La sposa persiana/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Ircana e Curcuma.
Tamas andò egli istesso1 ad incontrar la sposa?
Curcuma. Questi occhi lo han veduto, e, qual da giovinetta,
Conservo, grazie al Cielo, la vista ancor perfetta.
Ircana. Ohimè!
Curcuma. Non vi affliggete: di già ci siamo intese;
M’impegno che la sposa viva non dura un mese.
Ho tutto preparato, rospi, cicute e fieli,
E d’animali immondi sangue, cervella e peli:
Che avvelenano i venti, ne ho sempre in mia balìa.
Ho l’antimonio, il sale, il solfo2 e l’orpimento,
E mancami soltanto dell’oro e dell’argento.
Ircana. Eccone, prendi questo. (si strappa uno smaniglio
Curcuma. Piano, non lo strappate;
Spiacemi che d’un fregio la bella man spogliate.
E pur fia necessario scioglierlo in una tazza.
(Sciogliere lo smaniglio? Affé, non son sì pazza). da sé
Ircana. Ma incontro alla sua sposa è volontario andato
Tamas, o da suo padre a forza strascinato?
Curcuma. Non so; ma l’ho veduto montar sul suo destriere,
Tutto coperto d’oro, che a mirarlo è un piacere.
Al lato era del padre, intorno avea parenti,
Preceduto da turba di servi e di stromenti.
L’eunuco Bulganzar, quel sozzo eunuco nero,
Che se far lo potesse, farebbe altro mestiero,
Egli si è ritrovato in mezzo alla brigata,
Allor che fu la sposa dal giovine incontrata,
Là dove il Sanderut G 1 vicin, con l’acque sue,
Tra Zulfa 3 ed Ispaan parte il terreno in due.
Fatima, d’ogn’intorno da schiave circondata,
Sedea sopra un cammello colla faccia velata.
Con tante ricche vesti, con tante perle ed oro,
Che abbagliava la vista, avea seco un tesoro.
Però la sopraveste, ch’avea la sposa intorno,
E parte delle gioje, onde il bel crine è adorno,
Bulganzar mi assicura, che fur, due giorni sono,
Da Machmut mandate alla sua nuora in dono.
Tale è in Persia il costume; ahi troppo dolorosa
Disparità, che passa tra una schiava e una sposa!
Vedrai morire Ircana con uno stile 4 in petto.
Curcuma. Sì, quando al fianco vostro Curcuma non aveste,
E di costei, che vi ama, fidar non vi poteste.
O Tamas vi è fedele, o Fatima sen riede,
O ch’io ben ben lo concio, quando manco sel crede.
In ogni guisa certa io son del vostro bene...
Sentite i gridi, i suoni: ecco la sposa viene.
Ircana. Ah non voglio vederla; ah non fia mai, che a quella
Fia destinata Ircana servir schiava ed ancella.
Al figlio lo protesta, e al genitore istesso;
Dieci siam nel serraglio, d’età pari e di sesso.
Di me conto non faccia5 meco non usi orgoglio;
Schiava di Tamas sono, donna servir non voglio.
Digli che non mi cale d’esser tra ferree porte;
Che Ircana non paventa onte, minaccie e morte.
partie
SCENA II.
Curcuma sola.
Perchè per una sposa prendersi tanto affanno?
Esser vuol sola sola? Un uom tutto per lei?
D’un che ne avesse trenta, io mi contenterei.
Ma Curcuma infelice! la bella età sen vola,
Nè trovo chi mi voglia, nè in compagnia, nè sola.
Quel disgraziato eunuco mi fa sì gran dispetto!
Mi segue e mi tormenta... eunuco maledetto!
Oh se valer potesse delle malìe la forza,
Vorrei di questo viso mutar l’antica scorza,
E liscie ritornando tuttor le carni mie,
Non offrirei per altre usar le stregarie.
Quest’è l’acciecamento di chi ci ascolta e crede:
Ho avuto uno smaniglio col parlar destro e scaltro,
E certo non diffido d’avere anche quell’altro;
Uno smaniglio solo a Ircana disconviene,
Su queste nere mani starebbero pur bene!
