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tine piene cui va soggetto. Essi sono sempre coperti di persone che vanno e vengono pei loro affari: in molti luoghi si passa sotto viali di palme e di piante d’ogni specie, e là intorno si ode una moltitudine d’uccelli che, coi loro gorgheggi, sembrano rendere omaggio al Creatore, e cantare le lodi dell’Eterno.

«Passeggiando così, il medico persiano passò davanti alla bottega d’un bettoliere, nella quale si scorgevano vivande e ragù d’ogni qualità; il padrone di quella bottega era un giovane di circa quindici anni, il viso del quale sembrava bello come la luna in tutta la sua pienezza: il suo abbigliamento era semplice, ma elegante; portava preziosi orecchini, ed i suoi abiti erano sì puliti e ben portati, che sembravano uscire dalle mani del sarto. Il medico, considerandolo con maggior attenzione, stupì vedendogli il colorito giallo, gli occhi languidi, un viso pallido e sformato, che portava i segni dell’afflizione e della tristezza; si fermò e salutollo. Il giovane gli restituì il saluto con modi civili, e lo invitò a pranzo.

«Entrato il medico persiano nella bottega, il giovane prese due o tre piatti più lucidi e brillanti dell’argento, mise in ciascuno cibi diversi, e li imbandì all’ospite. — Sedete un momento vicino a me,» gli disse questi; «mi sembra che siate incomodato, vedendovi assai pallido. Qual è la vostra malattia? sentite dolori in qualche parte del corpo, ed è molto tempo che vi trovate in questo stato? —

«Il giovane, a tali parole, mandò un profondo sospiro, e disse piangendo: — Non domandatemi, o signore, qual sia il mio male.

«— Perchè?» riprese l’ospite. «Io sono medico, buono a qualche cosa, grazie al cielo; e son certo che vi guarirò, se volete confidarvi in me, e farmi conoscere l’origine ed i sintomi della vostra malattia.» Il giovane, dopo aver nuovamente sospirato, rispose: