La secchia rapita (1930)/Canto sesto
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CANTO SESTO
ARGOMENTO
S’accozzano i due campi, e Salinguerra
a destra i suoi contra i nemici oppone:
Enzio il sinistro corno apre, ed atterra
il pretore, il carroccio e ’l gonfalone;
ma da’ suoi poscia abbandonato in guerra,
resta de’ bolognesi al fin prigione.
Fa gran prove Perinto, e s’appresenta
Bacco orribile al Potta, e lo sgomenta.
1
Sovra l’arco del ciel col sole in fronte
partiva Astrea con le bilance il giorno,
quando i due campi, giá condotti a fronte,
mossero a un tempo l’uno e l’altro corno.
Rintonaron le valli, il piano e ’l monte,
gli argini tutti e la foresta intorno;
mugghiâr le selve e ’l fiume indi vicino,
e le balze tremâr de l’Apennino.
2
Qual su lo stretto ove il figliuol di Giove
divise l’Oceàn dal nostro mare,
se l’uno e l’altro la tempesta move,
vansi l’onde superbe ad incontrare;
cadono infrante, e valle orribil, dove
dianzi eran monti, e spaventosa appare;
trema il lido, arde il ciel, tuonano i lampi:
tal fu il cozzar de’ due famosi campi.
3
Offuscò il cielo, ai rai del sol fe’ scorno
il grandinar de le saette sparte.
Chi si ricorda aver veduto, il giorno
del protettor de la cittá di Marte,
da l’alta mole d’Adriano intorno
cader nembi di razzi in ogni parte,
pensi che fosse ancor piú denso il velo
de la pioggia ch’allor cadde dal cielo.
4
Al frangersi de l’aste, al gran fracasso
de rincontro de l’armi e de’ cavalli,
sembran tutte cader le selve a basso
svelte da l’Alpi, e risonar le valli.
Piú non appar da lato alcuno il passo,
fuggono le distanze e gl’intervalli;
e son giá i prati e le campagne amene
di morte e di terror tutte ripiene.
5
Or preme e incalza, or torna indietro il piede
questa ordinanza e quella; e dove inchina
una schiera, talor l’altra succede,
e ripara in altrui la sua ruina,
indi torna la prima e l’altra cede,
come parte e ritorna onda marina.
Van quinci e quindi i capitani accorti,
spingendo i vili e rinfrancando i forti.
6
— Ah, dicea Salinguerra, uomini vani
che gite armati sol per ornamento,
ove sono le spade, ove le mani,
ove il cor generoso e l’ardimento?
Se vi fanno tremar questi villani
rozzi, senz’armi e senza esperimento,
come potrò sperar ch’oggi vi mova
desio di fama a piú lodata prova?
7
Questa è la via, dove a la gloria vassi:
chi ha spirito d’onor mi segua appresso.
Ecco v’apro il sentiero: ora vedrassi
chi avrá desio d’immortalar se stesso. —
Cosí parla il feroce; e volge i passi
dove il nemico stuol vede piú spesso;
urta il caval, la lancia abbassa, e pare
un vento fier che spinga indietro il mare.
8
Qual ferito nel petto e qual nel volto
fa l’incontro cader de l’asta dura;
si dirada d’intorno il popol folto,
ognun scansa, che può, sua ria ventura;
scontra Stefano e Ghino: e al primo, colto
ne l’occhio destro, il ciel ratto s’oscura;
cade l’altro passato a la gorgiera;
indi uccide Brandan da la Baschiera.
9
Aperta avea la temeraria bocca
Brandano appunto ad oltraggiar quel forte,
quando il ferro crudel giugne, e l’imbrocca
tra denti e denti, e lo conduce a morte.
Ricovra l’asta il valoroso; e tocca
a la cima de l’elmo Ilario Corte,
giovine irresoluto e spensierato;
e ’l fa cader disteso in un fossato.
10
Non lunge il conte di Culagna vede
pomposo d’armi e di bei fregi altero:
e come ardito e poderoso il crede,
gli sprona incontra con sembiante fiero.
