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lucifero |
O attorte agli abeti le rabide scaglie
Di Bàlkan le serpi lingueggiano al Sol?
O figli di Serbia, se il cielo vi veda,
430Balzate dai sonni, lasciate le selve:
Più fieri serpenti, più rabide belve
All’aquila nostra tarparono il vol.
Ferita a Cossòvo dal turpe Islamita,
Perduto il remeggio de’ giovani vanni,
435Dai campi raggianti di gloria e di vita
Nell’ombre di morte, stridendo, piombò.
Sbucâro i ladroni giurati ai suoi danni
Dai scitici ghiacci, dall’Istro interdetto;
La fissero in croce, sbranaronle il petto;
440Chi men le diè strazio men prode sembrò.
Ah! dove in quel giorno, dov’era il tuo brando,
O Marco, o di Serbia speranza immortale?
Conosci e sostieni lo strazio nefando?
O il sonno e la morte ti avvinser così
445Che nulla più curi? La morte? Il fatale
Momento di morte per lui non arriva:
Mutate la nenia nell’oda festiva;
Ei dorme, si scuote, risvegliasi al dì.
Ei sorge, si appressa: dell’antro fatato
450Risuona ai suoi passi la vòlta profonda;
Il negro cavallo gli scalpita allato;
Gli mette baleni lo sguardo e l’acciar.
Già monta in arcioni; la turba il circonda;
Il corpo squarciato si unisce e cammina;
455La schiava spregiata si leva a regina;
La tomba dei prodi diventa un altar!
voce della germania.
O prima reggia del Pensiero, augusta
D’idee madre e di genti,
Patria del gener nostro Asia vetusta,
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