Le opere di Galileo Galilei - Vol. II/Trattato della Sfera ovvero Cosmografia
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TRATTATO DELLA SFERA
OVVERO
COSMOGRAFIA.
AVVERTIMENTO.
Narra il Viviani, che tra i vari trattati stesi da Galileo «per utile e diletto de’ suoi discepoli» fu un «Compendio di Sfera»1, il quale, al pari degli altri, andò attorno manoscritto; e di tale argomento noi sappiamo essersi il Nostro ripetutamente occupato, tanto nel pubblico quanto nel privato insegnamento, durante il suo soggiorno in Padova2 Non possiamo però indicare con esattezza l’anno in cui la presente scrittura venne da lui stesa.
Dopo la morte di Galileo, e sotto il suo nome, fu dato alle stampe in Roma nell’anno 1656 un «Trattato della Sfera»3 da frate Urbano Daviso, che si celò sotto l’anagramma di Buonardo Savi; ma il trovare in esso sostenuta la immobilità della terra fu portato come argomento per tenerlo apocrifo. Il Nelli4, ricordando la parte avuta dal Viviani nella prima edizione delle opere di Galileo, curata dal Manolessi in Bologna, e non trovando in essa questo trattato della Sfera, giudicò non averlo il Viviani stimato opera del suo Maestro. Il Libri5, più recisamente ancora del Nelli, sentenziò apocrifo questo trattato, insinuando anzi che potesse essere opera dello stesso Daviso, frate peripatetico, il quale si sarebbe indotto alla pia frode, per far credere che Galileo avesse modificate le sue opinioni intorno al sistema del mondo. Ma è agevole provare che queste argomentazioni sono prive di fondamento.
Anzitutto, il trovare che nel testo edito dal Daviso sono esposte dottrine contrarie al sistema copernicano, che Galileo professava, per lo meno, fin dal 1597, non vale ad impugnarne l’autenticità; anzi questo fatto è conforme a quanto fu ad esuberanza dimostrato6 vale a dire che egli nel suo insegnamento si attenne del tutto al sistema tolemaico. E a torto fu invocata contro l’autenticità stessa la indiretta testimonianza del Viviani, il quale anzi ebbe esplicitamente ad affermarla7. Che tale trattato non sia fattura del Daviso, dimostrano ancora i manoscritti sincroni che ne abbiamo rinvenuti; e che, infine, sia veramente opera di Galileo, lo dimostra luminosamente il fatto, che in uno dei capitoli della «Sfera», quale fu pur edita dal Daviso, là dove si tratta «Delle longitudini e latitudini, i termini delle definizioni, la trattazione dell’argomento e perfino gli esempi (fatta soltanto astrazione dal luogo al quale si riferiscono) sono quei medesimi usati da Galileo per la determinazione delle longitudini in mare, la quale egli fece inviare, per via diplomatica, nel 1612 al Governo Spagnuolo, e che fino al 18188 rimase inedita negli Archivi Toscani di Stato.
Il sapere tuttavia, per l’una parte, che Galileo aveva steso un trattato della Sfera, ed il vedere, per l’altra, come da grandi autorità veniva impugnata l’autenticità di quello edito dal Daviso, doveva condurre ad attribuire al Nostro alcuni dei trattati anonimi di Sfera, dei quali v’ha dovizia nelle biblioteche: e così avvenne che fossero creduti scritture di Galileo quelli contenuti nel codice della Biblioteca Nazionale di Firenze segnato II. IV. 683, nell’Ashburnhamiano 623 (già 692) della Medicea Laurenziana, e nell’Add.1 22786 del British Museum. Nessuno però di tali scritti, diversi l’uno dall’altro9 ha alcun che di comune con l’opera di Galileo, che qui pubblichiamo.
Di questo Trattato della Sfera ovvero Cosmografia, come all’Autore piacque di chiamarlo, ci son noti i seguenti esemplari manoscritti:
a = Bibl. Naz. di Firenze; Mss. Gal, Par. III, T. II, car. 28-69.
m = Bibl. Naz. Marciana di Venezia, Cl. IV. ital., n. CXXIX; pag. 1-96.
r = Bibl. Casanatense di Roma, cod. E. III. 15. 675.
c = Bibl. dell’Università Jagellonica di Cracovia, cod. 571; car. 2-45.
Di questi esemplari, il codice a, che sulle due guardie (car. 28 r, e 69 v.), in mezzo a diverse parole scritte, o incominciate a scrivere, senz’ordine alcuno, quasi per trastullo, porta ripetuto più volte il nome di Niccolò Giugni, ed una volta quello di Vincenzio Giugni padre di lui, si può ritenere sia appartenuto a Niccolò, che fu discepolo di Galileo in Padova negli anni 1604-1605nota; così che, ammesso che Niccolò lo portasse da Padova a Firenze, si potrebbe crederlo esemplato non dopo il 1605; alla qual data conviene perfettamente la forma della scrittura. Il codice m, che appartenne già alla Libreria dei Chierici Regolari Somaschi di Venezia, porta, a pie della pag. 1, e sotto il titolo «Sfera dell’Ecc.mo S.r Galileo Galilei, Matematico di Padova», la data «1606», della mano medesima che esemplò il Trattato. Alquanto più tarda è la mano dell’esemplare che segniamo r: esso è compreso in una miscellanea di scritture del geografo siciliano Giovanni Battista Nicolosi, che si vede essere appartenuta al Nicolosi medesimo, del quale contiene lettere con le date 1648 e 1653. Finalmente, il codice e appartenne già a Giovanni Eroselo (Jan Brózek), scienziato polacco che fu a Padova dal 1620 al 1624nota; e di sua mano offre il titolo «Principia Astronomiae Galilaei de Galilaeis», scritto sul verso del cartone. Se, com’è probabile, fu portato in Polonia dal Eroselo stesso, si dovrebbe dire anteriore al 1624; e certamente, come conferma l’esame della scrittura, non è posteriore alla prima metà del secolo XVII, tranne forse i titoli dei capitoli, che sembrano di mano alquanto meno antica.
Collazionando diligentemente detti esemplari, ci siamo persuasi ch’essi formano, quanto al testo, una sola famiglia, pur avendo ciascuno suoi particolari caratteri. Più speciali affinità offrono tra di loro a ed m da una parte, ed r e c dall’altra. I due primi sono deturpati da molti e gravissimi errori di senso. Il cod. a fu, con molta probabilità, esemplato da copista toscano: mentre però, sotto questo rispetto, si raccomanda alla nostra attenzione, essendo probabile che meglio abbia conservato le forme genuine dell’Autore, presenta, e in larghissima copia, altri fatti che lo rendono meno commendevole: come sarebbero l’inserzione viziosa dell’i dopo gn davanti a, e, o, p. e. in ingegniandoci, campagnia, segnio, ecc.; lo scempiamento del v in avenire, avicinarsi ecc.; le desinenze — aremo — aranno ecc. nei futuri e condizionali della prima coniugazione; per non dire di certe deformità, come andasserono, abitassero, procedesserono, ecc. D’altra parte, il colorito veramente toscano che presenta questo codice, ci parve in alcuni particolari alquanto esagerato, tanto da farci nascere il sospetto che l’amanuense avesse caricato la tinta trovata nell’originale. Il codice m, sebbene per antichità molto rispettabile, trascorre spesse volte ad alterare la parola genuinanota qualche volta ad ammodernarenota, spessissimo a riordinare i costrutti, togliendo specialmente certi iperbati piaciuti all’Autore, per ridurli ad una sintassi piana e regolarissimanota: e per
10 11 12 13 14 tali motivi non merita alcuna fede. Il codice r dà spesso buona lezione dove a ed in sono guasti, ma in altri luoghi si perde in istrani guazzabugli. Alcune forme dialettali, che vi si notano, inducono ad attribuirlo a copista romano; e sappiamo invero che il Nicolosi, a cui abbiamo visto che appartenne, dimorò a lungo in Roma. Assai più corretto degli altri è il codice c, anche se in qualche luogo abbia esso pure bisogno dell’opera critica: e mentre non presenta le arbitrarie mutazioni di m, ed è di età più antica che r, la tinta dialettale veneta, data qui al Trattato per opera del copista, è così leggera e superficiale che facilmente si può detergere. Poichè, dunque, quello che ci ispirava maggior fiducia era il codice c, lo abbiamo preso a fondamento del nostro testo; e soprattutto con la sua scorta abbiamo potuto correggere molti e gravissimi errori che correvano nelle stampe precedenti15, come potrà facilmente avvertire chi con queste vorrà confrontare la nostra: il medesimo codice c abbiamo seguito poi, e ben s’intende con le solite cautele ed eccezioni16, anche per quel che risguarda le forme linguistiche e l’ortografia17, preferendolo dopo qualche esitazione ad a, la cui toscanità, come sopra dicemmo, ci sembrò alquanto sospetta.
Registrammo poi, conforme al nostro costume, le più notabili varietà degli altri codici; non avvertendo però mai, sebbene fossero in istampe precedenti, le gravi differenze del codice m, persuasi e, possiamo dire, sicuri, come eravamo, che non sia da attribuir loro altra origine all’infuori dell’arbitrio del copista. E delle varietà offerte dalle stampe neppure ci occorse di tenere alcun conto: che F edizione principe, romana del 1656, la quale fa menzione di un manoscritto ch’era appresso «il Sig. Scipione Santronchet»18, mostra d’essere stata condotta sopra un codice assai affine ad r, il quale r sospettammo essere scritto a Roma ed in quelli anni medesimi; e nella raccolta Padovana delle Opere19, che fu la prima ad accoglier la Sfera, questa fu ristampata sul codice m, venendo però alterate alcune forme, o per arbitrio dell’editore, o per errori di lettura a cui il carattere, punto facile, del codice potè dar origine; e l’ultima edizione Fiorentina riprodusse la Padovana, variandola in questo o quel luogo col riscontro del codice a.
Stabilendo il nostro testo sul codice c, abbiamo su di esso riprodotto anche la Tavola dei climi, con voci latine. Questa, sebbene da quanto è esposto nel capitolo che la precede, sia assolutamente richiesta, manca negli altri tre codici, alcuno de’ quali lascia in sua vece uno spazio bianco; è poi con voci italiane nell’edizione principe: ma ci attenemmo anco in questo particolare, con maggior fiducia al codice. Non abbiamo tuttavia dato luogo, per seguire il codice, ad una seconda Tavola, che pure vi si trova, dei sette climi di Tolomeo; sembrandoci questa un’aggiunta erudita, ma non necessaria, nè in armonia col capitolo dell’opera in cui si parla de’ climi, e nel quale soltanto l’altra tavola, e questa in termini molto particolareggiati, viene annunziata.
Nel Trattato della Sfera, che più propriamente chiameremo Cosmografia, prima, sì come in tutte l’altre scienze, si deve avvertire il suo suggetto, ed in oltre toccare qualche cosa dell’ordine e metodo da osservarsi in esso.
Diciamo dunque, il suggetto della cosmografia essere il mondo, o vogliamo dire l’universo, come dalla voce stessa, che altro non importa che descrizione del mondo, ci viene disegnato. Avvertendo però, che delle cose, che intorno ad esso mondo possono esser considerate, una parte solamente appartiene al cosmografo; e questa è la speculo lazione intorno al numero e distribuzione delle parti d’esso mondo, intorno alla figura, grandezza e distanza d’esse, e, più che nel resto, intorno a i moti loro; lasciando la considerazione della sostanza e delle qualità delle medesime parti al filosofo naturale.
