Le Eumenidi/Quarto episodio

Quarto episodio

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Eschilo - Le Eumenidi (458 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1921)
Quarto episodio
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QUARTO EPISODIO


ATENA


all’araldo


Lancia l’appello, e frena, o araldo, il popolo.
E la squillante búccina tirrena,
sino al cielo, di vivo alito gonfia,
l’acutissima voce alzi alla turba.

Si leva l’acutissimo squillo della tromba. Accorre tutto
il popolo e riempie la scena



ATENA


Poi che già piena è l’assemblea, conviene
che silenzio vi regni, e Atene e i giudici
queste mie leggi, ch’io sancisco eterne,
odano, ed equa le sentenza diano.

Si presenta Apollo

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CORIFEA


Apollo re, nei tuoi dominî impera.
Quale ufficio a te spetta in questa causa?

APOLLO


Testimonio qui giungo e n’ho diritto:
ché al tempio mio, che all’ara mia, già venne
quest’uom supplice, ed io puro l’ho reso.
E partecipe giungo: è mia la colpa
del matricidio. Apri ora tu la causa,
e giusta, come sai, dà la sentenza.

ATENA


A voi parlare. Aperta è già la causa.
Quegli che accusa, favellando primo,
dirittamente i fatti ci esporrà.

CORIFEA


Molte siam noi, ma parleremo brevi.
E tu motto per motto a noi rispondi.
Or di’ prima se tua madre uccidesti.

ORESTE


L’uccisi: mai non negherò lo scempio.

CORIFEA


Una delle tre prove è vinta già.

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ORESTE


Non millantar: caduto ancor non sono.

CORIFEA


Or devi dire come l’uccidesti.

ORESTE


Stretta una spada, le tagliai la gola.

CORIFEA


Istigato da chi? Chi vi t’indusse?

ORESTE


Dai responsi di Febo. Ei lo conferma.

CORIFEA


T’indusse Apollo a uccidere tua madre?

ORESTE


Né della sorte mia fin qui mi lagno.

CORIFEA


Altro presto dirai, se ti condannano.

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ORESTE


Non temo: il padre aiuta me dal tumulo.

CORIFEA


Tu, matricida, hai fede nei defunti?

ORESTE


Di due misfatti la coprian le macchie.

CORIFEA


Di due misfatti? Spiega questo ai giudici.

ORESTE


Mio padre uccise, e insiem lo sposo suo.

CORIFEA


Ma tu sei vivo, e lei Morte fa libera.

ORESTE


Perché, mentre vivea, non l’inseguisti?

CORIFEA


Non era, l’uom che uccise, consanguineo.

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ORESTE


E consanguineo di mia madre io sono?

CORIFEA


O tristo, il sangue ch’è piú tuo, repudî:
di tua madre, che in grembo ha te cresciuto.

ORESTE


Tu siimi teste, e tu dimostra, Apollo,
se a buon diritto uccisi. Uccisa l’ho,
non io lo nego. Ma se giusto fu,
versare il sangue, o ingiusto, a tuo giudizio
ora tu dimmi, ch’io lo dica a questi.

APOLLO


Il giusto a voi favellerò, d’Atene
giuría suprema. Io, che profeta sono,
non mentirò. Dal mio trono fatidico,
né di città, né d’uomo, né di femmina
nulla io non dissi mai, che Giove Olimpio
nol m’imponesse. Ed or, persuadetevi
quanto fu l’atto di costui legittimo,
ed al voler del padre mio chinatevi:
ché piú di Giove nessun giuro vale.

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CORIFEA


T’esortò Giove, che ad Oreste dessi
tal responso, tu dici? In nessun conto
tener la madre, e vendicare il padre?

APOLLO


Ugual cosa non è, morire un uomo
nobile, che lo scettro ebbe da Giove,
e per man d’una donna, e non di freccia
saettata da lungi, d’una Amazzone,
ma, come udrete, o Dea Pàllade, e giudici,
che dar dovrete in questa causa il voto.
Come dal campo egli tornò, compiuta
felicemente la gran gesta, quella,
con dolci motti accoltolo, mentr’egli
scendea nel bagno, gli stese d’attorno
un manto; e stretto nel funereo laccio
di screzïato peplo, lo colpí.
Del glorïoso eroe tal fu la sorte,
del condottiere delle navi; ed anche
vi parlai della donna: il cuore, io penso
s’indignerà di voi, prescelti giudici.

CORIFEA


Giove, tu dici, ha piú riguardo ai padri?
Ed egli in lacci il vecchio Crono avvinse.
Ché non esponi il fatto a questi giudici?
A udirlo, o testimonî, io vi sollecito.

