Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
canto duodecimo |
Del pensiero dell’uom ludibrio indegno.
Il serto luminoso
Del poter nostro ov’è? Dove il raggiante
235Trono del sole e i sempre verdi alberghi
Dell’Ida? Ove il temuto
Folgore e le sedotte
Figlie dell’uom? Tutto d’intorno è muto
A noi; squarciasi il velo,
240Dall’inganno tessuto,
Che lieve sosteneaci a mezzo il cielo;
Manca il cielo a nostr’orme: i fior, la luce,
L’amor, la giovinezza, il paradiso,
Tutto a un punto dissolvesi
245Al fiero lampo dell’uman sorriso.
Esuli affaticati,
Senza speme di vita e senza regno,
Fuggiam, cadiam, sotto al flagel dei fati,
Del pensiero dell’uom ludibrio indegno.
250O miserando e gramo
L’esser nostro di Numi, ove al talento
Di mortal plebe incerto,
Qual nebbia vana ad agitar di vento,
Sorgere a caso e dileguar dobbiamo!
255Ove andrem noi? Di amici astri deserto
È il ciel; d’altari è brulla
La terra; inesorabile si avanza
La Verità; l’oblio ne inghiotte e il nulla...
Oh! fosse dato almeno
260A noi mutar sembianza,
Gioir l’aere terreno,
Scendere in terra e aver con l’uom possanza!
voce di sacerdoti.
Tramonti pur, tramonti,
O fuggevole Iddio, la tua possanza;
— 235 — |