Quanto al metodo, costuma il cosmografo procedere nelle sue speculazioni con quattro mezzi: il primo de’ quali contiene l’apparenze, dette altrimenti fenomeni; e queste altro non sono che l’osservazioni sensate, le quali tutto ’l giorno vediamo, come, per essempio, nascere e tramontar le stelle, oscurarsi ora il sole or la luna, e questa medesima dimostrarcisi ora con corna, ora mezza, or tonda, ed or del tutto stare ascosa, moversi i pianeti di moti tra loro diversi, e molte altre tali apparenze. Sono nel secondo loco laaaippotesi: e queste altro non sono che alcune supposizioni appartenenti alla struttura de gli orbi celesti, e tali che rispondino allaaaapparenze; come sarà quando, scorti da quello che ci apparisce, supporremo il cielo essere sferico, muoversi circolarmente, participare di moti diversi, la terra essere stabile, situata nel centro. Seguono poi, nel terzo luogo, le dimostrazioni geometriche; con le quali, per le proprietà de’ cerchi e delle linee rette, si dimostrano i particolari accidenti, che all’ippotesi conseguiscono. E finalmente, quello che per le linee s’è dimostrato, con operazioni aritmetiche calculando, si riduce e distribuisce in tavole, dalle quali senza fatica possiamo poi ad ogni nostro beneplacito ritrovare la disposizione de’ corpi celesti ad ogni momento di tempo. E perchè siamo nei primi principii di questa scienza, lasciando da parte ora i calcoli e le dimostrazioni più difficili, ci occuperemo solamente circa l’ippotesi, ingegnandoci di confermarle e stabilirle con l’apparenze. Pigliando dunque il nostro totale soggetto, ciò è il mondo, cominciamo primamente a distinguerlo nelle sue parti: le quali principalmente troviamo esser due, tra di loro molto diverse e quasi contrarie. Perciò che s’è vero che l’intelletto nostro sia guidato alla cognizione delle sostanze per mezzo de gli accidenti, noi troveremo nelle parti dell’universo notabil differenza, presa dalla diversità de gli accidenti principalissimi: poi che se noi considereremo la diversità tra ’l moto retto e ’l circolare, de i quali questo è infinito, grandissima distinzione doveremo assegnare tra quelle parti dell’universo che eternamente vanno a torno, e queste che non possono, se non per breve tempo, muoversi per dritta linea: e perciò diremo, la parte elementare essere totalmente diversa dalla celeste, essendo di quella il moto retto, e di questa circolare; e tanto più, venendo tal diversità confermata dal veder noi esser gli elementi supposti a continue mutazioni, alterazioni, generazioni e corruzioni, restando la parte celeste ingenerabile, incorruttibile, inalterabile, ed insomma impassibile d’ogni altra mutazione, eccetto che del moto locale circolare.Per lo che assegneremo dell’universo queste due parti principali, ciò è la regione celeste, e l’altra elementare; e questa, suddividendola, verrà distinta in quattro parti, delle quali due averanno il moto retto verso ’l centro, e l’altre verso la circonferenza. Il numero delle quali ci viene non meno dal senso scoperto, che dalla ragione confirmato; vedendo la terra gravissima giacer sotto l’acqua, ed ambedue esser circondate dall’aria, sopra la quale doviamo credere essere l’elemento del fuoco, sì perchè vediamo molte essalazioni tenui e sottili salire in alto per l’aria, sì perchè sopra essa appariscono molte impressioni ignee, come di stelle cadenti, crinite Ci barbate; come ancora per le combinazioni delle quattro prime qualità, perchè se dal freddo e secco vien constituita la terra, dal freddo ed umido l’acqua, e l’aria dal caldo ed umido, doviamo credere esser un altro corpo tale, costituito dal caldo e secco; e questo non sarà altro ch’il fuoco.
E circa la distribuzione di questi quattro elementi, veggiamo i più gravi esser circondati da i men gravi, ma non però la terra esser del tutto immersa nell’acqua; di che diremo essere causa l’asprezza e disugualità della superficie terrestre, nella quale essendo molte preminenze di monti ed altre parti rilevate, e molte concavità di valli e luoghi bassi, ed essendo piccolissima in proporzione della terra la mole dell’acqua, sono solamente inondate le parti basse, restando discoperte le più alte; e ciò farsi per salvezza de gli animali terrestri.
Poi che s’è distinta la regione elementare nelle sue parti, resta che distinguiamo ancora la celeste, investigando il numero e l’ordine degli orbi. Per il che fare, prima doviamo supporre, insieme con tutti i filosofi ed astronomi, non potere uno stesso corpo semplice aver più di un sol moto, proprio e naturale. Secondariamente supponiamo, le stelle esser fisse ne’ proprii orbi, al moto de’ quali esse vengono portate, di maniera che non possino per loro stesse andar nel proprio orbe vagando, a guisa d’uccelli per aria. Fatte queste due supposizioni, tanti per necessità diremo esser gli orbi celesti, quanti sono i movimenti diversi che nelle stelle appariscono: di maniera che, se in tutta la moltitudine delle stelle non apparisse altro movimento che questo diurno da oriente a occidente, un solo orbe saria stato bastante, il quale tutte insieme le portasse; ma perchè, osservando esquisitamente tutta la moltitudine delle stelle, se ne veggono cinque, ed oltr’ad esse il sole e la luna, che non servano e mantengono il medesimo sito rispetto all’altre, ma vanno in diverse parti vagando, quindi è, che non in uno solo orbe si devono constituire, ma assegnare tanti, quanti sono i moti che appariscono. Ed acciò che meglio s’intenda quanto si dice, daremo un essempio d’una delle più facili osservazioni: e sarà, che se noi questa sera osserveremo il sito, verbi gratia, della luna, la quale, poniamo caso, ci apparisce vicina al Cuor di Leone, tornando diman da sera a riguardarla, la vederemo essersi dalla detta stella slontanata verso le parti orientali; adunque non può la luna esser fissa nel medesimo orbe che la già detta stella. E parimente, osservando il sito presente, verbi gratia, di Giove, e tornando a rimirarlo fra un mese o due, lo troveremo, non più appresso alle medesime stelle fisse, ma in altro luogo esser situato; dal che si conchiude, ancor esso esser portato da un orbe particolare. Ed ancor che non si possa il sole in tal guisa osservare, non apparendo egli in compagnia dell’altre stelle, nulladimeno s’è osservato muoversi ancor esso di moto proprio. Perciò che se, verbi gratia, questa sera noi, poco doppo il tramontar del sole, osserveremo qualche stella fissa, che nasca in oriente, troveremo, tra 15 o dì, la medesima nel tramontare del sole non pure esser nata, ma assai alta; il che di necessità argomenta, essersi l’intervallo fra essa ed il sole diminuito, e, per conseguenza, il sole aver moto proprio ed orbe particolare.E perchè con le medesime osservazioni si comprende, ciascuna di queste stelle vaganti non solamente aver moto diverso da quello dell’altra moltitudine, ma ancora tra di loro esser differenti; quindi è che per necessità si sono posti otto orbi: uno, ciò è, per tutte le stelle che non mutano sito tra di loro, e perciò sono dette fisse; ed altri sette per quelle che vanno di moti proprii vagando, e perciò vengono dette pianeti., Ma osservando ancora più esquisitamente gli astronomi li moti celesti, dalle apparenze, che più a basso dichiareremo, sono venuti in opinione doversi sopra l’ottavo orbe aggiungere ancora il nono, ed altri anco il decimo.
Questo è quanto al numero de gli orbi celesti: resta che dichiariamo l’ordine. Il quale è stato investigato, oltre all’altre cause, dalla maggiore o minore velocità de i moti proprii de’ pianeti; in guisa che siano più a noi propinqui quelli, de’ quali li moti sono più veloci, già che così vengono a descrivere minori cerchi, e meno ad esser impediti dall’universal moto diurno. E per queste ragioni, la Luna è vicinissima a noi; sopra essa stimasi esser Mercurio, poi Tenere, quindi il Sole, poi Marte, Giove e Saturno. Ed oltre a ciò, evidenti argumenti della propinquità della luna sono l’arrivare ad essa l’ombra della terra, e non ad altra stella, ed il veder lei occultare il sole ed altre stelle, nel passargli sotto.
che il cielo sia sferico e si muova circolarmente.
Avendo distribuita la regione celeste nelle sue parti, è ragionevol cosa che speculiamo la sua figura ed il suo movimento, adducendo le ragioni, dalle quali indotti gli astrologi e filosofi hanno affirmato, la figura del cielo essere sferica, ed il suo movimento circolare.
E per la prima ragione della sfericità del cielo addurremo, esser la sua sostanza omogenea e similiare; per il che dovemo credere, la sua figura esser tale, che a similiari corpi convenga: ma fra tutte le figure solide, la sola sfera ha le sue parti tutte nel medesimo modo disposte, e contenute da superficie in ogni sua parte egualmente inclinata: adunque doviamo dire, tal figura molto ben convenirsi alli corpi omogenei. Imperò che a chi volesse dire, la figura celeste essere altra che sferica, come, verbi gratia, cuba, o vero ovale, potremo ad-domandare la causa, perchè alcune parti del cielo si figurino ad angoli, altre in superficie piane, o vero perchè queste parti s’incurvino molto, e quelle poco; nè potendo simili diversi accidenti procedere se non da diversità fra le parti celesti, ciò saria contro alla supposizione conceduta da ciascheduno, che le parti del cielo sono tutte dell’istessa essenza e natura.
La seconda ragione vien presa dalla capacità della figura sferica: essendo che, come ben dimostrano i geometri, di tutti i corpi solidi compresi sotto eguali superficie (che perciò si dicono isoperimetri), lo sferico è il maggiore, e più capace di tutti; adunque simile figura è molto accommodata a quei corpi, che devono in sè contenere altri, qual è il corpo celeste. Si confermerà questo medesimo dalla qualità del moto, dopo che l’averemo provato esser circolare. In confirmazione della quale conclusione, per prima ragione assegneremo quel che ci apparisce circa ’l nascere e tramontare delle stelle, vedendo noi come, ed in oriente, ed in occidente, e nel mezo cielo, ci appariscono della medesima grandezza: segno evidente, ritrovarsi sempre in egual distanza da noi; il che non potria essere, quando la progression loro da oriente in occidente fusse per altre linee che circolari. Secondariamente comprendiamo l’istesso dalla uniformità del moto apparente: il qual moto se fusse, verbi gratia, per linea retta, in quelle parti che lusserò propinque alla perpendicolare tiratavi sopra dall’occhio, il moto apparirà veloce: ma noi veggiamo ch’il moto apparente delle stelle ci mostra eguale velocità in ogni sua parte: adunque doviamo concludere esser lui circolare. Nè meno arguisce questo medesimo, il dimostrarcisi le celesti constellazioni con la medesima configurazione e disposizione delle sue stelle in oriente, in occidente, e nel mezzo del cielo: che quando dette stelle procedessero dall’orto all’occaso rettamente, essendo sopr’il nostro capo, grandissime pareriano le lunghezze da oriente a occidente tra l’una e l’altra stella; e quanto più andassero verso l’occidente o fossero verso il termine orientale, appareriano le medesime distanze picciole: il che non seguendo, argumenta indubitatamente il moto loro esser circolare. E più sensata evidenza possiamo del moto pigliare da queste stelle constituite verso la tramontana, delle quali, perchè mai non tramontano, possiamo osservare l’intere revoluzioni; quali non troveremo essere altrimenti che circolari, potendo noi molto facilmente constituire un traguardo mobile, col quale potiamo andare accompagnando e seguitando il movimento loro. Se dunque i moti celesti sono circolari, ragionevol è, che la sua figura sia sferica, come quella che a tal specie di moto è molto accomodata. E tanto più si deve ciò credere, quanto che molti sono i moti celesti, e verso diverse parti; dal che siamo astretti a porre diversi orbi, dei quali l’uno dentro l’altro verso diverse parti si volga: il che saria impossibile che fusse, quando le figure de i cieli non fossero sferiche.che la terea insieme con l’acqua constituiscono un globo perfetto.
Notisi, che quando diciamo, la terra insieme con l’acqua constituisce una perfetta sfera, non si deve intendere di quella esquisita perfezione matematica, perchè questo è falso, essendo che nella superficie della terra sono molte preminenze e concavità, le quali però, paragonate con l’universal grandezza di tutto ’l globo, sono quasi che insensibili; e perciò dichiamo, la terra esser sferica in quanto al senso, ma non in quanto al securo giudizio matematico. Ed in confirmazione di questa conclusione, prima è da notare, che niun altro corpo, eccetto lo sferico, è circolarmente rotondo per tutti i versi; sì che quando averemo dimostrato, la superficie della terra, e da oriente all’occidente, e da mezogiorno a tramontana, circolarmente piegarsi, potremo senza dubbio affermare lei esser di figura sferica.
E che tale sia ancora da mezo giorno verso tramontana, lo conferma lo scoprimento ed occultamento delle parti del cielo, che si fa nel procedere da mezo giorno verso settentrione. Essendo che, se ca-mineremo verso austro, comincieremo a scoprire delle stelle meridionali, dalli abitatori più verso tramontana non vedute, e, per l’opposito, si comincieranno ad ascondere e tramontare alcune delle stelle verso tramontana, che alli più settentrionali appariscono perpetuamente: il quale effetto non avverria, se la terra per questo verso fusse piana; ma procedendo noi verso l’una o l’altra parte sopra a tale planizie, continuamente vedremo le medesime stelle. E perchè questo scoprimento ed ascondimento, maggiore e minore, si fa proporzionato a gl’intervalli de i luoghi, l’uno più dell’altro meridionale, si conchiude, come anco di sopra si disse, tal curvità esser circolare. Dal che si raccoglie, la terra aver figura sferica.
Questa ragione fin qui addotta è commune alla terra ed all’acqua: e questa che addurremo, sarà più propria dell’acqua. La cui superficie essere sferica, ci viene dimostrato da questo: che navigando verso il lito, dove siano edifizii alti e bassi, prima si cominciano da lontano a discernere le sommità delle torri più alte, quindi a poco a poco, avvicinandosi, si scuoprono le parti più basse, parendo in certo modo che tali fabriche nascendo sorghino fuor dell’acqua; il qual accidente non avverrebbe, quando la superficie dell’acqua si distendesse in piano, ma da tutti i luoghi onde si discernessero le torri più sottili ed alte, meglio si scopririano li edificii più larghi e bassi. E di questo medesimo vera e bella confirmazione abbiamo, quando, essendo lontani dal lito, sì che non veggiamo terra, ci scopriamo a torno a torno quasi una campagna d’acqua in forma circolare, nel cui centro a noi pare esser constituiti; nè perchè navighiamo verso la circonferenza di tale spazio, ci accade però mai di pervenirvi, anzi quante volte mutiamo luogo, tante ci troviamo constituiti nel centro d’un simil cerchio: il che è impossibil cosa che potesse accadere, quando la superficie dell’acqua fusse d’altra figura che sferica.