Ma il conte lesto si rilancia a piede,
e si ripara dietro al suo destriero:
trascorre l’asta; ed ei subito s’alza,
tocca a pena la staffa, e in sella balza.
11
Chi vide scimia a la percossa infesta
d’importuno fanciul ratta involarsi,
indi tornar d’un salto agile e presta,
passato il colpo, e a la finestra farsi;
pensi che contro a quella lancia in resta
tal rassembrasse il conte a rabbassarsi,
e tale al risalir giusto a pennello
tutto in un tempo e non parer piú quello.
12
E rivoltato a Bernardin Manetta
che ’l rimirava e s’era mosso a riso:
— A fé, dicea, che l’ho giocata netta,
che colui non mi colga a l’improviso.
Io dismontai per orinare in fretta;
e ’l fellon, che si stava in su l’aviso,
m’avea spinto il destrier per fianco addosso:
ma guai a lui se riscontrar lo posso. —
13
Cosí dicendo, a man sinistra torse
dove spigneano innanzi i fiorentini,
credendo uscir de la battaglia forse;
ma quando vide Anton Francesco Dini
da quella parte co’ cavalli opporse,
rivolto a’ suoi soldati e a’ suoi vicini:
— Ritirianci, dicea, da questo sito;
ch’è troppo aperto e non è ben partito. —
14
Rolando che l’udí, si voltò ratto
e ’l percosse del calcio de la lancia,
dicendo: — Codardon, feccia di matto,
non ti si tigne di rossor la guancia?
Se tu quinci non esci o non stai quatto,
giuro a Dio, te la caccio ne la pancia. —
Il conte rispondea: — Non v’adirate,
ché ’l dissi per provar queste brigate. —
15
Torto il mira Roldano; e sol col guardo
gli fa tremar le fibre e le midolle:
indi spronando un corridor leardo,
che ’l pregio al vento e a la saetta tolle,
drizza la lancia al giovine Averardo
che di sangue nemico ei vede molle;
e ferito nel braccio e ne l’ascella,
il transporta sui fior giú de la sella.
16
Ma il Dini gli sospinge incontro i sui,
e grida loro: — Ah pinchelloni, e dove
vi rinculate voi da cotestui,
che fuor de gli altri a battagliar si muove?
Spignete innanzi: a che badate vui?
Testé con alte imaginate prove
affettavate quie come un popone
il mondo: ora v’addiaccia il sollione? —
17
Sprona, cosí dicendo, ove piú stretto
vede lo stuol che conducea Roldano.
È d’un colpo di stocco a mezzo ’l petto
tolta l’indegna vita a Barisano.
Al Teggia, che ’l feriva in su l’elmetto
con una mazzaranga ch’avea in mano,
credendolo schiacciar come un ranocchio,
d’un rovescio levò l’uno e l’altr’occhio.
18
Cosí quivi si pugna e si contende;
ma da la parte verso ’l mezzo giorno
il re con piú fervor gli animi accende,
e spigne i suoi contra ’l sinistro corno.
Ei qual cometa minacciosa splende,
d’oro e di piume alteramente adorno:
cinto è de’ suo’ germani; e lor rivolto
parla in barbaro suon con fiero volto:
19
— O de l’imperio di Germania fiore,
anime eccelse, eccovi l’ora e ’l campo,
in cui risplenderá vostro valore
di glorioso inestinguibil lampo.
Io, confidato in voi, mi sento il core
tutto infiammar di generoso vampo;
e su questi papisti oggi disegno
di lasciar con la spada orribil segno.
20
Seguitatemi voi, ché l’empia setta
qui tutte accolte ha le sue forze estreme,
perché possa una sol giusta vendetta
l’ira sfogar di tante ingiurie insieme.
Se vaghezza di fama il cor v’alletta,
se l’onor de la patria oggi vi preme,
se v’è caro mio padre o molto o poco,
quest’è il tempo ch’io ’l vegga e questo è il loco.
21
Cosí detto, il feroce urta il destriero,
e l’asta a un tempo e la visiera abbassa;
e tra nemici impetuoso e fiero,
qual fulmine tra cerri, incontra e passa.
