La scienza nuova - Volume I/Introduzione dell'editore/II

II. Le varie redazioni della Scienza nuova

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II. Le varie redazioni della Scienza nuova
Introduzione dell'editore - I Introduzione dell'editore - III

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II





La prima redazione della Scienza nuova è data dunque, come s’è accennato, dal Diritto universale. Prima, almeno di quelle di cui si abbia certa notizia, perchè tutto fa supporre che essa sia stata preceduta da un’altra ora smarrita. A parte la considerazione che sarebbe inverisimile che il Vico, con tutte quelle idee che gli tumultuavano nel cervello, non sentisse mai il bisogno di fissarle sulla carta, almeno per proprio uso, in una forma purchessia; a parte anche che opere come il Diritto universale1 non possono essere scritte di getto, ma sono sempre precedute da abbozzi più o meno riusciti; c'è, oltre queste e altre simili ragioni che il Vico chiamerebbe «pruove negative», anche una prova positiva. Vale a dire, tra gli autografi vichiani conservati in casa dei marchesi di Villarosa esiste un frammento, il quale finora è stato creduto prefazione allo smarrito Comento a Grozio (anche questo, indubbiamente, esposizione polemica delle idee vichiane), ma che, dopo l’acuta analisi del Croce2, dev’essere ritenuto, invece, commiato d’un lavoro originale, il quale non può essere se non un primo (o secondo, o terzo, o quarto) [p. xxvii modifica]getto dell’opera capitale del Vico. Pare che esso fosse ripartito in tre libri; che trattasse « de metaphysica, de philologia, de re morali ac civili, de lingua, historia et iurisprudentia romana...., de iure naturali gentium »; e che nel terzo libro il Vico si proponesse specialmente di dimostrare falso il « labefactare inconditis rationibus et distractis auctorum locis, quamquam numero plurimis, et magis memoria quam mente ».

Comunque, è col Diritto universale che le idee vichiane presero per la prima volta assetto e forma tali da sembrare all’autore degne di essere esposte alla luce. L’opera, come s’è detto, si divide in due libri, diversi di mole e per sistema espositivo. Il primo, oltre un proloquium e una conclusio, si suddivide in dugentoventidue brevi paragrafi, che talvolta hanno forma semplicemente aforistica: delle due parti onde consta l’altro, la prima contiene soltanto venti capitoletti, laddove la seconda abbraccia trentasette capitoli, talvolta assai lunghi e suddivisi in paragrafi. Circa la consistenza, basterà ricordare col Croce3, che l’opera va considerata, quale appunto la riteneva il Vico, semplice «abbozzo» della Scienza nuova, in quanto «le idee sulla poesia vi sono ancora perplesse..., i canoni mitologici sono meno unitarii di quel che divennero poi, la teoria dei ricorsi vi è appena debolmente adombrata, e insomma, così la storia ideale eterna come la gnoseologia, sulla quale essa si fonda, sono ancora immature ».

Basta ciò a mostrare come il Vico ben presto dovesse esserne scontento. Cominciò a principio a tempestare di correzioni e giunte marginali quanti esemplari gli occorresse di donare ad amici e a persone di riguardo, non escluso quello inviato al principe Eugenio di Savoia, che [p. xxviii modifica]sembra anzi ne avesse in maggiore quantità4. Ma in breve codeste postille ascesero a un numero così esorbitante, e molte di esse presero proporzioni così ampie, che al Vico s’impose la necessità di raccoglierle in un libro a parte. Ed ecco venir fuori nel 1722 le Note al Diritto universale5; note per modo di dire, perchè il non esiguo volume che le contiene, per una parte è già rifacimento di alcuni punti dell’opera principale, e per un’altra parte ha aggiunte di così capitale importanza (per esempio, la teoria omerica, che qui appare per la prima volta) da dover essere considerato già quale seconda redazione della Scienza nuova.

Passiamo alla terza, che è conosciuta col nome di Scienza nuova in forma negativa e che sventuratamente è andata smarrita. Scritta probabilmente durante tutto il 1723 e i principii del 1724, la nuova opera era contenuta in un grosso volume di circa 600 fogli (ossia 1000 pagine)6, che il Vico aveva riempiuti col suo caratterino fìtto e minuto. Come il Diritto universale si divideva in due libri; ma, tranne questa estrinseca simiglianza, le differenze fra i due lavori dovevano essere già profonde e sostanziali. Anzitutto (e non è particolare di piccolo momento) il Vico, sperando forse di conseguire maggiore popolarità e tenendo probabilmente fiso l’occhio a [p. xxix modifica]Cartesio, che ne aveva avuta tanta scrivendo in francese il Discours de la méthode, si risolvette per la prima volta ad abbandonare il latino, adoperato costantemente da lui fino allora nelle opere scientifiche7, e a valersi del volgare. Inoltre la Scienza nuova in forma negativa comincia già a perdere quel carattere prevalentemente giuridico che è proprio del Diritto universale e acquista quell’aspetto filosofico-storico che viene sempre più accentuato nelle posteriori redazioni. E invero, il Vico stesso c’informa che «nel primo libro egli andava a ritrovare i principii del diritto naturale delle genti [ossia della civiltà] dentro quelli dell’umanità delle nazioni per via d’inverisimiglianze, sconcezze ed impossibilità di tutto ciò che avevano gli altri [Grozio, Selden e Puffendorf] più immaginato che ragionato; in conseguenza del quale nel secondo egli spiegava la generazione de’ costumi umani con una certa cronologia ragionata di tempo oscuro e favoloso de’ Greci, da’ quali abbiamo tutto ciò che si ha delle antichità gentilesche»8. Altre notizie non possiamo aggiungere, giacchè quelle, apparentemente più diffuse ma in realtà assai più generali, che il Vico dà in una lettera a monsignor Filippo Maria Monti9 si possono adattare a qualsiasi redazione della Scienza nuova, anche alle ultimissime.

