia ardente
Del reo suo grembo e dei suoi fianchi ignudi!
Ecco, a piccola pugna un’immortale

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Gloria succede: col pensier tríonfa
Roma, e regina del pensier si asside
160Fra’ redenti latini! In alto il guardo,
Popoli tutti: il Campidoglio è questo!
Roma è Ragione e Libertà; novella
Èra incomincia! Sugli altari infranti,
Da un solo amor costrette,
165Gridiam, genti latine: Avanti, avanti!

    Così all’entrar nella città famosa
Fremeano i sensi dell’eroe. Solenne
Era quel dì: rinascea Roma. Ornati
Di ghirlande d’allori e d’orifiamme
170Splendean ponti, obelischi, archi e teatri;
E dietro alle giganti ombre dei morti
Ivano al Colossèo festosi i vivi.
Iva anch’esso l’eroe. Su le rovine
Titaniche di Roma un fiammeggiante
175Sguardo mandava dall’occaso il sole:
Un incendio parea, dallo cui grembo
Si liberasse una feroce e bella
Vergine che diceva: Io son la grande
Libertà dei Latini!
                             Ed ecco immane
180Sorge di contro alla morente luce
Il fragoroso Circo, a cui dà strani
Colori e bizzarre ombre un magistero
Di bengalíci fochi; ondeggia il folto
Popolo, e a’ plausi armonizzate e agl’inni
185Le gagliarde fanfàre empiono il cielo.
Non ascolta l’eroe; ben altre voci
Gli suonano nel core: echi lontani
Delle passate età, vaghe armonie
Dell’avvenir, preci e bestemmie escluse
190Ad orecchio mortal, ghigni e sorrisi
D’idoli nani e d’uomini giganti.

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voce d'Isdrael.


    Dai traffici fecondi,
Unico asilo al pertinace ingegno,
Dalle folte città, dai fremebondi

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Dei padri miei, terre da Dio promesse.
200Come al Libano eterno, a cui ghirlanda
Sono i cari al Signor cedri vocali,
Drizza il fulmineo vol, come a sua meta,
L’aquila pellegrina,
Tal del desio su l’ali
205A voi corre il mio core, e in voi s’acqueta.

    Voi sul monte di Dio spargete al vento,
Cedri vocali, i rami annosi, e fermi
Sfidate i nembi e i secoli, mentr’io
Per terre e per età, ramingo eterno,
210Il suol de’ miei nemici
Bagno del mio sudor, del sangue mio;
E al flagel delle avverse ire, allo scherno,
Che sibila su me freddo e funesto,
Piego le spalle inermi,
215Spero, e pugno sperando, e mai mi arresto.

    O cedri incliti, invano,
V’intendo, invan voi non mettete eterne
Entro al monte di Dio l’alte radici;
Però ch’eterna, a par di voi, si asside
220La speme del trionfo entro al mio petto.
Voi rivedrò! Da queste infauste arene,
Che del mio sangue tinse
Tito, delizia dell’umane genti,
D’ove sorge la notte e il giorno viene,
225Da tutti e quattro i venti,
Quel divino voler, ch’indi mi spinse,
Richiamerà, nè fia lontano il giorno,
Il vincente Isdraello al suo soggiorno!

voce di numi.


Esuli affaticati,
230Senza speme di vita e senza regno,
Fuggiam, cadiam sotto al flagel dei fati,

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Del pensiero dell’uom ludibrio indegno.

    Il serto luminoso
Del poter nostro ov’è? Dove il raggiante
235Trono del sole e i sempre verdi alberghi
Dell’Ida? Ove il temuto
Folgore e le sedotte
Figlie dell’uom? Tutto d’intorno è muto
A noi; squarciasi il velo,
240Dall’inganno tessuto,
Che lieve sosteneaci a mezzo il cielo;
Manca il cielo a nostr’orme: i fior, la luce,
L’amor, la giovinezza, il paradiso,
Tutto a un punto dissolvesi
245Al fiero lampo dell’uman sorriso.

