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146 ATTO SECONDO
Spera l’effetto in lui di quel che in noi non vede.

Ho avuto uno smaniglio col parlar destro e scaltro,
E certo non diffido d’avere anche quell’altro;
Uno smaniglio solo a Ircana disconviene,
Su queste nere mani starebbero pur bene!
Ma vuo’ veder la sposa; ella ne avrà de’ belli!
Oh se potessi averne un paio anche di quelli!
Chi sa? La donna antica, se il bel fiore ha perduto,
Senno acquista col tempo, e fa il pensiere arguto.
Vedrò s’ella ha bisogno punto dell’arti mie,
Di lisci, di profumi, d’inganni e di malìe.
La vita che mi resta, già che ho d’amar finito,
Vo’ saziar l’ambizione, la gola e l’appetito.

SCENA III.

Machmut, Fatima coperta d'un velo, e Osmano, preceduti da vari instrumenti; e seguito di Schiavi, che portano su vari bacini la dote della Sposa.

Osmano. Figlia, questo che premi, è del tuo sposo il suolo:

Fuor del paterno impero devi obbedir lui solo.
Finor t’increbbe forse il giogo de’ parenti,
Tanto più ai figli in odio, quanto a lor bene intenti;1
Ma non pensar per questo orgogliosa, altera,
D’aver, per esser donna, la libertade intera.
Passi da un giogo all’altro; qual più pesante e stretto
A te non saprei dirlo, che tu mel dica aspetto.
Pur se soave il brami, sta in tua balìa; contenta
Il tuo destino incontra, il tuo dover rammenta.
L’obbedienza 2 che usasti ai genitor severi,
Usala in avvenire dello sposo agl’imperi;
Che se obbedisti il padre talor con qualche stento,

  1. Con l’ed. Pitteri. Ed. Pasquali: al lor bene; ed. Zatta: a lor beni.
  2. Ed. Zatta: ubbidienza; e così sempre: ubbidir.