Per la terza ragione metteremo quello, che nelle ecclissi lunari appare. Perchè, come diffusamente a suo luogo dichiareremo, non essendo altro l’ecclissi ch’una immersione del corpo lunare nell’ombra della terra, se osserveremo l’entrare e l’uscire della luna in tal ombra, vederemo lei esser dalla detta ombra tagliata in arco, e ciò avvenire in tutti gli ecclissi fatti tanto in oriente quanto nelle parti occidentali o del mezo cielo, ed oscurando la luna o tutta, o una parte verso mezo giorno, o verso tramontana: le quali cose argomentano necessariamente, l’ombra della terra stampare, per così dire, un cerchio oscuro nel cielo della luna: e perchè niun’altra figura corporea, essendo illuminata ora da questa parte ora da quella ed ora da quell’altra, può in una superficie opposta imprimere sempre l’ombra circolare, altro che la figura sferica, però senza dubbio alcuno doviamo affermare, la mole composta dell’acqua e della terra essere sferica. E quando volessimo anco con dimostrazione geometrica provare, la superficie dell’acqua essere sferica, lo potremo commodamente fare, pigliando per axioma e principio verissimo, l’acqua, come corpo grave e fluido, scorrere, non essendo impedita o ritenuta, nelle parti più basse; definendo ancora, tali parti più basse esser quelle, che più s’avvicinano al centro. Quando adunque alcuno ci negasse la superficie dell’acqua essere sferica, abbia, se esser può, altra figura, qualunque esser si voglia; e sia, per essempio, la figura ABCD, intorno al centro G, circa al quale imaginiamoci esser descritta la figura sferica EFIH, di mole eguale all’altra. Adunque è manifesto, della prima figura parte essere fuora della sfera, e parte dentro; sia dunque verso le parti esteriori prodotta la linea GEA, e verso l’interiori GBF: e perchè le linee GE e GF, andando dal centro alla circumferenza, sono eguali, sarà la linea GA molto maggiore della GB, e perciò le parti verso EA saranno più lontane dal centro, e, per conseguenza, più alte, che se fossero verso BF. Ma avendo noi supposto, come, non essendo l’acqua impedita, scorre alle parti più basse, adunque le parti poste verso EA non resteranno, ma caleranno nel luogo FB, come più basso e vicino al centro al quale tendono le cose gravi.
che la terrasia constituita nel centro della sfera celeste.
Molte ed efficaci ragioni si potriano addurre per confirmazione di questa conclusione: delle quali n’addurremo quelle, che più facilmente si potranno in questi principii comprendere.
E prima diremo, che se la terra non fosse constituita nel centro, adunque, o vero saria più vicina al nostro oriente che all’occidente, o per l’opposito; o vero s’inalzeria avvicinandosi verso la parte del cielo che ci è sopr’il capo, o, per lo contrario, si sbasserebbe verso la parte opposta; o vero saria posta più verso settentrione, o vero al mezo dì: ma niuna di queste costituzioni si può imaginare senza qualche repugnanza: adunque il centro solamente può esser suo sito accommodato.
Quanto alla prima posizione, che si accosti più verso l’oriente o verso l’occidente, contraria l’apparirci il sole, la luna e l’altre stelle della medesima grandezza nel nascere e nel tramontare; il che non avverria, se l’orto più che l’occaso, o questo più di quello, a noi fosse vicino. In oltre, se la terra non fossi in pari distanza fra l’oriente e l’occidente, l’intervalli del nascere d’una stella all’arrivare al mezo dì, e di qui all’occidente, non sariano eguali; ma in tempo più breve passeria l’arco tra ’l meridiano e l’altro termine più vicino interposto.
La seconda posizione viene distrutta, perchè, se la terra s’inalzasse più verso la parte del cielo a noi sopraposta, non potremmo vedere se non meno che la metà del cielo, e maggior parte ne vedremmo, quando, per l’opposito, la terra si sbassasse; il che repugna totalmente all’esperienza, essendo che la metà del cielo è da noi continuamente veduta. Di che ci possiamo certificare osservando due stelle diametralmente opposte, delle quali una nasca nell’istesso momento che l’altra tramonta. Per ciò che, se l’arco del cielo apparente, traposto tra l’orientale stella e l’occidentale, fosse minore o maggiore di mezo cerchio, quando essa orientale fosse nell’occaso, l’altra, o non saria ancora ritornata nell’oriente, o vero ci saria pervenuta inanzi; il che repugna all’osservazioni, le quali ci dimostrano, come di tali stelle diametralmente opposte, gli orti e gli occasi si fanno alternamente nell’istesso momento di tempo: certo argomento, l’arco sopra terra tra le dette stelle intermedio, essere uguale all’arco sotto terra.Alla terza posizione repugna un’apparenza presa dalle ombre di tutti i corpi perpendicolarmente eretti sopra ’l piano della terra. Perciò che, quando la terra fusse più verso l’uno che l’altro polo, nel tempo dell’equinozio, quando il sole si trova egualmente distante da i poli, l’ombre de i detti corpi matutine, prodotte nello spuntar del sole, non anderiano per linea dritta verso quel punto, dove la sera il sole tramonta: di modo che nè l’ombra vespertina risguarderia il nascere matutino, nè esse due ombre constituirebbono una linea dritta, ma formeriano angolo nella base dello stile o altra cosa piantata in terra.
Adunque, poi che tutte quest’altre posizioni ricevono manifeste contrarietà, doviamo conchiudere la terra esser nel centro situata.
Si confermerà il medesimo con un’altra molto bella osservazione presa dalle ecclissi lunari. Perciò che se si osserverà il tempo dell’ecclisse lunare, ed il sito di essa luna in tal tempo, si troverà lei esser sempre per diametro opposta al sole; ed essendo di tale oscurazione cagione l’interposizione della terra, adunque in tutti gli ecclissi lunari, fatti in qualsivoglia parte del cielo, la terra si troverà linealmente interposta tra ’l sole e la luna; ed occorrendo, come si è detto, tali ecclissi in diverse parti del cielo, bisogna per necessità che confessiamo, la terra ritrovarsi in diversi diametri, ma diversi diametri non hanno di commune altro ch’il centro, nè altro punto che il centro è in diversi diametri; adunque la terra in esso centro è situata.
che la terra sia d’insensibil grandezza in comparazione del cielo.
Esser di mole insensibile il globo terrestre paragonato col cielo, lo dimostrano due delle ragioni, con le quali di sopra s’è provato, la terra esser constituita nel centro.
La prima è, che se la terra fusse di notabil grandezza rispetto alla sfera stellata, noi non potremmo vedere la metà del cielo, ma parte sensibilmente minore; perchè la superficie, che divide il cielo in due parti uguali, bisogna che passi precisamente per lo centro: ma la nostra superficie, che distingue la parte del cielo apparente dall’occulta, passa per la superficie della terra: adunque, non passando per lo centro, bisogna per necessità che la parte del cielo da noi veduta sia meno che la metà quel tanto, che importa il semidiametro della terra: ma già ch’il senso, nè per sè stesso, nè per l’osservazione più esatta di qualche instrumento, può accorgersi di veder meno che la metà del cielo, adunque bisogna che tal distanza tra l’occhio nostro e ’l centro della terra sia di niuna considerazione, rispetto al cielo, e, per conseguenza, che, alla medesima proporzione, la terra sia come insensibile.La seconda ragione è che, se la terra avesse notabil grandezza, le stelle non ci apparirebbono da tutte le parti della terra ugualmente grandi: ma, per essempio, partendosi di qua, e caminando verso mezogiorno, le stelle verso la tramontana apparirebbono sempre minori; ed, oltre a ciò, stando noi nell’istesso luogo, le stelle medesime nell’oriente e nell’occidente ci apparirebbono più piccole, per esser più lontane, che nel mezzo del cielo: il che si vede esser falso.
Terzo, confermasi la medesima verità dal veder noi, che tutti gli instrumenti astronomici, come sariano le armille, le sfere, li astrolabi, i quadranti, e parimente li orologi solari, sono fabricati con l’istessa teorica, che se avessero ad essere adoperati nel centro del cielo, e la punta dello gnomone esser constituita nel vero centro del mondo. Adunque, se fussero posti in uso in sito notabilmente da detto centro lontano, senza dubbio alcuno l’apparenze con essi osservate risponderebbono tutte falsamente: ma già che tal falsità non apparisce, e pure non nel centro esquisito, ma nella superficie della terra si applicano all’esperienza, adunque la distanza della superficie della terra al centro, e, per conseguenza, tutta la mole di essa terra, non è degna di considerazione in proporzione del cielo.
Quarto, finalmente, essendo con dimostrazioni certissime provato, il sole essere circa cento e settanta volte maggiore della terra, e vedendo poi alcune stelle fisse, che agguagliano la centesima parte del sole, per quanto appare all’occhio, ma, per esser lontanissime, si deve credere che siano molto maggiori di questo che si è detto; di maniera che non si può dubitare, molte e forse tutte le stelle fisse esser, ciascuna da per sè, maggiore di tutta la terra, e nulla di meno ogn’una di dette stelle in comparazione di tutt’il cielo è quasi ch’un punto; adunque non sarà irragionevole il porre, la terra ancora aver insensibil mole rispetto alla grandezza celeste.
che la terra stia immobile.
La presente questione è degna di considerazione, essendo che non sono mancati grandissimi filosofi e matematici, i quali, stimando la terra essere una stella, l’hanno fatta mobile. Nulladimeno, seguitando noi il parere d’Aristotele e di Tolomeo, addurremo quelle ragioni, per le quali si possa credere, lei essere totalmente stabile.
E prima, essendo che d’un corpo semplice non può esser naturale altro che un moto semplice, essendo tale la terra, bisognerà che per necessità (se deve muoversi) si muova di moto semplice: ed essendo ch’i moti semplici sono solamente il retto ed il circolare, adunque, se la terra si moverà, o vero anderà intorno, o vero per linea retta. Ma rettamente non si può movere: perciò che, non essendo i moti retti semplici altri che due, ciò è uno verso il centro e l’altro verso la circonferenza, ed avendo noi di sopra provato la terra esser di già constituita nel centro, adunque verso esso non si può muovere; e maggior assurdo saria di chi dicesse, lei muoversi verso la circonferenza, vedendo noi per esperienza, il moto in alto esser delle cose leggieri, e non delle gravissime, quale è la terra. Adunque, da quanto s’è detto vien esclusa la terra da i moti retti; e ciò si deve ammettere tanto più facilmente, quanto che niuno ha mai detto in contrario.
Ma che lei possa muoversi circolarmente, ha più del verisimile, e perciò da alcuni è stato creduto; mossi principalmente dal parer loro cosa quasi impossibile, che tutto l’universo, eccetto la terra, dia una rivoluzione da oriente in occidente, tornando in oriente, dentro allo spazio di 24 ore: e però hanno creduto, che più presto la terra, dentro a tal tempo, dia una volta da ponente verso levante. Considerando Tolomeo questa oppinione, per distruggerla argomenta in questa guisa.Se noi, insieme con la terra, ci movessimo verso oriente con tanta velocità, ne seguiteria, che tutte l’altre cose, dalla terra disgiunte e separate, apparissero muoversi con altrettanta velocità verso occidente; e così gli uccelli e le nubi pendenti in aria, non potendo seguitare il moto della terra, resteriano verso la parte occidentale. Le cose parimente, le quali da luoghi eminenti si lasciassero cascar al basso, come, verbi gratia, una pietra dalla sommità d’una torre, non cascheria mai alla radice d’essa torre; perchè nel tempo ch’il sasso, venendo al basso perpendicolarmente, fosse in aria, la terra, sottraendosegli e movendosi verso l’oriente,,lo riceverebbe in parte dal piede della torre molto lontano: in quella guisa che, caminando velocemente la nave, il sasso cadente dalla sommità dell’albero, non casca al piede, ma più verso la poppe. E ciò anco più manifestamente si vederebbe nelle cose gettate all’insù perpendicolarmente, le quali, nel tornare al basso, cascheriano molto lontane da quello che le gettò: e così la freccia tirata con l’arco drittamente verso il cielo, non ricascheria presso all’arderò, il quale tra tanto, sportato dal moto della terra, si saria per grande spazio discostato verso l’oriente. E finalmente, essendo il moto circolare e veloce accommodato non ai-fi unione, ma più tosto alla divisione e dissipazione, quando la terra così precipitosamente andasse a torno, le pietre, gli animali e fi altre cose, che nella superficie si ritrovano, vernano da tal vertigine dissipati, sparsi e verso il cielo tirati; così le città e gli altri edificii sariano messi in ruina.
che i moti celesti universalmente considerati sono due.
e tra di loro quasi contrarii.
