La messa di nozze/IV. Il rito
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IV.
Il rito.
Il domani, all’alba, mentre ancora tutta la casa era immersa nel sonno, Perez fu destato dalla cameriera che venne a portargli il caffè. Si levò, si vestì rapidamente, e andò a picchiare all’uscio di Lodovico. Lo trovò seduto alla scrivania, con la testa fra le mani: vedendo il letto non ancora disfatto e le molte carte strappate nel cestino, comprese che aveva passata la notte a scrivere ed a stracciare i suoi scritti.
— Se la cerimonia è per le sette, — gli disse, senza dare a divedere d’essersi accorto di nulla, — non abbiamo molto tempo da perdere.
— Sono pronto.
Uscirono insieme nella corte, montarono sul calessino già attaccato, guidato questa volta dal fattore, che prese la via della Fraida. Non scambiarono una parola durante il breve percorso, sotto il bosco dei larici. La nebbia si era riaddensata, nella notte, ma un vento fresco che cominciava a levarsi la discacciava ora lungo le coste dei monti, la faceva svaporare dalla valle come da una immensa caldaia. Una carrozza a quattro posti stava ferma dinanzi al cancello del «Grand-Hôtel»; gli sposi aspettavano nel salottino del pian terreno rialzato. In un semplicissimo abito da viaggio, di color grigio, senza trine, senza nastri, con una sola spilla al colletto, formata da tre serpentelli annodati in un triplice simbolo di eternità, la signora Lariani, in piedi accanto alla finestra, leggeva un libro che posò sul davanzale per volgersi ai sopravvenuti.
— Grazie dei fiori! — disse, mostrando i mazzi disposti in due grandi vasi sul pianoforte. — Grazie a voi, Perez, d’avere accettato.... — Rivolta al marito, presentò: — Domenico Perez, Francesco; il dotto e l’artista di cui ti ho tanto parlato, che ci fa il piacere di esser tuo testimonio.
Il colonnello Harrington gli strinse la mano, dicendo in un italiano alquanto dentale:
— Le sono molto grato dell’onore che mi fate.
— Lieto e fortunato io stesso....
— Sono le sette precise, — riprese ella, dopo aver guardato l’orologio, e rivolgendosi allo scultore, a cui il colonnello si era avvicinato, salutandolo con molta cordialità. — Non si potrebbe essere più puntuali! Il tempo di prendere una tazza di tè: volete?
— Grazie, no.... — si scusò egli, inchinandosi.
— Allora voi, Perez?
— Volentieri, signora.
— Poco latte o molto?
— Moltissimo.
— Quante altre volte siete venuto quassù? — gli domandò ancora, servendolo.
— Tre o quattro; ma non mi sono bastate. Bisognerebbe viverci tutta la vita.
— Tutta è forse troppo; ma pochi luoghi, veramente, ho visto di una bellezza così perfetta. È vero, Francesco?
— Sicuramente, — confermò l’interrogato, cominciando ad infilarsi i guanti. — Vi sono paesaggi di più maestà, ma nessuno così.... così «graceful».
— Ben detto, — approvò Perez. — La grazia è propriamente la qualità di queste linee.
— «Do you speak english»?
— «Yes, Sir».
— «I am very glad»....
Mentre essi parlavano in inglese, ella s’avvicinò a Bertini, che sfogliava il libretto da lei lasciato sul davanzale della finestra. Era un opuscolo di poche diecine di pagine, legato di tela verde con fregi d’oro; sul frontespizio miniato si leggeva: «Il Matrimonio cristiano, con l’aggiunta della Messa per gli sposi». Ogni pagina, inquadrata di rosso, era divisa in due colonne: una per il testo, l’altra per la traduzione della «Benedictio anuli» e della «Missa pro sponso et sponsa».
— Io non sono dotta come voi, — spiegò ella, con un sorriso di scusa. — Ho bisogno di aiuto per comprendere le formole del rituale.
Egli rispose, senza alzare lo sguardo, continuando a sfogliare macchinalmente le pagine:
— È un latino molto facile.
— Sì, quello della messa comune lo conosco anch’io; ma vi sono parti nuove, in quella che andiamo ad ascoltare.... A questo proposito....
S’interruppe, sollevò le mani, si trasse dal dito l’anello nuziale, e glielo porse.
Egli depose il libro, senza stendere la mano. Il suo sguardo pareva cieco; il viso era livido e inespressivo come una maschera.
— Prendete, custoditelo; tocca a voi consegnarlo al sacerdote.