Baldin Ghiselli e Lippo Ghiselliero
e Antonel Ghisellardi in terra lassa,
e Melchior Ghisellini e Guazzarotto,
bisavo che fu poi di Ramazzotto.
22
Giandon da la Porretta era un petronio
grande come un gigante, o poco meno;
e in vece d’un caval reggea un demonio,
(cred’io) senz’adoprar sella né freno:
un de’ mostri parea di sant’Antonio,
né pasceva il crudel biada né fieno;
ma gli uomini mangiava, e distruggea
co’ denti il ferro, e un corno in testa avea.
23
La fera bestia un dopo l’altro uccise
quattro tedeschi, ed era dietro al quinto:
ma il re la lancia in mezzo ’l cor gli mise,
e gliel fece cader giá mezzo estinto.
Ruppesi l’asta e ’l re non si conquise:
ma, tratta fuor la spada ond’era cinto,
divise d’un fendente il capo armato
a Giandon che giá in piedi era levato.
24
Bigon di Geremia, che di lontano
a la strage de’ suoi gli occhi rivolse,
per fianco addosso al re spronò; ma in vano,
ché il conte di Nabrona il colpo tolse.
Il conte cadde, a quell’incontro, al piano;
ma subito fu in piedi e si raccolse,
ché vide il suo signor mover d’un salto
contra Bigone e alzar la spada in alto.
25
Bigone attende il re ne l’armi stretto,
ma non gli giova alzar né oppor lo scudo,
ché ’l brando il fende e fa balzar l’elmetto
sciolto da’ lacci, impetuoso e crudo.
Raddoppia il colpo il valoroso, e netto
gli tronca da le spalle il capo ignudo:
esce lo spirto, e in caldo fiato unito
raggirandosi vola ov’è rapito.
26
Morto Bigone, il re tutta fracassa
la schiera sua, né qui l’impeto arresta;
urta per fianco impetuoso, e passa
tra la gente pedestre e la calpesta.
Ovunque il corso drizza, uomini lassa
uccisi a monti la crudel tempesta
del barbaro furor, che ’l re seconda,
e di fiumi di sangue i campi inonda.
27
Seguono i garfagnini: e ’l re sospinto
da fatale furor, giá penetrato
dove il carroccio di sue guardie cinto
fra l’ultime ordinanze era fermato,
con l’urto di mill’aste apre quel cinto.
Cede ogn’incontro al vincitore armato:
e del carroccio è giú tratto di botto
lo stendardo maggior squarciato e rotto.
28
Fu al podestá messer Filippo Ugone,
ch’era rimaso attonito e perduto,
da certi garfagnin tolto il robone
e la berretta ch’era di veluto;
ei del carroccio si lanciò in giubbone,
pregando in vano e addimandando aiuto;
e da l’impeto fier colto, in un fosso
cadde rovescio col carroccio addosso.
29
Gli asini, che condotte ai fiorentini
le noci dietro e le castagne aviéno,
a vista del carroccio assai vicini
stavan pascendo in un pratello ameno;
quando i tedeschi a un tempo e i garfagnini
trassero quivi tutti a sciolto freno,
da l’ingordigia di rubar tirati:
e non restâr col re trenta soldati.
30
Il sagace Tognon, che la vendetta
pronta si vide, uní le genti sparte;
e diede aviso a i due Malvezzi in fretta
che volgessero tosto a quella parte:
indi avendo al tornar la via intercetta
a quei che saccheggiavano in disparte
i fichi secchi e le castagne in forno,
cinse d’armi e cavalli il re d’intorno.
31
Il re, che si rivolge e ’l guardo gira
e ’l suo periglio in un momento ha scorto,
dal profondo del cor geme e sospira,
ché senza dubbio alcun si vede morto:
ma il dolor cede, e si rinforza l’ira,
né vuol morir senza vendetta a torto:
stringe la spada, urta il destriero, e dove
piú chiuso è il passo, impetuoso il move.
