Le Vicinie di Bergamo/Appendice II

Appendice II

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APPENDICE II.


Il Giuramento delle Vicinie




A pag. 78 seg. ho recato alcuni brani di un Atto che dissi doversi chiamare Giuramento delle Vicinie. Se ancora quest’Atto esista nell’Archivio Capitolare1, nol so, nè m’è dato verificarlo; tuttavia parmi che per questo solo io non debba defraudare il lettore dei brani, che ne ha lasciato l’Agliardi2, tanto più che ci fa così difetto ogni Atto pubblico del nostro Comune, che questo solo, per quanto mutilato, diventa per noi preziosissimo. Ecco il documento:

In nomine Domini. Iuro ad sancta Dei evangelia quod attendam illud comandamentum quod Potestas Pergami per se vel per suum missum vel per suas litteras vel Equitibus Iustitie mihi fecerit. — Ego non ero in consilio vel facto quod pax vel paces que sunt facte vel fient in civitate Pergami vel in virtute rumpantur — et si aliquis fregerit pacem — vel fecerit asoltum aut feritas sive omicidium tractatim ego eum non adiuvabo — et ubi in banno ponatur.... Ego non portabo scilippum nec misericordiam nec curtelazium nec lanzonem nec burdonem nec arcum nec balestum nec plumbatam in civitate Pergami nec in burgis nec [p. 160 modifica]in loco in quo habitavero nec in virtute Pergami nisi concessum fuerit a Potestate vel a suis missis et si scivero aliquem portantem de sopradictis guarnimentis vetitis Consulibus infra octo dies manifestabo. Ego non traham nec trahere faciam in civ. Pergami nec in burgis nec in virtute Pergami cum mangano vel pretera vel cazafusto vel frunza seu barbizello nec cum arcu vel balesto. Ego non ascendam in casa vel turre nec in berdefredo vel lobia vel ecclesia nec aliquem ascendere faciam nec me sciente consentiam pertrahere zossum nec per aliquem offendere nec traham zossum nec trahere faciam — nisi ero assalitus (vel) preliatus ad casam meam non defendam nec ascendam nec ascendere faciam nec consentiam in casa vel turre vel lobia vel ecclesia vel bedefredo. — Si aliquis pro ipsis rebus ascenderit suam casam vel turrim vel betefredo aut lobiam — ego ero in consilio et facto quod illa turris et illa casa destruatur et ad destruendam opem et consilium dabo et si aliquis alterius turrim vel casam vel bedefredum vel lobiam vel ecclesiam ascenderit et suam casam vel turrim habuerit vel podere, ego dabo consilium vel adiutorium ut ponatur in banno et sua turris vel casa vel podere si turrem non habuerit vel casam destruatur et de civ. et virtute Pergami expellatur. Ego non auferam nec vastabo fraudulenter alterius plantatum vel seminatum vel ferum vel drapum aut aliquid aliud valens unum denarium3 nec uvas nec cessas nec maniculos4 perticas nec erbas orti nec erbam prati. — Ego non ero in consilio vel [p. 161 modifica]facto uti civ. Pergami vel burgi vel Capella5 vel alie fortie et loca que sunt in civ. Pergami vel burgis et virtute dentur nec homines qui intus habitant nec vardatores turium vel fortiarum tradentur capiantur nec in alterius virtute dentur. — Si sum becarius vel fuero non emam nec vendam me sciente carnem vel bestiam amorbatam carnem de porca pro carne de porco nec me sciente emam nec vendam carnem de pecora pro carne de castro. — Ego non ero in consilio vel facto uti Potestas vel sui missi perdant vitam vel membrum vel sensum vel suum honorem molestetur et per totum suum tempus suum honorem suorumque missorum amittere adiuvabo et si Potestas vel eius missus vel missi guerram cum homine vel hominibus — pro facto comunis Pergami ceciderit ego eum et eos adiuvabo usque ad pacem vel usque ad quindecim dies post exitum sui regiminis. Illam credentiam quam Potestas vel eius missus vel sui missi mihi dixerit non pandam, consilium adiutorium alicui bannito lecto in arengo6 pro maleficio vel in civitate clamato vel in loco vel per Potestatem vel Equitibus iustitie me sciente non dabo. — Si cognovero vel siero aliquem velle facere omicidium vel feritam vel asoltum tractatim operam dabo ne fiat et Potestati — manifestabo. De terra Comunis non intromittam nec capiam. — Et hec omnia bona fide observabo usque ad calendas Augusti per totam diem nisi remanserit iusto Dei impedimento vel oblivione non fraudolenta quo transacto sit in eorum [p. 162 modifica]debito vel nisi remanserit per parabolam Potestatis vel sui certi missi et hoc sacramentum faciam iurare omnes masculos de mea familia a 15 annis supra et a 70 infra. Ego non ero in consilio et facto et adiutorio uti aqua Serii trahatur et (non?) retineatur in terra Comunis ad utilitatem Comunis vel huius aque nec contrastabo Potestati nec alicui — et si habuero terram et Potestas eam emere voluerit ad utilitatem Comunis vel huius aque eam dabo. — Item ego non faciam sacramentum rixe vel coniurationis vel coadunationis vel compagie vel aliquod sacramentum contra honorem Comunis.... Bannum vero tale sit si equus vel equa vel bos inventi fuerint in dampno in die den. 6 pro unoquoque. Si asinus den. 4 in die si nocte den. 12; capra den. 12 pecora den. 3 porcus den. 2; illi homini qui vastaverit alterius plantatum vel seminatum den. 6 in die.... Et in omni mense faciam legere istud breve in Vicinia ad tollam sonatam.