Non è certo il caso di narrare minutamente le dolorose vicende di codesta terza redazione10. Chi non le conosce e chi non ha sparsa una lagrima nel leggere una famosa postilla vichiana a una lettera del cardinal Lorenzo Corsini? «Lettera di S. E. Corsini, che non ha facultà di [p. xxx modifica]somministrarela spesa della stampa dell’opera precedente alla Scienza nuova [ossia della Scienza nuova in forma negativa]; onde fui messo in necessità di pensar questa [la prima Scienza nuova] dalla mia povertà, che restrinse il mio spirito a stamparne quel libricciuolo, traendomi un anello che aveva, ove era un diamante di cinque grani di purissima acqua, col cui prezzo potei pagarne la stampa e la legatura degli esemplari del libro; il quale, perchè mel trovai promesso e divolgato, dedicai ad esso signor cardinale»11. Povero Vico! Quanto strazio in quella particolareggiata descrizione dell’anello, e quanto amaro rimpianto in quel «traendomi», che è così diverso dal semplice «vendendo»! Chi sa? un anello forse ereditato dal padre, forse appartenente alla moglie, forse destinato a qualche figlia in occasione d’una lieta cerimonia; e, a ogni modo, unico oggetto di lusso in una casa in cui era sempre regnata squallida la miseria!

Ma non per nulla il Vico aveva l’animo grande. E benedisse anziché imprecare alla Provvidenza, che con quel «colpo di avversa fortuna», purtroppo né primo né ultimo, aveva voluto dargli il salutare avviso che il metodo negativo, ossia polemico, non era degno dell’opera sua, «facendo piuttosto forza che soddisfacendo la mente umana»; e che quindi occorreva che egli restringesse ancora una volta tutto il suo spirito «in un’aspra meditazione per ritrovare un metodo positivo e più stretto, e quindi più ancora efficace»12. Il risultato di questo sforzo, a cui non si può dare altro aggettivo se non quello, tanto caro al Vico, di «eroico», fu l’aureo libretto che si conosce col nome di Scienza nuova prima, scritto in soli [p. xxxi modifica]due o tre mesi e pubblicato verso la fine del 172513. Tutto ciò che il Vico aveva fin allora pensato è ristretto in dugentottantadue paginette, per altro di fittissimo carattere (in carattere «di testino», dice il Vico14), e ripartito in cinque capitoli (che poi negli esemplari postillati15 divennero libri), sproporzionatissimi tra loro. Basti dire che il quarto occupa due sole pagine, laddove gli altri sono suddivisi rispettivamente in 13, 67, 41 e 11 paragrafi (diventati poi capitoli). La materia per altro è disposta in modo molto più perspicuo che non nel Diritto universale e il metodo di trattazione s’accosta sempre più a quello della redazione definitiva. Dopo un primo capitolo (o libro) prevalentemente polemico (contro Grozio, Selden e Puffendorf), il quale senza dubbio è riassunto del primo libro della Scienza nuova in forma negativa il Vico tratta nel secondo e terzo capitolo di quel complesso di dottrine e raffronti storici, a cui nella seconda Scienza nuova doveva dare poi il titolo di Sapienza poetica. Con che non si vuol dire che ci sia già l’idea precisa di una Sapienza poetica, ripartita in tante divisioni primarie quante sono«le subalterne scienze poetiche» (Metafisica, Logica, Morale, Iconomica, Politica, Fisica, Cosmografia, Astronomia [p. xxxii modifica]e Geografia)16, e da cui derivi come corollario la Discoverta del vero Omero. Ma, approssimativamente, si può asserire che nel capitolo terzo il Vico discorra a preferenza di ciò che in séguito doveva divenire argomento della Logica poetica (accennando qua e là ad alcuni punti della questione omerica), e che nel capitolo secondo anticipi in modo assai confuso ciò che poi avrebbe costituito l’oggetto delle altre scienze poetiche sopra ricordate. Maggiore analogia vi ha tra il quarto libro della seconda Scienza nuova e il quinto capitolo della prima, il quale tratta in parte il Corso delle nazioni (qualcos’altro se ne trova nel capitolo secondo): la teoria dei ricorsi, nella prima Scienza nuova come già nel Diritto universale, è appena accennata. Chiudono l’opera una breve conclusione e due tavole: una (divisa in quaranta paragrafi), «delle tradizioni volgari»; l’altra, delle sette «discoverte generali» della Scienza nuova.

Il lettore, ormai pratico del modo di lavorare del Vico, avrà già intuito che alla prima Scienza nuova avvenne lo stesso che al Diritto universale. Ossia il Vico, scontentissimo al solito della sua opera, cominciò a rattoppare tutti i buchi, che vi trovava, con postille, le quali, crescendo sempre di numero e di estensione, giunsero nel 1727 a un grosso manoscritto di ben 300 fogli (600 pagine), vale a dire a un comento due volte più lungo del testo cui si riferiva. Questa quinta redazione — testo e comento insieme — fu quella da lui offerta nel 1728 al Conti e al Lodoli e che s’incominciò a stampare in Venezia. Farne più lungo discorso e raccontare l’altro dispiacere che toccò al Vico (stavolta a causa del suo temperamento troppo irascibile e permaloso) è inutile, perchè significherebbe anticipare ciò che il Vico narra minutamente [p. xxxiii modifica]l’Occasione di meditarsi quest’opera, premessa alla seconda Scienza nuova, e che noi riproduciamo a principio della nostra edizione. Sicché possiamo passare senz’altro alla sesta redazione, conosciuta per l’appunto col nome di Scienza nuova seconda17.