Ma vuo’ veder la sposa; ella ne avrà de’ belli!
Oh se potessi averne un paio anche di quelli!
Chi sa? La donna antica, se il bel fiore ha perduto,
Senno acquista col tempo, e fa il pensiere arguto.
Vedrò s’ella ha bisogno punto dell’arti mie,
Di lisci, di profumi, d’inganni e di malìe.
La vita che mi resta, già che ho d’amar finito,
Vo’ saziar l’ambizione, la gola e l’appetito.
SCENA III.
Machmut, Fatima coperta d'un velo, e Osmano, preceduti da vari instrumenti; e seguito di Schiavi, che portano su vari bacini la dote della Sposa.
Fuor del paterno impero devi obbedir lui solo.
Finor t’increbbe forse il giogo de’ parenti,
Tanto più ai figli in odio, quanto a lor bene intenti;6
Ma non pensar per questo orgogliosa, altera,
D’aver, per esser donna, la libertade intera.
Passi da un giogo all’altro; qual più pesante e stretto
A te non saprei dirlo, che tu mel dica aspetto.
Pur se soave il brami, sta in tua balìa; contenta
Il tuo destino incontra, il tuo dover rammenta.
L’obbedienza 7 che usasti ai genitor severi,
Usala in avvenire dello sposo agl’imperi;
Che se obbedisti il padre talor con qualche stento,
Amalo, e coll’amore anche il servir sia misto,
Se vuoi del di lui cuore formar l’intero acquisto.
Schiave avrà il tuo consorte, l’uso comun 8 ti è noto:
Non esca dal tuo labbro contro di loro un voto;
Ma vincerle procura, accanto al tuo diletto.
In amore, in dolcezza, in virtude, in rispetto;
Ed ei, trovando il merto col casto nodo unito,
Amerà con costanza gli amplessi di marito.
Figlia, ti lascio, osserva, ecco quanto potei,
Per formarti la dote, trar dagli erari miei.
Ma più di gemme e d’oro, nei mali e nei perigli,
Vaglienti per tua scorta questi ultimi consigli:
Ama quel che amar lice, non quel che giova e piace;
Serba, promovi e cura la domestica pace:
Misura con l’onesto e l’utile, e il diletto,
Prima il ciel, poi lo sposo: soffri, conosci: ho detto.
parte
SCENA IV.
Machmut, Fatima e i suddetti.
Dello sposo la sposa ai primi sguardi onesti.
Figlia, che con tal nome posso chiamarti anch’io,
Se unita fra momenti sarai col sangue mio,
Non so quale a’ tuoi occhi recato abbia diletto
Quel che or mirasti appena sposo tuo giovinetto.
Non brilla ad esso in volto gran vezzo e gran bellezza,
Ma la beltade in uomo non è quel che si apprezza.
Valor, sangue, decoro, virtù, costanza e amore,
Questo è quel che di donna rende felice il cuore.
L’amor non nasce a un tratto, col tempo in sen si accende:
Male, se a’ primi colpi un debil cuor si arrende.
Usa di sposa amante i vezzi, i sguardi e l’arti.
Soffri da prima il gelo, e lo vedrai fra poco
Ardere ai tuoi bei lumi, ardere al tuo bel foco.
Vietare io non potrei, per legge o per costume,
Ch’egli non rimirasse di qualche schiava il lume.
Ma spero, e lo vedrai, che sol di te contento,
Ogni straniero foco nel suo cor sarà spento.
(Fatima si va contorcendo
No, non ti dia ciò pena. Fatima, tel prometto
Che t’amerà; sii certa; eccolo il giovinetto.
Sola con lui ti lascio; scopriti, e lo consola;
Fagli gustar il dolce di qualche tua parola.
Se un dardo da’ tuoi lumi entro il suo cuor sia spinto,
Fatima, non temere, egli ti adora, hai vinto, parte
SCENA V.
Fatima sola.
Prevenuto ha il momento da scoprirmi allo sposo?