L’Agliardi in fianco alla sua trascrizione pose le seguenti osservazioni: «Questa formola di giuramento da prestarsi dalle Vicinie tutte al Rettore sembra essere del secolo XIII sul principio e forse sulla fine del XII e certamente quando la nostra città si reggeva a forma di repubblica. Probabilmente i Consoli delle rispettive Vicinie giuravano sul principio d’ogni reggimento, quando non si voglia dire che i capi d’ogni famiglia fossero tenuti a portarsi innanzi al Podestà a giurargli fedeltà; il che pare potersi raccogliere da quelle parole ove promettono di far prestare lo stesso giuramento a tutti i maschi della propria famiglia dagli anni 15 sino ai 70. Che questo sia il giuramento delle Vicinie della [p. 163 modifica]Città, ecco l’ultime parole che lo dimostrano: Et faciam legere istud breve cet. Parimenti si prova che questo formulario si ripeteva all’ingresso d’ogni Podestà e non durava ordinariamente che per sei mesi termine ordinario e prefisso ad ogni Podesteria da quell’altre parole: Et hec omnia bona fide e observabo cet. Finivasi ogni reggimento al primo di Luglio e cominciava al primo di Gennaio, ma si rispettava l’antico Podestà per giorni 15, come qui pure si legge, il che veniva a riuscire alle calende di Agosto, cioè il giorno XVIII delle calende di Agosto, nel qual senso credo debba interpretarsi quest’espressione, altrimenti le calende di Agosto verrebbero a dinotare il dì primo di Agosto.» L’Agliardi dimenticò di dirci se l’esame dei caratteri paleografici del documento suffragava questo suo giudizio; e fu male, perchè le ragioni addotte per istabilire l’epoca non bastano a condurre a sicuri risultati. Non vi ha nulla in contrario ad ammettere che questo giuramento fosse prestato dai capi di famiglia, poichè così si costumò anche in un’epoca posteriore7, e perchè in generale nei capi di famiglia risiedeva dalla fine del secolo decimosecondo la rappresentanza della cittadinanza nei Consigli del Comune8. Ma il tentativo di connettere la durata del giuramento sino alle calende del prossimo Agosto colla durata semestrale dell’ufficio del Podestà, quando fosse attendibile, ci obbligherebbe a trasportare la data di quell’Atto, non alla fine del duodecimo od al [p. 164 modifica]principio del decimoterzo secolo, ma ben innanzi nella seconda metà di quest’ultimo. I Podestà duravano dapprincipio un anno, e non fu che più tardi che il loro officio fu ridotto a sei mesi9. Il primo esempio fra noi non l’abbiamo che nel 127910; ma anche in questo caso, come in tutti i susseguenti, ci manca ogni prova per affermare con tutta sicurezza che i Podestà si mutassero esattamente al 1. Gennaio ed al 1. Luglio. Ma anche ciò fosse, siamo fuori dell’epoca alla quale l’Agliardi voleva rapportarsi; ma non per questo vengono meglio avvalorate le sue induzioni. Perchè se si può ammettere come molto verisimile che i Consoli Maggiori e i Podestà da noi per buona parte del secolo decimosecondo entrassero in officio col primo Luglio, questo però è indubitato, che nel 1193 col cremonese Belotto Bonserii il primo Gennaio segnò il principio dell’officio annuale del Podestà, e così si continuò sin dopo la battaglia di Cortenova, quando vennero fra noi Podestà imperiali mandato, con officio pure annuale, ma che cominciava col 1. Luglio. La espressione poi: usque ad calendas Augusti parmi interpretata così arbitrariamente, che credo da niuno potrà essere accolta, anche per questo, che se il Podestà cessante dovea da noi trattenersi in città quindici giorni pel sindacato11, il subentrante d’altra parte dovea trovarsi qui avanti il primo Gennaio od il primo Luglio, e con una di [p. 165 modifica]queste due date cominciava il suo reggimento effettivo. Nella perfetta ignoranza delle condizioni nelle quali fu posto assieme questo Giuramento è difficile poter dire qualche cosa di sicuro su quella data del primo Agosto; e s’io più innanzi arrischierò una induzione, non tenterò attribuire ad essa maggior valore di quello possa meritarsi in mezzo a così deplorevole mancanza di documenti e di notizie.