Scritta tutta d’un fiato dal 25 decembre 1729 al 9 aprile 1730, essa s’incominciò subito a stampare presso Felice Mosca e alla fine del 173018 era già in commercio. E bene notare che scopo primitivo del Vico fu non già quello di scrivere un’opera indipendente dalla prima Scienza nuova o che l’annullasse, ma semplicemente di dare, non più in forma di singole note numerate, sì bene nell’altra più razionale di esposizione continua, un’esegesi al precedente lavoro. Insomma, egli voleva ripresentare in aspetto più perspicuo il manoscritto di «aggionzioni» mandato a Venezia, rinunziando, si, a ristampare la prima Scienza nuova, ma presupponendone nel lettore la piena conoscenza. Prova ne sia che il Vico non solo tenne a far stampare la nuova opera nel medesimo formato e coi medesimi caratteri dell’antica, ma la intitolò: Trascelto delle annotazioni e dell’opera dintorno alla natura comune delle nazioni, in una maniera eminente ristretto ed imito, e principalmente ordinato alla discoverta del vero Omero19. Senonchè al Vico, quando si poneva a tavolino, non era troppo facile di fare precisamente ciò che volesse: quindi, non che vero comento o [p. xxxiv modifica]esegesi, la seconda Scienza nuova riusci del tutto indipendente dalla prima, la quale vi si trova rifusa presso che integralmente. La materia ebbe alfine, nell’ordinamento generale, quell’assetto definitivo, che il Vico non mutò più, tranne che in particolari di secondaria importanza. Senza parlare dell'Occasione di meditarsi quest’opera, scritta a libro già tutto stampato, e che il Vico doveva anche rifondere, l’anno appresso, nell'Aggiunta all'Autobiografia20 — accennando di sfuggita all’Idea dell'opera, che fu un’appiccicatura posteriore, sostituita per espediente tipografico (e perciò stampata in carattere assai più grosso) a ottanta fitte pagine di polemica contro lo stampatore veneziano che aveva costretto il Vico a ritirare indietro il suo manoscritto: — nella seconda Scienza nuova sparisce, almeno come tutto organico, quel primo capitolo (o libro) polemico con cui s’iniziava la prima, e a esso vien sostituito un libro totalmente nuovo: Dello stabilimento de’ principii; — la materia del secondo e terzo capitolo (o libri) della redazione del 1725 è in questa del 1730 rifusa, ampliata e ordinata, nel modo che s’è detto, in un libro unico, intitolato Della sapienza poetica; — la questione omerica, stralciata dal resto e ormai trattata con maggiore ampiezza e profondità di vedute (Omero diventa qui finalmente un mito), forma argomento d’un libro a parte; — scomparso, o meglio rifuso qua e là, il brevissimo quarto capitolo della prima Scienza nuova, il quinto, almeno nelle linee generali, diventa, con ben altri sviluppi, quarto libro della nuova opera: Del corso che fanno le nazioni; — la teoria dei ricorsi, ora per la prima volta precisamente formolata e largamente esemplificata con la storia, specialmente giuridica, del medio evo, viene anche stralciata dal resto e riunita in un quinto libro; — è decuplata in ultimo, a dir poco, la Conclusione, [p. xxxv modifica]e, in luogo delle due tavole (rifuse sparpagliatamente nell'opera), vien aggiunto in fine il saggio d’una Tavola d’indici.

Parrebbe che, dopo aver compiuto così immane lavoro non solo spirituale ma anche materiale, il Vico, ormai vecchio di sessantadue anni e pieno di acciacchi e di malanni, si risolvesse a deporre una buona volta la stanca penna. Ma quell’uomo era eccezionale in tutto. Aveva avuta la rara forza di tacere fino ai quarant’anni; detto allora soltanto quello che gli pareva necessario di dire (il De studiorum ratione, il De antiquissima e le polemiche relative), s’era condannato (miracolo ancora più grande) a un altro fecondo silenzio filosofico di dieci anni: ora che qualunque altro avrebbe pensato a riposarsi, egli, con un’attività sempre crescente, pareva quasi volesse mostrare quale fibra potente di lavoratore, oltre che di pensatore, si nascondesse in quel suo corpicino smunto e malaticcio. — Fin da quando attendeva alla stampa della seconda Scienza nuova aveva avuta occasione di fare qua e là una non breve serie di correzioni e giunte, che poi stampò, a guisa d'errata-corrige, alla fine del volume21. L’avergli, pochi giorni dopo la pubblicazione del libro, il principe di Scalea fatti notare alcuni errori storici in cui era caduto, gli fu gradevole pretesto per mettersi di nuovo a tavolino e pubblicare verso gli ultimi del 1730, sotto forma di lettera al medesimo principe, un opuscoletto di dodici pagine22, contenente una seconda serie di importanti giunte, [p. xxxvi modifica]tra le quali comparisce un nuovo capitolo (Dell'origine de’ comizi curiati). E immediatamente dopo ricominciò pel filosofo napoletano il follo lavoro di riempire di postille i margini di quanti più esemplari poteva della nuova opera23, che neppur essa l’accontentava più; postille le quali, al solito, in poco tempo crebbero così spaventosamente, che soli otto o nove mesi dopo la pubblicazione della seconda Scienza nuova, e propriamente il 27 agosto 1731, il Vico scriveva diggià la parola «fine» a un manoscritto di circa dugento fittissime pagine, che contengono una terza serie di nuove giunte e correzioni24.