32
Qual tigre in su la preda a la foresta
colta da’ cacciatori e circondata,
poi che al periglio suo leva la testa,
volge fremendo i livid’occhi e guata;
indi s’avventa incontra l’armi, e resta
del proprio e de l’altrui sangue bagnata:
tal fra l’armi nemiche il re s’avventa,
ché ’l magnanimo cor nulla paventa.
33
Mena al primo ch’incontra: e a Braganosso,
figliuol di Pandragon Caccianemico,
l’elmo divide e la cotenna e l’osso,
la faccia, il petto, e giú fino al bellico;
indi toglie la vita a Min del Rosso,
ch’un’armatura avea di ferro antico
da suo bisavo in Francia giá comprata,
e tutti la tenean per incantata.
34
Non la poté falsar la buona spada,
ma piegò il cavaliero in su la sella,
e scorrendo a l’in su per dritta strada,
passò la gola e uscí da una mascella;
onde convien che Mino estinto cada;
vinto è l’incanto da nemica stella;
non può cozzar col ciel l’ingegno umano,
ch’eterno è l’uno, e l’altro è frale e vano.
35
Di due percosse il re fu colto in tanto
su l’elmo e a sommo ’l petto al gorgerino:
de la seconda ebbe l’onore e ’l vanto
Vanni Maggio figliuol di Caterino:
ma con forza maggior dal destro canto
il ferí Gabbion di Gozzadino,
che con un colpo d’alabarda fiero
di testa gli levò tutto il cimiero.
36
A lui si volse il re con un riverso,
e ’l colse a punto al confinar del ciglio:
tutta la testa gli tagliò a traverso,
balzò un occhio lontan da l’altro un miglio,
per la cuffia il cervel se ’n gío disperso;
stè in sella il tronco e l’alma andò in esiglio,
e ’l destriero, che ’l fren sentía piú lasso,
incognito il portava attorno a spasso.
37
Non ferma qui la furibonda spada
ch’era una lama da la lupa antica;
ma tronca, svena, fende, apre e dirada
ciò ch’ella incontra; uomini ed armi abbica.
Or quinci, or quindi si fa dar la strada,
ma innumerabil turba il passo intrica:
veggonsi in aria andar teste e cervella,
e nel sangue notar milze e budella.
38
Da mille lance il re percosso e cinto
e da mille spuntoni e mille dardi,
tutto è molle di sangue, e mezzo estinto
ha il famoso drappel di que’ gagliardi.
Tognon rimproccia i suoi da l’ira vinto,
e grida: — Ah feccia d’uomini codardi,
sí vilmente morir, scannaminestre?
Che vi sia dato il pan con le balestre! —
39
Sospinse il rampognar di quell’altiero
ognuno incontro al re, cui sol restato
vivo de’ suoi nel gran periglio è il fiero
Leupoldo conte di Nebrona a lato:
morto da cento lance il buon destriero
sotto il re cadde; ed egli in piè balzato,
fulmina e uccide di due colpi orrendi
Petronio ed Andalò de’ Carisendi.
40
Berto Gallucci e ’l Gobbo de la Lira
gli sono sopra, e l’uno e l’altro il fiede;
ma il generoso cor non si ritira,
ben che sieno a cavallo, ed egli a piede.
Il conte che si volge e ’n terra il mira,
balza di sella, e ’l suo caval gli cede;
ed ei, perché rimonti il suo signore,
rimatisi a piedi, e ’n mezzo a l’armi muore.
41
Il re prende la briglia e salir tenta:
ma lo distorna il Gobbo e gliel contende.
Egli una punta al fianco gli appresenta,
e con la gobba al pian morto lo stende.
Tognon smonta fra tanto, e al re s’avventa
dietro le spalle, e ne le braccia il prende;
e Pasotto Fantucci e Francalosso
e Berto e Zagarin gli sono addosso.
42
Il re si scuote, e a un tempo il ferro caccia
nel ventre a Zagarin che gli è a rimpetto;
ma non può svilupparsi da le braccia
di Tognon, che gli cinge i fianchi e ’l petto:
ed ecco Periteo giugne e l’abbraccia
subito anch’egli, e ’l tien serrato e stretto;
ei l’uno e l’altro or tira, or alza, or spigne,
ma da’ legami lor non si discigne.