L’andamento generale di questo Giuramento, specialmente in sul principio, farebbe supporre sia uscito dalle lotte civili che, scoppiate nel Maggio del 1226, per tre anni tennero sossopra e insanguinarono la nostra città12; in generale in molti brani si ravvisa lo stesso scopo, che troviamo nel giuramento della Società del Popolo sorta da quelle lotte13; e avremmo già in questo punto un dato per istabilire l’epoca del nostro Atto, se alcune considerazioni non me lo facessero ritenere anteriore. E dapprima osservo, che non si può ammettere a niun conto si fosse continuato a mantenere nel Giuramento delle Vicinie il vincolo sacramentale della osservanza di certe disposizioni, dopo che queste erano già passate nello Statuto del Comune con una sanzione penale. Così il brano: Si sum becarius vel fuero ego non emam nec vendam me sciente cet. trova la quasi letterale e corrispondente disposizione sotto la data del 1236 nello Statuto vecchio, ove si legge: Et quod (becarii) non vendent carnem vitiosam nec morbosam, nec unam carnem pro altera. Item addimus cet.14; e quando quel giuramento [p. 166 modifica]fosse stato compilato dopo il 1236, vi avrebbero trovato posto altre cose non meno importanti nell’interesse cittadino, quale la promessa di non far tra loro coalizioni, la quale pure dovea formare oggetto del giuramento de’ beccai15. Così il punto: Ego non ero in consilio et facto et adiutorio ut aqua Serii trahatur cet. è quello che si trova nello Statuto vecchio tra gli obblighi del Podestà: Item iuret Rector quod tenebit per totum suum tempus aquam in terra Comunis. Item teneatur Rector servare et tenere ad expensas Comunis Pergami aquam in fossato comunis Pergami ad utilitatem comunis Pergami16. Queste disposizioni sono, è vero, senza data, ma hanno aggiunte del 1236, che quindi le fanno tenere per anteriori a quell’anno. Già abbiamo veduto (p. 78 seg.), come i brani riguardanti la tutela dei fondi posti entro i confini della Vicinia assumano un carattere di anteriorità sulle corrispondenti disposizioni del Comune, in quanto dimostrano, che quella tutela facevasi ancora risiedere nella mutualità della guarentigia di quanti vi partecipavano, anzichè in un esatto concetto dei doveri dello Stato; se quindi teniamo presente questo fatto, come pure se non dimentichiamo, che nel nostro Atto i beccai non hanno un giuramento a parte, ma il loro va confuso con quello di tutta la Vicinia; se consideriamo inoltre che i loro obblighi speciali aveano già pigliato posto prima del 1236, o in quell’anno, nello Statuto del Comune con sanzioni penali e insiememente che per essi era già fin d’allora stata composta una peculiare formola sacramentale, [p. 167 modifica]la cui esecuzione era particolarmente affidata al Podestà; se un uguale procedimento lo troviamo anche rispetto alle acque del Comune, dove vediamo le Vicinie aver sentito il bisogno di assumersi quegli obblighi, che ancor prima del 1236 vediamo poi specificatamente addossati al Podestà; in tutto questo parmi di ravvisare caratteri sufficienti per ammettere, che questa formola di Giuramento debbasi ritrarre più addietro del 1230.