[p. xxxvii modifica]Con che, se non andiamo errati, giungiamo alla settima redazione; redazione quasi del tutto inedita (giacché [p. xxxviii modifica]soltanto alcuni brani ne furono pubblicati, e abbastanza male, dal De Giudice25), e pure di singolare interesse per lo svolgimento delle idee vichiane. Abbiamo già visto che l’edizione del 1730 formava (almeno nella mente del Vico) tutt’uno con la Scienza nuova prima, la quale appunto perciò vi è sempre citata, non con questo nome, ma con l’altro generico di «opera» o di «Scienza nuova», [p. xxxix modifica]tout court. Invece nella nuova redazione, l’edizione del 1725 non solo non è più presupposta (e quindi il Vico comincia a citarla col nome, che poi è restato, di Scienza nuova prima), ma, tranne che per tre capitoli, rifiutata; e rifiutati altresì sono i due libri del Diritto universale, la Scienza nuova in forma negativa e tutto ciò che il Vico aveva fino allora scritto di filosofico. Basta ciò a mostrare quanto di nuovo si debba trovare in questa settima redazione, in cui il Vico aveva voluto raccogliere quel che del suo pensiero credeva degno di essere trasmesso alla posterità. Delle quattro redazioni della seconda Scienza nuova, questa senza dubbio è la più piena: più piena anche dell’edizione del 1744. Di fronte a quella del 1730, essa, oltre che molti e lunghi brani intercalati qua e là, presenta ben quindici capitoli in più26; — il quinto [p. xl modifica]libro, quello dei Ricorsi (il problema intorno a cui più si affaticò il Vico nei suoi ultimi anni), è assai più ordinato e ampliato; — ricomparisce, accresciuto di molto, il capitoletto dell’edizione del 1725 (I, 2) sulla «pratica» della Scienza nuova (che nell’edizione del 1730, a dir vero, era stato non già soppresso ma presupposto); — permane, aumentata, la Tavola d'indici — e l’opera s’arricchisce d’una lunga appendice, contenente per una parte due Ragionamenti (intorno alla Legge delle XII Tavole e intorno alla legge regia di Triboniano), ivi trasferiti, con larghe modifiche, dal Diritto universale e per un’altra parte i tre capitoli della Scienza nuova prima, che il Vico desiderava avessero ancora vita.

«Exegi monumentum cere perennius» e «Nunc dimittis servum tuum Domine», furono i due motti che il Vico (conscio della grandezza della sua opera e convinto, nello stesso tempo, che egli non era stato se non istrumento della Provvidenza) pose alla fìne di questa settima redazione. Le quali parole, messe a confronto con quanto egli scriveva nell'Aggiunta all'Autobiografia27, che è proprio del 1731, mostrerebbero che l’inesorabile correttore di se medesimo fosse alfine contento del suo lavoro e si ripromettesse di non più tornarvi sopra. E forse, se il Vico lo avesse ristampato subito, com’era suo vivo desiderio, non vi si sarebbe più cotanto travagliato. Ma la ristampa non potè aver luogo per allora: si fece attendere anzi parecchi anni; e il filosofo napoletano non era uomo da lasciar dormire tranquillo per tanto tempo un manoscritto nel cassetto. E non più che un paio d’anni dopo, ossia . [p. xli modifica]nel 1733 o al più tardi nel 173428, egli stendeva un’ottava redazione, condotta con lo stesso sistema della settima, ossia scrivendo circa centoquaranta pagine di correzioni, miglioramenti e aggiunte (ormai quarte) all’edizione del 173029. Questa penultima redazione, messa a [p. xlii modifica]confronto con quella che immediatamente le precede, appare da un lato più piena e dall’altro più monca. Vale a dire, se vi sono parecchi brani che in quella mancavano, e altri ricompariscono o accresciuti o inalterati o riassunti, vengono soppressi poi non pochi dei capitoli o passi in quella aggiunti30. Abolito, per esempio, è il capitolo contro Cartesio, Spinoza e Locke; abolito quello

[p. xliii modifica]contro il De iure belli et pacis del Grozio; abolito ancora l’interessante brano contro lo scetticismo; abolito infine il capitolo finale sulla Pratica della Scienza nuova. Viceversa rimane integra tutta l’appendice; sono ampliate l'Occasione di meditarsi quest’opera e la Tavola d’indici; ed è aggiunto un nuovo capitolo: Dell'origine del censo e dell’erario. Torturatissimo al solito è il quinto libro (la teoria dei ricorsi), una parte del quale viene anticipata nel libro precedente.

Nemmeno quest’altra redazione potè vedere subito la luce; e ciò significava cbe il Vico fra non molto si sarebbe sobbarcato all’improba fatica di compilarne una nona. E infatti non oltre il 1735, o al più il 173631, quando i settant’anni erano assai vicini, quel terribile vecchio, cui cominciava ormai a tremar la mano, ma permaneva infrangibile la volontà e inappagata la sete ardente di perfezione, ebbe il coraggio di accingersi all’impresa. Anzi non si contentò stavolta di stendere le solite giunte e correzioni, ma riscrisse da cima a fondo tutta l’opera. E quando l’ebbe compiuta cominciò a esercitarvi, in parecchie riprese e forse durante lo spazio di altri quattro o cinque anni (come si scorge dalla diversità dell’inchiostro e anche del carattere, ora meno, ora più tremolante), un così arrabbiato lavoro di lima che non poche pagine