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APOLLO


Mostri a tutti esecrandi, odio dei Numi,
si può sciogliere un laccio, esiston farmachi
di questo male, ed assai vie di scampo.
Ma poi che spento è un uomo, e n’ha la polvere
bevuto il sangue, mai piú non risurge.
Trovare incanto a ciò, non lo potrebbe
il padre mio, che tutto ordina e tutto
in cielo e in terra, senza ansimo, volge.

CORIFEA


Vuoi che costui venga assoluto? Pensa!
Versato il sangue ha della madre: come
del padre, in Argo, abiterà la casa?
A quali altari pubblici potrà
far sacrifizî? Qual tribú vorrà
partecipar con lui l’acqua lustrale?

APOLLO


Anche questo dirò: se a dritto, intendilo!
A quel che figlio noi diciam, la madre
genitrice non è: bensí nutrice
del nuovo germe: genitore è quegli
che il germe espresse. Come ospite l’ospite,
se non lo strugge un Nume, essa lo porta.
E dei miei detti dar prova ti posso.
Aver puoi padre senza madre: è presso
a noi la figlia dell’Olimpio Giove,

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a farne prova, che non fu cresciuta
entro l’oscuro viscere; ma quale
Dea, generar saprebbe un tal rampollo?
O Pallade, io, per quanto posso, grande
la tua città, la tua gente farò;
e mandai questo alla tua casa supplice,
che per sempre fedele egli ti fosse,
ed alleato, o Diva, egli e i suoi posteri;
e sacri ognora questi patti restino.

ATENA


Bastino i detti. Or voi, giusto, sí come
coscïenza vi spinge, il voto date.

CORIFEA


Tutte scagliate abbiam le nostre freccie:
della causa il giudizio ora attendiamo.

APOLLO


Avete udito: nel dar voto, o giudici,
il giuramento in cuor sacro vi sia.

ATENA


Or la mia legge udite, Attiche genti,
voi prime elette a giudicare questa
causa di sangue. Al popolo d’Egeo

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anche i venturi dí, questo consesso
darà sentenza, qui dove le Amazzoni1
posero campo e tende, allorché l’odio
contro Teseo le spinse a guerra, ed esse,
di fronte alla città, questa munirono
di torri eccelsa rocca, ed immolarono
vittime ad Are: onde la rupe ancora
d’Arëopàgo ha nome. Esso il rispetto
ed il timore ai cittadini in cuore
indurrà, che non mai, né dí, né notte,
vïolino giustizia, e che le leggi,
d’Atene i cittadini mai non mutino:
ché, se di fango e umor fradici, l’onda
limpida inquini, ber piú non la puoi.
Vita consiglio ai cittadini miei
né senza freno, né servil: né lungi
dalla città si scacci ogni timore:
qual uom giusto sarà, se nulla teme?
Voi temetelo dunque e rispettatelo:
esso schermo dell’Attica sarà,
e salute d’Atene; e alcun degli uomini
il simile non ha, né fra gli Sciti,
né di Pelope il suol: tale consesso,
venerando severo incorruttibile
della terra d’Atene propugnacolo,
vigile su chi dorme, io stabilisco.
Questo ammonisco ai cittadini miei
che sia per l’avvenire. Adesso alzatevi,
prendete i voti, ed ossequenti al giuro,
equa sentenza pronunciate. Ho detto.

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CORIFEA


Ed io t’esorto che d’onor non frodi
questa dura d’Atene ospite schiera.

APOLLO


Di temere io t’impongo i miei responsi
che son di Giove, e non li renda sterili.

EUMENIDI


D’omicidî t’impacci: a te non spetta:
né l’oracolo tuo sarà piú sacro.

APOLLO


Anche mio padre mal mi consigliò,
che d’Issíone udí le prime preci?

CORIFEA


Anche in Fere, per te, le Parche un giorno
vita perenne diedero ai mortali2.

APOLLO


Giusto non è far bene a chi ti venera,
massime allor ch’ei di soccorso indige?

CORIFEA


Le antiche leggi da te son distrutte:
le antiche Dee di loro epule privi.

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APOLLO


Presto, sconfitta nella causa, innocuo
vomirai sui nemici il tuo veleno.

CORIFEA


Tu cianci! Ove io la causa perda, infesta
a questo suol sarà la torma nostra.

APOLLO


Fra i Numi antichi, fra i novelli Numi,
tu vai priva d’onore: io vincerò.

CORIFEA


Giovine Iddio, tu me conculchi annosa:
ma se infierire contro Atene io debba
non so: che fine abbia la causa attendo.