    Esuli affaticati,
Senza speme di vita e senza regno,
Fuggiam, cadiam, sotto al flagel dei fati,
Del pensiero dell’uom ludibrio indegno.

    250O miserando e gramo
L’esser nostro di Numi, ove al talento
Di mortal plebe incerto,
Qual nebbia vana ad agitar di vento,
Sorgere a caso e dileguar dobbiamo!
255Ove andrem noi? Di amici astri deserto
È il ciel; d’altari è brulla
La terra; inesorabile si avanza
La Verità; l’oblio ne inghiotte e il nulla...
Oh! fosse dato almeno
260A noi mutar sembianza,
Gioir l’aere terreno,
Scendere in terra e aver con l’uom possanza!

voce di sacerdoti.


    Tramonti pur, tramonti,
O fuggevole Iddio, la tua possanza;

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265Noi terrem contro al fato erte le fronti.
    D’imbelli anime è stanza
La terra; e noi teniam su l’alme il piede:
A te il ciel manca; a noi la terra avanza.
    Più che astuti noi siam, cieco è chi crede;
270Cada Saturno o Gèova,
Mai non cadrà dal petto uman la fede!

voce di santi.


                O misera e fugace
            Vita dell’uom, che speri?
            Non ha vittoria e pace
            275Questo agitato vortice
            Di affanni e di piaceri.

                Come in silice abietta
            Prigioniera scintilla,
            Così l’anima, eletta
            280A miglior sorte, ascondesi
            Ne la mortale argilla.

                Dio ve la chiuse; al solo
            Cenno del suo pensiero
            Ella discioglie il volo,
            285Mesce il suo raggio all’iride
            Del sempiterno Vero.

                Soffriam: della romita
            Alma, che piange e crede,
            Cibo, lavacro e vita
            290Son la speranza eterea,
            La Carità e la Fede.

voce di diavoli.


    Che val pascer di vuote
Fuggitive speranze il cor digiuno?
Navigar co’l desio regioni ignote
295Derelitti nocchieri all’aer bruno?

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    A noi prescrisse un segno
La diversa Natura, e mal n’è dato
Spinger oltre il poter l’audace ingegno,
Cercar nell’ombre e battagliar co’l fato.

    300Han pur queste fugaci
Ore terrene alcun sorriso e fiore,
Ha battaglie il pensier, le labbra han baci,
Vita la terra, e inferno e ciel l’amore!

voce del tevere.


    Molte sul dorso antico
305Storie nefaste io porto,
Molte nei gorghi miei storie nascondo;
Ma, poi che per età son fatto accorto,
Freno il flutto iracondo,
E al mar, mio grande amico,
310Al vecchio mar le vecchie storie dico.
    Dal mobile soggiorno
De l’onde cristalline,
Coronate di perle e di coralli
Corrono a me le azzurre Oceanine;
315E melodia di balli,
Per quanto è roseo il giorno,
Voluttuose a me tessono intorno.
    Ond’io, fatto loquace
Dalla vista amorosa,
320Assiso in mezzo a lor canto le strane
Vicende della mia storia famosa;
Mentre su l’onde piane
Con la sua mesta pace
Siede la stanca luna, e l’aura tace.
    325Tutta allor torna viva
Nel mio canto fatale
Delle vetuste età l’aurea leggenda:
Quando la Fede alla Giustizia uguale,

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E deità tremenda
330Era la Legge, e diva
Cosa la Patria e chi per lei moriva.
    Taccio però l’offesa,
Che all’aquile di Giove
Recò una turba di feroci imbelli;
335Taccio il baglior di queste genti nuove;
Però che sui ribelli
Flutti lasciata illesa
La croce di Gesù troppo mi pesa.
    Ma un dì, se l’onte atroci
340Non moveranno alcuno
Che in me l’affoghi e d’ogni onor la privi,
Io parlerò: sentirà allor ciascuno
Di questi rei malvivi
Tuonar con ferree voci
345L’eloquenza dei miei flutti feroci.
    Fuor dei percossi fini
Proromperò, indomato
Dèmone; stenderò l’onda funesta
Sui colli; segnerò l’ultimo fato
350All’ara, al trono, a questa
Degna dei suoi destini
Plebea ciurma di Borgia e di Tarquini!

voce della savoja.


