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dente. Si avvicinò poscia all’albero, ov’era accaduta la scena, e volgendo gli occhi sui visceri dispersi, scorse qualche cosa di rosso, che usciva dallo stomaco lacerato dagli uccelli vendicatori. Lo raccolse, e cavatone l’oggetto rosso, s’avvide essere il talismano della sua diletta principessa Badura, che avevagli costato tanti affanni, lagrime e sospiri, dacchè quell’uccello glie l’ebbe rapito. — Crudele!» sclamò tosto, guardando l’uccello; «tu ti compiacevi nel fare il male. Ma per quanto me ne hai fatto, altrettanto bene auguro a quelli che mi vendicarono di te, vendicando la morte del loro simile. —

«Rinunciamo ad esprimere l’immenso giubilo del principe Camaralzaman. — Cara principessa,» continuò egli, «questo fortunato istante, che mi rende ciò che v’era tanto prezioso, è senza dubbio un presagio, il quale m’annunzia che troverò voi pure, e forse più presto che non credo! Benedetto sia Iddio che mi manda questa felicità, dandomi nel tempo stesso la speranza del maggior bene ch’io possa desiderare! —

«Così dicendo, Camaralzaman baciò il talismano, ed avvoltolo, se lo legò accuratamente intorno al braccio. Nella sua estrema afflizione, aveva trascorse quasi tutte le notti a tormentarsi e senza chiuder occhio; ma quella che susseguì ad una sì felice avventura, fu ben diversa; dormì di tranquillo sonno, ed alla domane, indossato, appena in giorno, il suo abito da lavoro, andò a prendere gli ordini del giardiniere, il quale lo pregò di abbattere e sradicar un certo vecchio albero che non faceva più frutti.

«Il giovane prese una scure, ed andò a porsi all’opra. Mentre tagliava un ramo della radice, battè un colpo su qualche cosa di resistente, che mandò grandissimo rumore. Toltane la terra, scoprì una grossa piastra di bronzo, sollevata la quale, vi trovò sotto