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canto sesto | 105 |
31
Il re, che si rivolge e ’l guardo gira
e ’l suo periglio in un momento ha scorto,
dal profondo del cor geme e sospira,
ché senza dubbio alcun si vede morto:
ma il dolor cede, e si rinforza l’ira,
né vuol morir senza vendetta a torto:
stringe la spada, urta il destriero, e dove
piú chiuso è il passo, impetuoso il move.
32
Qual tigre in su la preda a la foresta
colta da’ cacciatori e circondata,
poi che al periglio suo leva la testa,
volge fremendo i livid’occhi e guata;
indi s’avventa incontra l’armi, e resta
del proprio e de l’altrui sangue bagnata:
tal fra l’armi nemiche il re s’avventa,
ché ’l magnanimo cor nulla paventa.
33
Mena al primo ch’incontra: e a Braganosso,
figliuol di Pandragon Caccianemico,
l’elmo divide e la cotenna e l’osso,
la faccia, il petto, e giú fino al bellico;
indi toglie la vita a Min del Rosso,
ch’un’armatura avea di ferro antico
da suo bisavo in Francia giá comprata,
e tutti la tenean per incantata.
34
Non la poté falsar la buona spada,
ma piegò il cavaliero in su la sella,
e scorrendo a l’in su per dritta strada,
passò la gola e uscí da una mascella;
onde convien che Mino estinto cada;
vinto è l’incanto da nemica stella;
non può cozzar col ciel l’ingegno umano,
ch’eterno è l’uno, e l’altro è frale e vano.