    Dal trono della gloria ove tu sei
Ricca d’armi, di mente e di fortuna,
355Madre Italia, ricorda i figli miei,
Ora che amor tutti i tuoi figli aduna.
Pensa che nel dolor giace colei,
Ch’a’ guerrieri tuoi re diede la cuna,
Da te divisa e serva allo straniero
360Lei che fu patria al redentor Guerriero!
    Ben prudente consiglio esser potea

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Gittar mie carni al fero augel francese,
Quand’anco incerto il tuo destin pendea,
E tronche a mezzo eran le patrie imprese.
365Ei che il sangue per te versato avea,
Tarpò il tuo volo, e il sangue mio richiese;
Io, ch’ebbi il tuo più che il mio ben diletto,
Tacqui, ed offersi al sagrificio il petto.
    Ma or che forte, altera e di te stessa
370Donna, per propria via, splendida incedi,
Tanta virtù non m’è dal ciel concessa,
Ch’io taccia ancor dello straniero a’ piedi;
Di lui, che, d’ogni error l’anima ossessa,
Contro il suo petto infuríar tu vedi,
375E dal reo brago, ove ognor più s’ingora,
Giudicar osa e minacciar tuttora!

voce della corsica.


    Già non dirò, che prima
Fra l’isole tirrene
D’ogni bellezza opima
380Sono albergo di ninfe e di sirene:
Ad altri il fatuo vanto
Di molli aure e di fiori
Ed il femmineo canto
E i florívoli amori.
    385Cirno son io: dell’onda
Che mi flagella i liti,
Qual d’armonia gioconda,
Serbo nel seno i liberi ruggiti;
D’odio, d’amor, di sdegno
390Facil s’accende il petto;
Pronto il braccio e l’ingegno
Al par del mio moschetto!
    O madre Italia, e vuoi
Che da te svelta io giaccia?

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395Ch’io non aduni ai tuoi
I miei sensi, i miei fati e le mie braccia?
Chiedi gemme e tesori?
Gemme e tesori ho anch’io:
Gemme? I miei patrj allori;
400Tesori? Il popol mio!

voce dell’istria.


    O tu, Sir del vetusto
Trono d’Asburgo, invano
Offri al Sabaudo augusto,
Pegno d’alta amistà, l’ambigua mano.
405Credi, levar l’artiglio
Dal fianco mio, dov’hai la piaga aperta,
Saría miglior consiglio
E più regale offerta.
    Tra noi di pace è questo
410Unico patto e degno;
Chè il simular molesto
D’astuzia rea, non di fortezza è segno.
Placate allor, lo spero,
Sorrideranno al tuo regale albergo
415Le nostre Ombre dal nero
Ciglion dello Spilbergo.

voce di popoli slavi.


    Qual grido funesto risuona sul monte?
Qual gemito cupo si leva d’intorno?
È forse la Vila dal lucido fronte,
420Che cinta di nembi si slancia nel ciel?
    In cima alla rupe, nel niveo soggiorno
Riposa la diva le membra sue snelle;
Le danzano in giro le rosee donzelle,
La cullano i canti d’un astro fedel.
    425Fra l’ombre solenni, fra l’irte boscaglie
Forse urlan le belve pugnanti alla preda?