1 [p. xliv modifica]sarebberoilleggibili, se il Vico, diverso anche in questo dai grandi uomini suoi pari, non fosse stato dotato di assai chiara calligrafia. Si può bene immaginare che in quest’ultima redazione le dififerenze, non solamente formali (che crescono di gran numero) ma anche sostanziali, di fronte alla redazione precedente, sono tutt’altro che di lieve momento. Scompare l’Occasione di meditarsi quest’opera] scompare tutta l’Appendice, venendo riassunto in una Degnità il non breve Ragionamento intorno alle XII Tavole] scompare eziandio la Tavola d’indici. In compenso ricompariscono alcuni brani della settima redazione aboliti nell’ottava, e ne sono aggiunti moltissimi nuovi. Molto frequenti le anticipazioni e posposizioni; né mancano i ritocchi speciali al quinto libro, ristretto un po’ di mole, ma allargato per documentazione. Questo manoscritto così laboriosamente apparecchiato32 servì per la stampa dell’edizione del 1744 (conosciuta [p. xlv modifica]anche col nome di Scienza nuova terza)33, come mostrano la loro perfetta conformità e l’essere ancora visibili sul primo i segni fatti dai tipografi quando sospendevano la composizione. Sicché tutt’altro che esatta è la leggenda che il Michelet raccolse dai suoi amici napoletani, che «Gennaro Vico rassembla les notes qu’il [il padre] avait pu dicter depuis l'édition de 1730 et les intercala à la suite des passages auxquels elles se rapportaient le mieux, sans entreprendre de les fondre avec le texte, auquel il nosait toucher»34. Il solo «motivo di vero» che ci sia in questa favola è che forse Gennaro Vico curò la stampa di questa edizione (iniziata probabilmente nel 1743 e non terminata, come si desume dalle licenze35, prima del giugno 1744, ossia cinque mesi dopo la morte del Vico) e, cosa assai meno probabile, scrisse la dedica al cardinale Acquaviva36 [p. xlvi modifica]reca la data del 10 gennaio 1744, ossia del tredicesimo giorno innanzi alla morte del Vico). L’argomento più convincente a sostegno di codesta supposizione è per l’appunto la perfetta conformità della stampa col manoscritto; conformità che non si sarebbe di certo avuta se le bozze fossero passati sotto gli occhi di Giambattista Vico. Giacchè l’altro fatto, che pur si potrebbe addurre, della quasi completa amnesia sofferta dal filosofo napoletano negli ultimi quattordici mesi della sua vita37, fa fede fino a un certo punto; poiché chi, ciò non ostante, riusciva a scrivere nel decembre 1742 un sonetto e a mandarne fuori un altro nel corso del 174338, avrebbe potuto pur attendere, nei momenti di lucido intervallo, alla stampa d’un libro che gli stava tanto a cuore. Che anzi da un documento venuto testé in luce parrebbe che il Vico desse, proprio verso gli ultimi del 1743, precise istruzioni per l’incisione del suo ritratto, che é premesso a quell’edizione39. A ogni [p. xlvii modifica]modo, data l’uniformità piena tra il manoscritto e la stampa, la questione, comunque risoluta, è di quelle che hanno interesse di semplice curiosità erudita.

  1. Ioh. Baptistæ Vici De universi iuris uno principio et fine uno liber unus, Ad amplissimum virum Franciscum Venturam a regis consiliis et criminum quæstorem alterum. Excudebat Neapoli Felix Musca ex publica auctoritate, anno MDCCXX (in 4° di pp. iv-195
    • innumer.).— Ioh. Baptistæ Vici Liber alter qui est de constantia iurisprudentis, Ad amplissimum virum, ecc. Excudebat, ecc. anno MDCCXXI (in 4° di pp. iv-260). [Cito in séguito il 1° vol. con la sigla DU, e le due parti del secondo con le sigle CI1 e CI2].
  2. Sec. suppl., pp. 3-4 e cfr. p. 39.
  3. La filosofia di V. cit., p. 299.
  4. Il V. stesso nelle Note al Diritto universale avverte: «Notæ asterisco signatæ adscriptæ sunt margini codicis qui nunc est in bibliotheca serenissimi Eugenii Sabaudi principis; quibus aliæ sunt posteriores».
  5. Ioh. Baptistæ Vici Notæ in duos libros, alterum de uno universi iuris principio ecc., alterum de constantia iurisprudentis, excellentissimo domino Ioli. Baptistæ Philomarino, Roccæ Aspidis principi, etc. etc, dicatæ. Neapoli, Felix Musca etc, anno MDCCXXII (in 4° di pp. vi-84). La dedica, non mai riprodotta, è stata da me ripubblicata in Croce, Suppl.2, pp. 76-7. [Indico quest’opera con la sigla NDU.].
  6. Si vedano più oltre pp. 6-7 e le note relative.
  7. Tranne nelle due Risposte al Giornale dei letterati, scritte in italiano, perchè italiani erano gli scritti a cui esse si riferivano.
  8. Autobiogr., ediz. Croce, p. 48.
  9. Carteggio, ediz. Croce, p. 167.
  10. Cfr. intorno a esse principalmente Gentile, Il figlio di G. B. Vico (Napoli, Pierro, 1905), pp. 20-8.
  11. Autobiogr. ediz. cit., p. 77.
  12. Ivi, p. 48.
  13. Principii di una Scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, per la quale si ritruovano i principii di altro sistema del diritto naturale delle genti, all’eminentissimo principe Lorenzo Corsini amplissimo cardinale dedicati. In Napoli, per Felice Mosca, M.DCC.XXV., con licenza de’ superiori (in 12° di pp. 270+12 innumer.) [indicato in séguito con la sigla SN1]. Oltre la dedica al Corsini, v’è l’altra alle Accademie di Europa, in forma d’iscrizione, che il V. poi negli esemplari postillati soppresse.
  14. Autob., l. c.
  15. Cfr. p. e. quello posseduto da Salvatore Galletti e da lui pubblicato (Napoli, Masi, 1817) e l’altro di cui si servi Giuseppe Ferrari nella seconda edizione delle Opere del V. (Croce, Bibliogr., p. 25).
  16. Cfr. più oltre nella nostra edizione, pp. 238-241.
  17. Cinque libri di Giambattista Vico de’ principii di una Scienza nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni, in questa seconda impressione con più, propia maniera condotti e di molto accresciuti, alla Santità di Clemente XII dedicati. In Napoli, M.DCC.XXX, a spese di Felice Mosca, con licenza de’ superiori (in 12° di pp. xii-480) [indicati in séguito con la sigla SN2.
  18. Si veda più oltre p. 11.
  19. Si veda l’ediz. originale, p. 81.
  20. Ediz. Croce, p. 62 sgg. e cfr. p. 336.
  21. Ed. orig., pp. 465-478. Tra queste prime Correzioni, miglioramenti e giunte [che indico con la sigla CMA1] è notevole una Degnità aggiunta, che non ricomparisce più in nessun’altra redazione: cfr. più oltre, p. 165, var. (a).
  22. Lettera dell'autore all'eccellentissimo signor don Francesco Spinelli principe di Scalea (intercalata poi l’anno seguente anche nell'Aggiunta all'Autobiografia; cfr. ediz. Croce, p. 72 sgg.), cui seguono le Correzioni, miglioramenti ed aggiunte seconde [CMA2], relative non solo alla SN2, ma anche alle CMA1. L’opuscolo, s. l. a., fu stampato coi medesimi caratteri e nello stesso formato della SN2, per poter essere rilegato insieme con questa.
  23. Per alcuni di questi esemplari postillati cfr. Croce, Bibliogr., p. 25 e Suppl., p. 6. Ho tenuti presenti nella mia edizione i due che si conservano nella Nazionale di Napoli (segnati rispettivamente: XIII, H, 58 e XIII, H, 59), perchè sono i più ricchi di postille.
  24. Bibl. nazionale di Napoli, cod. segnato XIII, D, 80. — S’intitola: Correzioni, miglioramenti ed aggiunte terze, poste insieme con le prime e seconde, e tutte ordinate per incorporarsi all'opera nella ristampa della Scienza nuova seconda. — A tergo del frontespizio sono i seguenti:

