Le Mille ed una Notti/Seguito della storia del principe Camaralzaman dopo la sua separazione dalla principessa Badura

Seguito della storia del principe Camaralzaman dopo la sua separazione dalla principessa Badura

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Seguito della storia del principe Camaralzaman dopo la sua separazione dalla principessa Badura
Storia della principessa Badura, dopo la sua separazione dal principe Camaralzaman Storia dei principi Amgiad e Assad
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NOTTE CCXXV

SEGUITO DELLA STORIA DEL PRINCIPE CAMARALZAMAN DOPO LA SUA SEPARAZIONE DALLA PRINCIPESSA BADURA.


— Sire, mentre nell’isola d’Ebano le cose tra la principessa Badura, la principessa Haiatalnefus, il re Armano con la regina, la corte ed i popoli del paese, stavano nello stato ch’ebbi l’onore di narrare a vostra maestà, il principe Camaralzaman trovavasi sempre nella città degl’Idolatri, presso il giardiniere che avevagli dato ricovero.

«Un giorno, assai per tempo, che il principe preparavasi, secondo il solito, a lavorare in giardino, il buon giardiniere ne lo impedì. — Gl’idolatri,» disse, «hanno quest’oggi una gran festa; e siccome si astengono da ogni lavoro per passar la giornata in riunioni ed allegrezze pubbliche, non vogliono neppure che i musulmani lavorino; e questi, per conservarsi nella loro amicizia, si fanno un divertimento d’assistere ai loro spettacoli, che meritano di essere veduti. Epperò quest’oggi è per noi giorno di riposo. Io vi lascio qui, e siccome si avvicina il tempo, in cui il vascello mercantile, del quale v’ho parlato deve fare il viaggio all’isola d’Ebano, vado a trovare alcuni amici per informarmi da essi del giorno che metterà alla vela, nello stesso tempo [p. 331 modifica]trattare pel vostro imbarco.» Il giardiniere indossò il suo più bell’abito, ed uscì.

«Quando il principe Camaralzaman si trovò solo, invece di prender parte alla pubblica gioia che regnava in tutta la città, l’inazione, in cui stava, non servì se non a richiamargli, con maggior violenza, la trista memoria della sua cara principessa. Raccolto in sè medesimo, sospirava e gemeva, passeggiando pel giardino, allorchè lo strepito, che due uccelli facevano sur un albero, l’obbligò ad alzare la testa e fermarsi.

«Vide Camaralzaman con maraviglia, che quegli uccelli battevansi crudelmente a colpi di becco, e che, pochi momenti dopo, uno de’ due cadde morto appiè dell’albero; l’uccello rimasto vincitore ripigliò il volo, e scomparve.

«Nel momento stesso, due altri uccelli più grandi, i quali avevano veduto da lontano la zuffa, giunsero da un’altra parte, calarono a mettersi uno alla testa, l’altro a’ piedi del morto, lo guardarono alcun tempo, movendo la testa in maniera dinotante il loro dolore, e scavarongli coll’unghie una fossa, nella quale lo seppellirono.

«Quando i due uccelli ebbero riempita la fossa colta terra che ne avevano levata, volarono via; ma poco dopo tornarono, tenendo col becco, uno per un’ala, l’altro per un piede, l’augello uccisore, che strillava spaventevolmente, facendo grandissimi sforzi per fuggire. Lo portarono sulla sepoltura dell’uccello, ch’esso aveva sagrificato alla sua rabbia, ed ivi immolandolo alla giusta vendetta del commesso assassinio, gli tolsero, a furia di beccate, la vita; apertogli quindi il ventre, e cavatone le viscere, lasciarono il cadavere sul luogo, e se ne andarono.

«Camaralzaman rimase compreso d’alto stupore per tutto il tempo che durò quello spettacolo [p. 332 modifica]sorprendente. Si avvicinò poscia all’albero, ov’era accaduta la scena, e volgendo gli occhi sui visceri dispersi, scorse qualche cosa di rosso, che usciva dallo stomaco lacerato dagli uccelli vendicatori. Lo raccolse, e cavatone l’oggetto rosso, s’avvide essere il talismano della sua diletta principessa Badura, che avevagli costato tanti affanni, lagrime e sospiri, dacchè quell’uccello glie l’ebbe rapito. — Crudele!» sclamò tosto, guardando l’uccello; «tu ti compiacevi nel fare il male. Ma per quanto me ne hai fatto, altrettanto bene auguro a quelli che mi vendicarono di te, vendicando la morte del loro simile. —

«Rinunciamo ad esprimere l’immenso giubilo del principe Camaralzaman. — Cara principessa,» continuò egli, «questo fortunato istante, che mi rende ciò che v’era tanto prezioso, è senza dubbio un presagio, il quale m’annunzia che troverò voi pure, e forse più presto che non credo! Benedetto sia Iddio che mi manda questa felicità, dandomi nel tempo stesso la speranza del maggior bene ch’io possa desiderare! —

«Così dicendo, Camaralzaman baciò il talismano, ed avvoltolo, se lo legò accuratamente intorno al braccio. Nella sua estrema afflizione, aveva trascorse quasi tutte le notti a tormentarsi e senza chiuder occhio; ma quella che susseguì ad una sì felice avventura, fu ben diversa; dormì di tranquillo sonno, ed alla domane, indossato, appena in giorno, il suo abito da lavoro, andò a prendere gli ordini del giardiniere, il quale lo pregò di abbattere e sradicar un certo vecchio albero che non faceva più frutti.