La mano che egli sollevò lentamente tremava; quando ella vi ebbe deposto il cerchietto d’oro, si abbassò come gravata d’un peso insostenibile.
— «Stanlesia has been founded twenty years ago», — spiegava il colonnello a Perez; — «it is a free State of english speaking people»....
— Se non vi dispiace, — diss’ella, volgendosi dalla loro parte, — continuerete la vostra conversazione in carrozza; ora è tempo d’andare....
Raccolse da una poltrona i guanti e il mantello, che Perez corse a reggerle; poi, preso il libretto della messa nuziale, disse a Bertini che chiudeva con un gesto automatico l’anello nel portamonete:
— Datemi il braccio.
Si avviarono così, a fianco l’uno dell’altra. Ella era, come sempre, perfettamente padrona di sè, sciolta nelle mosse, serena nel viso. Il braccio di lui tremava tanto, il suo passo era così malfermo, che ella sostò un momento, nel giardino.
— La mattinata è fresca. Vi levate mai così presto?
— Talvolta....
Tremava anche la sua voce, pareva che egli non potesse più dominarsi.
Ella si volse a guardare dietro di sè. Perez, rimasto solo mentre il colonnello dava ordini al portinaio ed al cameriere, si avanzava a raggiungerli.
— Quanto tempo è, Perez, — gli domandò, — che assisteste in duello il vostro amico?
— Molti anni, signora; troppi anni!... — Sottolineando con l’espressione della voce e dello sguardo l’esortazione al coraggio che era nell’allusione di lei, soggiunse: — Ti rammenti, Lodovico?
Sopraggiunto il marito, salirono in carrozza: ella prima, additando a Bertini il posto accanto al suo; Perez e il colonnello poi, sedendo sui posti dirimpetto.
Il vento, ringagliardito, aveva squarciato il velo della nebbia; candidi lembi ne rimanevano ancora attaccati alle asperità delle montagne, simili a brandelli d’una gran veste lacerata; fiocchi di vapori s’insinuavano fra i solchi della terra in modo da porne in evidenza tutta la plastica.
— La cima Antalba è quella? — domandò ella, rivolta a Bertini, e additando la vetta più alta della Gobba del Cammello.
— Sì.
— Lassù dovrebbe sorgere il vostro monumento?
Egli rispose con una impercettibile scossa delle spalle. Riprendendo l’animato discorso in inglese col marito, Perez non lasciava con gli occhi l’amico, e il ricordo evocato dalla signora Lariani si precisava ora nella sua memoria. Nella prima gioventù, forse più di venti anni addietro, in seguito a una discussione artistica invelenitasi e degenerata in diverbio, egli aveva assistito Lodovico sul terreno, a Roma. In una simile mattinata autunnale, lungo la via Appia, si era trovato seduto come ora dinanzi al compagno in procinto di battersi; ma il pericolo a cui il giovane andava allora incontro lo aveva reso loquace, ilare, quasi felice, mentre l’uomo maturo pareva ora smarrito all’appressarsi dell’ultimo atto della sua ultima passione.
Salita e girata dalla parte del monte, la carrozza venne ad arrestarsi dinanzi alla porticina destra della chiesa: la sola aperta, delle tre. Le poche persone che stavano giù nella piazza volsero appena il capo: certamente la curiosità di assistere ad una cerimonia nuziale le avrebbe spinte a raggiungere la comitiva; ma nessuno sospettò che a quell’ora, senza apparato, si stesse per celebrare un matrimonio: evidentemente i forestieri accompagnati dal signor Bertini andavano visitando le cose notevoli di Promonte. Dall’interno, il tendone di pelle imbottita che difendeva l’entrata della porticina si sollevò: il vecchio custode apparve, inchinandosi a tutti, salutando con rispettosa cordialità lo scultore.
— Signor Lodovico, suo servo.
Ella domandò entrando:
— Non vi è qui un’opera del signor Bertini?
— Eccola! — rispose il vecchio, additando l’acquasantaio.
Un grande angelo, con le ali raccolte, lo sguardo al cielo, le braccia protese ed arcuate, reggeva con ambe le mani un’anfora antica. Le forme disegnate sotto il peplo leggero erano quelle d’un adolescente, senza sesso, o piuttosto ambiguamente partecipe dei caratteri dei due sessi: un divino ermafrodito, agile e forte come un efebo, coi fianchi e il seno soavi d’una giovinetta canefora, il viso d’una bellezza ideale e propriamente oltreumana.