Negletta s’io mi vedo per una schiava audace,
Come tacer penando? come soffrirlo in pace?
E se un divorzio ingrato mi torna al genitore,
Qual menerei mai vita tra il dispetto e il rossore?
Ah mi lusingo ancora! Eccolo: giusti Dei,
Piacessi agli occhi suoi, come egli piace ai miei.
SCENA VI.
Tamas e detta.
È che d’Ircana sia più vezzosa e più bella;
E tanto in lei sorpassi beltà, grazia e costumi,
Arder mi sento in seno... e l’ho veduta appena...
Scoprasi il volto ignoto, escasi omai di pena), da sè
Sposa, a voi si presenta tal che ha per voi rispetto,
E pari aver desia alla stima l’affetto.
Quest’è il primier momento, che ad uom scoprir vi lice:
Svelatevi a’ miei lumi; fatemi omai felice.
Fatima. Dolce obbedire a sposo, che può volere, e prega;
Squarcierò il velo ingrato, che disciogliersi niega.
Ecco la sposa vostra, ecco la vostra ancella, (si scuopre
Che v’ama, che v’adora.
Tamas. (No, che non è più bella).
Fatima. Signor, se questi luci a voi non sembran vaghe.
Se in me non v’è beltade, che il genio vostro appaghe.
Non disprezzate almeno le fiamme d’una sposa,
Che a voi destina il Cielo.
Tamas. (Ircana è più vezzosa).
Fatima. (Misera, son perduta; ogni speranza è estinta).
Tamas. (Fatima è bella, è vero, ma nel confronto è vinta).
Fatima. (Vezzi di sposa amante, arte di moglie onesta,
Deh non mi abbandonate in occasion funesta).
Tamas. (Ma che farò? Mi duole darle un sì rio tormento).
Fatima. Tamas, nel vostro volto veggo un fier turbamento.
Quelle nozze, a cui fummo dal genitor costretti,
Non han delle alme nostre preparati gli affetti;
E s’io tosto in mirarvi arder d’amor m’intesi,
Forse nel vostro petto fuoco di sdegno accesi.
Colpa, voi lo vedete, mia non è, se vi spiaccio.
La destra ambi porgemmo obbediente10 al laccio.
V’amo, Tamas, v’adoro, ma non per questo io voglio
Obbligarvi ad amarmi con vezzi e con orgoglio.
Solo in mercè d’amore grazia vi chiedo e spero;
Anima generosa, parlatemi sincero.
Ditemi se m’odiate pel mio infelice aspetto,
Tamas. Fatima, non lo niego, a forza i’ son marito;
Questo sen, questo cuore, è ver, fu già ferito.
Pregai che in libertade fosse di noi la mano,
Per mio, per vostro bene; ed il pregar fu vano.
Il genitor meschiando le lusinghe all’impero,
M’empiè l’alma di foco, di speranza il pensiero.
Sperai ne’ vostri lumi trovar cotal valore,
Che avesse a mio dispetto ad involarmi il cuore;
E mi credei, che il danno di perdere il mio bene
Costar non mi dovesse tanti sospiri e pene.
Vi scopriste, v’ammiro: bella e vezzosa siete;
Ma cancellar quell’altra dal cuor non mi potete.
Fatima. Nè cancellarla io spero, nè in me vuo’ che si dica,
Che in vece d’una sposa, trovaste una nemica.
Ma di me sventurata, signor, che sarà mai?
Tamas. Fatima, non so dirlo; ancor non ci pensai.
Fatima. Sposi noi siamo, è vero, ma niun de’ nostri petti
Può esaminar gli ardori, può discoprir gli affetti.
Celisi in faccia al mondo, che il volto mio vi spiace;
Io soffrirò che amiate la mia rivale in pace.
Tamas. Bella virtù, che merta amante a voi più grato!
Fatima, lo confesso, compiango il vostro stato;
Poco chiedete in premio d’un cor di virtù pieno,
E il poco che chiedete, posso accordarvi almeno.
Fatima. Misera me! Vorreste col rossor d’un rifiuto
Rendermi d’una schiava vergognoso tributo?