E questa induzione si trova poi convalidata dall’esame dell’altro brano: Et si habuero terram et Potestas eam emere voluerit ad utilitatem Comunis vel huius aque (Serii) cet. È impossibile non riferire questo brano all’epoca in cui si cominciarono i lavori di derivazione dal Serio di quel canale, che ebbe pari nome e che insieme fu detto fossatum comunis Pergami. Non era, a quello che si vede, ancora introdotta una speciale procedura di espropriazione per utilità pubblica, nè per anco un tale istituto era esattamente regolato da leggi, ma, coerentemente al modo con cui esso si svolse, e che era praticato in una epoca anteriore17, i cittadini distribuiti nelle loro Vicinie si obbligarono con giuramento per questo caso specificato di cedere quelle terre di loro proprietà, per le quali avesse eventualmente a passare quell’acqua. Ora è certo, che tale giuramento non avrebbe avuto alcun senso, se il canale fosse stato già compito, mentre in quella vece lascia ammettere che i lavori, o non fossero incominciati, o si trovassero in corso di esecuzione, per cui restassero ancora [p. 168 modifica]molte terre da occupare. Su questa opera non abbiamo notizie dirette; però il seguente documento inedito ci dimostra che la escavazione del canale nel 1202 era stata condotta fino alla Ranica, a pochi chilometri dalla città. Ecco il documento: Die Veneris qui fuit 10 dies intrante mense madii in civitate Pergami — Wadiam dedit Gratiadeus fil. magistri Alberti Pitentini — in manibus (Consulum plurium comunium) quod ipse faciet et fieri faciet laude et arbitrio Bariani de Manervio et Armanni Ravazelte et Alberti Pitentini superstantium infrascripti laborerii pro comuni Pergami totum opus et laborerium quod designatum est a superstantibus com. Pergami pro facto fossati comunis Pergami suprascriptis Consulibus pro Comunibus suis — videlicet opus et laborerium quod esse et fieri debet super riolum et circa riolum de la Ranica videlicet de muro et de terralio et de ponte et strentore et de omnibus aliis rebus que pertinent — ad illud opus finiendum — laude et arbitrio et voluntate ipsorum superstantium et Consulum Maiorum comunis Pergami — quod opus et laborerium dicebatur esse 24 capitios et plus vel minus si essent. — Pro quo laborerio faciendo — ipse Gratiadeus confitetur se accepisse — libr. 55 et sol. 7 minus den. 4 denar. imper. vel eorum loco currentium. Factum est hoc anno Domini 1202 ind. 518. Nel 1221 poi quel canale dovea già essere terminato, perchè nello Statuto vecchio si parla già della irrigazione del Prato del [p. 169 modifica]Brembo (Treviolo) in disposizioni di quell’anno19: irrigazione che non potevasi effettuare che mediante le acque della roggia Serio, che vi mettono capo colla così detta Coda di Serio; anzi ivi è detto esplicitamente, che quanto riguarda questo canale e i relativi contratti d’irrigazione doveansi ascrivere al tempo in cui podestava Lanfranco Multidenari di Cremona, cioè nel 1221. A questo si aggiunga, che l’obbligo di non portar armi vietate nella Città e nei Borghi, contenuto nel nostro Giuramento, trova già una disposizione positiva nello Statuto più vecchio, la quale devesi tenere per assai antica, se non porta alcuna data, e se inoltre parla ancora de’ Consoli Maggiori, de’ quali nelle nostre tavole cronologiche dovremmo trovare l’ultima menzione nel 121420. Arroge, che dove i nostri Vicini giuravano: Ego non ero in consilio vel facto uti civitas Pergami, vel burgi, vel Capella, vel alie fortie cet., troviamo un brano riprodotto quasi alla lettera nel frammento a noi pervenuto del giuramento del Podestà, nel quale si legge: Ego salvabo et guardabo civitatem Pergami et [p. 170 modifica]Capellam et omnes fortitias Pergami et virtutis Pergami bona fide et sine fraude. Nec ero in consilio vel facto ut civitas Pergami nec homines civitatis vel virtutis Pergami nec predicte fortitie capiantur, tradantur, comburantur nec in alterius virtute dentur vel sint, et bona fide prohibebo ne fiat21. Queste considerazioni rendono tanto più necessario di stabilire la natura del nostro Atto e di determinare appunto, per quanto è possibile in tanta deficienza di documenti e di necessari confronti, l’epoca alla quale esso deve essere assegnato.

Quanto a me non mi perito di tenerlo per una formola di quel Iuramentum sequimenti, che il popolo era obbligato a prestare al nuovo Podestà quando entrava in carica. Questo giuramento però non era da noi prestato, come a Brescia, nella pubblica concione del popolo22, ma sibbene lo era dai Consoli e dai Capi famiglia delle singole Vicinanze in ciascuna Vicinia, onde sotto un certo aspetto e di fatto si può, come volle l’Agliardi, intitolarlo il Giuramento delle Vicinie. Già vedemmo più sopra (p. 163), che anche in un’epoca più tarda qui un tale giuramento era dato in identiche condizioni, e che così fosse la cosa anche in epoca più remota, oltre al nostro Atto, me ne accertano anche gli Statuti di Bologna del 1250, dove nel sacramentum Potestatis leggiamo: Eligam iuratores per contratas qui faciant iurare sequimentutn meum per homines de mea curia23. Questi giuramenti contenevano, al pari del nostro, una serie di [p. 171 modifica]doveri positivi e negativi dei cittadini, e se gli esempi sopravvissuti ci provano, che queste formole erano rinnovate ad ogni cambiamento di Podestà a seconda delle nuove circostanze sorvenute, che potevano richiedere tali modificazioni24, ci è dato da questo comprendere come anche nella nostra potesse venire introdotto l’obbligo di cedere al Comune la terra occorrente alla escavazione del canale Serio: obbligo che certo non poteva durare, che quanto era richiesto dal compimento di quest’opera, vale a dire per un tempo relativamente breve e forse già determinato nei contratti di locazione.

Che se così deve considerarsi la questione che ci occupa, egli è certo che dovremmo trovare la più stretta attenenza fra il nostro Iuramentum e le identiche formole dell’altre città. Ed invero, per citare un Comune a noi vicinissimo, negli Statuti di Brescia del secolo decimoterzo, dove questo Iuramentum sequimenti è dato per disteso25, quella attenenza appare apertissima. Alcuni confronti torranno ogni dubbio su questo punto. Così, dove sin da principio il nostro ha: Iuro quod attendam illud comandamentum cet., rinveniamo un pieno riscontro nel bresciano: Iuro quod desequar potestatem com. Brixie et quod bona fide sine fraude omnia precepta que mihi potestati (correggi potestas) fecerit ore vel scripto vel nuntio comunis attendam. E così troviamo altrettanti punti contenuti nel nostro giuramento là dove nel bresciano leggiamo: Item adiuvabo potestatem vel eius iudices [p. 172 modifica]sive milites cum persona et avero toto meo posse manutenere honorem sue potestarie per totum tempus sui regiminis. — Et non ero ad conscilium vel adiutorium quod potestas vel iudices eius vel milites vel familiares eius perdant vitam, membrum, sensum vel suum averum nec eorum honorem vel bonum statum. — Item omnes credentias quas mihi dixerint potestas seu iudices vel nuntii eius nulli aliquo ingenio manifestabo me sciente contra precepta eorum. — Item non faciam sacramentum nec provisionem vel seditionem alicuius rixe vel alicuius coniurationis vel contumelie seu partis alicuius vel alterius cuiuslibet adiuvanti inter se cet.