43
Qual fiero toro, a cui di funi ignote
cinto fu il corno e ’l piè da cauta mano,
muggisce, sbuffa, si contorce e scuote,
urta, si lancia e si dibatte in vano;
e quando al fin de’ lacci uscir non puote,
cader si lascia afflitto e stanco al piano:
tal l’indomito re, poiché comprese
d’affaticarsi indarno, al fin si rese.
44
Fu drizzato il carroccio, e fu rimesso
in sedia il podestá tutto infangato.
Non si trovò il robon, ma gli fu messo
in dosso una corazza da soldato.
Le calze rosse a brache avea, col fesso
dietro, e dinanzi un braghetton frappato,
e una squarcina in man larga una spanna:
parea il bargel di Caifás e d’Anna.
45
Ei gridava in bresciano: — Innanz, innanzi;
che l’è rott’ol nemig, valent soldati:
feghe sbitá la schitta a tucch sti lanzi
maledetti da Dé, scommunegati. —
Cosí dicendo, giá vedea gli avanzi
del destro corno andar qua e lá sbandati,
e raggirarsi per que’ campi aprichi
cercando di salvar la pancia ai fichi:
46
però che ’l buon Perinto avea giá rotti
tedeschi e sardi e garfagnini e côrsi
e gli altri ch’al bottin fallace, indotti
da mal cauta speranza, erano corsi.
I tedeschi, del vino ingordi e ghiotti,
dietro a certi barili eran trascorsi,
che ne credeano far dolce rapina;
e in cambio di verdea trovâr tonnina.
47
Al primo suon de la nemica pesta
il popolo del mar le spalle diede;
si restrinse il tedesco e fece testa;
in dubbio il garfagnin sospese il piede:
ma la cavalleria giugne e calpesta
con impeto e furor la gente a piede;
né la picca tedesca o l’alabarda
ferma i cavalli armati o li ritarda.
48
A Corrado Roncolfo, il capocaccia
del re, che facea agli altri animo e scudo,
sovragiugne Perinto, e ne la faccia
mette per la visiera il ferro crudo.
A Guglielmo Sterlin, nato in Alsaccia,
tronca d’un man rovescio il collo ignudo,
e Ridolfo d’Augusta e Giorgio d’Ascia
feriti di due punte in terra lascia.
49
Un giovinetto fier nato su ’l Reno,
su ’l Panáro nudrito, Ernesto detto,
che col bel viso e col guardo sereno
potea infiammar qual piú gelato petto,
vedendo i suoi che giá le spalle aviéno
volte a fuggir, da generoso affetto
e da nobil desio di gloria mosso,
un destriero african gli spinse addosso.
50
Perinto il colpo del garzone attende,
e a l’arrivar ch’ei fa, cala un fendente.
Il destrier, che di scherma non s’intende,
s’arresta come il suon del ferro sente.
A l’estremo del collo il brando scende;
cade in terra il meschin morto repente.
Ernesto, che mancarsi il destrier mira,
balza in piedi di sdegno acceso e d’ira;
51
e d’una punta ne la coscia il fiede.
Volge Perinto e ’l ferro a un tempo abbassa;
ma ei si ritira, e de l’antico piede
d’un olmo si fa scudo, e ’l campo lassa:
quei l’incalza fremendo, ed egli cede,
e va girando e fugge e torna e passa.
Cosí corre a la pianta e si difende
il ramarro, che ’l bracco a seguir prende.
52
Jaconia capitan de’ Soraggini,
ch’amava Ernesto piú de la sua vita,
poi che gli occhi rivolse ai rai divini
onde l’anima accesa era invaghita,
e ’l vide star su gli ultimi confini,
corse precipitoso a dargli aita,
abbandonando i suoi che mal condotti
in fuga se ne gían sbandati e rotti.