Durante tutta questa discussione s’è compiuta la votazione.
Atena si approssima ultima a dare il voto


ATENA


È la mia volta: a me l’ultimo voto.
In favore d’Oreste io lo darò.
Madre non ho che generata m’abbia;
e il costume virile, approvo, tranne
che stringer nozze, con gran cuore, in tutto.
Figlia son di mio padre: e a cuor la sorte
mai d’una donna non avrò, che uccise

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lo sposo suo, custode della casa.
Anche se i voti siano pari, Oreste
vince la causa. O voi, giudici, cui
l’ufficio spetta, rovesciate l’urne.

ORESTE


O Febo Apollo, quale sarà l’esito?

CORIFEA


Notte, mia negra madre, a noi riguarda!

ORESTE


Questo è il punto: esser perso o veder luce!

CORIFEA


E per noi, bando avere, o nuovi onori.

ATENA


Attentamente computate i voti,
ospiti: e lunge ogni ingiustizia vada.
Un voto meno, e un gran cordoglio segue:
un voto piú, risorge una progenie.

Intanto, si è fatto lo spoglio dei voti. Atèna lo verifica


ATENA


Assoluto quest’uomo è nella causa:
ché ugual risulta il numero dei voti.

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ORESTE


O Palla, o tu che la mia stirpe hai salva,
tu la mia casa rendi a me, che privo
ero di patria. Ed or diranno gli Èlleni:
«Un uomo d’Argo, le paterne mura
abita ancora, pel favor di Pallade
e di Febo e di quei che tutto domina,
di Giove». Ei tutelò del padre mio
la sorte, e volle me salvo, e neglesse
queste, a vendetta di mia madre sorte.
Ed ora, io parto, e alla mia casa torno,
a questa terra e al popol tuo giurando
che mai, pei mille e mille anni venturi
uomo alcun che la mia terra governi
qui condurrà guerresco ordin di lance.
Ché io, dal fondo della tomba mia,
chi questo giuro mio trasgredirà,
colpirò con sciagura immedicabile,
e ogni via di sgomento, ed ogni tramite
gli sbarrerò di tristi augurî, ond’egli
dovrà desister dall’impresa. E dove
il mio giuro rispettino, ed a questa
città d’Atene aiuto in guerra prestino,
sarò benigno ai cittadini miei.
A te salute e al popolo d’Atene.



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LAMENTAZIONE



CORO


Strofe I
Ahi, nuovi Iddei, sotto i pie’ calpestate
le antiche leggi! Di man le mie prede
voi mi strappate! Ma, spoglia d’onore,
io sciagurata, nell’aspra mia doglia,
stillerò lo sterminio
sopra questo terreno,
dal furore dell’anima
sprizzando atro veleno.
Da questo una serpigine
che greggi strugga ed erba,
su le zolle spargendosi,
le letifere macchie la terra coprirà.
Che faccio? Verso lagrime?
Sarò con questi cittadini acerba?
O della Notte misere
figlie, nessuno, onor prestato v’ha.

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ATENA


Credete a me: non v’affliggete troppo.
Vinte non foste: il numero dei voti
fu pari: e spregio a te non vien. Ma v’erano
segni ben chiari del voler di Giove;
e quegli stesso che il responso diede,
giunse a prestar la fede sua, che Oreste
compier dovea lo scempio, e andare immune.
Non vi crucciate dunque, e il fiero sdegno
non infliggete a questo suolo, e sterile
non lo rendete, non struggete i germi
col morso edace dell’infeste bave.
Ed io con certa fede a voi prometto
che in questa terra di giustizia avrete
riposte sedi, e onor dai cittadini,
presso l’are sedendo, in troni fulgidi.

CORO


Antistrofe I
Ahi, nuovi Iddei, sotto i pie’ calpestate
le antiche leggi! Di man le mie prede
voi mi strappate! Ma, spoglia d’onore,
io, sciagurata, nell’aspra mia doglia,
stillerò lo sterminio
sopra questo terreno,
dal furore dell’anima
sprizzando atro veleno.
Da questo una serpigine
che greggi strugga ed erba,

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su le zolle spargendosi,
di letifere macchie la terra coprirà.
Che faccio? Verso lagrime?
Sarò con questi cittadini acerba?
O della Notte misere
figlie, nessuno, onor prestato v’ha.