Come però nei rapporti del nostro giuramento con alcune disposizioni contenute nel nostro più vecchio Statuto ebbi ad ammettere la anteriorità di quello su queste, in quanto che il vincolo puramente sacramentale deve aver preceduto la positiva ordinanza statutaria rafforzata da sanzioni penali, ugualmente parmi di poter dire rispetto al confronto tra il nostro e il Giuramento bresciano, perchè dove in quello la osservanza delle paci fatte o da farsi, la tutela dei fondi cittadini e suburbani, la proibizione di trarre con armi dalle case e dalle torri sulla città, tutto ciò insomma troviamo ancora affidato alla guarentigia di quel vincolo morale, nello Statuto bresciano invece il rompere le paci è già colpito da pene severissime e insieme, come tutto il restante, non fa più parte del giuramento d’obbedienza26; la custodia delle proprietà è già affidata a guardie notturne27, e le pene contro coloro, che ponessero a repentaglio [p. 173 modifica]la vita de’ cittadini, sono sancite in queste disposizioni, ch’io reco quasi per intero pei debiti confronti coi corrispondenti brani del nostro documento: Si quis sagitaverit cum arcu vel balista et fecerit causa feriendi aliquem in civitate vel suburbiis vel episcopatu; si cum arcu solvat 10 libras imperiales, si cum balista solvat 20 libras imperiales — Item si proiectum vel tractum fuerit de aliqua turi seu domo civitatis vel suburbiorum cum mangano vel cazafusto vel fronzia vel manu sine parabola potestatis contra aliquem vel aliquos de civitate vel suburbiis; si cum mangano vel predera turris vel domus illa unde traheretur destruatur usque ad terram; et si cum cazafusto vel fronzia vel manu medietas destruatur et ultra puniatur in arbitrio potestatis in omnibus predictis28.

Le parole: et hec omnia observabo usque ad calendas Augusti, provano, a mio avviso, che la nostra formola fu composta innanzi al 1193. Già vedemmo come la interpretazione dell’Agliardi su questo punto fondamentale fosse affatto arbitraria, e come conducesse a conseguenze affatto opposte a quelle, alle quali egli intendeva venire. Ora, secondo me, questa espressione, che invero, a primo aspetto crea una vera contraddizione, sia che si ammetta che i Podestà entrassero al 1. Gennaio, sia che si ammetta assumessero il loro ufficio al 1. Luglio, serve in quella vece a determinare per altra via in quale epoca fosse composto il Iuramentum sequimenti prestato dalle nostre Vicinie. E qui giova premettere, che il Podestà non richiedeva questo giuramento il primo giorno in [p. 174 modifica]cui entrava in carica, ma entro un lasso di tempo, che, come a Ravenna, sarà stato infra mensem post suum introitum29. Se ciò era, parmi ammissibile, che per tutto il tempo lasciato al nuovo Podestà per dare quel giuramento, si dovesse tenere per valido e continuativo il giuramento fatto sotto il precedente Podestà; onde, se questi fosse entrato al 1. Gennaio, e solo entro il mese fosse stato obbligato a richiederlo, il giuramento avesse ad aver valore anche pel primo mese di reggimento del Podestà, che gli aveva a succedere, cioè sino al 1. Febbraio. Se così stanno le cose, come parmi assai verisimile, dovremmo ammettere che la validità del giuramento prolungata fino al 1. Agosto debba indicare, e che da noi il Podestà entrava al 1. Luglio, e che non era obbligato a chiedere alle Vicinie il giuramento di obbedienza che entro un mese dal suo ingresso: così nel frattempo manteneva tutto il suo vigore il giuramento precedente dato. Non ho alla mano prove dirette, che avvalorino questa interpretazione; ma essa è l’unica che mi si presenti per ispiegare quella data nel nostro documento, una volta riconosciuto quali ne fossero la natura e lo scopo. Ed invero, con tale espediente procuravasi di non lasciare scoperto il mese entro il quale il Rettore, che succedeva, era tenuto a dare alla cittadinanza questo giuramento; in certo modo il Podestà entrante otteneva il giuramento di obbedienza per sè e per il primo mese di reggimento del suo successore. Sotto diverso aspetto, cioè, perchè il popolo non fosse chiamato a giurare più d’una volta all’anno, anche negli Statuti di Bologna del [p. 175 modifica]1250 vi ha: Si sim ellectus, ut sim potestas Montanee in calendis ianuarii, faciam iurare tunc sequimentum meum et sequentis potestatis30. Era adunque accolto il principio, che la efficacia di quel giuramento si potesse estendere anche al seguente Rettore; e se così è, non vi può esser nulla in contrario ad ammettere, che la efficacia dello stesso giuramento si potesse estendere sino a quel limite di tempo che al Podestà era accordato per esigere il nuovo giuramento, cioè sino alle calende del mese susseguente al suo ingresso. Il che, a mio vedere, si afferma anche per un’altra considerazione. Imperocchè, se era invalsa la massima, che il popolo non potesse ottenere giustizia, se non dopo prestato quel giuramento31, affinchè appunto il corso della giustizia non rimanesse interrotto, era necessario avvedimento che venisse prolungata la validità del precedente giuramento e quindi fosse estesa di quel tanto, che al Podestà, dopo dato corso alle molteplici bisogne del Comune, alle quali per legge dovea attendere nel primo suo ingresso32, fosse concesso anche con più agio procedere [p. 176 modifica]alla elezione di coloro, che per ogni Vicinia erano tenuti a ricevere quel giuramento. E ciò parmi sia anche avvalorato da questo, che sebbene quelle formole potessero, come avvertii, essere modificate per ogni nuovo Podestà, nullameno esse esprimevano sempre in termini generici e nei rapporti dell’officio, non mai della persona, il dovere del sequimentum, onde restavano obbligatorie verso chiunque avesse occupato la suprema carica nel Comune entro i determinati limiti di tempo. Che se, come parmi, non si può rifiutare una tale spiegazione, ne discende, che non possiamo restare in dubbio nell’attribuire questa formola di Iuramentum sequimenti a qualche anno anteriore al 1193. Con quest’anno, come dimostrerò altrove e come ho già avvertito, i Podestà cominciarono ad entrare fra noi al 1. Gennaio; per lo innanzi il loro officio, e quello dei Consoli, principiava col 1. Luglio, e quindi in un’epoca in cui possiamo darci ragione, perchè il giuramento a loro prestato dovesse aver forza sino al l. Agosto. Certo che se a molti degli articoli contenuti nel nostro documento credetti di attribuire un notevole carattere di vetustà; se avvertii l’obbligo di cedere al Comune i terreni occorrenti al Canale Serio doversi ritrarre molto più indietro del 1221, in quanto in quell’anno i relativi lavori erano già compiti, e nel 1202 erano già stati condotti fino alla Ranica, queste coincidenze non possono che avvalorare la fatta induzione, e prestarci tutte insieme il mezzo di accertare anche l’epoca a cui si deve far risalire la compilazione di quel sacramentum.

