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coltivarlo, piangendo la propria disgrazia e la sua sinistra fortuna. Siccome non poteva sopportar la fatica di coltivarlo da solo, prese al suo servizio un garzone, ed allo scopo di non perdere l’altra parte del tesoro toccatagli per la morte del giardiniere, mancato senza eredi, mise la polvere d’oro in cinquanta altri vasi, che terminò di empire d’olive, per imbarcarle con lui a tempo opportuno.

«Mentre il principe Camaralzaman ricominciava un nuovo anno di pene, di dolori e d’impazienza, il vascello continuava la sua navigazione con vento favorevolissimo, ed approdò felicemente alla capitale dell’isola d’Ebano.

«Essendo il palazzo reale sulla spiaggia del mare, il nuovo re, o piuttosto la principessa Badura, la quale vide il vascello mentre stava per entrar in porto con tutte le bandiere spiegate, domandò che nave fosse, e le fu risposto che veniva ogni anno dalla città degl’Idolatri, nella medesima stagione, ed era al solito carico di merci preziose.

«La principessa, sempre occupata nel pensiero di Camaralzaman anche in mezzo allo splendore che la circondava, s’immaginò che il principe vi potesse essere imbarcato, e le venne l’idea di prevenirlo ed andargli incontro, non già per farsi riconoscere (poichè ben dubitava che non la riconoscerebbe), ma per iscoprirlo, e prendere le misure necessarie al reciproco riconoscimento. Sotto pretesto d’informarsi in persona delle merci, e di vederle per la prima e scegliere quelle che più le convenissero, comandò le fosse condotto un cavallo, sul quale recatasi al porto accompagnata da parecchi ufficiali, che le si trovavano vicini, vi giunse mentre il capitano appunto sbarcava. Mandatolo a cercare, volle da lui sapere d’onde venisse, da quanto tempo fosse partito, quali buoni o cattivi incontri fatti avesse nella sua navigazione, se

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