ATENA


Prive d’onor non siete, e non vi piaccia,
per troppo d’ira, questo suolo rendere
sterile, o Dive. Anch’io — dirlo che giova? —
posso in Giove fidare: io sola so
del ricetto le chiavi ove la folgore
è sigillata. Ma per che, la folgore?
Ben t’indurrai per le parole mie
a non scagliare con impronta lingua
su questa terra il maleficio, e tutti
farne abortire i frutti. In cuor sopisci
l’impeto amaro della negra furia,
e delle cose e degli onor partecipe
con me sarai: di questa terra grande
offerte le primizie a te saranno
per gli sponsali, e quando nascon pargoli:
onde il consiglio mio loderai sempre.

CORO


Strofe II
Questo da me si tollera,
da me vetusta Diva! E, ahimè, di questa

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terra, impunita la sozzura resta!
Spirerò la mia furia, la mia collera.
Ahimè, ahimè, sciagura,
quale tortura
penetra il fianco mio!
O Madre notte, il mio furore ascolta.
Gli onori a me dovuti, antica Diva,
invincibile frode or me ne priva.

ATENA


Le furie tue sopporterò: ché annosa
piú sei di me: piú accorta anche tu sei:
ma senno acuto Giove anche a me diede.
Se ad altre terre, ad altre genti andrete,
brama vi pungerà, ve lo predíco,
di questo suol: ché ai cittadini miei
maggior gloria addurranno i dí venturi.
E tu, vivendo in onorata sede,
d’Erettèo presso la dimora, offerte
avrai da turbe d’uomini e di femmine,
quali niun'altra gente a te farebbe.
E su la terra mia tu non gittare
i sanguinei pungigli, onde si struggono
i cuori giovanili in una furia
d’ebbrezza senza vino; e non accendere
come galli pugnaci i cittadini,
non annidarvi la guerra civile,
la promiscua strage. E non s’appressi,
resti la guerra oltre le porte, ed ivi
terribile di gloria amore avvampi.

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Queste le offerte ch’io ti faccio. Beni
largire e averne, onori aver, partecipe
di questo sacro suol diletto ai Numi.

CORO


Antistrofe II
Questo da me si tollera,
da me, vetusta Diva! E, ahimè, di questa
terra, impunita la sozzura resta!
Spirerò la mia furia, la mia collera.
Ahimè, ahimè, sciagura,
quale tortura
pènetra il fianco mio!
O madre Notte, il mio furore ascolta.
Gli onori a me dovuti, antica Diva,
invincibile frode or me ne priva.

ATENA


Mai stanca mi farà parlarti il bene:
dir non potrai che tu, vetusta Diva,
spregiata da me giovine, e dal mio
popolo, vai da questo suolo in bando.
Ma, se pur tu la Dea Suada veneri,
che dal mio labbro col suo miel ti molce,
resta fra noi. Ché se restar non vuoi,
giusto non è che l’ira tua su Atene
piombi, né il danno od il furor sul popolo:
ch’esser tu puoi di questo suol partecipe
direttamente, e onore aver perenne.

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CORIFEA


Qual sede, o Atèna, dici tu che avrei?

ATENA


D’ogni cordoglio immune: or dunque accettala.

CORIFEA


L’accetterò. Ma quali onor’mi serbi?

ATENA


Che senza te nessuna casa prosperi.

CORIFEA


Questo farai? Che tal potere io m’abbia?

ATENA


La fortuna daremo a chi te veneri.

CORIFEA


Per sempre? E te ne fai mallevadrice?

ATENA


Cosa non posso dir ch’io non la compia.

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CORIFEA


Molcir mi sento, e il furor mio depongo!

ATENA


Qui rimanendo, amici acquisterai!

CORIFEA


Quali inni vuoi per questo suol ch’io levi?

ATENA


Tali che araldi sian di fausta sorte!
Dalla terra essa giunga, e dalla rorida
acqua del mar, dal cielo: e spirino aliti
di venti su la terra, e il sole sfolgori.
E che le zolle il frutto e de le greggi
rigogli e abbondi; e non la fiacchi il tempo;
e la progenie dei mortali, prosperi.
E si disperda dei malvagi il germe:
ch’io, come saggio agricoltore, illese
le progenie dei giusti sol desidero.
Queste saranno le tue cure. Ed io
questa città vittrice, ognor fra gli uomini
chiara farò nelle guerresche prove.



Note

  1. [p. 277 modifica]Secondo una leggenda attica, le Amazzoni, per vendicare la loro regina (Antiope od Ippolita), fatta schiava da Teseo, unitesi con gli Sciti, invasero l’Attica. Ma da Teseo furono vinte e distrutte. Nelle mètope del Partenone era figurata questa battaglia.
  2. [p. 278 modifica]Allusione al mito di Alcesti. Com’è noto, Apollo ottenne che Admeto, sacro alla morte, fosse riscattato dalla sposa Alcesti, salvata a sua volta da Ercole.