Che gelosia le puote rendere una consorte,
Fra tante e tante donne rinchiuse in queste porte?
Teme che io le comandi? Non lo farò, il prometto.
Ha timor che io l’insulti? No, le userò rispetto.
La servirò, se lice servire ad una moglie,
Senza oltraggiar l’amato signor di queste soglie.
Che vuol di più? Lo dica; farlo vi do parola.
Tamas. Gelosa è del cuor mio; brama regnarvi sola.
Voi sugli affetti vostri dar le potete il trono.
Sola nel vostro cuore fate che regni in pace;
Usi pietà, non ira, con chi lo vede, e tace.
Soffra che possa almeno errar fra queste mura,
Confusa fra le donne nate di stirpe oscura;
Ed a soffrir le insegni, senza esserne sdegnosa,
L’esempio avanti agli occhi d’una non vile, e sposa.
piange
Tamas. (Muove pietà col pianto, misera donna oppressa.
Se la vedesse Ircana, pietà ne avrebbe anch’essa).
Fatima. Da voi sposata appena, se lungi mi scacciate,
Pensate a qual destino, signor, mi condannate,
È ver, che ripudiata donna talor si sposa,
Ma espiar le conviene la macchia vergognosa.
Colpa non ho, che vaglia a meritar disprezzi,
Non v’à ragion, per cui nodo fra noi si spezzi.
Pien di furore e sdegno il padre mio la morte,
Per vendicar la figlia, vorrebbe del consorte;
Ed io che di adorarvi, misera, ancor mi vanto,
Per voi, non per me stessa, mi struggerei nel pianto.
piange
Tamas. Fatima, non piangete, a voi torno a momenti.
(Che stile inusitato! che amor! che dolci accenti!
Ah voglia il Ciel che Ircana m’oda, s’arrenda, e taccia.
Se nega? se persiste? Non so quel che mi faccia).
parte
SCENA VII.
Fatima sola.
Diresti che seguito non abbia il tuo consiglio?
Potea soffrir di più? Di più soffrir mi resta?
Nel momento primiero che scopromi allo sposo,
Veggolo nel mirarmi immobile e ritroso.
Misera, e quand’io spero m’accolga fra le braccia,
Volge le luci altrove, e non mi guarda in faccia!
Oltre al dover, son prima a scioglier la favella,
Non ha rossore a dirmi, che la sua schiava è bella,
Che l’ama, e che pretende, per contentar l’audace,
Sagrificar la sposa, e rimandarla in pace.
Vile non son; de’ torti sento nell’alma il peso,
Veggo l’amor di sposa, veggo l’onore offeso.
Ma che giovar poteami, con un che mi disprezza,
Con un che può scacciarmi, lo sdegno e la fierezza?
Quel che non fa la pace, quel che non fa l’amore,
Coi sposi Monsulmani far non puote il furore.
Dissimular conviene, soffrir la crudeltade,
Per muoverlo col tempo a dolcezza, a pietade;
E celando nel petto la gelosia crucciosa
Agli occhi del crudele rendermi meno odiosa.
Per me di morte istessa più barbaro è il dolore
Di cedere a una schiava del mio diletto il cuore;
Ma perchè ciò non segua, dir degg’io di volerlo,
E guadagnar lo sposo, mostrando compiacerlo.
SCENA VIII.
Curcuma e detta.
Curcuma a voi s’inchina, delle donne custode.
Fatima. Sì, cara mia, prendete, d’aggradimento in segno.
Questo di vero affetto amichevole pegno.
(si abbracciano
Curcuma. Siete gentil davvero; bella siete e graziosa.
(E parmi che esser debba discreta e generosa). da sè
Curcuma. (Principia dalle schiave), (da sè) Dieci ne suole avere.
Fatima. Son belle? son vezzose?
Curcuma. Oibò, non ve n’è alcuna,
Che delle grazie vostre possa vantarne una.
Fatima. Però non mi crediate soggetta a gelosia:
Codesta in un serraglio sarebbe una follia.