Poi che più di sopra s’è provato, i corpi celesti muoversi circolarmente, séguita che veggiamo se un solo sia il moto universale di tutti i cieli, o pure sia necessario constituirli più d’uno.
E prima, niuno può dubitare del moto velocissimo diurno, al quale noi veggiamo il sole, la luna e tutte l’altre stelle erranti e fisse, dentro allo spazio di 24 ore, muoversi dall’oriente, e, passando per l’occidente, ritornare al primo termine. Ma se considereremo poi alcun de i pianeti, vedremo, come a questo moto si vanno a poco a poco ritirando verso l’oriente, lasciando le stelle fisse sue vicine verso le parti occidentali: la qual apparenza è stata una delle cause, ch’hanno mosso a credere gli astronomi che, oltr’al moto commune da oriente in occidente, ciascuno de i pianeti abbia un moto più tardo, retrogrado da occidente verso oriente.Ma qui potria alcuno dire, non esser necessario porre tal moto secondo, per questo che i pianeti si ritirino verso l’oriente; ma che può bastare il solo moto primo, con dire, ne i pianeti esser meno veloce che nelle stelle fisse: e così apparisce, verbi gratia, che la luna si ritiri verso l’oriente di giorno in giorno, non perchè in lei sia tal moto, ma perchè più tardamente delle stelle fisse va da oriente in occidente; la qual maggior tardità causa che lei rimanga indietro. Questa opinione potria salvare tal apparenza, quando nel moto de i pianeti non si scorgesse altra diversità che il restare in dietro: ma hanno di più i pianeti questo, che, nascendo sempre le stelle fisse ne i medesimi luoghi, e tramontando in tutti li tempi appresso i medesimi punti, ed inalzandosi sempre sopra terra secondo l’istesse altezze, i pianeti nondimeno vanno continuamente mutando i luoghi de i loro orti e de gli occasi, e così variando di giorno in giorno le loro maggiori altezze sopra la terra; le quali cose a niun modo potriano accadere, quando gli orbi loro avessero un solo moto da oriente in occidente. Perchè dunque, se non per altro, almeno per questa seconda apparenza, siamo constretti a porre, oltre il primo, anco il secondo moto negli orbi de i pianeti; e potendo noi con tale nuovo moto assegnare sufficientemente le cause di queste apparenze e di quelle; però con gran ragione affermeremo, muoversi detti cieli di doppio moto, ciò è del moto universale e commune da oriente in occidente in 24 ore, e del proprio e particolare da occidente in oriente: mediante il qual moto vengono i pianeti a ritirarsi verso oriente, e variare i punti de i loro nascimenti ed occasi, ed accrescere e diminuire le loro elevazioni sopra terra.
Ma quale e quanto sia questo moto, e sopra che polo sì faccia, e come non solo competa a gli orbi de i pianeti, ma ancora alla sfera stellata, si dichiara distintamente più abbasso, doppo che si saranno manifestate alcune altre cose, l’intelligenza delle quali è necessario che preceda quello che in questa speculazione a dire ci resta.
diffinizioni e proprietà appartenenti alla sfera ed alli suoi cerchi.
Doviamo, avanti che passiamo al trattato de i cerchi particolari che si considerano nella sfera celeste, considerare e proporre alcune diffinizioni ed accidenti, che appartengono ad essa sfera e suoi cerchi; la qual cognizione ci gioverà grandemente per intender tutte l’altre cose che seguono.
Diciamo dunque che, volgendosi la sfera in sè stessa, è necessario che due de i suoi punti diametralmente opposti restino immobili; e questi vengono chiamati poli, e la linea retta, che dall’uno all’altro si tira, si chiama asse della sfera. E questi poli nella sfera celeste sono manifesti; de’ quali, uno a noi appare sempre, ch’è verso tramontana, e domandasi polo settentrionale o vero artico, perchè arton, voce greca, significa orsa, ed intorno a tal polo sono due constellazioni, dette Orse: l’altro polo è a noi ascosto nelle parti meridionali, opposto al polo artico, ed adimandasi polo antartico. E descrivendosi nella superficie della sfera cerchi di diverse grandezze, quelli che dividono essa sfera in due parti eguali, passando per lo suo centro, si dicono cerchi massimi; e quelli che, non passando per il suo centro, segano la sfera in parti disuguali, s’adimandano cerchi minori.
E circa i massimi cerchi è da sapere, come un cerchio massimo sempre sega un altro massimo in parti uguali: e passando un cerchio massimo per i poli d’un altro massimo, lo sega ad angoli retti, ed, e contra, segandolo ad angoli retti, passa per necessità per i suoi poli. Ma quando un cerchio massimo sega un cerchio minore, passando per i poli di quello, lo divide in parti uguali e ad angoli retti; e dividendolo ad angoli retti, lo segherà per lo mezzo e passerà per i poli; e parimente, segandolo per lo mezzo, farà gli angoli retti e passerà per i poli di lui. Ma non passando il cerchio massimo per i poli del minore, se lo dividerà, non lo taglierà per lo mezzo, nè ad angoli retti; e similmente, non lo tagliando ad angoli retti, nè lo dividerà in parti uguali, nè passerà per i poli; e così ancora, non lo dividendo per lo mezo, nè può passare per i poli, nè constituire gli angoli retti.
dell’orizonte.
Parendomi che l’ordine più facile ricerchi che dichiari prima l’orizonte che altro cerchio, però, da questo facendo principio, dico, che essendo la terra, come di sopra s’è detto, constituita nel centro della sfera celeste, a noi, che nella superficie d’essa terra stiamo, solo la metà del cielo apparisce, e l’altra è occulta: se dunque ci imagineremo, per l’occhio nostro esser prodotta una superficie sino all’estremo termine della parte del cielo apparente, questa dividerà la sfera celeste in due parti uguali, passando per lo centro, e sarà, per conseguenza, cerchio massimo; il quale, da questa proprietà di dividere e distinguere la parte del cielo apparente dall’occulta, si domanda orizonte, ciò è divisore. Dicesi ancora finitore, terminando e finendo la nostra vista.
Sono gli orizonti infiniti: perciò che, qualunque volta mutiamo sito nella superficie della terra, veniamo, per la sua rotondità, a scoprire e perder di vista qualche parte del cielo, e, per conseguenza, a variar l’orizonte; nè possono altri che due soli punti della terra aver l’istesso orizonte, e questi sono i punti opposti diametralmente; e così i nostri antipodi hanno l’istesso orizonte che noi, essendo a loro apparente quella metà del cielo che a noi si nasconde. Ed è manifesto, che quel punto del cielo che perpendicolarmente ci sta sopra la testa, e l’altro ch’è a lui contraposto, vengono ad esser come poli del nostro orizonte: e chiamansi l’un punto, verticale o vero zenith; e l’altro opposto, nadhir. E notisi, che volgendosi la sfera intorno a i suoi poli nello spazio di 24 ore, qualsivoglia stella, e qualunque altro punto nato nella superficie d’essa sfera, vien, per tale rivoluzione, a descrivere la circonferenza di un cerchio, maggiore o) minore secondo che tale stella è fissa più vicina o più lontana dal polo; e tutti questi cerchi, sendo designati mediante la medesima rivoluzione, vengono ad esser tra di loro equidistanti; e quelli orizonti che passano per i poli segheranno tutti i detti cerchi per lo mezo e ad anguli retti: dal che vengono tali orizonti nominati retti, e tale constituzione di sfera si domanda sfera retta. Ma, per l’opposito, sfera obliqua, o vero orizonte obliquo, si dice quello, che, non passando per i poli della diurna rivoluzione, non divide i detti cerchi ad angoli retti, ma obliqui e disuguali.
del circolo meridiano.
Il cerchio meridiano è il secondo cerchio massimo da noi imaginato nella sfera, ed è quello che si descrive per i poli del mondo e per lo nostro zenit. E perchè il zenit è polo dell’orizonte, come di sopra s’è detto, adunque il meridiano viene a segare l’orizonte ad angoli retti, e, per conseguenza, fa due parti uguali dell’emisfero a noi apparente; dal che ne sèguita, che l’intervallo dall’oriente insino ad esso meridiano sia uguale al spazio dal medesimo all’occidente; il che è causa ch’il tempo dal nascer del sole, o di qualunque altra stella, sino all’arrivare al meridiano, sia uguale al tempo dal meridiano al-l’occidente: per lo che tal cerchio acquista il nome di meridiano, essendo il mezodì quando il sole si trova in esso. Ma sì come non un solo ma infiniti sono gli orizonti, così infiniti sono i meridiani: ma vi è però questa differenza, che ad ogni mutazion di sito che facciamo in terra verso qualsivoglia parte, si varia l’orizonte, ma il meridiano non si muta, se non movendoci noi verso occidente o verso oriente; perchè, essendo il meridiano un cerchio che si distende dal polo del mondo per lo nostro zenit verso mezo giorno, possiamo moverci verso lo stesso cerchio, ciò è da tramontana verso austro, senza che il nostro zenit si parta di sotto il medesimo cerchio meridiano.
del circolo equinoziale.
La qual cosa acciò meglio sia intesa, doviamo redurci a memoria, come il sole, non altrimenti che qualunque altro pianeta, ha il suo moto proprio, diverso da questa rivoluzione diurna; il qual moto proprio, facendosi sopra altri poli che quelli del mondo, causa ch’esso sole, ora s’avvicini verso l’un polo del mondo ed ora verso l’altro, e tal ora si ritrovi e dall’uno e dall’altro egualmente lontano: e quando ciò accade, in quel tal giorno viene il sole a girare sotto» l’equinoziale, descrivendo cerchio massimo. E perchè tutti gli orizonti sono cerchi massimi, nè può un cerchio massimo segar un altro massimo se non in parte uguale, quindi è che sempre ed appresso a tutti gli orizonti la metà dell’equinoziale sia sopra, e l’altra sotto; e perchè la quantità del giorno vien determinata dallo spazio ch’il sole fa sopra l’orizonte, e la notte dal tempo ch’il sole sta sotto, adunque, quando il sole è nell’equinoziale, il giorno e la notte sono eguali appresso tutte le parti della terra.
del zodiaco.
L’intelligenza delle cose che appartengono a questo cerchio è» tanto necessaria per poter ben comprendere tutte l’altre cose attenenti alla sfera, che meritamente potiamo affermare, in essa consister la somma di tutto questo negozio.
Per esplicar dunque, quanto più distintamente si potrà, la sua istoria, comincieremo a ridurci in memoria quello che più volte s’è detto, ciò è che, oltre a ’l muoversi tutti gli orbi celesti uniforme-mente da oriente verso occidente in 24 ore, hanno poi ciascuno in particolare un moto proprio da occidente verso oriente, ma sopra altri poli: del qual moto secondo* al presente doviamo noi parlare, ed investigare i poli ed il cerchio da esso descritto. Ma perchè di questo i secondo moto, proprio di ciascun pianeta, non è per l’appunto una medesima strada, benchè poco l’una dall’altra sia differente, però, per fuggire la confusione, parleremo prima del moto del sole e del cerchio descritto da esso.
