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canto duodecimo |
Gittar mie carni al fero augel francese,
Quand’anco incerto il tuo destin pendea,
E tronche a mezzo eran le patrie imprese.
365Ei che il sangue per te versato avea,
Tarpò il tuo volo, e il sangue mio richiese;
Io, ch’ebbi il tuo più che il mio ben diletto,
Tacqui, ed offersi al sagrificio il petto.
Ma or che forte, altera e di te stessa
370Donna, per propria via, splendida incedi,
Tanta virtù non m’è dal ciel concessa,
Ch’io taccia ancor dello straniero a’ piedi;
Di lui, che, d’ogni error l’anima ossessa,
Contro il suo petto infuríar tu vedi,
375E dal reo brago, ove ognor più s’ingora,
Giudicar osa e minacciar tuttora!
voce della corsica.
Già non dirò, che prima
Fra l’isole tirrene
D’ogni bellezza opima
380Sono albergo di ninfe e di sirene:
Ad altri il fatuo vanto
Di molli aure e di fiori
Ed il femmineo canto
E i florívoli amori.
385Cirno son io: dell’onda
Che mi flagella i liti,
Qual d’armonia gioconda,
Serbo nel seno i liberi ruggiti;
D’odio, d’amor, di sdegno
390Facil s’accende il petto;
Pronto il braccio e l’ingegno
Al par del mio moschetto!
O madre Italia, e vuoi
Che da te svelta io giaccia?
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