Curcuma. Certamente. (con ironia
Fatima. Ma pure bramo sapere anch’io,
Qual sia la più diletta, fra voi, del signor mio.
Curcuma. Vi dirò: veramente ha per me qualche affetto,
Ma statene sicura, non abbiate sospetto.
Se meco qualche volta accendersi lo veggo,
Gli batto su le mani, lo sgrido e lo correggo.
Fatima. Nè per il grado vostro, nè per la vostra etade,
Si può temer.
Curcuma. No, dite perchè amo l’onestade.
Fatima. Tamas non ha di voi chi più gli punga il cuore?
Curcuma. Eh disgraziato! Basta; no vuo’ darvi dolore.
Fatima. Via, lo so; d’una schiava egli è perduto amante.
Ditemi, come ha ricco di grazie il bel sembiante?
Curcuma. Eh! mi fareste dire; con voi, la mia fanciulla,
Le grazie di colei non vagliono per nulla.
Avete, gioja mia, un viso che innamora,
E alle mie mani poi sarà più bello ancora.
Di lisci e di pomate io son maestra antica,
Tutte per farsi belle mi vorrebbono amica.
Fatima. Sinora io non usai, sien brutte o tieno belle,
Su queste guancie mie di mascherar la pelle.
Lo farei, se credessi di render più gradito
L’infelice mio volto agli occhi del marito;
Ma inutil la bellezza, inutile è l’amore.
Con un che ad altra amante abbia donato il cuore.
Curcuma. Proviam?
Fatima. No; non mi piace.
Ah quante belle gemme su queste mani avete I
Fatima. Ecco un altro costume, di cui farei di meno:
S’ornano inutilmente le dita, il collo, il seno.
Curcuma. Affé, per caricarvi troppi denari han speso;
Io, cara, m’esibisco di alleggerirvi il peso.
Fatima. No, no, tener le deggio di notte al chiaro lume.
Anche sì bella pompa delle spose è in costume.
Vanità senza frutto, far pompa di splendore.
Quando tra le gramaglie piagne 11 dolente il cuore.
Curcuma. Voi più d’un apparato di gioje strepitoso,
Bramate di godere la gioja dello sposo!
Fatima. Sì, il di lui cor sospiro.
Curcuma. Ogni lusinga è vana.
Il di lui cor, figliuola, l’ha donato ad Ircana.
Fatima. Voi di costei sarete fida compagna e amica.
Curcuma. Io? non passa un momento che non la maledica.
Fatima. Perchè?
Curcuma. Perchè è superba, inquieta, e fastidiosa:12
Non vuol servir da schiava, vuol comandar da sposa.
E se voi non farete quel che insegnarvi io voglio,
Colei col piè sul collo vi terrà per orgoglio.
Fatima. (Scoprasi, non mi fido), (da sè) Dite, madonna, come
Trattar dovrei la schiava, quella che Ircana ha nome?
Curcuma. Par che quell’anellino non istia ben con quelli;
Scomparisce, meschino, fra tanti a lui più belli.
Fatima. Meglio sarebbe dunque, che al dito lo levassi.
Ed alla mia custode in dono io lo recassi.
Curcuma. Meglio sarebbe.
Fatima. Ho inteso, domani lo faremo.
Curcuma. Quel che può farsi adesso, perchè il differiremo?
Fatima. Perchè il mio genitore questa sera al convito
Voglio che me lo veda con l’altre gemme in dito.
Curcuma. Bene, bene, domani sarò di buon mattino
Fatima. Ma intanto non potreste darmi d’amor consiglio,
Per reggermi più franca a fronte d’un periglio?
Curcuma. Figlia, il consiglio è questo: la quiete non sperate,
D’una rivale ardita se voi non vi disfate;
E per disfarvi d’una, che ha il cor del suo signore.
Armarvi è necessario di sdegno e di furore.
Ma sdegno di parole, furor d’ingiurie è poco;
Altro vi vuol che pianti, per terminare il gioco.
Chiedete il mio consiglio? Eccolo: vi rispondo,
Che con un thè la schiava mandasi all’altro mondo.
