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xxxii | introduzione dell'editore |
e Geografia)1, e da cui derivi come corollario la Discoverta del vero Omero. Ma, approssimativamente, si può asserire che nel capitolo terzo il Vico discorra a preferenza
di ciò che in séguito doveva divenire argomento della Logica poetica (accennando qua e là ad alcuni punti della questione omerica), e che nel capitolo secondo anticipi in modo assai confuso ciò che poi avrebbe costituito l’oggetto delle altre scienze poetiche sopra ricordate. Maggiore analogia vi ha tra il quarto libro della seconda Scienza nuova e il quinto capitolo della prima, il quale tratta in parte il Corso delle nazioni (qualcos’altro se ne trova nel capitolo secondo): la teoria dei ricorsi, nella prima Scienza nuova come già nel Diritto universale, è appena accennata. Chiudono l’opera una breve conclusione e due tavole: una (divisa in quaranta paragrafi), «delle tradizioni volgari»; l’altra, delle sette «discoverte generali» della Scienza nuova.
Il lettore, ormai pratico del modo di lavorare del Vico, avrà già intuito che alla prima Scienza nuova avvenne lo stesso che al Diritto universale. Ossia il Vico, scontentissimo al solito della sua opera, cominciò a rattoppare tutti i buchi, che vi trovava, con postille, le quali, crescendo sempre di numero e di estensione, giunsero nel 1727 a un grosso manoscritto di ben 300 fogli (600 pagine), vale a dire a un comento due volte più lungo del testo cui si riferiva. Questa quinta redazione — testo e comento insieme — fu quella da lui offerta nel 1728 al Conti e al Lodoli e che s’incominciò a stampare in Venezia. Farne più lungo discorso e raccontare l’altro dispiacere che toccò al Vico (stavolta a causa del suo temperamento troppo irascibile e permaloso) è inutile, perchè significherebbe anticipare ciò che il Vico narra minutamente nel-
- ↑ Cfr. più oltre nella nostra edizione, pp. 238-241.