53
In arrivando il ritrovò piagato
nel destro fianco e da la doglia vinto;
spinse il destrier d’un salto, e ’l brando alzato
su la fronte a due man ferí Perinto:
e se non che quell’elmo era temprato
per man del saggio Argon, l’avrebbe estinto;
ma di sé tolto e di cader in forse,
portato dal destrier qua e lá trascorse.
54
Al garzon, Jaconia rivolto allora:
— Ernesto, gli dicea, la nostra gente
rotta si fugge, e noi facciam dimora,
e perdiamo la vita inutilmente.
Deh non voler che cada insieme a un’ora
mia viva speme e tua beltá innocente. —
— Vattene, rispond’ei, ché ’l destrier mio
vendicar voglio o qui morire anch’io. —
55
— O fanciul troppo ardito e poco accorto,
soggiunge Jaconia, mira che questa
che ci costrigne a ritirarne in porto,
è piú ch’a te non par fiera tempesta.
Ma se l’affanno d’un destrier giá morto
e la vendetta sua quivi t’arresta,
prenditi in dono il mio. — Né piú s’estese;
ma gli porse la briglia, e giú discese.
56
Quegli ’l ricusa; ed egli pur s’affretta
che ’l prenda, e mentre i prieghi orna e rinforza,
ecco torna Perinto a la vendetta,
e fere Jaconia di tutta forza.
Con quel furor che vien dal ciel saetta,
passa il brando crudel la ferrea scorza
del grave scudo e la corazza forte,
e lascia Jaconia ferito a morte.
57
Cadde il misero in terra; e quasi a un punto
poco lungi da lui cadde Perinto,
cui, passato nel petto e nel cor punto,
restò il cavallo a quell’incontro estinto.
Al suo vantaggio allor non bada punto
Ernesto, e corre da la rabbia vinto
a mezza spada a disperata guerra,
poi che l’amico suo vede per terra.
58
Ernesto di due colpi in su l’elmetto
con tanta forza il cavalier percosse,
che ribattendo su l’arcion col petto
sovra il morto destrier tutto piegosse.
Lo sguardo allor drizzando al giovinetto,
su le ginocchia Jaconia levosse,
e disse: — Ah non voler perir tu ancora,
lascia ch’io sol per la tua vita mora. —
59
E dicea il ver, s’un ostinato core
fosse stato del ver punto capace:
surse Perinto e strinse con furore
la spada contro il giovinetto audace.
Jaconia con quell’ultimo vigore
che gli somministrò l’alma fugace,
per impedire il colpo al ferro crudo,
lanciò contra Perinto il proprio scudo.
60
Ma quello sforzo aprí la piaga, e sparse
l’alma col sangue, e certo fu peccato;
ch’amico piú fedel non potea darse,
e non bevea giammai vino inacquato.
Lo scudo ch’ei lanciò, venne a incontrarse
nel braccio che spingea Perinto irato
e nel volto e nel petto e ne la mano,
e gli fe’ rimaner quel colpo vano.
61
Ma che pro, se ’l garzon non si ritira,
e nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?
Colpi raddoppia a colpi, e a ferir mira
dove s’apre la piastra e si congiugne.
Perinto avvampa di disdegno e d’ira,
e d’una punta a mezzo il ventre il giugne:
la panciera d’Ettòr, ch’era incantata,
non gli avrebbe la vita allor salvata.
62
Cade Ernesto morendo in su la piaga,
e chiama Jaconia che nulla sente;
esce un rivo di sangue e si dilaga,
s’oscura de’ begli occhi il dí lucente;
l’anima sciolta disdegnosa e vaga
dietro a l’amico suo vola repente.
Salta Perinto in su ’l destrier che trova,
e ’l volge a ricercar battaglia nuova.
63
Né giá ritorna ove fuggir vedea
quei ch’ingannò la fiorentina preda,
ché vittoria stimò vile e plebea
cacciar gente che fugga e ’l campo ceda:
ma, dove in mezzo la battaglia ardea,
contra ’l Potta sen va; come se ’l creda
bere in un sorso, e la cittá sua tutta
ne’ sterquilini suoi lasciar distrutta.