    Avvisi al correggitore e componitore della stampa.


    «I. — Chi correggerà la stampa, per facilità del componitore, ascriverà al margine di ciascheduna pagina [della SN2] l’annotazioni le quali contengono correzioni di virgole, punti, apostrofi, accenti, articoli emendazioni di lettere o d’una o due parole; ma ove sono l’annotazioni più lunghe di quelle che si possano ascrivere comodamente in esso margine, egli ascriverà il numero di ciascuna al capo del verso che chiama l’annotazione, dove il componitore la porterà dal manoscritto.

    «II. - Il numero de’ versi di ciascheduna pagina [della SN2] sono quaranta; ma dove sia alcuno titolo il quale non comincia dal capo di essa pagina, i numeri di richiami si contano da esso titolo; e se vi sono più titoli, altri numeri si contano dal primo, altri dal secondo.

    «III. — Se si truova annotazione che di nulla muta il sentimento dello stampato, si avvertisca che si emenda o «tondo» che deve andar «corsivo» o al contrario, o che lettera grande si deve scriver picciola o a rovescio, o sarà ammenda di virgole o punti.

    «IV. — Ogni annotazione comincia dalla voce precedente a quella che si deve mutare.

    «V. — Ogni annotazione finisce con le parole dello stampato, col quale si deve attaccare il fine dell’annotazione.

    «VI. — Il segno dell’attacco è questo: ‿, che si usa sempre che comincia ad esser alquanto lunga essa annotazione.

    «VII. — Alle volte l’annotazione chiamata ad un verso incomincierà dalla parola del verso precedente; e ciò si fa acciocché il componitore sappia la parola dalla quale deve incominciar il verso dal quale l’annotazione è chiamata.

    «VIII. — Alle volte l’annotazione chiamata da un verso si stende al verso appresso, e più versi talvolta; lo che sarà dimostrato dal detto segno d’attacco ‿.

    «IX. — Tutto lo stampato che sarà dentro la parola che chiama l’annotazione e la parola con la quale l’annotazione si unisce con lo stampato per mezzo di esso segno ‿, tutto s’intenda cassato, e da una annotazione o corretto o migliorato o accresciuto.

    «Questi son avvisi generali; i particolari si daranno ne’ luoghi loro, li quali saranno contenuti dentro li segni ‖ ‖.

    «Questo segno «φ» chiama l'Aggiunte ultime scritte fuori d' ordine.

    «L’opera si stamperà in quarto foglio.

    «Porti l’antiprincipio ovvero l’occhio, e sia questo: SCIENZA NUOVA.

    «Nella figura la bacchetta rovesciata colla cima ritorta sull’altare si faccia meglio vedere.

    «Il titolo dell’opera sia così concepito: Cinque libri | di Giambattista Vico | de’ principii | d'una Scienza nuova d’intorno | alla comune natura delle nazioni | in questa seconda impressione | più corretta, | migliorata | ed in gran numero di luoghi | notabilmente accresciuta.

    «La dedica si venda allo stampatore». Seguono dal fol. 2a al fol. 70a le giunte e correzioni. — A f. 70a: «Terminata la vigilia di santo Agostino mio particolare protettore, l’anno 1731». E poi: «Tutti sono duerni, eccettuati Y e Aa, due Ff, che sono mezzi fogli; e Q è diviso in due mezzi fogli. V’è un mezzo foglio d’aggiunta volante acchiuso al duerno T». E ancora: «Gli tre luoghi della Scienza nuova prima, che si devono qui intieri rapportare, sono: I. Nuova scoverta delle armi gentilizie, pag. 196; II. Scoverta delle vere cagioni della lingua latina e al di lei esemplo dell’altre tutte, pag. 215; III. Idea di un dizionario di voci mentali comuni a tutte ìe nazioni, pag. 227». — Segue ai ff. 71a-81a: Ragionamento d’intorno alla legge delle XII tavole venute da fuori in Roma; e ai ff. 81a (ripetuto per errore)-84a: Ragionamento secondo d’intorno alla legge regia di Triboniano, sotto cui è scritto: «Nunc dimittis servum tuum, Domine». Dopo due fogli bianchi, i fogli 87a-93a contengono: Altre aggiunte fuori ordine, le quali con questo segno «φ» sono richiamate dentro l’aggiunte scritte innanzi con ordine, alla fine delle quali è scritto: «Exegi monumentimi ære perennius». E poiché così sarebbe restata una pagina e mezza bianca (95a-95b), il V. la riempi con altre aggiunte. — Per altri scritti vichiani contenuti nel medesimo cod. e per la provenienza di esso, cfr. Croce, Bibliogr., p. 24 sg. [Indico le Correz. miglior, e aggiunte terze con la sigla CMA3 e le Aggiunte fuori ordine con CMA3*].