Se il sole non avesse altro moto ch’il diurno, fatto intorno a i poli del mondo, nel passare per lo nostro meridiano non s’alzerebbe più una volta che l’altra, ma lo segheria sempre nel medesimo punto, e così nel nascere e tramontare non muterebbe mai luogo: ma perchè noi vegghiamo, come in alcuni tempi dell’anno esso si alza poco nel meridiano, ed in alcuni molto, e così ora nasce in un luogo, ora in un altro, per questo, oltre alla quotidiana revoluzione, è forza che noi gli assegniamo un altro movimento, il quale salvi queste apparenze. Per il che fare, hanno gli astronomi con diligenza grande prima osservato, quanto alto sopra l’orizonte il cerchio equinoziale taglia il meridiano; dipoi, osservando in diversi tempi dell’anno l’altezze meridiane del sole, hanno compreso, come alcune volte il sole taglia il meridiano più basso che l’equinoziale, ed alle volte più alto. Misurando poi la maggior declinazione in esso meridiano che faccia il sole sbassandosi sotto l’equinoziale, videro ch’era, in esso meridiano, circa 23 gradi e mezo; e similmente, osservando il termine altissimo, al quale, nel medesimo meridiano, arriva il sole inalzandosi sopra l’equinoziale, trovorono essere all’altra declinazione, uguale, cioè gradi 23 e mezo: dal che per necessità si conchiude, come quel cerchio, per lo quale, movendosi per lo moto proprio, il sole s’alza sopra e s’abbassa sotto l’equinoziale, doveva esser cerchio massimo, il quale, segando esso equinoziale, declinasse da esso, verso mezogiorno d’una parte, e verso tramontana dall’altra, 23 gradi e mezo; e tale conchiusero essere il cerchio, sotto il quale di moto proprio il sole si raggira, facendo un’intera rivoluzione in un anno. Dal quale moto obliquo non solamente, come s’è detto, s’assegnano le cause dell’alzarsi ed abbassarsi il sole nel meridiano, ma ancora del nascere e tramontar suo, ora in questa parte, ed ora in quell’altra, dell’orizonte; essendo che, se noi noteremo i segamenti che fa l’equinoziale con l’orizonte, vedremo come il sole, quando sarà nella parte del suo cerchio obliquo verso mezo giorno, nel nascere e nel tramontare taglierà l’orizonte in punti più verso mezo giorno delle sezioni dell’equinoziale, facendo per l’opposito quando si troverà in quelle parti del suo cerchio obliquo, che declinino dall’equinoziale verso il settentrione. Chiamasi questo tal cerchio, descritto dal sole, eclittica, perchè, come più abbasso si dichiarerà, sotto d’essa si fanno gli ecclissi solari e lunari. Ma nel formare e descrivere la sfera, a questa linea si aggiunge di qua e di là sei gradi di larghezza, formandosi un cerchio largo in guisa di una fascia, il quale tutto insieme viene addimandato zodiaco. E la causa, per la quale si figuri di tal larghezza, altra non è, se non acciò che sotto di esso siano comprese tutte le vie descritte dalli altri proprii moti di tutti i pianeti: i quali moti, osservati nell’istesso modo che quello del sole, si trovano farsi, non sotto la medesima via del sole precisamente, ma non molto da essa lontano; e perchè non s’osserva alcuno de i pianeti deviare dalla strada del sole, o verso mezzo giorno o verso tramontana, più di sei gradi, quindi è che, per comprendere tutti questi cerchi sotto un solo, s’è aggiunto alla ecclittica una larghezza di sei gradi per parte, formandone una fascia, la quale s’è dimandata zodiaco, così detto da zodion, id est animale, perchè passa per alcune constellazioni denominate dalli undici animali: delle quali la prima vien detta Ariete, e le seguenti Tauro, Gemini, Cancro, Leone, Vergine, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario e Pesci. Ma perchè tutta la lunghezza del zodiaco si divide in 12 parti, d’uno di questi animali se ne sono fatti due segni; e questo è lo Scorpione, la cui parte anteriore forma una costellazione chiamata Libra: ed in tal modo ciaschedun segno del zodiaco ha una propria costellazione. Ed essendo che il zodiaco sega l’equinoziale in due punti diametralmente opposti, sei segni del zodiaco rimangono dall’equinoziale verso ’l settentrione, e perciò sono detti settentrionali, ed altri sei sono australi, essendo dall’equinoziale verso austro. Sono li settentrionali Ariete, Tauro, Gemini, Cancro, Leone e Vergine: meridionali Libra, Scorpione, Sagittario, Capricorno, Acquario e Pesci. E questi due punti, dove il zodiaco ed equinoziale s’intersegano, si dicono li due equinozii, essendo che, quando il sole in essi si ritrova, causa a tutta la terra il giorno eguale alla notte. Di questi due equinozii, l’uno è detto della primavera, ed è nel principio dell’Ariete, ciò è in quel segamento, per lo quale passa il sole quando da i segni australi passa alli settentrionali: l’altro segamento, per lo quale passa il sole quando di settentrionale diviene australe, si dimanda l’equinozio dell’autunno, ed è nel principio della Libra. Sono due altri punti principali nel zodiaco: l’uno de’ quali è ’l principio di Cancro, lontano da gli equinozii la quarta parte del zodiaco; ed è la massima declinazione, che faccia il sole dall’equinoziale verso ’l settentrione: l’altro punto è nel principio di Capricorno, dove è la massima declinazione delle parti del zodiaco verso l’austro. Chiamansi anco questi due punti medesimi delle massime declinazioni i solstizii, però che quando il sole si trova nelle parti a questi punti circonvicine, pare quasi che stia fermo: non che non si comprenda il suo moto secondo la lunghezza del zodiaco, ma perchè in quei giorni il sole insensibilmente s’alza o s’abbassa nel circolo meridiano, essendo che in quelle parti il zodiaco si distende quasi che paralello all’equinoziale.
delli due coluri.
Sono immaginati nella sfera due altri cerchi massimi, i quali si segano sopra i poli dell’equinoziale ad angoli retti: e l’uno d’essi passa per li punti delli equinozii, l’altro per li solstizii; dal che viene questo nominato coluro de i solstizii, e l’altro coluro de gli equinozii. Ma la posizione di tali cerchi nella sfera celeste non ha utilità alcuna particolare, non essendo eglino in somma altro che due meridiani: ma dalli artefici sono posti nelle sfere materiali per armatura e sostegno de gli altri cerchi, i quali, essendo tra di loro separati, si fermano sopra i detti coluri.
delli tropici.
de’ cerchi polari.
Li due cerchi polari, vengono descritti da i poli del zodiaco, mentre che, per la rivoluzione diurna, si volgono intorno a i poli dell’equinoziale; essendo manifesta cosa, che tutti i punti della superficie dcha sfera, mentre che essa sopra i suoi poli si raggira, descrivono circumferenze di cerchi. E perchè, come abbiamo detto, il zodiaco è obliquo all’equinoziale, declinando dall’una e l’altra parte circa 23 gradi e mezo nelle massime declinazioni, tanto saranno i poli d’esso zodiaco lontani da i poli dch’equinoziale. L’uno di questi cerchi, ciò è quello ch’è descritto intorno al polo artico, si chiama circolo artico; e l’altro, intorno all’altro polo, circolo antartico.
E tanto basti aver con brevità detto intorno a i cerchi dcha sfera.
delle ascensioni.
Queste disugualità d’ascensioni, che occorrono, come s’è dichiarato, nella sfera retta, si fanno maggiori nella sfera obliqua, e tanto più, quanto l’obliquità va crescendo; ed oltre a ciò, quella disugualità che nella sfera retta si ristorava e riduceva all’egualità di quarta in quarta, nella sfera obliqua non si ragguaglia salvo che di mezo cerchio in mezo cerchio, nascendo con li sei segni, dall’uno equinozio all’altro, la metà dell’equinoziale: ma se piglieremo parti minori di mezo cerchio cominciando dall’equinozio della primavera, appresso tutti gli orizonti obliqui sopra i quali s’inalza il polo artico, troveremo nascere più di zodiaco e meno d’equinoziale; ed il contrario farsi nelle parti del zodiaco susseguenti all’altro equinozio. Conformasi l’ascensione della sfera obliqua con quella della retta in questa parte, che archi eguali del zodiaco, ed ugualmente lontani dall’istesso equinozio, hanno uguali ascensioni: ma ciò non avviene de gli archi ugualmente distanti dal punto solstiziale, il che era vero nella sfera retta. Oltre a questo, essendo nella sfera retta de i segni opposti l’ascensioni uguali, nella obliqua sono disuguali: ma però sono disuguali in maniera, che, quanto l’una eccede la retta, tanto l’opposta è ecceduta; di modo che l’ascensioni oblique di due segni opposti, congiunte insieme, sono sempre uguali all’ascensioni rette de i medesimi segni, pur insieme unite. E quanto s’è detto delle ascensioni, il medesimo s’intenda delle descensioni, ma però con ordine opposto; in maniera, che quelle parti di zodiaco, che saranno di lunga ascensione, sono di breve descensione, e, per l’opposito, i segni, che brevemente ascendono, con lunghezza tramontano.
delle disugualità de i giorni naturali.
della disugualità de i giorni artificiali o civili.
Giorno artificiale dimandiamo quello spazio di tempo, nel qual communemente sogliono gli artefici operare, ch’è dal nascere al tramontare del sole: il qual spazio di tempo in alcune regioni è sempre uguale alla notte, ed in altre molto disuguale. Del che deviamo al presente apportar le cagioni.
Movendosi, come più volte avemo detto, il sole di proprio moto sotto la linea ecclittica nello spazio d’un anno, nel qual tempo, portato dal moto diurno, compisce 365 rivoluzioni incirca; ed essendo essa linea ecclittica obliqua all’equinoziale; è manifesta cosa che, se prenderemo li due punti estremi della medesima obliquità, ciò è li due solstizii, con la metà del zodiaco tra essi contenuta, la quale metà il sole passa in sei mesi, cioè in giorni 182, verremo a comprendere, come in tal tempo sono descritti 182 cerchi, de i quali gli estremi sono i due tropici, e quello di mezzo è l’equinoziale, tra i quali doviamo intendere esser descritti gli altri paralelli: e di tutti questi cerchi un solo è massimo, è gli altri sono tutti minori; massimo è l’equinoziale, e degli altri, quelli che più dall’equinoziale si discostano, sono minori de i più vicini. E perchè già sappiamo, che il cerchio massimo, quando passa per i poli de i cerchi minori, gli sega ad angoli retti ed in parti uguali; quindi è, che quelli che abitano sotto l’equinoziale avendo l’orizonte retto, passando egli per i poli di tutti questi 182 paralelli, che hanno la metà sopra l’orizonte e l’altra metà sotto; ed essendo che il sole descriva ogni giorno uno di quei paralleli, ed essendo lo spazio diurno misurato da quella porzione di cerchio che il sole descrive stando sopra l’orizonte, e lo spazio notturno il restante; quindi è, che a quelli che hanno la sfera retta, sono sempre i giorni uguali alla notte. Ma se comincieremo ad inclinare la sfera, alzando il polo artico sopra l’orizonte già de i 182 paralelli detti, il solo equinoziale, per esser cerchio massimo, sarà diviso egualmente dall’orizonte: ma tutti gli altri paralleli, per esser cerchi minori, saranno in parti disuguali tagliati dall’orizonte; non potendo un cerchio massimo dividere egualmente cerchi minori, per i poli de i quali non passi. Quindi è, che in tutti gli orizonti obliqui il giorno non sarà uguale alla notte, se non quando il sole si troverà nell’equinoziale: ma, discostandosi da esso e venendo verso il polo elevato, li spazii diurni saranno più lunghi de i notturni, e tanto più, quanto il sole si discosterà dall’equinoziale; essendo che, de i paralleli tra l’equinoziale ed il polo apparente, archi maggiori ne rimangono sopra e minori sotto l’orizonte, come sensatamente nella sfera materiale si conosce. E per l’opposito, declinando il sole oltre l’equinoziale verso il polo occulto, viene a descrivere gli altri paralelli, de i quali gli archi apparenti sopra l’orizonte sono manco che la metà de i lor cerchi: e quindi avviene che i tempi diurni sono più brevi che i notturni.Possiamo ancora altrimenti discorrendo venir in cognizion della causa della disugualità di questi giorni artificiali, considerando le disugualità delle ascensioni, e come in ogni giorno, o breve o lungo che sia, deve nascere e tramontar la metà del zodiaco. Perchè, se constituiremo qualsivoglia punto di zodiaco nell’orizonte orientale, è manifesto che l’altro punto diametralmente oppostoli sarà nell’occidente, segandosi, come cerchi massimi, orizonte e zodiaco in parti uguali; adunque, se il sole si troverà nel sopradetto punto orientale, dovendo egli passare in occidente, è ben necessario che prima tramonti quella metà di zodiaco che era sopra a terra, e che l’altra nasca. Ora, perchè le parti di zodiaco sono d’ascensioni molto disuguali, e massime appresso gli orizonti obliqui; di maniera che le due quarte dal primo punto di Capricorno sino al primo d’Ariete, e di qui sino al principio di Cancro, sono di brevissima ascensione, e di lunghissima l’altre due rimanenti; quando il sole si troverà nel principio di Capricorno, farà brevissima dimora sopra l’orizonte la cui ascensione contiene pochi gradi d’equinoziale; ed il contrario avverrà trovandosi il sole nel primo punto di Cancro, perchè, dovendo con la metà del zodiaco seguente nascere assai più della metà dell’equinoziale, si farà il giorno lunghissimo: trovandosi poi il sole in altre parti del zodiaco, la disugualità tra ’l giorno e la notte si farà minore, dovendo nascere parte de i segni di lunga ascensione, e parte di breve; in guisa che quando il sole si troverà in uno delli equinozii, averemo il giorno precisamente eguale alla notte, dovendo nascere tre segni di lunga, e tre di breve ascensione.
considerazioni intorno alle proprietà de gli abitatori in diverse parti della terra.
Quelli, il zenit de’ quali è fra ’l circolo equinoziale ed il tropico di Cancro, convengono con li sopradetti nell’aver tutte l’ombre, ed in aver due estati, le quali però sono distinte da due inverni, disuguali in lunghezza ed in freddo: però che, quando il sole arriva al lor zenit e quindi passa verso ’l settentrione, non si scostando molto, fa l’inverno breve e non molto freddo; ma doppo l’esser, partendosi dal tropico di Cancro, ritornato al lor zenit, e quindi passando verso il tropico di Capricorno, farà l’inverno maggiore, perchè s’allontana molto più dal lor vertice. Sono differenti da gli altri sopradetti nell’aver i giorni non più eguali alle notti, e nell’aver alcune stelle che mai non tramontano, ed altre che mai non nascono; che sono quelle, la cui distanza da i poli è minore dell’elevazione del polo sopra l’orizonte.