64
Guido scontrò, che de la pugna usciva
con mezza spada e una ferita in testa,
e a medicarsi al padiglion se ’n giva
per man del suo barbier mastro Tempesta.
Indi trovò, che ’l suo signor seguiva,
messa in terror la ravignana gesta;
le si fe’ incontro, e con superbo grido:
— Tornate, disse, indietro, o ch’io v’uccido. —
65
Ed a l’alfier che ’l rimirava fiso,
senz’altro moto far, come chi sdegna,
fulminò d’un man dritto a mezzo ’l viso:
— Cosí, dicendo, d’ubbidir s’insegna. —
Riman colui del fiero colpo ucciso,
ed egli di sua man spiega l’insegna.
Alzano i ravignani allor le grida,
e ’l seguono animosi ove gli guida.
66
Il Potta, che tornar vede la schiera
che dianzi fuor de la battaglia usciva,
rivolto a Tomasin ch’a lato gli era:
— Per vita, gli dicea, de la tua diva,
ad incontrar va’ tu quella bandiera,
che se ’n riede a la pugna onde fuggiva,
e mostra il tuo valor, spiega i tuoi vanti
contra quei malandrin scorticasanti. —
67
Nulla risponde; e contra i ravennati
Tomasin, a quel dir, strigne gli sproni
con una compagnia di scapigliati,
dediti al gioco e a far volar piccioni,
che triganieri fûr cognominati,
nemici naturai de’ bacchettoni;
gente che ’l ciel avea posto in oblio,
e l’appetito sol tenea per Dio.
68
Con questi il Gorzanese ardito e franco
ratto si mosse, e al primo incontro uccise
Gaspar Lunardi e Desiderio Bianco,
e a Lamberto Raspon l’elmo divise:
quando Perinto lo ferí per fianco
con l’asta de l’insegna; e in modo arrise
fortuna al suo valor, ch’in terra cade,
e restò prigionier fra mille spade.
69
Perduto il capitan, l’impeto allenta
la gente sua che ’l disvantaggio vede:
ma non fugge però né si sgomenta,
e torna in ordinanza in dietro il piede.
Perinto, poi ch’a Ostasio da Polenta
che tra’ primi il seguia l’insegna diede,
Jotatan con la spada in terra mette
e Barbante figliuol di Mazzasette.
70
Ma intanto il Potta, udito il caso fiero
di Tomasino, e, quel che piú gli dolse,
del re de’ sardi rotto e prigioniero,
santa Nafissa a bestemmiar si volse:
e montato su un’erta col destriero,
pur novella speranza anco raccolse;
ché le bandiere de’ nemici sparte
vide fuggir de la sinistra parte.
71
E di vederne il fin giá risoluto,
scendea da l’alto, e raccendeva l’ire;
quando un gigante orribile e cornuto
gli apparve e l’atterrí con questo dire:
— Che pensi? ogni ardimento è qui perduto:
pensa di ritirarti o di morire.
Ecco ti svelo i lumi: or tu rimira
de la terra e del ciel lo sforzo e l’ira.
72
Vedi lá guerreggiar l’empia Bellona,
tinta di sangue incontro a le tue schiere:
vedi il superbo figlio di Latona
quanti coll’arco suo ne fa cadere.
Marte, ch’in tuo favor pugna, abbandona
stanco e sudato omai le tue bandiere.
Tu a raccolta le chiama, e le conserva
da lo sdegno di Febo e di Minerva. —
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Qui tacque il fero mostro, e in un momento,
come sparisce il sogno a l’ammalato,
ritirò il piede, e si converse in vento,
e ’l Potta di stupor lasciò ingombrato.
Bacco era questi, a generar spavento
in quella forma orribile cangiato,
che combattuto avea col dio di Cinto,
e si partía de la battaglia vinto;
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e giva a ricercar nuovo partito,
perché non fosse il popol suo disfatto.
Rimase il Potta attonito e smarrito,
e si fe’ il segno de la croce a un tratto;
ch’un demonio il credé, fuor di Cocito
a spaventarlo in quella forma tratto.
Stette sospeso un poco, indi fe’ quanto
descritto fia da me ne l’altro canto.