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O attorte agli abeti le rabide scaglie
Di Bàlkan le serpi lingueggiano al Sol?
    O figli di Serbia, se il cielo vi veda,
430Balzate dai sonni, lasciate le selve:
Più fieri serpenti, più rabide belve
All’aquila nostra tarparono il vol.
    Ferita a Cossòvo dal turpe Islamita,
Perduto il remeggio de’ giovani vanni,
435Dai campi raggianti di gloria e di vita
Nell’ombre di morte, stridendo, piombò.
    Sbucâro i ladroni giurati ai suoi danni
Dai scitici ghiacci, dall’Istro interdetto;
La fissero in croce, sbranaronle il petto;
440Chi men le diè strazio men prode sembrò.
    Ah! dove in quel giorno, dov’era il tuo brando,
O Marco, o di Serbia speranza immortale?
Conosci e sostieni lo strazio nefando?
O il sonno e la morte ti avvinser così
    445Che nulla più curi? La morte? Il fatale
Momento di morte per lui non arriva:
Mutate la nenia nell’oda festiva;
Ei dorme, si scuote, risvegliasi al dì.
    Ei sorge, si appressa: dell’antro fatato
450Risuona ai suoi passi la vòlta profonda;
Il negro cavallo gli scalpita allato;
Gli mette baleni lo sguardo e l’acciar.
    Già monta in arcioni; la turba il circonda;
Il corpo squarciato si unisce e cammina;
455La schiava spregiata si leva a regina;
La tomba dei prodi diventa un altar!

voce della germania.


    O prima reggia del Pensiero, augusta
D’idee madre e di genti,
Patria del gener nostro Asia vetusta,

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    460A te col grido dei perfetti eventi,
Vetusta Asia, il saluto
La libera Germania alza su’ venti.
    Odi: stridono ancor su’l combattuto
Reno i miei plaustri; echeggia
465Il mio vittoríoso inno temuto;
    E con securo il vol, come in sua reggia
Quant’è di cielo intorno
Di Brandeburgo l’aquila passeggia.
    Sorgete, o voi dal feudal soggiorno,
470Tremende ombre, sorgete,
Fiere stirpi d’Arminio, al novo giorno;
    E voi che sul divin Tebro scorrete,
Auguste ombre, e la nova
Stirpe latina a magne opre accendete,
    475Venite: alla funesta ira non giova
Dar l’alma, or ch’ogni gente
Guida un solo pensiero a varia prova.
    Voi condurrò nel mio volo possente
Dove com’aureo sole
480Poggia di Brama la magion lucente;
    Dov’erge l’Imalai l’intatta mole,
Ed alla Ganga in giro
Del loto degli Dei splendon le ajuòle.
    Come giorno che irradia il vasto empiro,
485Tal dalle rive bionde
Sorger tranquilla una gran luce io miro;
    E alla gran luce un’armonia risponde,
Da cui senso e pensiero
Prendon l’aure, le stelle, i fior, le sponde:
    490— Smetti, o figlio del Lazio, il vanto altero,
E tu, d’Arminio figlio,
Riponi il brando impaziente e fiero!

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Se l’un nell’altro insanguinò l’artiglio,
Roma lo sa; lo sanno
495Dell’Elba i flutti e il Reno ancor vermiglio.
    Troppo fra voi di servo e di tiranno
Voce sonò: gli avelli
Son anco aperti, ed ancor vivo è il danno.
    Ma se i miei sensi al ver non son ribelli,
500Io qui da questa sponda
Secura griderò: Siete fratelli!
    Là sul vasto altipian radice e fronda
Pose l’aríana antica
Pianta, che fu di molti fior feconda;
    505E se il turbo la svelse, e la nemica
Sorte ne infranse i molti
Rami, i germi educò la terra amica;
    Onde sott’altro ciel giovani e folti
Sorser mutati, e fûro
510Da inconscia man moltiplicati e còlti.
    O gente cieca, a cui pur l’oggi è oscuro
Voi dell’aríana pianta
Siete due rami, in faccia al Ver lo giuro.
    L’un s’infrondò su’l Campidoglio, e in tanta
515Arbore al ciel mutossi,
Che cadde alfin dal proprio peso affranta.
    Tal su l’altro di nembi ira sfrenossi,
Che le pigre ombre e ’l gelo
Fuggendo e da pugnace indole mossi,
    520I suoi fieri cultor sott’altro cielo
Ruppero, e fûro al corso
Tigri, e demonj al fulminar del telo.
    Serrate, o stolti, all’ire orrende il morso;
E più dei truci acciari
525Abbia nel vostro cor punta il rimorso!