  25. Scritti inediti di Giambattista Vico tratti da un autografo dell’autore e pubblicati da Giuseppe del Giudice, ispettore del Grande Archivio di Napoli. Napoli, stamperia della r. Università, 1862 (in 8° di pp. 59). Contiene l’Occasione di meditarsi quest’opera, ma non secondo il cod. av. descritto, si bene secondo l’altro di cui or ora faremo parola; soli cinque brani dei tanti aggiunti; il capitolo della Pratica e i due Ragionamenti. Gli errori d’interpetrazione e di stampa sono frequenti e gravi: figurarsi, tra l’altro, che un «passo» del giurista Paolo diventa «il pazzo di Paolo»!
  26. Eccone i titoli: I. Come da questa debbono tutte Valtre scienze prender i loro principii; II. Riprensione delle metafisiche di Renato delle Carte, di Benedetto Spinosa e di Giovanni Locke [pubbl. già come specimen della presente edizione in Critica, VIII, p. 479 n.]; III. Dell’origine della locuzione poetica, degli episodi, del torno, del numero, del canto e del verso; IV. Dell'origine dei comizi curiati; V. Riepilogamenti della storia poetica così divina come eroica; VI. Delle descrizioni eroiche; VII. Della sapienza di Stato degli antichi Romani; VIII. Della vera istoria del diritto romano; IX. Riprensione del sistema d’Ugone Grozio ne’ libri «De iure belli et pacis»; X. Dimostrazione di «fatto storico» contro lo scetticismo; XI. Temperamento naturale delle repubbliche fatto dagli Stati delle seconde coi governi delle prime, lo qual corre e ricorre per tutte le nazioni; XII. Di m’eterna natural legge regia la qual corre e ricorre per tutte le nazioni; XIII. Riprensione de’ principii della dottrina politica fatta sopra il sistema politico di Giovanni Bodino; XIV. Ricorso che fanno le nazioni sopra la natura eterna de' feudi, e quindi il ricorso della giurisprudenza romana antica fatto colla dottrina feudale; XV. Pratica di questa Scienza. — Si noti per altro che non sempre la materia contenuta in questi nuovi capitoli è tutta nuova: talvolta il V. spezzava in due un capitolo della SN2 troppo lungo, o includeva nelle nuove divisioni pezzi tolti qua e là dall’antica opera. Ma nell’uno e nell’altro caso il testo è sempre molto più ampio che non in SN2
  27. Ed. Croce, p. 76.
  28. Fisso questa data perchè l’ultima redazione, come si vedrà,non può essere posteriore al 1735 o, tutt’al più, al 1736.
  29. Bibl. nazionale, cod. segn. XIII, H, 59. — S’intitola: Correzioni, miglioramenti ed aggiunte terze [sic, ma effettivamente «quarte»: il V. le chiamava «terze», perchè con questa redazione egli annullava la precedente], poste insieme con le prime e seconde, e tutte coordinate per incorporarsi nell'opera nella terza impressione della Scienza nuova. — Nella stessa pagina del frontespizio è l’avvertenza: «Le voci così formate come questa: «Correzioni», le quali nello stampato si sono corrette con due «zz» e nello manoscritto con due «zz», si correggano con una «z». — A tergo del frontespizio è il seguente

    Avviso al componitore


    «I. — L’aggiunte sono chiamate da’ numeri scritti alle spalle de’ versi, e devono seguire alle parole precedenti stampate, le quali chiamano 1 detti numeri, e con questo segno ‿ si attaccano allo stampato che siegue.

    «II. — Si attendino solamente i luoghi cassati c’hanno questo segno |, il quale porta o allo scritto nella margine o ai numeri che chiamano il manoscritto; e gli altri cassati, che non portano tal segno |, si abbiano come se non vi fussero affatto.

    «III. — Se dentro uno stesso verso sono scritti questi due segni | e φ, il segno | porta a ciò ch’è scritto nella margine, il segno φ porta al numero che chiama il manoscritto.

    «IV. — Questa linea — — — — — — sottoscritta alle voci stampate di «tondo» dinota che tali voci devono andar di «corsivo»; ed al contrario che le stampate di «corsivo» devon esser di «tondo».

    «V. — Le voci lineate sotto e sopra si stampino con lettere maiuscole.

    «VI. — Le lettere maiuscole nelle voci latine sieno di «tondo», nelle voci italiane sieno di «corsivo».

    «VII. — Le lettere maiuscole latine portino tutti gli «i» di questa forma: «I» e tutti gli «u» di questa: «V». Seguono poi questi

    Avvisi allo stampatore


    «L’opera si stampi in quarto foglio d’antico comune. «Porti l’antiprincipio ovvero l’occhio, e sia questo: SCIENZA NUOVA. «All’occhio siegue la figura, la qual è d’essenza del libro. «Il titolo dell’opera sia il seguente nella pagina appresso: Principii | d’una scienza nuova | d’intorno | alla comune natura delle nazioni | in questa terza impressione | più corretta | migliorata | ed in un gran numero di luoghi | notabilmente accresciuta». Nei ff. 2a-68a sono comprese le giunte e correzioni. — A f. 68a: «Il fine delle correzioni, miglioramenti ed aggiunte». E poi: «Gli tre luoghi della Scienza nuova prima, i quali si devono qui rapportare dello stesso carattere del quale sono stati in quella stampati, sono i seguenti: [si indicano]». E ancora: «I Ragionamenti [i quali per altro non sono trascritti] si stampino del carattere del quale sono stampati i libri De uno universi iuris principio ecc.». — Per altri scritti vichiani contenuti in questo cod. [che indico con la sigla CMA4] si veda Croce, Bibliogr., p. 24. Da esso è pubblicatala Lettera ed altri pezzi inediti del ch. Giambattista Vico, tratti da un ms. esistente nella real biblioteca borbonica e pubblicati dal canonico Antonio Giordano, bibliotecario della medesima. Aggiuntavi l'Orazione e l’ode composta per la morte di Angiola Cimmini marchesana della Petrella. All’amatissimo sig. cav. don Michele Arditi etc. etc. etc. Napoli, dai torchi di Vincenzo Giovannitti, 1818 (in &> di pp. 125 4+2 inn.). I «pezzi inediti» si riducono al brano aggiunto all'Occasione di meditarsi quest'opera e all’altro relativo alla Tavola d’indici.