Seguono quelli, il zenit de i quali è nel tropico di Cancro. Questi mancano d’un’ombra, ciò è della meridiana, non passando il sole mai, oltre al loro zenit, verso le parti settentrionali; hanno i giorni e le notti maggiormente disuguali; hanno una sola estate ed un verno, essendo una l’approssimazione del sole al lor zenit, ed anco il discostamento; numero maggiore di stelle appariscono sempre, ed altre restano occulte.
Séguita il sito di quelli, il zenit de’ quali è fra ’l tropico e ’l circolo artico. A questi manca, oltre all’ombra meridionale, la perpendicolare ancora: nel resto convengono con li sopradetti, ma però con maggior diversità tra ’l verno e l’estate, tra l’inegualità de’ giorni, e P apparire proporzionatamente maggior numero di stelle.Quelli, il cui zenit è nel circolo artico, hanno l’orizonte che tocca li due tropici, lasciando quello di Cancro tutto sopra, e l’altro sotto: dal che ne séguita, che trovandosi il sole nel solstizio estivo, abbiano quel giorno di 24 ore continue, senza punto di notte, come, per lo contrario, hanno nell’altro solstizio una notte continua di 24 ore; diminuendo poi e quello e questa, secondo ch’il sole passa ne i paralleli più vicini all’equinoziale. Ed è manifesto, come a questi appariscono sempre tutte le stelle che sono fra il tropico di Cancro ed il polo artico, occultandosi tutte l’altre dentro all’altro tropico. In oltre, perchè il lor zenit è nel circolo artico, descritto da un polo del zodiaco, è chiara cosa, che una volta il giorno, mediante la diurna revoluzione, esso polo del zodiaco si congiungerà col zenit, e, per conseguenza, il zodiaco si unirà con l’orizonte; ma passato quel momento della congiunzione di detti punti, la metà del zodiaco ascenderà sopra l’orizonte, e l’altra s’asconderà: tal che i sei segni del zodiaco, che sono dal principio di Capricorno per l’Ariete fino al primo punto di Cancro, nascono in un momento, e gli altri sei seguenti ascendono con tutto l’equinoziale; e però, trovandosi il sole nel primo punto di Cancro, fa il giorno di 24 ore continue, dovendo con la metà seguente del zodiaco nascere tutto l’equinoziale.
Quelli, il cui zenit è fra ’l circulo artico ed il polo, averanno non solamente tutto il tropico di Cancro sopra l’orizonte, ma ancora alcuno de i paralelli a esso tropico vicini, e più e meno secondo che il loro zenit si slontanerà molto o poco dalla circonferenza d’esso circolo artico: dal che ne séguita, che tutt’il tempo nel quale il sole si tratterrà in essi paralelli, non tramonterà già mai, e farà giorno continuo per uno, due o tre mesi, etc., secondo la moltitudine di essi paralelli. Ed è manifesto ancora come una parte del zodiaco precedente al solstizio estivo, ed altrettanta consequente, apparisce sempre sopra l’orizonte; ma, per l’opposito, circa l’altro solstizio altrettanto arco dimora sempre sotto l’orizonte, e per altrettanto tempo fa notte continua. E, oltre a ciò, cosa molto notabile, che, sendo in tale posizione di sfera alcuni segni di zodiaco che mai non nascono, ed altri che mai non tramontano, di quei che nascono e tramontano, quei che sono attorno l’equinozio della primavera, come sono l’Acquario, Pesci, l’Ariete ed il Toro, nascendo vengono fuora con ordine prepostero, ciò è che prima nasce il Toro, poi l’Ariete, poi i Pesci, e doppo l’Acquario; nulla di meno, nel tramontare seguono l’ordine diretto, tramontando prima l’Acquario, di poi i Pesci, e l’Ariete, ed il Toro. Il contrario avviene de i segni intorno all’altro equinozio, i quali, nascendo ordinatamente, ciò è prima il Leone, poi la Vergine, la Libra, e ’l Scorpione, nel tramontare si ascondono con ordine converso, tramontando prima il Scorpione, poi la Libra, doppo la Vergine, ed ultimamente il Leone.Quelli, finalmente, il zenit de’ quali è il medesimo ch’il polo del mondo, hanno l’equinoziale per orizonte: dal che ne séguita, che li sei segni del zodiaco settentrionali siano sempre sopra l’orizonte, e gli altri sei già mai non appariscono; e che, per conseguenza, abbino sei mesi continui di giorno, ed altri sei di notte. A questi niuna stella già mai nasce o tramonta; ma quelle che sono tra l’equinoziale ed il polo artico, perpetuamente gli appariscono, e se li vanno intorno intorno aggirando, e l’altre se gli occultano sempre: la lor ombra parimente se li va volgendo intorno in giro; dal che sono adimandati amphiscii, cioè circumumbratili.
delle latitudini e longitudini.
Prima dichiareremo quello ch’importino le latitudini e le longitudini, e di poi mostreremo il modo di prender l’una e l’altra.
Devesi dunque sapere, che latitudine d’un luogo si domanda quell’arco del meridiano, ch’è contenuto tra il zenit del detto luogo e l’equinoziale; di maniera ch’esso equinoziale è come termine e principio delle latitudini, le quali si misurano verso il polo. Dimandasi poi longitudine d’un luogo a un altro l’arco dell’equinoziale intercetto tra li due meridiani de i luoghi. E qui è da notare, come delle longitudini non abbiamo termine necessario e naturale, come si ha delle latitudini, delle quali, come si è detto, il principio è l’equinoziale; e però è stato di mestiero, nelle longitudini, arbitrariamente constituire un principio e termine, al quale esse si referiscono: il qual termine, di commune consenso de i principali geografi, è stato ricevuto che sia il meridiano che passa sopra l’Isole Canarie, dette altrimenti Fortunate, per esser questo sopra l’estreme parti occidentali dalli antichi conosciute. E così, assolutamente parlando, la longitudine d’un luogo altro non importa, che la distanza del meridiano di detto luogo dal meridiano dell’Isole Fortunate, misurata da occidente verso oriente nel circolo equinoziale.La cognizione di queste dimensioni serve principalmente all’intelligenza e descrizione della geografia: perciò che, sapendosi la longitudine e latitudine d’un luogo, si ritroverà il suo sito sopra la carta o globo geografico, non potendo ad altro che ad un sol punto convenire la medesima latitudine con l’istessa longitudine congiunta. Ma, separatamente, tutte le città o altri luoghi che saranno sotto ’l medesimo meridiano, averanno la medesima longitudine; e così parimente i siti collocati sotto l’istesso parallelo hanno la latitudine istessa: ma sotto un tal meridiano e tale parallelo non è costituito altro che un sol punto; e però, conosciuta la longitudine e latitudine d’un luogo, sarà ritrovato il sito suo.
Il modo di prendere e trovare le latitudini è facilissimo, perchè tanta è la latitudine, quanta la elevazione del polo. Del luogo dunque del quale vogliamo trovare la latitudine, prendasi col quadrante l’elevazione del polo; che tanta sarà la distanza dal zenit all’equinoziale.
Ma per pigliare le longitudini, è necessario aver qualche osservazione d’alcuna ecclisse, e massimamente lunare, fatta nel luogo del qual cerchiamo la longitudine, e nell’Isole Canarie; perchè da tale osservazione verremo in cognizione della distanza del meridiano del luogo dal primo meridiano. Il che acciò meglio s’intenda, con essempio faremo manifesto. Si cerca la longitudine di Venezia: occorre questa sera l’ecclisse della luna, la quale oscurazione in Venezia comincia dieci ore doppo mezo giorno: si osserva la medesima oscurazione nel-l’Isole Fortunate, ed aviamo dalle relazioni fatteci, che il suo principio fu otto ore doppo mezo giorno: adunque il sole arriva al nostro meridiano due ore avanti che al meridiano dell’Isole Fortunate; dal che è manifesto, tali due meridiani esser fra di loro distanti, quanto importa il moto di due ore. Ma perchè in 24 ore passa tutto l’equinoziale, dunque in due ore ne passeranno trenta gradi; e però, nel tempo che il sole andò da questo all’altro meridiano, passorno 30 gradi d’equinoziale: tanta adunque è la longitudine di Venezia.della divisione dei climi.
Tabula Climatum secundum Recentiores. | ||||||
paralleli |
CLIMATA | maxima dies | altitudo poli | amplitudo climatum | denominationes climatum | |
H. M. | G. M. | G. M. | ||||
1 | 12. 0 | 0.0 | 8. 34 | |||
2 | 12. 15 | 4. 14 | ||||
3 | 12. 30 | 8. 38 | ||||
4 | Principium | 12. 45 | 12. 43 | 7. 50 | Per Meroen. | |
5 | I. | Medium | 13. 0 | 16. 43 | ||
6 | Finis | 13. 15 | 20. 33 | |||
6 | Principium | 13. 15 | 20. 33 | 7. 3 | Per Syenen sub Tropicos Cancri. | |
7 | II. | Medium | 13.30 | 23. 11 | ||
8 | Finis | 13. 45 | 27. 36 | |||
8 | Principium | 13. 45 | 27. 36 | 6. 9 | Per Alexandriam Aegypti. | |
9 | III. | Medium | 14. 0 | 30. 47 | ||
10 | Finis | 14. 15 | 33. 45 | |||
10 | Principium | 14. 15 | 33. 45 | 5. 17 | Per Rhodum et Babylonem. | |
11 | IIII. | Medium | 14. 30 | 36. 30 | ||
12 | Finis | 14.45 | 39. 2 | |||
12 | Principium | 14.45 | 39. 2 | 4. 30 | Per Romam, Corsicam et Hellespontum. | |
13 | V. | Medium | 15. 0 | 41. 22 | ||
14 | Finis | 15. 15 | 43.32 | |||
14 | Principium | 15. 15 | 43.32 | 3. 48 | Per Venetias et Mediolanum. | |
15 | VI. | Medium | 15. 30 | 44. 29 | ||
16 | Finis | 15. 45 | 47. 20 | |||
16 | Principium | 15. 45 | 47. 20 | 3. 13 | Per Podoliam et Tartariam minorem. | |
17 | VII. | Medium | 16. 0 | 49. 1 | ||
18 | Finis | 16. 15 | 50. 33 | |||
18 | Principium | 16. 15 | 50. 33 | 2. 44 | Per Vitembergam. | |
19 | VIII. | Medium | 16. 30 | 51. 58 | ||
20 | Finis | 16. 45 | 53. 17 | |||
20 | Principium | 16. 45 | 53. 17 | 2. 17 | Per Rostochium. | |
21 | IX. | Medium | 17. 0 | 54. 29 | ||
22 | Finis | 17. 15 | 55. 34 | |||
22 | Principium | 17. 15 | 55. 34 | 2. 0 | Per Hiberniam et Moscoviam. | |
23 | X. | Medium | 17. 30 | 56. 37 | ||
24 | Finis | 17. 45 | 57. 34 | |||
24 | Principium | 17. 45 | 57. 34 | 1. 40 | Per Bobus castrum Norvegiae. | |
25 | XI. | Medium | 18. 0 | 58. 26 | ||
26 | Finis | 18. 15 | 59. 14 |
Tabula Climatum secundum Recentiores. | ||||||
paralleli |
CLIMATA | maxima dies | altitudo poli | amplitudo climatum | denominationes climatum | |
H. M. | G. M. | G. M. | ||||
26 | XII. | Principium | 18. 15 | 59. 14 | 1. 26 | Per Gothiam. |
27 | Medium | 18. 30 | 59. 59 | |||
28 | Finis | 18. 45 | 60. 40 | |||
28 | XIII. | Principium | 18. 45 | 60. 40 | 1. 13 | Per Bergis Norvegiae. |
29 | Medium | 19. 0 | 61. 18 | |||
30 | Finis | 19. 15 | 61. 53 | |||
30 | XIIII. | Principium | 19. 15 | 61. 53 | 1. 1 | Per Viburgum Finlandiae. |
31 | Medium | 19. 30 | 62. 52 | |||
32 | Finis | 19. 45 | 62. 54 | |||
32 | XV. | Principium | 19. 45 | 62. 54 | 0. 52 | Per Arotiam Suetiae. |
33 | Medium | 20. 0 | 63. 22 | |||
34 | Finis | 20. 15 | 63. 46 | |||
34 | XVI. | Principium | 20. 15 | 63. 46 | 0. 44 | Per Dalenkalii fluvij ostia. |
35 | Medium | 20. 30 | 64. 6 | |||
36 | Finis | 20. 45 | 64. 30 | |||
36 | XVII. | Principium | 20. 45 | 64. 30 | 0. 36 | Per Reli- |
37 | Medium | 21. 0 | 64. 49 | |||
38 | Finis | 21. 15 | 65. 6 | |||
38 | XVIII. | Principium | 21. 15 | 65. 6 | 0. 29 | qua loca. |
39 | Medium | 21. 30 | 65. 21 | |||
40 | Finis | 21. 45 | 65. 35 | |||
40 | XIX. | Principium | 21. 45 | 65. 35 | 0. 22 | Norvegiae. |
41 | Medium | 22. 0 | 65. 47 | |||
42 | Finis | 22. 15 | 65. 57 | |||
42 | XX. | Principium | 22. 15 | 65. 57 | 0. 17 | Suetiae. |
43 | Medium | 22. 30 | 66. 6 | |||
44 | Finis | 22. 45 | 66. 14 | |||
44 | XXI. | Principium | 22. 45 | 66. 14 | 0. 11 | Albae Russiae |
45 | Medium | 23. 0 | 66. 20 | |||
46 | Finis | 23. 15 | 66. 25 | |||
46 | XXII. | Principium | 23. 15 | 66. 25 | 0. 5 | et vicinarum |
47 | Medium | 23. 30 | 66. 28 | |||
48 | Finis | 23. 45 | 66. 30 | |||
49 | XXIII. | 24. 45 | 66. 31 | 0. 0 | insularum. |
Molte cose si devono avvertire avanti che venghiamo ad assegnar le cause de i diversi accidenti, che nelli ecclissi occorrono; dalle quali cose si rende più facile questo negozio.