Fatima. Ed io rispondo a voi, perfida vecchia indegna,
Che all’anime bennate a tradir non s’insegna.
Sul cuor del mio consorte non ho rival sospetta;
E quando ancor l’avessi, non ne farei vendetta.
Usa pomate e lisci, usa veleni e stili
Con le schiave tue pari, empie, ribalde e vili.
Gemme per te non serbo; serbo per te nel petto
Il disprezzo che merti, la noia ed il dispetto. parte
SCENA IX.
Curcuma, poi Ircana.
Se tu non me la paghi; mai più te la perdono.
Ircana. Dimmi: è colei la sposa?
Curcuma. Sì.
Ircana. Che ti pare? È bella?
Curcuma. Con voi sembra un vapore in faccia di una stella.
Ircana. Come è vezzosa13
Curcuma. Niente.
Ircana. Parla bene?
Curcuma. Nemmeno.
Ircana. Delle gemme non parlo; il viso?
Curcuma. Scolorito.
Altro non ha di belio, che delle gemme in dito.
Ircana. Posso io dunque sperare, che Tamas la disprezzi?
Curcuma. Sì, quando egli le gemme non preferisca ai vezzi.
Ircana. Tamas gioje non cura.
Curcuma. Ma sono belle assai.
Ircana. Di me parlotti forse?
Curcuma.9 Parlommi, e m’irritai.
Ircana. Che disseti l’audace?
Curcuma. Ch’ella è la sposa, e voi
Dovete obbediente servire a’ cenni suoi.
Ircana. Tamas dov’è?
Curcuma. Nol vidi.
Ircana. Cercalo, o Cielo! io fremo.
Obbedirla? servirla? Curcuma, io sudo, io tremo.
Curcuma. Le dissi...
Ircana. Eccolo: parti.
Curcuma. Dissi che voi...
Ircana. T’invola.
Curcuma. Voi siete la padrona...
Ircana. Va via, lasciami sola.
Curcuma. Affé, se avrà il coraggio d’alzar la testa un poco...
Vo a porre in questo punto le pentoline al foco. parte
SCENA X.
Ircana, poi Tamas.
D’un cor che nel mio seno ebbe finor sua stanza.
Ircana. E ben, che rechi?
Tamas. Odimi...
Ircana. Ti confondi.
Parte la sposa tua? Resta con te? Rispondi.
Tamas. Partirà, se lo vuoi, ma che noi voglia15 io spero.
Ircana. Speri che non lo voglia?
Tamas. Frena lo spirto altero.
La vidi; ella ti cede in merto ed in bellezza;
Ma, soffri che io tel dica...
Ircana. Mi supera in dolcezza!
E non è scarso pregio, ancorché non sia vaga.
Donna che facilmente di parole s’appaga. (con ironia
Le schiocche non invidio, io son femmina 16 audace.
Eleggi delle due; sciegli 17 qual più ti piace... altera
Tamas. Ho scelto; e tu lo sai, crudel, se preferita
Ti ho alla sposa non solo, ma al padre ed alla vita.
Questa che a torto insulti, questa che abborri tanto,
Ha di stimarti il pregio, vuol di piacerti il vanto.
Sa che ti adoro, e il soffre; sa che mi piaci, e loda
Che io serbi fede, e sembra, che per te esulti e goda.
Giura le fiamme nostre soffrir senza fatica;
Non la temer rivale, l’avrai compagna e amica.
Che ti par?
Ircana. Non lo credo.
Tamas. T’inganni, idolo mio.
Ircana. Son donna, e delle donne l’arte conosco anch’io.
Tamas. Che puoi temer?
Ircana. Che finga non essere gelosa,
E di vendetta in seno covi la serpe ascosa.
Tamas. No, non può darsi. In viso troppo è modesta e umile.
Ircana. Questo delle alme accorte, questo è l’usato stile.
Tamas, tu non sai quanto sotto un placido aspetto
Quando ho lo sdegno in viso, tu me lo vedi in faccia;
Se mi conosco offesa, dubbio non vi è che io taccia:
Palese è il mio disdegno, palese è la vendetta,
Chi simula e non parla, tempo e comodo aspetta.