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    Entro al fin dei suoi monti e dei suoi mari
Vigili ognuno, e il volo
Sfreni al pensier, che fa temuti e chiari.
    Vedrete allor dall’uno all’altro polo
530Sorger le genti, e avranno
Per sentiero diverso un pensier solo;
    E, spento prima ogni desio tiranno
Ed ogni error conquiso,
Fide a Giustizia e a Libertà staranno! —
    535Salve, o diva Scíenza; al detto, al viso
Che sopra ogni altro estimo,
Ai voli rutilanti io ti ravviso!
    Per te del mio pensier l’ali sublimo;
Per te nei sanguinosi
540Studj dell’armi il popol mio va primo.
    Tu che, amica dell’opre, i neghittosi
Ozj diradi, e vivi
Vigile e provvidente, e mai non posi;
    Tu che redimi a libertà i captivi,
545I restii sproni, e godi
Sovra l’ombre versar la luce a rivi;
    Tu, assidua e paziente il tempo rodi,
Tu i diradati stami
Dei popoli dispersi ordisci e annodi.
    550Dall’abisso dei morti anni richiami
L’ossa eloquenti: ritte,
Composte in scheltri su gli altari infami,
    Gridan così, che a mezzo il cor trafitte
Dalla parlante luce
555Precipitan le sacre ombre sconfitte.
    Salve, o diva Scíenza; auspicio e duce
D’ogni grand’opra; ai santi
Regni del Vero e a Libertà ne adduce

[p. 246 modifica]

    La voce tua, che grida sempre: Avanti!

    560Poi che al veggente immaginar l’altero
Ribellator degli uomini si tolse,
E mirò intorno il vasto Circo, un alto
Silenzio s’assidea sui tenebrosi
Meníani titanici, e fra’ rotti
565Pilastri ed i corintj archi passavano
Lunghe file di mute ombre e la luna.



.... e fra rotti
Pilastri ed i corintj archi passavano
Lunghe file di mute ombre, e la luna.

(pag. 246)


Ei mirava e tacea. Ma tu nei santi
Penetrali del ciel già non tacevi,
O signor dei beati: una vorace
570Cura coceati il petto intimo; e come,
Se fra poche pareti arda un occulto
Foco, di quante masserizie ha intorno
Prima fa preda e cheto si alimenta,
Finchè di sua virtù gonfio e superbo
575Tutto divora il chiuso aere, dirompe
L’avverso tetto, e al ciel mugghiando esplode;
Così del padre dei Celesti a un punto
Si palesò la torva cura: a pena
Ei si leva dall’alto letto a mezzo
580Con irosi guaíti, e si folcendo
Del tentennante cubito, in tal guisa
Parla ai beati ivi a consiglio accolti:
— O beati, se pur lecito è ancora
Con tal nome chiamarvi, or che le pingui
585Mense e i tiepidi letti, unica gioia
Di voi sereni abitator del cielo,
Sparecchiar ne minaccia un rio destino,
Beati, a voi di gran stupore obietto,
E il vi leggo su’l viso, è ch’io vi aduni
590A insoliti consigli, io che finora
D’ogni assoluto mio voler fei legge
Alle vostre cervici, a cui fu somma
Virtù il tacere e l’ubbidir. Se or muto

