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106 | la secchia rapita |
35
Di due percosse il re fu colto in tanto
su l’elmo e a sommo ’l petto al gorgerino:
de la seconda ebbe l’onore e ’l vanto
Vanni Maggio figliuol di Caterino:
ma con forza maggior dal destro canto
il ferí Gabbion di Gozzadino,
che con un colpo d’alabarda fiero
di testa gli levò tutto il cimiero.
36
A lui si volse il re con un riverso,
e ’l colse a punto al confinar del ciglio:
tutta la testa gli tagliò a traverso,
balzò un occhio lontan da l’altro un miglio,
per la cuffia il cervel se ’n gío disperso;
stè in sella il tronco e l’alma andò in esiglio,
e ’l destriero, che ’l fren sentía piú lasso,
incognito il portava attorno a spasso.
37
Non ferma qui la furibonda spada
ch’era una lama da la lupa antica;
ma tronca, svena, fende, apre e dirada
ciò ch’ella incontra; uomini ed armi abbica.
Or quinci, or quindi si fa dar la strada,
ma innumerabil turba il passo intrica:
veggonsi in aria andar teste e cervella,
e nel sangue notar milze e budella.
38
Da mille lance il re percosso e cinto
e da mille spuntoni e mille dardi,
tutto è molle di sangue, e mezzo estinto
ha il famoso drappel di que’ gagliardi.
Tognon rimproccia i suoi da l’ira vinto,
e grida: — Ah feccia d’uomini codardi,
sí vilmente morir, scannaminestre?
Che vi sia dato il pan con le balestre! —