E questo non basta. La nostra Cronaca solo sotto [p. 177 modifica]il 1206 ci dà il primo cenno di lotte civili nella nostra città33; ma che ciò non sia, che persino, nell’imperversare di quelle lotte, il costume di trarre dalle chiese con mangani e petriere, come accenna il nostro documento, risalisse ad un’epoca di gran lunga anteriore, ce ne accerta un breve di Innocenzo II del 1135 al Vescovo, al clero ed al popolo di Bergamo, dove, accennando alla composizione da lui pronunciata sulle controversie tra i Canonici di San Vincenzo e quelli di S. Alessandro aggiunge anche: imperamus ut bertefredum quod in campanili sancti Vincentii occasione eiusdem discordie prout accepimus erexistis — auferatis34. Così, se stiamo a deposizioni giurate del 1216, sembrerebbe che intorno al 1179 la nostra città fosse tutta sossopra per interne lotte35; onde, anche quanto in quel giuramento riguarda l’obbligo di astenersi da tali violenze, se può attingere la sua ragione dagli umori battaglieri di quella età, deve aver trovato la sua base anche in una condizione effettiva di cose, la quale ci è lasciata sufficientemente ammettere da queste poche, ma sicure testimonianze. Che se adunque non vi ha un solo argomento, che ci possa far dubitare della antichità del nostro Atto, sembrami che esso nella sua parte fondamentale possasi ascrivere a qualche anno anteriore al 1193, e che quindi ci abbia conservato la formola più antica di quel Iuramentum sequimenti, che dal nostro popolo, distribuito nelle sue Vicinie, era prestato al nuovo Podestà; il che insieme dimostra [p. 178 modifica] la parte importante che già sulla fine del secolo duodecimo la Vicinia avea assunto da noi, se ad essa era già affidato il compimento di questo rilevantissimo atto della vita comunale.






Fine.