— Pare un Donatello, — disse il colonnello, rompendo il silenzio.
— Infatti! — rispose Perez, molto stupito d’udire un così sagace giudizio artistico in bocca ad un uomo d’arme piovuto dall’estrema Africa orrenda.
Il vecchio, con voce tremante di orgoglio e di tenerezza insieme, soggiunse:
— Il signor Lodovico aveva appena vent’anni quando la lavorò per la sua chiesa.... Questa è la chiesa del signor Bertini.... Qui son sepolti i suoi nonni, qui si sposarono i suoi genitori, qui fu tenuto a battesimo.... Me ne rammento come fosse ieri, e se ne rammenta Don Pietro.... Lì, dinanzi al fonte.... la sua sorellina e gli altri bambini che reggevano i ceri.... ed era buono anche nelle fasce, il nostro signor Lodovico....
Lo scultore pareva non udisse, considerando il marmo; ma non pareva neanche che vi riconoscesse l’opera propria, tanto il suo sguardo era attonito.
— Ora si aspetta la statua che lavorerà per la cima Antalba.... L’ha promessa a Monsignore!... Chi sa che bellezza....
Perez tagliò corto, osservando:
— Non facciamo aspettare il signor curato.
Per la navata di destra, nella cui penombra splendevano le luci delle lampade votive, la comitiva si avviò alla sacristia. Don Pietro, già vestito del camice e della pianeta, finiva di cingere la stola ed il manipolo: vecchissimo, con una tenue aureola di capelli bianchi intorno alla fronte ed alla nuca che parevano scolpite nell’avorio antico, egli manteneva ancora diritta l’alta persona, e solo le sue mani tremavano un poco. Le distese ai sopravvenuti, chinando la bella testa in atto di saluto, e disse:
— Se gli sposi vogliono udire la lettura del «Contrahant», non resterà poi che apporre la loro firma, con quella dei testimonî, dopo la cerimonia.
Assentendo tutti, prese dalle mani del chierico il foglio e lesse la formula di consentimento dell’autorità ecclesiastica. Poi chiese:
— L’anello?
Ella si volse a Bertini: ma poichè pareva che questi non comprendesse, spiegò:
— Bertini, volete dare l’anello al Reverendo?
Allora soltanto egli trasse il cerchietto d’oro e lo consegnò al sacerdote.
Tutti tornarono in chiesa. Non vi erano se non due donne, due contadine, inginocchiate sotto il pergamo. Gli ori dell’altare rifulgevano alla luce dei ceri che il sacrista veniva accendendo. Due inginocchiatoi stavano disposti sopra un breve tappeto, poco discosti dal primo gradino, per gli sposi; più indietro, due sedie per i testimonî.
Il celebrante salì sull’altare, lentamente, sostando ad ogni gradino. Fece l’atto di genuflettersi, distese le braccia, chinò la fronte e baciò la tovaglia. Poi, ridisceso, si appressò agli sposi. Nel silenzio augusto domandò con voce solenne:
— Voi, Francesco Patrizio Harrington, volete prendere per vostra legittima moglie, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, Rosanna Lariani?
Rigidamente composto, come dinanzi ad un capo, come sulla fronte del suo reggimento, l’interrogato si sciolse dall’atteggiamento marziale, s’inchinò e disse con voce vibrante di commozione contenuta:
— Sì.
— E voi, Rosanna Lariani, volete prendere per vostro legittimo marito, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, Francesco Patrizio Harrington?
Ella che reggeva con le due mani intrecciate il libretto, a testa china, prosciolse le braccia, rialzò la fronte e rispose fermamente:
— Sì.
Un senso d’indefinibile inquietudine guadagnò l’animo di Perez. Senza volgere il capo egli guardò con la coda dell’occhio alla sua destra. Lodovico, ritto dietro la seggiola, ne aveva strettamente afferrata la spalliera con una mano; l’altra, con la quale reggeva il cappello, era scossa da un tremito violento. Col viso cadaverico, le mascelle contratte, lo sguardo fiso e ardente, era evidente che faceva uno sforzo straordinario per non tradirsi.
Ma già, alzate le braccia paterne, distese le venerabili mani tremolanti, socchiusi i miti occhi, il sacerdote pronunziava con voce ispirata le parole irrevocabili:
— «Ego coniungo vos in matrimonium, in nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti».