«Il giovane prese una scure, ed andò a porsi all’opra. Mentre tagliava un ramo della radice, battè un colpo su qualche cosa di resistente, che mandò grandissimo rumore. Toltane la terra, scoprì una grossa piastra di bronzo, sollevata la quale, vi trovò sotto [p. 333 modifica]una scala di dieci gradini. Discese subito, e quando fu abbasso, si vide in una camera di due o tre tese in quadrato, dove numerò cinquanta grandi vasi di bronzo, disposti in giro, ciascheduno col coperchio. Li scoperse tutti, un dopo l’altro, e trovò che tutti erano pieni di polvere d’oro. Uscito dalla cantina, allegro all’estremo per la scoperta di sì ricco tesoro, rimise la piastra sulla scala, e finì di atterrar l’albero, aspettando il ritorno del giardiniere.

«Aveva questi saputo il giorno precedente, che il vascello, il quale faceva ogni anno il viaggio dell’isola d’Ebano; dovea partire fra poco; ma non gli si era potuto dire il giorno preciso, riservandolo pel dì dopo. Eravi dunque andato, e tornò con un viso denotante la buona nuova, cui aveva ad annunziare a Camaralzaman. — Figliuolo,» gli disse (poichè, pel privilegio della grave sua età, soleva trattarlo così), «rallegratevi e tenetevi pronto a partire fra tre giorni: il vascello farà vela in quel dì senza alcun fallo, ed ho già trattato per l’imbarco e pel vostro passaggio col capitano.

«— Nello stato in cui sono,» rispose Camaralzaman, «non potevate annunziarmi nulla di più grato. In contraccambio, ho anch’io una cosa da parteciparvi che vi deve rallegrare. Fatemi il piacere di venire con me, e vedrete la buona fortuna che il cielo vi manda. —

«Il giovane condusse il giardiniere nel sito dove aveva sradicato l’albero, lo fe’ discendere nella cantina, e fattagli vedere la quantità di vasi pieni di polvere d’oro che vi si trovava, gli attestò il suo giubilo perchè Iddio ricompensasse finalmente le sue virtù e tutti gli stenti da lui per tanti anni patiti.

«— Come l’intendete voi?» rispose il giardiniere. «V’immaginate forse ch’io voglia appropriarmi questo tesoro? È tutto vostro, ed io non vi pretendo [p. 334 modifica]menomamente. Da ottant’anni che mio padre è morto, io non ho fatto altro che smovere la terra di questo giardino senza averlo scoperto. È segno che vi era destinato, poichè Iddio permise che lo trovaste; esso conviene ad un principe vostro pari, piuttosto che a me, vicino come sono all’orlo della fossa, e che non ho più bisogno di nulla. Dio ve lo manda a proposito; nel momento che siete per restituirvi negli stati che vi devono appartenere, e dove ne farete buon uso. —

«Non volle il principe cedere in generosità al giardiniere, sicchè n’ebbero insieme una gran contesa: infine il giovane protestò che non avrebbene preso assolutamente nulla, se l’altro non ne ritenesse almeno una metà per sè. Il giardiniere si arrese, e si divisero quindi venticinque vasi cadauno.

«Fatta la spartizione: — Figliuol mio,» disse a Camaralzaman il giardiniere, «ciò non basta; ora si tratta d’imbarcare queste ricchezze sul vascello; e portarvele con voi segretamente acciò niuno venga a saperlo; altrimenti arrischierete di perderlo. Nell’isola d’Ebano non vi sono olive, e quelle che vengonvi recate da qui hanno grandissimo smercio. Come sapete, io ho buona provvigione di quelle che abbiam raccolte nel nostro giardino; bisogna che prendiate cinquanta vasi; che li empiate per metà di polvere d’oro, ed il resto d’olive al di sopra, e li faremo portare al vascello quando v’imbarcherete. —

«Camaralzaman seguì quel buon consiglio, ed impiegò il resto del giorno ad accomodare i cinquanta vasi; e poichè temeva di perdere ancora il talismano della principessa Badura che portava al braccio, ebbe la precauzione di metterlo in un vaso, e farvi un segno per riconoscerlo. Quand’ebbe finito di mettere i vasi in istato da potersi trasportare, vedendo calare la notte, si ritirò col giardiniere, e seco lui discorrendo, gli raccontò il combattimento de’ due [p. 335 modifica]uccelli e le circostanze di quell’avventura, che avevagli fatto ritrovare il talismano della sua sposa, onde il vecchio, per amore di lui, non fu meno sorpreso che lieto.