E prima, ci ridurremo a memoria, come il sole di moto proprio ricerca nello spazio d’un anno tutta l’eclittica: secondariamente, come la luna ancora essa si muove sotto ’l zodiaco, ricercandolo in un mese; ma il suo moto non è sotto la medesima linea per la quale camina il sole, ma è in un cerchio il quale in due punti sega l’eclittica, declinando da essa mezo verso austro e mezo verso settentrione, e nelle maggiori sue declinazioni s’allontana cinque gradi. E questo tal cerchio s’adimanda il dragone della luna, perchè, insieme con la eclittica, forma due figure simili a due serpenti, più larghe verso il ventre ed anguste verso l’estremità: e da questa medesima similitudine, delli due punti dove detto dragone e l’eclittica si segano, l’uno s’adimanda il capo e l’altro la coda del dragone; chiamasi il capo quella sezione, per la quale passa la luna, allora che, lasciando le parti australi del suo dragone, passa nelle settentrionali, e tal segamento si dimanda ancor nodo ascendente; ed il punto opposto, per lo quale passa la luna, quando di settentrionale si fa australe, si dice nodo discendente, o vero coda del dragone.
Oltre a ciò, bisogna sapere, come il sole, movendosi sotto ’l zodiaco, si muove con velocità disuguale, ciò è ora più tardo, ora più veloce: e questo procede per essere il suo moto fatto in un cerchio, il cui centro non è l’istesso che quello del zodiaco; ed ancora che il moto del sole nel suo proprio orbe sia regolare ed uniforme, nientedimeno, riferito ad altro cerchio e ad altro centro, sarà in essi difforme ed irregolare; e perchè, come a suo luogo fu provato, la terra è situata nel centro del zodiaco, tale moto del sole intorno alla terra sarà ora più tardo ed ora più veloce. Seguita dall’istesso principio, che il sole, movendosi nel suo cerchio, servi ben sempre ugual distanza dal proprio centro, ma che al centro del zodiaco, ciò è alla terra, sia ora più vicino ed ora più lontano. E quello che si dice della disuguale distanza e moto del sole, intendasi ancora della luna: la quale, nel proprio cerchio movendosi, camina con eguale velocità, ma, referita al zodiaco, in esso camina disugualmente, per essere il suo cerchio eccentrico; il che è causa che essa ancora tal ora più vicina, e tal ora più lontana dalla terra, si ritrovi. Le quali cose basterà in questo luogo aver superficialmente accennate, trattandosi più distintamente nelle Teoriche de’ pianeti.Devesi, oltre di questo, sapere, che la luna di sua natura è corpo denso, opaco e tenebroso, non altrimenti che si sia la terra, e solamente tanto risplende, quanto da i raggi del sole vien percossa ed illustrata. Nè doviam ignorare, come la sua grandezza è piccolissima, in comparazione della terra; ma molto più piccola è la terra in proporzione del sole; essendo la luna delle 39 parti una incirca della terra, e la terra delle 166 una del sole. Ed in oltre bisogna sapere, come la luna è vicinissima alla terra più d’ogn’altra stella, ed il sole assai più lontano della luna. Finalmente doviamo avvertire, come la terra, essendo sferica e di materia tenebrosa e non trasparente, viene ad esser continuamente per la sua metà illuminata dal sole, che è quella parte dove fa giorno, restando l’altra metà tenebrosa, dove è notte: dal che ne seguita, che diametralmente contra il sole, dalla parte oscura della terra, si distenda l’ombra, la quale si va continuamente distendendo in assottigliandosi, per essere il corpo luminoso del sole maggiore del tenebroso, ciò è della terra: e perchè il sole camina sempre sotto l’eclittica, nel cui centro è la terra, e l’ombra diametralmente s’oppone al corpo luminoso, quindi è che la cuspide del cono dell’ombra della terra vadi, con velocità pari a quella del sole, movendosi sotto l’eclittica, e che sempre si ritrovi nel grado contraposto a quello nel quale è il centro del sole.
Passando ora alle cause delli eclissi, e delli accidenti che intorno ad essi accadono, parlando prima della luna, diciamo, che essendo il moto suo sotto il zodiaco tanto più veloce che quello del sole, che nel tempo, nel quale il sole una sol volta ricerca tutto il zodiaco, la luna lo raggira dodici volte e più, ne seguita, che per necessità tante volte si trovi congiunta col sole, ed altrettante diametralmente oppostali. E perchè il corpo lunare, di sua natura denso e tenebroso, tanto risplende, quanto da i raggi del sole è illustrato; quindi avviene, che se tal ora tra essa ed il sole s’interponesse corpo così grande e denso, che togliesse alla luna la vista del sole, ella, rimanendo in tenebre, perderebbe ogni splendore. Tal accidente patisce la luna, quando così diametralmente s’oppone al sole, che, restando la terra in mezo, toglie ad essa luna la vista del sole: e tale è la causa dell’eclisse lunare, ciò è un ingresso ed immersione che fa la luna nell’ombra della terra. Ma perchè, come di sopra s’è avvertito, il cono dell’ombra terrestre va sempre movendosi sotto l’eclittica, ma il corpo lunare si volge nel suo dragone, di qui nasce che non in ogni opposizione la luna passa per l’ombra della terra, ritrovandosi il più delle volte in parte del suo dragone così lontana dall’eclittica, che l’ombra della terra non si slarga tanto; onde la luna, lasciando (come si dice) per fianco l’ombra della terra, scorre avanti nel suo cerchio. Bisogna dunque, acciò la luna si oscuri, che non solamente sia opposta al sole, ma che sia o nell’eclittica, o non molto da essa declini; il che non accade, salvo che quando si trova in uno de i nodi, o non molto da esso distante. Occorre altresì, che la luna, nell’opposizione col sole, si trova alquanto lontana da i nodi, ma non però tanto, che possa del tutto schifare l’ombra della terra: ed in tal caso verrà una parte del corpo lunare ricoperta dall’ombra; la qual parte, talvolta sarà quella che risguarda verso settentrione, ed altra volta la meridionale, secondo che la luna si troverà nella parte del suo cerchio declinante dall’eclittica verso mezo giorno, o nell’altra che declina verso tramontana. E perchè l’ombra della terra, prolungandosi molto più in su del corpo lunare, nell’orbe d’essa luna si allarga, e forma un cerchio molto più ampio della luna; quindi è, che, se bene nella opposizione la luna non si troverà precisamente in uno de i nodi, ma però non molto lontana, potrà totalmente esser coperta ed offuscata dal cerchio dell’ombra.Ma in tal caso, ancor che l’oscurazione sia totale, non durerà però sì lungo tempo, come faria se l’eclisse accadesse nell’istesso nodo, per dover la luna traversar l’ombra non nel suo maggior diametro, ma in una linea minore. Nè questa sola è la causa della maggiore o minor dimora che fa la luna nelle tenebre, ma ve ne sono due altre. La prima delle quali è la disugualità del moto del sole: perciò che, quando tal moto sarà veloce, per conseguenza ancora quello dell’ombra terrestre sarà concitato; onde, dovendo la luna passare per l’ombra, e con la sua velocità maggiore prevenire al moto di detta ombra, quando tal moto sia veloce, accompagnerà per più lungo spazio la luna, e l’ecclisse sarà più durante. La seconda causa depende dalla maggiore o minore lontananza del sole dalla terra, la quale cagiona che il cono dell’ombra più s’assottigli e scorti, o più si prolunghi ed ingrossi: però che, per essere il sole maggiore della terra, quanto più ad essa si troverà vicino, tanto il cono dell’ombra si farà più breve e più sottile; nel qual caso, occorrendo alla luna traversarlo, ed essendo il cerchio dell’ombra più piccolo, l’eclisse durerà manco tempo.
Intese queste cose, passeremo all’eclisse del sole; di cui la causa è l’interposizione del corpo lunare tra esso e gli occhi nostri, dal quale o tutto o parte del sole ci viene occultato: di maniera che impropriamente si addimanda mancamento di lume nel sole quello, che più propriamente si doverla chiamare eclisse della terra; perchè il lume nel sole non vien diminuito, ma sì bene in terra, per l’interposizione del corpo denso e tenebroso della luna: non altrimente che lunare eclisse si adimanda l’interposizione della terra tra ’l sole e la luna, dalle cui tenebre viene essa luna oscurata.
Ma perchè il corpo lunare è così piccolo, che, se bene vicinissimo alla terra, pochissimo più grande del corpo solare apparisce, di qui nasce, che se esquisitamente nel tempo della congiunzione non si troverà nel nodo, in guisa che la linea retta prodotta dal nostr’occhio per lo centro della luna vadi ad incontrar il centro del sole, non potrà esserci nascosta tutta la faccia solare, ma solamente una parte; e ciò avverrà, quando non molto lontani si trovino i luminari dal nodo: e questa è la causa, che molto più rare sono le oscurazioni del sole che quelle della luna, potendo questa in molto maggior distanza dal nodo esser dal cerchio dell’ombra ricoperta.
Anzi, per esser la luna così piccola e vicina alla terra, il cono della sua ombra non tutta la terra potrà ricoprire, ma solo una piccola parte; dal che procede, l’oscurazion del sole non esser universale a tutto un emisfero, ma particolare di questa e di quella provincia.
Che del sole ora ne oscuri una parte verso tramontana, ed ora verso mezo giorno, ne è causa la declinazione della luna dall’eclittica, o in quella parte o in questa, come nell’eclisse lunare si disse; e così ancora la maggiore o minore velocità di moto nel sole, ed il ritrovarsi egli ora più alto ed ora più basso, cagiona maggiore o minore durazione delle tenebre. Anzi può occorrere, che trovandosi il sole nel tempo de gli ecclissi molto basso, e congiungendosi centralmente con la luna, rimanga di esso un luminoso cerchio, in guisa di ghirlanda intorno intorno alla luna, apparente; che in altra simile congiunzione, trovandosi egli molto alto, potria dal corpo lunare totalmente esser ricoperto.
della illuminazione della luna.
dell’apparizioni della luna.
Cosa di gran maraviglia e degna di grandissima considerazione è la diversità che si vede nelle apparizioni della luna, atteso che alcune volte un sol giorno dopo la congiunzione comincia a dimostrare le sue corna luminose, ed altra volta nè anco il terzo, o appena il quarto, si lascia vedere. Del qual effetto volendo noi assegnare la causa, bisogna che supponghiamo alcune cose, ed altre ce le reduchiamo a memoria.