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Al gagliardo agitar di venti avversi
595I propositi miei, già non direte,
Che sopraffatto o paventoso io pieghi:
Fermo son io, siccome il sole; e questo
Fiato di libertà ch’oggi vi assento,
Vuo’ che qual liberal dono s’accolga.
600Di che perigli il regno mio sia cinto
È noto a voi, che spennacchiato e stracco
Redir vedeste un giorno ai nostri alberghi
L’Arcangelo Michel, già sì tremendo
Fulmin di guerra e condottiero invitto
605Delle nostre legioni. A lizza estrema
Col superbo Lucifero si spinse
Ardimentoso, e gli ridea negli occhi
La securanza del tríonfo: inerme,
Rotto dal lungo battagliar co’ flutti
610Gli si opponeva il gran Ribelle, e un ghigno
Solo, un sol ghigno a debellar gli valse
L’adamantina ira celeste. Io taccio
L’altre sconfitte, e la più grande e indegna
Per avventura e più recente: io stesso,
615Io l’eterno Signore, io... ma gagliardo,
Onnipossente ed infallibil sono
Siccome un dì! Solo provar voll’io...
Ne fu vana la prova; e alcun non osi
Ricercar con profano occhio gli abissi
620Del mio pensier! Questo saper vi giovi,
Che il mio nemico, il gran ribelle è in Roma! —
    Disse, e un sospir traendo, giù di peso
S’abbandonò su le soffici piume,
A cui di sotto scricchiolâr compresse
625L’agili spire dei cedenti ordigni,
Che di acciaro eran tutti. A quella guisa
Che fra un popolo avvien, se scosso un ferreo
Giogo di servitù, sfrenasi ai novi

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Deliramenti e all’oblíosa ebbrezza
630Dell’acquistata libertà: risuona
D’inni ogni via; tuonan le piazze al grido
Dei Catoni d’un giorno; ardon le notti
D’assidui fochi, a cui tripudia in giro
Clamorosa la plebe; ove fra tanto
635Spensierato tumulto odasi il cupo
Reboar del cannone, un improvviso
Pallor si sparge in tutti i volti; tacciono
Gl’inni, spengonsi i fuochi, in varia fuga
Mugghia qual mar l’immensa folla, sperdesi
640Per le vie, per le piazze; odi all’intorno
Un chiamar sospettoso, un concitato
Serrar d’usci, e suonar per la deserta
Via dei pochi animosi il passo e il grido;
In simil guisa al favellar del Nume
645D’improvviso terror si ricoperse
L’anima e il volto dei Celesti, a cui
Solo è dolce allegrar gli ozj immortali
Di concenti, di danze e di conviti.
Si sgomentâro alla terribil nuova
650Anco i pochi gagliardi; ed altri in volta
Diêrsi precipitosi, altri in querele,
Altri in preci. Piangean le vereconde
Dive, e al petto ed al crin faceano offesa;
Battean le picciolette ali indorate
655I paffutelli Cherubini, e indarno
I bellicosi Arcangeli in piè ritti
Fan sdegnosa rampogna ai fuggitivi.
Scrollava il capo il divin Padre, e, — Imbelli,
Brontola, imbelli; ecco, qual pregio io traggo
660Dall’aver per sì lunghi anni impinguati
I non mai sazj fianchi vostri! Avessi
Nudrito oche! Potrei nei delicati
Epati almen delizíare il dente! —

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    Si chetarono alquanto, e vergognosi
665Stettero. Allor dal radíoso scanno
Rizzossi in piè la diva Cate, illustre

