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112 la secchia rapita


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     E dicea il ver, s’un ostinato core
fosse stato del ver punto capace:
surse Perinto e strinse con furore
la spada contro il giovinetto audace.
Jaconia con quell’ultimo vigore
che gli somministrò l’alma fugace,
per impedire il colpo al ferro crudo,
lanciò contra Perinto il proprio scudo.
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     Ma quello sforzo aprí la piaga, e sparse
l’alma col sangue, e certo fu peccato;
ch’amico piú fedel non potea darse,
e non bevea giammai vino inacquato.
Lo scudo ch’ei lanciò, venne a incontrarse
nel braccio che spingea Perinto irato
e nel volto e nel petto e ne la mano,
e gli fe’ rimaner quel colpo vano.
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     Ma che pro, se ’l garzon non si ritira,
e nuova fiamma al vecchio incendio aggiugne?
Colpi raddoppia a colpi, e a ferir mira
dove s’apre la piastra e si congiugne.
Perinto avvampa di disdegno e d’ira,
e d’una punta a mezzo il ventre il giugne:
la panciera d’Ettòr, ch’era incantata,
non gli avrebbe la vita allor salvata.
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     Cade Ernesto morendo in su la piaga,
e chiama Jaconia che nulla sente;
esce un rivo di sangue e si dilaga,
s’oscura de’ begli occhi il dí lucente;
l’anima sciolta disdegnosa e vaga
dietro a l’amico suo vola repente.
Salta Perinto in su ’l destrier che trova,
e ’l volge a ricercar battaglia nuova.