«Fosse a cagione della vecchiaia inoltrata, o che si fosse dato troppo moto in quel giorno, il giardiniere passò una cattiva notte; ed aggravandosi il suo malore nel giorno appresso, si trovò ancor più male alla mattina del terzo dì. Appena sorta l’alba, il capitano del vascello in persona e parecchi marinai vennero a bussare alla porta del giardino, domandando a Camaralzaman, il quale loro aporse, dove fosse il passeggero che doveva imbarcarsi sul vascello. — Son io appunto,» rispose il giovane. «Il giardiniere che vi ha chiesto il passaggio per me, è ammalato e non può parlarvi; ma pure potete entrare, ed esportate, ve ne prego, questi vasi d’oliva che vedete, colle mie robe, ch’io vi seguirò quando mi sia accommiatato da lui. —

«I marinai caricaronsi de’ vasi e delle robe, e lasciando Camaralzaman: — Non mancate di venir subito,» gli disse il capitano; «il vento è favorevole, e voi solo aspetto per mettere alla vela. —

«Partiti il capitano ed i marinai, Camaralzaman tornò dal giardiniere per congedarsi da lui, e ringraziarlo di tutti i buoni offizi ricevuti; ma lo trovò agonizzante, ed appenar ebbe ottenuto che facesse la sua professione di fede (1), secondo il costume de’ buoni musulmani a punto di morte, lo vide spirare.

«Nella necessità, in cui trovavasi il principe, Camaralzaman d’andar ad imbarcarsi, fece tutte le [p. 336 modifica]diligenze possibili per rendere gli estremi doveri al defunto. Ne lavò il cadavere, ed avendogli scavata una fossa nel giardino (poichè, siccome i maomettani non erano che tollerati in quella città d’idolatri, essi non vi avevano pubblico cimitero), lo sotterrò egli solo, e non finì di adempiere al pietoso ufficio se non verso al tramonto. Partì allora, senza perder tempo, per imbarcarsi; portò seco anche la chiave del giardino, per far più presto, coll’idea di consegnarla al proprietario nel caso che potesse trovarlo, o darla a qualche persona di confidenza, al cospetto di testimoni, per rimettergliela. Ma giunto al porto, udì che il vascello aveva salpato già da un bel pezzo, e ch’era già fuor di vista. Aggiunsero che non aveva messo alla vela se non dopo averlo aspettato tre buone ore....»

Scheherazade voleva proseguire; ma il chiarore del giorno, del quale si avvide, la costrinse al silenzio. Ripigliò la stessa storia la notte seguente, e disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCXXVI


— Sire, estrema fu l’afflizione del principe Camaralzaman, com’è facile immaginare, al vedersi costretto a restar ancora in un paese, dove non aveva, nè voleva avere alcuna relazione, e dover aspettare un altro anno per ritrovare l’occasione smarrita, viemaggiormente desolandosi d’essersi privato del talismano della principessa Badura, ch’ei tenne come perduto. Intanto, non ebbe altro partito da prendere fuorchè tornare al giardino d’ond’era uscito, prenderlo in affitto dal proprietario cui apparteneva, e continuare a [p. 337 modifica]coltivarlo, piangendo la propria disgrazia e la sua sinistra fortuna. Siccome non poteva sopportar la fatica di coltivarlo da solo, prese al suo servizio un garzone, ed allo scopo di non perdere l’altra parte del tesoro toccatagli per la morte del giardiniere, mancato senza eredi, mise la polvere d’oro in cinquanta altri vasi, che terminò di empire d’olive, per imbarcarle con lui a tempo opportuno.

«Mentre il principe Camaralzaman ricominciava un nuovo anno di pene, di dolori e d’impazienza, il vascello continuava la sua navigazione con vento favorevolissimo, ed approdò felicemente alla capitale dell’isola d’Ebano.

«Essendo il palazzo reale sulla spiaggia del mare, il nuovo re, o piuttosto la principessa Badura, la quale vide il vascello mentre stava per entrar in porto con tutte le bandiere spiegate, domandò che nave fosse, e le fu risposto che veniva ogni anno dalla città degl’Idolatri, nella medesima stagione, ed era al solito carico di merci preziose.

«La principessa, sempre occupata nel pensiero di Camaralzaman anche in mezzo allo splendore che la circondava, s’immaginò che il principe vi potesse essere imbarcato, e le venne l’idea di prevenirlo ed andargli incontro, non già per farsi riconoscere (poichè ben dubitava che non la riconoscerebbe), ma per iscoprirlo, e prendere le misure necessarie al reciproco riconoscimento. Sotto pretesto d’informarsi in persona delle merci, e di vederle per la prima e scegliere quelle che più le convenissero, comandò le fosse condotto un cavallo, sul quale recatasi al porto accompagnata da parecchi ufficiali, che le si trovavano vicini, vi giunse mentre il capitano appunto sbarcava. Mandatolo a cercare, volle da lui sapere d’onde venisse, da quanto tempo fosse partito, quali buoni o cattivi incontri fatti avesse nella sua navigazione, se [p. 338 modifica]non conducesse qualche distinto straniero, e soprattutto di che fosse carica la sua nave.

«Soddisfece il capitano a tutte quelle domande, e quanto ai passeggeri, assicurò non esservi se non i mercatanti, i quali solevano venire, portando stoffe ricchissime di vari paesi, tele delle più fine, a colori e lisce, gioie, muschio, ambra grigia, canfora, spezierie, zibetto, droghe per medicinali, olive e varie altre cose.

«La principessa Badura, la quale amava appassionatamente le olive, appena ebbe udito nominarle: — Prendo per me,» disse al capitano, «tutte quelle che avete; fatele sbarcare sul momento, ed io ne farò l’acquisto.» Quanto alle altre merci, avvertirete i mercadanti di portarmi ciò che hanno di più bello, prima di mostrarlo ad altri…

«— Sire,» rispose il capitano, che la prendeva pel re dell’isola d’Ebano, siccome lo era in fatto sotto l’abito che ne portava, «ve ne sono cinquanta vasi grandissimi, ma appartengono ad un mercadante che rimase a terra. L’aveva avvertito io stesso, e lo aspettai indarno per molto tempo; infine, vedendo che non veniva, e che il suo ritardo impedivami di approfittare del buon vento, perdetti la pazienza e misi alla vela. — Non tralasciate di farle sbarcare,» disse la principessa; ciò non c’impedirà di stringere il contratto. —

«Il capitano mandò la scialuppa al vascello, e quella ne tornò in breve carica dei vasi d’olive. La principessa chiese allora quanto potessero valere quei cinquanta vasi all’isola d’Ebano; il capitano rispose: — Sire, il proprietario è assai povero: vostra maestà non gli farà molta grazia, dandogliene mille pezze d’argento.

«— Affinchè rimanga contento,» riprese la principessa; «ed in considerazione della sua povertà che voi dite, vi si conteranno mille pezze d’oro, che avrete [p. 339 modifica]cura di consegnargli voi medesimo.» Dato l’ordine pel pagamento, fece portar via i vasi, e tornò al palazzo.

«Siccome avvicinavasi la notte, la principessa Badura si ritirò nel palazzo interno, andò all’appartamento di Haiatalnefus, e là si fece recare i cinquanta vasi d’olive. Ne aperse uno per farglielo assaggiare e gustarne anch’ella, e le versò in un piatto; ma quanto non fu il suo stupore vedendo le olive miste a polvere d’oro. — Che avventura! qual maraviglia!» sclamò. Fece quindi aprire in sua presenza, e votare gli altri vasi dalle donne di Haiatalnefus, e la sua ammirazione aumentò a misura che vedeva le olive di cadaun vaso miste all’aurea polvere. Ma quando si votò quello, nel quale Camaralzaman aveva posto il talismano, e ch’essa l’ebbe scorto, ne fu talmente colpita che svenne.

«La principessa Haiatalnefus e le sue donne soccorsero la principessa Badura, ed a forza di spruzzarle acqua in volto la fecero rinvenire. Tornata ai sensi, prese il talismano, e lo baciò a più riprese; ma non volendo parlare davanti alle donne della regina, le quali ignoravano il suo travestimento, e d’altronde essendo tempo d’andarsene a letto, le congedò. — Principessa,» diss’ella ad Haiatalnefus quando furono sole, «dopo ciò che vi raccontai della mia storia, avrete senza dubbio compreso essere stata la vista di questo talismano che mi fece svenire. È il mio, è quello che ci ha divelti l’un dall’altro, il principe Camaralzaman, il mio caro marito, ed io. Se esso fu l’origine d’una separazione sì dolorosa per entrambi, ora lo sarà, come voglio sperare, della nostra vicina riunione. —

«L’indomani, appena fu giorno, la principessa Badura mandò a chiamare il capitano del bastimento; e quando giunse: — Datemi più precise nozioni,» [p. 340 modifica]gli disse, «sul mercante cui appartengono le olive che ieri ho acquistate. Mi dicevate, parmi, d’averlo lasciato a terra nella città degl’Idolatri: sapreste dirmi cosa colà facesse?