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― Arrossite, sclamò, voi non già eterni
Spiriti, non pur uomini nè donne,
Ma ventri e piedi senza sesso! Oh! foste
675Tutti esclusi dal ciel! Ma già di voi
Cura io non ho: d’incliti spirti ancora
Forte presidio ha il paradiso, e quando
Fosse infranta ogni spada, infranta al certo
Non saría la mia lingua! Or tu mi ascolta,
680Eterno Padre, e voi mi udite, alteri
Spiriti: in terra io scenderò soletta,
Inerme, come il dì, che a pace astrinsi
Di Pier le chiavi e di Fiorenza il giglio;
O come allor che all’interdetta chioma
685Di Clemente strappai l’aureo triregno,
E a schiacciar la fischiante Idra sospinsi
Sul carro della Fede il saggio Urbano.
In Roma andrò; starò di fronte al bieco
Lucifero; e se ancor serba qualcuna
690Di sue virtù questo mio labbro, ho fede,
O d’indurlo a tornar nel derelitto
Regno dell’ombre, o persuaso e vinto
Rendergli l’ali e ricondurlo in cielo. —
    Tacque; e del suo parlar paga si assise
695In sua beltà. Fremean d’assenso intorno
L’auree sedi del ciel; quando con voce
Di tutta tenerezza, e la mirando
Con dolcissimo sguardo: — Oh! che tu speri,
Che tenti mai? l’esperto Iddio rispose;
700Lucifero domar? lui che dell’ira
Di tutto il cielo e di me pur si ride?
Tutta non fosse congiurata ai nostri
Danni la terra, agevol cosa invero
Il domarlo saría; ma come rupi
705Stanno le fronti dei mortali erette
Contro ai fulmini miei; sfrenato e baldo,

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Qual cavallo che irrompe alla battaglia,
Corre il Pensier, che divorato il breve
Tramite della terra, al ciel si lancia.
710Annientarlo io potrei, ma me’l divieta
Un’occulta prudenza! Oh! sì ti fosse
Dato il frenarlo e ricacciarlo ai nerí
Bàratri, là dove il mio sdegno un tempo
Fitto l’avea con ferrei chiodi! Il cielo
715Non avría stella mai che fosse degna
D’incoronarti! Ma timor mi accora,
Ch’opra vana tu tenti, e dell’ardito,
Generoso tuo cor vittima resti! —
— E vittima sia pur, balzando disse
720La divina Sanese: un dì potevi
Ricondurre vincente al patrio albergo
Una mortale di Betulia; io diva
Imploro a te pari soccorso, e parto! —
— Ma egli è un vecchio barbogio, egli è un fantoccio! —
725Gridò in quel punto una stridula voce,
Bizzarramente modulando il verso.
Si conversero tutti all’empio grido
Inorriditi, e ignuda in su la soglia
Videro sghignazzar ballonzolando
730L’insanita Teresa. Era già il fiore
Del paradiso; ora stecchita e nera,
Rapata il crin, gli occhi sbarrati e pazzi,
Salti facea sugli spolpati stinchi,
Come scimmia strillando. Avvinto a un refe,
735Che a’ vizzi fianchi le facea cintura,
Giù pendevale un foglio, o fosse un brano
Del vangelo di Marco, o un’ispirata
Lettera, ch’ella avea nei suoi bei giorni
Fra l’isteriche ambasce a Dio già scritta.
740Tremâr di sdegno a tanto osceno aspetto

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Gli angioli santi, e gracidâr commosse
Le stagionate vergini, che assise
Qua e là pe’ remoti angoli, a Dio
Biasciano tuttodì salmi e preghiere.
745Drizzâro a stento l’aggobbite schiene,
E sguardando di sopra a’ tentennanti
Su la punta del naso argentei occhiali,
L’infelice avvisâr; brandîr con fiero
Piglio i lunghi rosarj e i crocefissi,
750E già già si avventavano; ma stesa
Il buon Dio con pacato atto la destra:
— Perdonatele, disse, e a la sua cella
Dolcemente traetela. Infelice!
Troppo osò co’l pensier farsi vicina
755Alla fiamma del Vero, e in questa guisa
Del suo folle ardimento or paga il fio. —
Così dicendo, con paterno affetto
Schiuse le braccia, strinse al cor la bionda
Testa di Cate, e le concesse in fronte
760Il caro bacio del commiato. Altera
Di cotanto favore ella si avvia
Fra’ plaudenti Celesti; inni e saluti
Le mandan l’arpe. Ai suoi custodi intanto
Sguizza di man la santa pazzarella,
765E, sovra il naso il pollice appuntando,
Cuculíando e sgambettando involasi.