Note

  1. Arch. Capit. L 4.
  2. Mss. Λ III, X 11 4.
  3. Cfr. Stat. an. 1248. 9 § 22 col. 1938.
  4. Sui maniculi v. Edict. Roth. 292 e Stat. cit. 12 § 22 col. 1994.
  5. Il Castrum de la Capella, ora Castello, riedificato nel 1167; Lupi II, 1231; Ronchetti IV, 133. V. Indicazioni p. 163 seg., e Corogr. Berg. p. 78.
  6. Stat. 1248, 9 § 39 col. 1949.
  7. Castelli Chron. in Murat. SS. XVI, 964; capita familie omnium civium existentium super qualibet Vicinia Pergami.
  8. Pertile II, I, 54, 118.
  9. Pertile p. 93 seg.
  10. Non cito i nostri Cronografi, a cagion d’esempio, l’Angelini (Catalogo p. 20), perchè sono incompleti e disordinati.
  11. Come a Milano (Corio I, 573), a Vercelli (Mandelli I, ) e altrove.
  12. Miscell. di Stor. It. V, 226, dove è riprodotta la Cronachetta Bergom.. ma dove le date vanno rettificate.
  13. Stat. 1248. 13 § 51 col. 2015 seg.
  14. Stat. cit. 13 § 17 col. 2004.
  15. Stat. cit. a. l. c.; Stat. 1331. 8 § 44.
  16. Stat. 1248, 15 §§ 1, 2 col. 2035 seg.
  17. Pertile IV, 337 seg.
  18. Arch. Capit. D 13, dal sunto Agliardi ms. Λ, II, II, 4. Alberto Pitentini avea compito lavori idraulici sul Mantovano nel 1198; Cantù Stor. d. Ital. II, 597.
  19. Stat. 1248, 15 § 5 col. 2037. Nel Catalogo delle Carte Suardi di Cicola si trova registrato un Atto del 1233 con cui il Podestà Federico Pascepoveri vende ad Alberto e Rogerio Suardi e ad altri in Treviolo una pezza di terra detta Prato del Brembo di pertiche 646 tav. 3 p. 3 e del diritto alle acque del Fossato del Comune di Bergamo. Su queste vendite v. Stat. cit. 10 § 25 col. 1965 seg.
  20. Stat. 1248, 9 § 1 col. 1932: per parabolam Consulis vel Rectoris. L’Angelini (Catalogo p. 15) prolunga a quest’anno la signoria Raimondo de’ Capitani di Scalve; ma è un errore che rettificherò in altro luogo. Il Ronchetti nel suo Catalogo (VI p. XIII) è esatto: solo mancò di aggiungere a Console il titolo di maggiore, che è dato dall’unico documento che possediamo. Ai Consoli del 1237 non si può pensare per molte ragioni.
  21. H. P. M. XVI, 2, 2062 seg.
  22. Stat. Brix. in H. P. M. XVI, 2, 1584 (166).
  23. Stat. Bon. 1 § 1.
  24. Pertile II, 1, 99 n. 63.
  25. H. P. M. XVI, 2, 1584 (165 seg.). Ugualmente è dato negli Statati di Bologna e di Ravenna.
  26. H. P. M. col. 1584 (128).
  27. H. P. M. col. 1584 (182).
  28. H. P. M. col. 1584 (132).
  29. Stat. Rav. 1 § 29.
  30. Stat. Bon. 1 § 15.
  31. Pertile II, 1, 99.
  32. Per esempio alla elezione dei Sindacatori del suo antecessore (v. i passi in Pertile II, 1, 109 seg.). Talvolta, come a Modena, entro otto giorni dovea far eleggere il Consiglio generale e procedere all’appalto dei redditi del Comune (Murat. Antiqu. IV, 78 seg.). Da noi entro 8 giorni dovea esigere il giuramento dai Tavernai, entro 15 dai Tesorieri del Comune (Stat. 1248, 13 § 23 col. 2007; H. P. M. XVI, 2, 2068), oltre ad altri giuramenti da darsi pure nel primo mese (Stat. cit. 13 §§ 13, 15, 32). Così entro il primo mese il Podestà dovea pure appaltare la pesa pubblica (Stat. cit. § 2 col. 2019). Non parlo dell’obbligo di ricevere in principio d’anno (amministrativo) tutte le malleverie dai Comuni del Contado e dalle Vicinie (v. sopra p. 64 e Stat. 1248, 12 § 5 col. 1987).
  33. Miscell. di Stor. Ital. V, 224.
  34. Lupi II, 987.
  35. Lupi II, 1320 seg.