«— Sire,» rispose il capitano, «posso assicurarne vostra maestà, come di cosa che so da me medesimo. Era convenuto del suo imbarco con un giardiniere assei vecchio, il quale mi disse che lo troverei al suo giardino, ove lavorava sotto di lui, e del quale m’indicò il sito; questo mi obbligò a dire a vostra maestà ch’era povero. Andai a cercarlo ed avvertirlo io stesso in quel giardino di venire a bordo, e gli ho parlato.

«— Se così è,» ripigliò la principessa Badura, fa d’uopo che oggi subito rimettiate alla vela, per tornare alla città degl’Idolatri, e condurmi qui quel garzone giardiniere, il quale è un mio debitore; altrimenti vi dichiaro, che confischerò non solo le merci che v’appartengono e quelle de’ mercadanti venuti sul vostro bordo, ma che me ne risponderanno la vostra vita e quella dei mercanti medesimi. Intanto, fin d’ora darò l’ordine di mettere i suggelli sui magazzini, ne’ quali si trovano, e non saranno levati se non quando m’avrete consegnato l’uomo che vi domando. Ecco quanto aveva a dirvi; andate, e fate ciò che v’impongo. —

«Il capitano non trovò nulla a replicare a quel comando, la cui inesecuzione doveva essere di sì grave danno a’ suoi affari ed a quelli de’ mercadanti, a’ quali significatolo, essi non si sollecitarono meno di lui a far subito imbarcare le provvigioni di viveri e d’acqua necessarie pel viaggio; e ciò fu eseguito con tanta diligenza, ch’egli potè salpare nel medesimo giorno.

«Felicissima fu la navigazione, ed il capitano del vascello prese così bene le sue misure, che giunse di [p. 341 modifica]notte tempo davanti alla città degl’Idolatri. Accostato che se ne fu tanto vicino quanto stimava a proposito, non calò l’ancora; ma mentre il legno rimaneva in panna, imbarcatosi nella sua lancia, andò ad approdare in un sito poco lontano dal porto, d’onde si recò al giardino di Camaralzaman insieme a sei marinai de’ più risoluti.

«Il giovane allora non dormiva; la di lui separazione dalla bella principessa della China, sua moglie, l’affliggeva al solito, ed egli detestava il momento, in cui erasi lasciato tentare dalla curiosità, non già di maneggiare, ma perfin di toccare la di lei cintura. Passava dunque così i momenti consagrati al riposo, allorchè intese battere alla porta del giardino. Vi si recò subito mezzo vestito, ed appena ebbe aperto, che, senza dirgli parola, il capitano ed i marinai impossessaronsi di lui, lo trascinarono di viva forza alla scialuppa, e lo condussero al vascello, che rimise alla vela tosto ch’ei fu imbarcato.

«Camaralzaman ch’erasi tenuto in silenzio fin allora, al paro del capitano e de’ marinai, chiese al primo, cui aveva riconosciuto, perchè gli usasse quella violenza. — Non siete voi debitore del re dell’isola d’Ebano?» gli domandò a sua volta il capitano. — Io, debitore del re dell’isola d’Ebano?» rispose Camaralzaman sorpreso. «Non lo conosco nemmeno: non ho avuto mai da fare con lui, nè mai ho posto piede nel suo regno. — Questo è ciò che dovete sapere meglio di me,» riprese il capitano. «Gli parlerete voi medesimo; intanto restate qui, ed abbiate pazienza.»

Scheherazade fu obbligata a metter fine in questo luogo al suo discorso, per lasciar agio al sultano delle Indie di alzarsi ed attendono alle sue ordinarie occupazioni. Lo ripigliò la notte seguente; parlandogli in cotal guisa: [p. 342 modifica]

NOTTE CCXXVII


— Il vascello non fu meno felice nel portare il principe all’isola d’Ebano, che stato nol fosse nell’andarlo a prendere nella città degl’Idolatri. Benchè fosse già notte quando gettò l’ancora nel porto, il capitano non tralasciò di sbarcare subito il prigioniero e condurlo al palazzo, dove chiese d'essere presentato al re.

«La principessa Badura, ch’erasi già ritirata nel palazzo interno, non fu tosto avvertita del suo ritorno e dell’arrivo di Camaralzaman, che uscì per parlargli. Appena ebbe volto gli occhi sul principe, pel quale, dal momento della loro separazione, aveva sparse tante lagrime, subito lo riconobbe sotto il meschino suo abito; quanto al principe, che tremava davanti ad un re, come credevalo, a cui risponder doveva per un debito immaginario, non gli cadde nemmeno in pensiero che quello esser potesse la donna cui tanto ardentemente desiderava ritrovare. Se Badura seguito avesse la propria inclinazione, sarebbe corsa a lui, facendosi riconoscere coll’abbracciarlo; ma si trattenne, e credè fosse nell’interesse d’entrambi di sostenere ancor per qualche tempo il personaggio di re, prima di scoprirsi. Si contentò dunque di raccomandarlo ad un ufficiale, ch’era presente, incaricandolo di prenderne cura e trattarlo bene fino all’indomani.