Supporre si deve, che nel discostarsi la luna dal sole doppo la congiunzione, e cominciando a poco a poco a discoprire la sua parte illuminata, le sue sottilissime corna sono così scarse di lume, che, se bene doppo il tramontar del sole si troverà sopra l’orizonte, nulla di meno, perchè in quel tempo, per la vicinanza de’ raggi solari, l’aria intorno al punto occidentale rimane talmente illuminata che offusca ed asconde nel suo splendore la poco lucente luna, nè, fin che sia passato il crepuscolo vespertino ed oscurata l’aria, potrà quel debil lume della luna discernersi; e per ciò si suppone, la luna in tale stato non si poter distinguere, se non si trova sopra l’orizonte passato il crepuscolo: il qual crepuscolo determinano gli astrologi che duri sin ch’il sole si trovi 18 gradi sotto l’orizonte. Oltre a ciò, doviamo ridurci a memoria, come la luna, movendosi nel suo dragone, si trova tal volta declinare dall’eclittica verso la parte meridionale, e tal ora verso la settentrionale. Aggiungesi a questo la diversità de gli angoli che fa il zodiaco nel segare l’orizonte, essendo che alcune delle sue parti lo segano ad angoli molto disuguali, facendone due acutissimi e due altri grandemente ottusi, ed altre parti lo segano ad angoli non così disuguali, ma quasi retti; la qual diversità si fa maggiore e minore secondo le diverse elevazioni del polo. Ora, venendo al nostro proposito, dico, che per questo ultimo accidente, del tramontare le parti del zodiaco più o meno obliquamente, ne seguita, che tal volta, avanti che ’l sole si sia abbassato 18 gradi sotto l’orizonte, bisognerà che tramonti un grand’arco d’eclittica, e più di 40 o 45 gradi incirca; e questo accade nelle parti del zodiaco circumvicine all’equinozio autunnale; e perciò, anche quando la luna si trovasse nella eclittica, bisogneria che per detto spazio di 45 gradi fusse allontanata dal sole, acciò restasse sopra l’orizonte doppo il crepuscolo vespertino: ma scostarsi la luna dal sole 45 gradi non può, se non in più di 3 giorni: adunque, in tal caso, non prima che il terzo giorno doppo la congiunzione potrà la luna vedersi. Ma, per l’opposito, tramontando le parti del zodiaco propinque all’altro equinozio assai direttamente, sì che quando il sole si va abbassando sotto l’orizonte 18 gradi, non ne saranno tramontati del zodiaco più di 20; in tal caso, la luna un giorno e mezo doppo la congiunzione potrà esser veduta. Ma se a tale diversità di discensione delle parti del zodiaco s’aggiugnerà la latitudine della luna, o settentrionale o australe, verrà di molto accresciuta detta disugualità d’apparizioni: essendo che, quando il sole sarà nell’equinozio autunnale, e la luna nel ventre australe del suo dragone, non prima potrà restare doppo l’occaso del sole sopra l’orizonte, ch’ella si trovi da esso lontana circa 60 gradi; il quale allontanamento non si farà in molto meno di cinque giorni; e perciò doppo la congiunzione resterà occulta circa ’l detto tempo. Ma, per l’opposito, trovandosi il sole intorno all’altro equinozio, e la luna in latitudine settentrionale, potrà esser che rimanga sopra l’orizonte, quando non si trovi più lontana dal sole di 16 o 17 gradi; la quale allontanazione fa ella in poco più d’un giorno. Conchiudasi adunque, che la obliqua descensione del zodiaco, congiunta con la latitudine australe della luna, accrescano sommamente la tardanza dell’apparizione della luna; e, per l’opposito, la retta descensione d’esso zodiaco, accompagnata dalla latitudine settentrionale della luna, diminuiscono il tempo dell’occultazione lunare: e queste cause si vanno poi mescolando e contemperando l’una all’altra, dal che ne procedono le molte diversità circa le medesime apparizioni; aggiungendo oltre a questo, la maggiore o minore obliquità della sfera, perchè i medesimi accidenti si faranno maggiori nell’obliquità dell’orizonte, come manifestamente con l’instrumento materiale della sfera può ciascheduno comprendere.
de i moti dell’ottava sfera.
Ne i discorsi passati s’è trattato de i moti de gli orbi celesti, ed in particolare del moto diurno e suoi accidenti, quasi che questo fusse proprio e naturale della ottava sfera e che essa non participasse d’altri moti; e questo fu veramente creduto da i primi osservatori de i moti celesti, che furono inanzi a Iparco, i quali, non avendo osservazioni molto antiche, non poterono avvertire, l’orbe stellato, oltre al moto diurno, averne un altro, ma così lento, che per la sua inaspettabil tardità non poteva nell’età d’un uomo nè di due manifestarsi al senso. Ma finalmente, paragonando Iparco le sue osservazioni con quelle di Timocare, e Tolomeo le sue con quelle di Iparco, si venne finalmente in cognizione, come le stelle fisse, oltre al moto diurno dall’oriente all’occidente, hanno ancora un altro moto tardissimo da occidente verso oriente, sopra i poli del zodiaco, a guisa de i pianeti.
Ed acciò che s’intenda almeno sommariamente, da quali osservazioni è stato compreso questo moto, diremo come i primi astronomi, avendo costituito e diviso il zodiaco ne i dodici segni, osservarono come nella sezione dell’equinozio della primavera si trovava una stella fissa assai conspicua, situata nella testa d’Ariete; onde, stimando loro che il zodiaco non si movesse, posero come per certo, l’equinozio della primavera farsi nell’arrivare il sole a detta stella. Ma doppo, col progresso del tempo, si è venuto in cognizione, la detta stella non esser più nel detto equinozio, ma essersi, discostandosi da esso, ritirata verso oriente: nè questo moto, per l’antichità che noi moderni abbiamo, si può più ascondere come insensibile, essendosi la detta stella mossa verso oriente, ed allontanatasi ormai dall’antico sito, circa 29 gradi, ch’è poco manco d’un segno. Similmente, avendosi memoria de i siti d’altre stelle famose, come del Cuore di Leone, della Spiga della Vergine, etc, si trova al presente in esse la medesima mutazione, e così, venirsi a fare gli equinozii ed i solstizii molto anticipati da quello che anticamente si facevano: argomento indubitato, le stelle fisse aver questo moto progressivo da occidente verso oriente. E che tal moto si faccia sopra i poli del zodiaco, e non sopra quelli dell’equinoziale, ce lo dimostra indubitatamente il non mutarsi punto le latitudini delle stelle fisse dall’eclittica, ma sì bene le loro declinazioni dall’equinoziale: che se tal moto si facesse intorno a’ poli dell’equinoziale, se bene esse stelle si andassero ritirando verso oriente, non per questo le lor declinazioni dall’equinoziale si muterebbono; ma già che si mutano, e, per l’opposito, le distanze delle medesime stelle dall’eclittica, che latitudini si domandano, nè anco per un minimo punto si trovano esser variate, perciò necessariamente si conchiude, tal moto farsi sopra i poli del zodiaco. Ed essendo che convengono communemente tutti gli astrologi e filosofi insieme, che del medesimo cielo un sol moto, e non più, possa esser proprio e naturale, perciò di questi due moti, ciò è del diurno da oriente in occidente, e dell’altro tardissimo da occidente verso oriente, questo tardissimo constituì Iparco e Tolomeo come proprio della sfera stellata, e per l’altro diurno posono sopra le stelle un’altra sfera, della quale ei fusse proprio, domandandola il primo mobile. Ma doppo un lungo progresso d’anni, altri astrologi, de i quali fu il capo il re Alfonso, da nuove osservazioni fumo persuasi ad aggiunger anco il terzo moto alla sfera stellata, il quale a Tolomeo fu ignoto. Perchè, osservando questi esattamente la quantità dell’anno, conobbero i periodi annui del sole essere ineguali: il che a Iparco ed a Tolomeo fu ignoto, ancor che con esquisita diligenza tentassero d’investigare tale disugualità; ma le osservazioni di non molti anni non furono bastanti a scoprire questa piccola inegualità. Avendo dunque gli Alfonsini osservato, la quantità de gli anni essere disuguale, ed alcuni andar crescendo ed altri diminuendo, conchiusero esser necessario che i punti de gli equinozii, quali si prendono come termini dello spazio annuo, non fossero fermi e stabili, ma si movessero, ritirandosi ora verso oriente, e così slongando il ritorno del sole al medesimo equinozio, e, conseguentemente, la quantità dell’anno; ed ora ritornando verso occidente, e quasi incontrando il moto del sole, venissero a diminuire lo spazio annuo. Per ciò si andorono imaginando questo accostamento e discostamento de i punti delli equinozii dell’ottava sfera dalli equinozii della nona; e perciò s’immaginorono due piccoli cerchietti descritti intorno a gli equinozii della nona sfera, con l’intervallo di nove gradi per semidiametro, nella circonferenza de i quali cerchietti posero gli equinozii dell’ottava sfera, intorno a i quali girassero, e così venissero ad esser ora precedenti, ora conseguenti, alli equinozii della nona sfera. E perchè a tal moto ne conseguita, che soli li detti due equinozii descrivon cerchietti, e tutti gli altri punti del firmamento vadino solamente titubando e movendosi un poco, ora inanzi ed ora indietro, chiamorono tal moto trepidazione: e per questo, aggiungendo sopra la nona sfera ancora la decima, statuirono d’essa decima esser proprio il moto diurno, della nona l’altro da principio dichiarato; e questo della trepidazione attribuirono alla sfera stellata, ed in tal maniera, che li altri due moti sopradetti fussero dalle sfere superiori communicati alla sfera stellata, e da questi tre orbi conferiti e participati a tutte le sfere inferiori de i pianeti.- ↑ Fasti Consolari dell'Accademia Fiorentina di Salvino Salvini, ecc. In Firenze, M.DCC.XVII, nella stamperia di S. A. R. per Gio. Gaetano Tartini e Santi Franchi, pag. 404.
- ↑ Galileo Galilei e lo Studio di Padova per Antonio Favaro. Vol. II. Firenze, 1883, pag. 149-151.
- ↑ Trattato della Sfera di Galileo Galilei, Con alcune Prattiche intorno a quella, E modo di fare la Figura Celeste, e suoi (sic) Direttioni, secondo la Via Rationale. Di Buonardo Savi. Dedicato all’Eminentiss. e Reverendiss. Prencipe Gio. Carlo Card. De’ Medici. In Roma, Per Niccolò Angelo Tinazzi. 1656. Con licenza de’ Superiori. A spese di Domenico Grialdi Libraro.
- ↑ Vita e commercio letterario di Galileo Galilei, ecc. scritta da Gio. Battista Clemente De’ Nelli, ecc. Volume I. Losanna, 1793, pag. 58-60.
- ↑ Histoire des Sciences Mathématiques en Italie, ecc. par Guillaume Libri. Tome quatrième. A Paris, chez Jules Renouard et C.ie, 1841, pag. 184-185.
- ↑ Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova. Vol. I, pag. 156-159.
- ↑ Documenti inediti per la Storia dei Manoscritti Galileiani nella Biblioteca Nazionale di Firenze pubblicati ed illustrati da Antonio Favaro: nel Bullettino di Bibliografia e di Storia delle Scienze Matematiche e Fisiche; Tomo XVIII, 1885, pag. 191.
- ↑ Memorie e Lettere inedite finora o disperse di Galileo Galilei ordinate ed illustrate con annotazioni dal Cav. Giambatista Venturi, ecc. Parte Prima. Modena, per G. Vincenzi e Comp., M.DCCC.XVIII, pag. 177-180.
- ↑ Cfr. Sulla autenticità della Sfera Galileiana edita dal P. Daviso e intorno a tre trattati di Sfera erroneamente attribuiti a Galileo: a pag. 55-70 dei Nuovi Studi Galileiani per Antonio Favaro, inseriti nel Vol. XXIV delle Memorie del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
- ↑ Cfr. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova. Vol. I, pag. 162, 200; Vol. II, pag. 185-186.
- ↑ Cfr. Favaro, Sulla autenticità ecc., pag. 64-65.
- ↑ P. e., il solo cod. m legge a pag. 215, lin. 15-16, «addurremo la sua sostanza», e a lin. 12 «ci dimostra eguale»; a pag. 216, lin. 18 «grandissime appaririano le lunghezze», e a lin. 32 «si rivolga il che»; ecc.
- ↑ P. e., sostituisce spesso il a lo davanti a consonante (lo qual, ecc.)
- ↑ P. e., a pag. 212, lin. 26-27 «doveremo assignare grandissima distinzione»; a pag. 213, lin. 1 «queste due parti principali de l’universo»; a pag. 216, lin. 22, «evidenza del moto possiamo» (dove dopo «evidenza» si legge, cancellato, «possiamo»); ecc.
- ↑ Qualche volta, come negli altri Trattati, ci fu d’uopo anche in questo emendare la lezione errata di tutt’e quattro i manoscritti. Citeremo a questo proposito il passo di pag. 217, lin. 19, dove non dubitammo di correggere «medesima osservazione» di tutti i codici, in «medesima oscurazione»; correzione richiesta dal senso, e confortata dallo scambio che anche in altri passi (p. e. a pag. 221, lin. 20) i codici fanno delle voci oscurazione ed osservazione.
- ↑ Non abbiamo, p. e., seguito il cod. c in certi casi in cui sostituisce (e talora, insieme con lui, anco i suoi fratelli) il futuro, specialmente nella prima persona del plurale (potremo, potremmo), al condizionale presente, o viceversa. Sebbene in qualche passo tale sostituzione sembrasse non assurda, tuttavia, studiando i vari luoghi comparativamente, ci siamo persuasi che dipendeva da solo vizio di grafia, e però non ne abbiamo tenuto mai conto.
- ↑ Rispettammo, conforme al nostro istituto, l’alternarsi di ecclissi e ecclisse, e la varietà del genere in questa voce. Mentre poi il cod. c dà costantemente ecclissi ed ecclittica, negli altri codici si incontrano anche eclissi ed eclittica. Noteremo ancora, per la storia di tali voci della scienza, che in luogo di zenit, costante (meno la prima volta, che è zenith') in c, altri codici leggono spesso zenitte.
- ↑ Avvertimento di Buonardo Savi al Lettore, premesso alla edizione.
- ↑ Tomo II, pag. 514-541.