Fatima è mia nemica, lo so, non mi lusingo;
Ella di amarmi finge, io l’odio, e non lo fingo.
Tu, se di lei ti cale, vibrami un ferro in petto,
E se di me d preme, scacciala a suo dispetto.
Tamas. Vedila, Ircana, almeno; odi parlar quel labro.
Ircana. Misero! Ti ha incantato la bocca di cinabro?
No, vederla non voglio.
Tamas. Dunque...
Ircana. O Fatima, o io
Fuori di queste mura, o fuor del mondo. Addio.
parte
SCENA XI.
Tamas solo.
Oltre del proprio foco non ode altra ragione.
Dunque, per compiacerla, crudo sarò a tal segno;
E del mio amore in vece, Fatima avrà il mio sdegno?
Ma se d’amor col manto l’odio nel sen coprisse?
Fatima è donna... e donna l’altra è pur, che lo disse.
E la ragione istessa, che fa temer di quella,
Può rendermi d’Ircana sospetta la favella.
No, per sei lune avvezzo è il mio cuore ad amarla,
Nè aver mentito un giorno poss’io rimproverarla.
Questa mi ha date prove certissime di fede;
Fatima è dolce in viso, ma il cor non le si vede.
Potria mentir; ma intanto, la scaccierò? Non deggio.
La torrò meco? O Dio!18 Perdersi Ircana io veggio.
Alì, mio caro Alì, dov’è il tuo cor sincero?
L’oppio per cui brillava, ora lo tiene oppresso;
Ed io tra dubbi e pene non conosco me stesso.
A te volgo la faccia, tempio in Arabia antico,
A cui peregrinando va il grande, e va il mendico.
Kabà G 2, che nella Meca19tra barbari e divoti.
De’ Turchi e Persiani ha le preghiere e i voti.
Giuro venir io stesso, d’oro munito e spoglie,
Con cento schiavi e cento a baciar le tue soglie.
Passar indi a MedinaG 3 dalla Meca prometto,
Ve’ nella ferrea cassa sta sepolto Maometto.
Tutto farò pel solo desio d’aver mia pace.
Fatima fa pietade, ed Ircana mi piace. parte
Fine dell'Atto Secondo.
Note dell'autore
- ↑ Fiume che bagna le mura d’Ispaan, capitale della Persia, e la divide da Zulfa, piccola città, quasi sobborgo della medesima.
- ↑ L’antico tempio della Meca, in cui erano adorati gl’idoli dai Gentili, indi da Maometto assegnato per la peregrinazione de’ suoi seguaci.’.
- ↑ Ove rifugiassi Maometto, e dove morì.
Note del curatore
- ↑ Ed. Zatta: stesso.
- ↑ Ed. Zatta: zolfo.
- ↑ Propriamente Julfa, come scrisse il Goldoni stesso nella commedia che fa seguito alla Sposa Persiana, o Djulfa (Ciolfa dice il Della Valle).
- ↑ Ed. Zatta: stilo.
- ↑ Così l’ed. Pasquali. Le edd. Pitteri e Zatta: facci.
- ↑ Con l’ed. Pitteri. Ed. Pasquali: al lor bene; ed. Zatta: a lor beni.
- ↑ Ed. Zatta: ubbidienza; e così sempre: ubbidir.
- ↑ Ed. Pitteri common.
- ↑ Nell’ed. Zatta c’è la virgola, e poi: e la libertà ecc.
- ↑ Ed. Zatta: ubbidienti.
- ↑ Edd. Pasquali e Zatta: piange.
- ↑ Ed. Zatta: Inquieta e fastidiosa.
- ↑ Ed. Zatta: Come? È vezzosa?’.
- ↑ Ed. Zatta: costanza.
- ↑ Ed. Zatta: vogli.
- ↑ Ed. Pitteri: femina.
- ↑ Ed. Zatta: scegli.
- ↑ Ed. Zatta: Oh Dei!’.
- ↑ Così il Goldoni.