«Provveduto ch’ebbe la principessa Badura a ciò che risguardava Camaralzaman, si volse al capitano, e per riconoscere l’importante servigio resole, incaricò un altro uffiziale d’andar sul momento a levare i suggelli apposti alle di lui merci ed a quelle de’ suoi mercadanti, e lo rimandò regalandolo d’un [p. 343 modifica]magnifico diamante, che lo compensò di gran lunga della spesa sostenuta pel viaggio intrapreso. Gli disse inoltre di tenersi le mille pezze d’oro pagategli pei vasi d’olive, che saprebbe ben ella accomodarsi col padrone dei medesimi allora condotto.

«Rientrata finalmente nelle stanze della principessa dell’isola d’Ebano, le partecipò la propria gioia, pregandola tuttavia di conservarle ancora il segreto, e facendole la confidenza delle misure che stimava a proposito di prendere prima di farsi riconoscere dal principe Camaralzaman, e di farlo conoscere anch’esso per quello che in fatti era. — Avvi,» soggiunse, «tal distanza da un giardiniare ad un gran principe, qual egli è, che sarebbe pericoloso il farlo passare in un momento dall’infimo stato del popolo ad un sì alto grado, qualunque ne sia la giustizia.» Ben lungi dal mancarle di fedeltà, la principessa dell’isola d’Ebano entrò ne’ suoi disegni, e l’assicurò che vi contribuirebbe anch’ella con grandissimo piacere, non avendo che ad avvertirla di quanto desiderava che facesse.

«Alla domane, la principessa della China, sotto il nome, coll’abito e l’autorità di re dell’isola d’Ebano, dopo aver presa cura di far condurre il principe Camaralzaman al bagno di buon mattino, e rivestirlo d’un abito di emiro o governatore di provincia, lo introdusse nel consiglio, ov’egli attrasse gli sguardi di tutti i signori che si trovavano presenti, col suo bell’aspetto e l’aria maestosa di tutta la persona.

«Badura fu anch’essa incantata al rivederlo sì amabile come avevalo tante volte veduto, e ciò l’animò viemeglio a farne l’elogio in pieno consiglio. Pertanto, dopo ch’egli ebbe, per suo ordine, preso luogo fra gli emiri: — Signori,» diss’ella, dirigendosi agli altri, «Camaralzaman, che oggi vi do per collega, non è indegno del posto che occupa in mezzo [p. 344 modifica]a voi: io l’ho conosciuto abbastanza ne’ miei viaggi per rispondente; e posso accertare che si farà conoscere a voi pure, tanto pel suo valore e mille altre belle qualità quanto per la grandezza del suo genio. —

«Camaralzaman rimase estremamente sorpreso che il re dell’isola d’Ebano, cui era ben lontano dal prendere per una donna, e molto meno per la sua cara principessa, avesselo nominato ed assicurato di conoscerlo; e credendosi certo di non essersi in verun luogo con lui incontrato, egli fu ancor più stupito delle lodi eccessive che sentiva prodigarsi.

«Quelle lodi però, pronunciate da una bocca piena di maestà, non lo sconcertarono; le ricevette anzi con una modestia che faceva vedere di meritarle, ma che non gl’infondevano nessuna vanità. Si prosternò davanti al trono del re, e rialzandosi: — Sire,» gli disse, «non ho termini sufficenti per ringraziare vostra maestà del grande onore ch’ella mi rende, ed ancor meno di tante bontà. Farò quanto sarà in mio potere per meritarle. —

«Uscendo dal consiglio, il principe fu condotto da un ufficiale in un sontuoso palazzo, che la principessa Badura aveva già fatto preparare espressamente per lui, ed ivi trovò ufficiali e servi pronti a riceverne i comandi, ed una scuderia piena di bellissimi cavalli, il tutto per sostenere degnamente la carica d’emiro cui era stato innalzato; quando fu nel suo gabinetto, l’intendente gli presentò uno scrigno pieno d’oro per le spese. Quanto meno poteva egli concepire da qual parte gli venisse quell’inaspettata fortuna, tanto più estremo ne era lo stupore; e mai gli cadde in pensiero che la principessa della China potesse esserne la cagione.

«In capo a due o tre giorni, la principessa Badura, per dare a Camaralzaman maggior agio di penetrare presso la propria persona, e nello stesso tempo più [p. 345 modifica]distinzione, lo gratificò della dignità, di gran tesoriere rimasta allora vacante. Soddisfece egli a tale impiego con tanta integrità, mostrandosi nonostante compiacente verso ognuno; che si acquistò non solo l’amicizia di tutti i signori della corte, ma guadagnossi eziandio il cuore del popolo per la sua rettitudine e liberalità.