L’inquietudine, la commozione, il turbamento di Perez, al pensiero della tempesta che imperversava in quel punto nel cuore dell’amico, divennero insostenibili; col bisogno di reagire, di scuotersi, di fare qualche cosa, depose il cappello sulla seggiola e cominciò a cavarsi i guanti.
Ora, risalito sull’altare, il sacerdote iniziava la cerimonia della Benedizione, proferiva le formule alle quali l’accolito dava le dovute risposte.
— «Adiutorum nostrum in nomine Domini».
— «Qui fecit coelum et terram».
— «Domine, exaudi orationem meam».
— «Et clamor meus ad te veniat»....
Quale secreta virtù possedevano le parole antiche, le formule che per secoli e secoli erano state ripetute dalle anime pie, che per secoli e secoli avrebbero echeggiato sotto le vôlte sacre al raccoglimento ed alla penitenza, sopra le culle e sopra le bare? Appartenevano ad una lingua non più parlata dagli uomini, ma eternamente viva, come la più propria espressione della preghiera. E il significato ne era così chiaro, si traduceva così facilmente anche agli ignari:
— «Benedici, Signore, questo anello che noi nel tuo nome benediciamo, affinchè colei che lo porterà, tenendo integra fede al suo sposo, rimanga in pace e nella volontà tua, ed in carità scambievole sempre viva. Per Cristo Signore nostro, Figlio tuo, che teco vive e regna nei secoli dei secoli».
— «Così sia».
Il cerchietto d’oro era stato deposto in un vassoio d’argento. Curvata l’alta persona a prendere l’aspersorio che l’accolito gli porgeva, il sacerdote tracciò con mano non più tremante un segno di croce sul simbolo; poi lo consegnò allo sposo, che lo passò all’anulare sinistro della donna sua.
— «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
— «Così sia».
— «Conferma, Signore, ciò che noi operammo».
— «Dal tempio santo tuo che è in Gerusalemme».
— «Kyrie Eleison»....
Allora accadde una cosa terribile. Come un brivido sonoro, come l’anelito e il gemito d’un’anima ferita e penante echeggiò sotto le vôlte della vecchia chiesa; poi la voce potente dell’organo si affermò, si modulò, si svolse nelle note lunghe e gravi d’un canto solenne. Perez si sentì opprimere il petto e mozzare il fiato e velare lo sguardo da una commozione veemente, che un repentino moto di collera soffocò e poi disperse. Chi aveva ordinata quella musica? Alla cerimonia da celebrare con estrema semplicità, chi aveva aggiunto l’irresistibile prestigio di quel canto d’implorazione, di fede e di speranza? Non bastava il tormento inflitto allo spettatore di quelle nozze; bisognava anche, per colmo di raffinatezza, esasperarlo con la sottile e profonda malìa dei suoni e dei ritmi?... E col cuore tremante di carità impotente, sapendo di non poter far altro che appagare il secreto senso di curiosità sempre vigile nel suo spirito indagatore, egli si volse a guardare l’amico.
Lodovico Bertini era rimasto nello stesso atteggiamento, con la destra alla spalliera, con l’altro braccio pendente lungo il fianco; ma non tremava più, non si stringeva con la forza di prima al sostegno. Pareva che tutte le sue membra rilassate si fossero rapprese in quella positura; soltanto la fronte si era abbassata, e dalle palpebre gonfie le lacrime sgorgavano, solcavano le guancie emaciate, stillavano a terra.