  30. Dei nuovi capitoli elencati a p. xxxix, nota 1, restano soltanto iii-viii e xiii-xiv.
  31. La data non è indicata dal cod. Ma senza dubbio il testo doveva essere già tutto scritto nel 1736, dal momento che in quell’anno il V. vi faceva già quelle giunte marginali o su foglietti intercalati,di cui si discorrerà nella nota seguente. Una di queste giunte, relativa alla legge delle XII Tavole, si trova infatti quasi letteralmente trascritta in una lettera al p. Nicola Concina del 10 sett. 1736 {Carteggio, ed. cit., p. 233 e cfr. più oltre la presente ediz., pp. 156-7). Aggiunta marginale è quel passo del IV libro (sez. XI, cap. I), laudativo dello stesso Concina, la cui relazione epistolare col V. si svolse appunto nel 1735-6.
  32. Bibl. naz. di Napoli, cod. segn. XIII, D, 79, di ff. 323. Mancanoil frontespizio e i if. 1-4. A fol. 5 comincia la Spiegazione della dipintura. A f. 25b: «Avviso al componitore: Si deve avvertire nellaTavola cronologica che qui siegue [viceversa è rilegata tra il f. 5 e il f. 6], che in luogo del segno della figura di mano con l’indice teso si facciano due Ff, e perciò le lettere appresso passino nelle seguenti, come le due Ff in due Gg, e così le altre, che verranno giuste, a terminare nelle due lettere Yy, che sono l’ultime». — A f. 26a comincia il I libro. Tra i ff. 31 e 32, foglio volante di giunte. Manca il f. 40. Tra i £f. 61 e 62, f. v. di giùnte. A f. 67b, accanto al titolo De’ principii: «Si componga di caratteri tondi, conformi a tutti gli altri titoletti dell’opera, che van di tondo maiuscolo». Avvertenza presso a poco simile è a f. 70a, accanto al titolo Del metodo. — A f. 75«comincia il libro secondo. Accanto al titolo Della sapienza poetica: «Questo è titolo che deve andar dentro, non in testa alla pagina». Tra i ff. 94 e 95 f. v. di aggiunte. Tra i ff. 101 e 102, 4 pp. innumer. di giunte. Tra i ff. 109 e 110 f. v. di giunte. Tra i ff. 123 e 124, 4 pp. innumer. di giunte. Tra i ff. 134 e 135, f. V. di giunte, e così pure tra i fi. 150 e 151, 167 e 168. A (che f. 220b comincia il terzo libro. Dopo il f. 229 ne sono tagliati parecchi e la numerazione salta a 240, ma il senso dello scritto continua regolarmente. A f. 253b comincia il quarto libro. Tra i ff. 277-8, f. V. di giunte. Tra i ff. 284-86 un foglio innumerato. A f. 298a comincia il libro quinto. A f. 316a la Conclusione dell'opera.
  33. Principii di Scienza nuova di Giambattista Vico d’intorno alla comune natura delle nazioni, in questa terza impressione dal medesimo autore in gran numero di luoghi corretta, schiarita e notabilmente accresciuta. Tomo I. In Napoli, MDCCXLIV, nella stamperia Muziana, a spese di Gaetano e Steffano Elia, con licenza de’ superiori (in 8° di pp. 16 innumer.{{+}}526{{+}}4 innumer., con figura allegorica e ritratto dell’autore). A p. 377 frontespizio del tomo secondo, ma la numerazione continua. [Indico questa redazione con la sigla SN3.
  34. Cfr. Croce, Suppl., p. 3.
  35. A dir vero, il parere del revisore ecclesiastico (Giacomo Martorelli) ha la data del 1" febbraio 1744. Ma l’altro del revisore civile(fra Cherubino Pellegrino) è del 1° giugno 1744.
  36. Si ricordi che questa dedica nell’autografo non c’è; il che non toglie, per altro, che il V. abbia potuto scriverla dopo, e forse nel 1743. A questa dedica pare che si riferisca una lettera dell’Acquaviva al V., s. d., ma probabilmente degli ultimi del 1743 [Carteggio, ediz. Croce, p. 269).
  37. Villarosa, Aggiunta all'Autobiografia, ediz. Croce, pp. 81-2.
  38. Ossia il sonetto in lode dell’Immacolata Concezione, recitato [dal V. stesso?] nella chiesa di S. Maria della Verità l’S dee. 1742 (cfr. la mia appendice al Croce, Suppl.2, p. 56), e l’altro in occasione della morte di Orazio Pacifico, avvenuta nel 1743 (ivi, p. 65).
  39. È un pezzetto di carta, di cui è indubbia l’autografia, sul quale da una parte è scritto: «Nel cartoccio sopra il ritratto s’intagli il nome dell’autore così: Nella banda destra: «Ioh. Babtista (sic) Vicus»; nella banda sinistra: «Annos natus lxxiv». La base dal pittore è stata terminata nel lato destro alla maniera capricciosa moderna, nel sinistro alla maniera soda antica. L’elezione sia a piacere del signore intagliatore del rame». Dall’altra parte il V. trascrisse i distici del Lodovico e del Sostegni, che noi riproduciamo sotto il ritratto premesso alla presente edizione (cfr. Suppl.2, p. 39). — Ora quale è la data di questo documento? Calcolando sulla vera data di nascita del V. (13 giugno 1768), il suo settantesimoquarto anno di età sarebbe cominciato il 14 giugno 1741 e compiuto il 13 giugno 1742. Senonchè il Vico nell'Autobiografia posticipa (e pare in buona fede) di due anni la sua nascita: il così detto settantesimoquarto anno di età, che egli non giunse a compiere, coinciderebbe dunque con la data 14 giugno 1743 — 23 gennaio 1744.