«Camaralzaman sarebbe stato il più felice degli uomini nel vedersi in sì alto favore appo un re straniero, com’egli s’immaginava, e trovarsi presso tutti in considerazione ognor più crescente, se posseduta avesse la sua consorte: imperocchè, in mezzo alla sua felicità, non cessava d’affliggersi per non saperne veruna notizia in un paese, da cui sembrava dovesse essere passata dal tempo che se n’era separato in maniera sì dolorosa, per entrambi. Avrebbe potuto insospettirsi di qualche cosa, se la principessa Badura avesse conservato il nome di Camaralzaman, da lei preso col suo abito; ma ella avevalo cangiato salendo al trono, dandosi invece quello di Armano per far onore al vecchio re suo suocero. Per tal modo, egli non la conosceva più se non sotto il nome di re Armano il giovane, essendovi soltanto pochi cortigiani, che si ricordassero del nome di Cameralzaman, col quale essa facevasi chiamare al di lei arrivo alla corte dell’isola d’Ebano. Il principe non aveva ancora avuta bastante familiarità con costoro per esserne istruito; però ciò poteva alla fine succedere.

«Siccome dunque Badura temeva che ciò appunto non accadesse, e bramava che il giovane dovesse a lei sola la sua conoscenza, risolse di por fine ai propri tormenti ed a quelli cui sapeva che egli soffriva. Aveva in fatti notato che ogni qual volta intertenevasi seco lui sugli affari dipendenti dalla sua carica, ei mandava tratto tratto sospiri, che non potevano essere volti se non a lei. Viveva perciò anch’ella in uno stato di violenza, del quale [p. 346 modifica]era determinata di liberarsi senza differir più oltre; d’altronde l’amicizia dei signori, lo zelo e l’affetto del popolo, tutto contribuiva a rassicurarla di potergli mettere sul capo la corona dall’isola d’Ebano, senza temere di trovar ostacoli.

«Non ebbe appena la principessa Badura presa siffatta risoluzione, di concerto colla regina Haiatalnefus, che chiamato il principe lo stesso giorno in disparte: — Camaralzaman,» gli disse, «ho da parlare con voi d’un affare di alta importanza, pel quale ho bisogno del vostro consiglio. Siccome non veggo di poterlo fare più comodamente della notte, venite questa sera, ed avvertite a casa che non vi aspettino; avrò cura di darvi un letto. —

«Non mancò Camaralzaman di trovarsi al palazzo all’ora prefissagli dalla principessa Badura. Lo fece questa entrare nel palazzo interno, e detto al capo degli eunuchi, che preparavasi a seguirla, di non aver bisogno de’ suoi servigi, e che tenesse soltanto chiusa la porta, lo condusse in un altro appartamento diverso da quello della regina, dove soleva dormire.

«Quando il principe e la principessa giunsero nella stanza dov’era un letto, e che n’ebbe chiusa la porta, la giovane cavò da una scatoletta il talismano, e presentandolo a Camaralzaman: — Non è molto,» gli disse, «che un astrologo mi fece il dono di questo talismano; or siccome voi siete versato in tutto, sapreste dirmi a che cosa possa servire? —

«Prese Camaralzaman il talismano, ed avvicinatosi ad una bugia per esaminarlo, quando ebbelo riconosciuto, con una sorpresa che piacque assai alla principessa: — Sire,» sclamò, «vostra maestà mi domanda a che cosa valga questo talismano? Aimè! esso vale a farmi morire di dolore e d’affanno, se non trovo in breve la principessa più vezzosa ed [p. 347 modifica]amabile che sia mai comparsa sotto il cielo, alla quale esso appartenne, e di cui mi cagionò la perdita! Me l’ha cagionata per una singolare avventura, il cui racconto moverebbe vostra maestà a compassione per un marito e per un amante sfortunato al par di me, se volesse aver la pazienza di ascoltarla.

«— Me ne parlerete un’altra volta,» rispose la principessa; «ma ho piacere,» soggiunse, «di dirvi che ne so già qualche cosa: sono tosto da voi; aspettatemi un momento. —

«Sì dicendo, la principessa Badura entrò in un gabinetto, vi depose il turbante reale, e preso in brevi istanti un’acconciatura ed un abito da donna, colla cintura che portava il giorno della loro separazione, rientrò nella stanza.

«Camaralzaman riconobbe subito la sua cara principessa, corse a lei, ed abbracciandola teneramente: — Ah!» sclamò; «quanto son grato al re di avermi così gradevolmente sorpreso! — Non aspettatevi più a rivedere il re,» ripigliò la principessa, pur abbracciandolo colle lagrime agli occhi; «vedendo me, voi vedete il re. Sediamo, che vi spieghi questo enimma. —

«Sedettero, e la principessa narrò al marito la risoluzione da lei presa nella prateria, dove avevano accampato insieme l’ultima volta, quando si fu convinta di aspettarlo indarno; in qual maniera l’avesse posta ad esecuzione fino al suo arrivo nell’isola di Ebano, ov’era stata obbligata a sposare Haiatalnefus, ed accettare la corona dal re Armano offertale in conseguenza del suo matrimonio; come questa principessa, di cui gli esagerò il merito, avesse accolta la dichiarazione del proprio sesso; e finalmente l’avventura del talismano trovato in uno dei vasi di olive e polvere d’oro da lei comperati, che le aveva dato motivo di mandarlo a prendere nella città degl’Idolatri. [p. 348 modifica]

«Quando la principessa Badura ebbe finito, volle che il principe le narrasse per qual avventura fosse stato il talismano origine della loro separazione. La soddisfece egli, e terminato ch’ebbe, si lagnò con cortesi parole della crudeltà da lei avuta di farlo tanto tempo languire; gli oppose ella le ragioni già riferite; e quindi, siccome era molto tardi, si coricarono...»

Scheherazade s’interruppe a quest’ultime parole; ma proseguì la notte seguente, e disse al sultano delle Indie:


NOTTE CCXXVIII


«— Sire, Badura e Camaralzaman alzaronsi all’indomani appena fu giorno; ma la principessa lasciò l’abito reale per prendere quello di donna, e quando fu vestita, mandò il capo degli eunuchi a pregare il re Armano, suo suocero, di prendersi l’incomodo di venire nel di lei appartamento.

«Al suo giungere, grandissima fu la sorpresa del re Armano vedendo una dama ch’eragli ignota, ed il gran tesoriere cui, come anche a verun altro signore della corte, non apparteneva di entrare nel palazzo interno. Sedendosi, chiese ove fosse il re.

«— Sire,» rispose la principessa, «ieri io era il re, oggi più non sono che la principessa della China, consorte del vero principe Camaralzaman, vero figliuolo del re Schahzaman. Se vostra maestà vuol degnarsi d’aver la pazienza di udire la storia d’entrambi, spero che non mi condannerà d’avergli usato sì innocente inganno.» Il re Armano le concesse la parola; e l’ascoltò con maraviglia dal principio alla fine. [p. 349 modifica]

«Terminando: — Sire,» soggiunse la principessa, «sebbene nella nostra religione le donne non siano molto contente della libertà che hanno i mariti di prendere più mogli, tuttavia, se vostra maestà acconsente di dare la principessa Haiatalnefus, sua figliuola, in matrimonio al principe Camaralzaman, io le cedo di buon cuore il grado e la qualità di regina, che le appartengono di diritto, e mi contento del secondo posto. Quand’anche tal preferenza non le appartenesse, non lascerei di accordargliela, dopo l’obbligazione grande che le debbo, d’avermi con tanta generosità serbato il segreto. Se vostra maestà se ne rimette al di lei consenso, io l’ho già avvertita in proposito, e garantisco che sarà contentissima. —

«Il re Armeno ascoltò con ammirazione il discorso della principessa; e quand’ebbe finito: — Figliuol mio,» diss’egli, volgendosi al principe Camaralzaman, «poichè la principessa Badura, vostra moglie, ch’io aveva finora risguardata come mio genero per un inganno, del quale non posso lagnarmi, mi assicura di voler dividere con mia figliuola il vostro letto, più non mi resta se non di sapere se voi pure acconsentite a sposarla, e se accettar volete la corona che la principessa Badura meriterebbe di portare per tutta la vita, se non preferisse deporla per amor vostro. — Sire,» rispose Camaralzaman, «benchè grande sia il mio desiderio di rivedere il re mio padre, le obbligazioni che professa a vostra maestà ed alla principessa Haiatalnefus sono tante e tali, ch’io non posso nulla negarle. —

«Camaralzaman fu proclamato re, ed ammogliatosi nel medesimo giorno con grande magnificenza, rimase soddisfattissimo della bellezza, dello spirito e dell’amore della principessa Haiatalnefus.

«In seguito, le due regine continuarono a vivere insieme colla medesima amicizia e l’unione stessa di [p. 350 modifica]prima, e furono contentissime dell’eguaglianza che il re Camaralzaman usava a loro riguardo, dividendo con esse alternamente il letto.

«Gli diedero poi un figlio per ciascheduna nello stesso anno e quasi nel medesimo tempo, e la nascita dei due principi fu celebrata con grandi allegrezze. Camaralzaman impose il nome di Amgiad (2) al primo, di cui sgravata erasi la regina Badura, e quello di Assad (3) all’altro, che la regina Haiatalnefus aveva messo alla luce.


Note

  1. Questa professione di fede consiste nel pronunciare alcune parole arabe significanti: Non v’ha altro Dio che Dio, e Maometto è il suo profeta.
  2. Gloriosissimo.
  3. Felicissimo.