I coniugi gli voltavano le spalle; l’officiante, sull’altare, era intento alla celebrazione del rito: nessuno poteva scorgere il suo pianto. Se anche lo avessero scorto, egli non sarebbe riuscito a frenarlo. Non piangeva da tanto tempo, dalla notte passata in viaggio, sul treno, con lei. Non aveva più pianto, alla stazione di Milano, vedendola andar via con quell’uomo a cui aveva dovuto stringere la mano e rivolgere parole senza nesso nè significato. Non aveva pianto neanche dopo averli riveduti entrambi, alla Fraida, invitato da lei, quando vi erano venuti per le pubblicazioni; dopo averla udita annunziare che, insieme con Perez, egli, egli stesso, sarebbe stato testimonio alle nozze, e che, compiuta la cerimonia e ripresi i figli a Firenze, sarebbero andati a stabilirsi in Inghilterra. Tutte queste cose lo avevano troppo stordito, come colpi di mazza sulla nuca. Le poche parole scambiate da solo a sola con lei, in un momento di libertà, gli avevano dimostrato che nulla gli restava da fare se non obbedirla, fino all’ultimo, covando il suo corruccio, nutrendosi del suo dolore. Durante l’ultima notte aveva vegliato, tentando di significarlo, per lei; cercando parole che non sarebbero più uscite dalla memoria di lei, che le avrebbero eternamente attestato la forza della sua passione, che l’avrebbero implacabilmente accompagnata, come la voce del rimorso, come il rantolo dell’agonia; ma aveva lacerato tutte le sue scritture, non trovando neppur una espressione capace di rendere tutto il suo pensiero, giudicando vana la ricerca, artificioso lo studio, riconoscendo l’inutilità d’ogni tentativo di influire in qualunque modo su quell’anima risoluta ed inflessibile. Era rimasto inchiodato sulla poltrona, innanzi alla scrivania, con le membra di piombo, con gli occhi aridi e bruciati. Aveva trasalito all’arrivo dell’amico, rabbrividito al freddo dell’alba autunnale, tremato entrando nell’albergo, ritrovandosi dinanzi a lei ed all’uomo che gliela portava via senza speranza più di ritorno. Quando ella si era tolto dal dito l’anello nuziale, affidandoglielo, per poco non lo aveva lasciato cadere, ma non già in un impeto di ribellione, bensì dalla violenza dello stordimento. Egli, egli stesso, che aveva voluto spezzare quell’anello e dargliene uno suo, per la vita e per la morte, egli stesso doveva ora custodirlo affinchè un altro lo ripassasse, benedetto, al suo dito, per la vita e per la morte?... Nulla aveva più avuto senso, durante il ritorno a Promonte, in carrozza, in chiesa, dinanzi all’opera giovanile, alla statua scolpita da qualcuno di cui si era rammentato confusamente, come di una conoscenza perduta, come di un morto. Delle parole del custode non aveva compreso altro che l’evocazione dei suoi morti, rivedendo le salme deposte su quel livido marmo, in un tempo lontano, o forse ieri. Nello spirito ottenebrato, nell’anima smarrita, i preparativi della cerimonia, le figure e i gesti e le voci avevano assunto un carattere irreale, come nei sogni. Sì, ella aveva risposto di sì, inevitabilmente, come negli incubi, quando nulla si può fare per impedire che le fatalità si compiano, quando non si può accorrere, quando non si può gridare. E l’anello nuziale che era stato in suo potere era tornato al dito di lei, per mano d’un altro! A un tratto, udendo gli accordi dell’organo, riconoscendo la voce delle vecchie canne armoniose come gole umane, la voce che aveva impetrato requie eterna ai suoi morti, che cantava requie alla sua speranza, il suo pianto troppo a lungo contenuto traboccò.
La voce diceva: «La speranza è morta, la gioia è finita, la stessa tua vita finisce: esala gli ultimi sospiri qui dove traesti i primi vagiti; aspetta di raggiungere colei che lungamente invano sognò di vederti un giorno dinanzi a questo altare, accanto alla tua sposa, di udirti pronunziare la sillaba del consenso, la sillaba che ella stessa disse all’uomo col quale ti generò; paga ora i tuoi errori, sconta la tua gioia effimera e peccaminosa; nascondi lo strazio dell’anima tua all’uomo che offendesti e che riprende i suoi diritti; piangi tutte le tue lacrime perchè il tuo sogno è svanito senza ritorno mai più, china la fronte superba dinanzi alla divina maestà d’una legge che disconoscesti e calpestasti, ai giorni del folle orgoglio, della baldanza cieca....»
Poi il canto solenne e potente del Kyrie si abbassò di tono, si spezzò nelle frasi d’un mottetto accompagnante la recitazione del Pater:
— «Padre nostro che stai nei cieli, santificato il nome tuo, venga a noi il tuo regno, sia la tua volontà»....
Una volontà fatale si compiva, infatti. Contesa da due affetti, quella donna tornava necessariamente al primo. Egli non assisteva semplicemente alla consacrazione di quelle nozze, ma vi contribuiva per una necessità evidente. Ogni atto ed ogni gesto, dinanzi a quell’altare, avevano un significato recondito che egli ora discopriva; rendendo l’anello, egli rendeva al possessore legittimo la donna già stata sua. Colui che l’aveva impalmata e poi perduta, la riotteneva ora da lui. Non era soltanto necessario, ma giusto. Nella vita di quella donna egli era stato un episodio, un’illusione, un errore: errore anch’esso fatale, ma emendabile....
— «Dànne il nostro pane.... non indurne in tentazione»....
La preghiera aveva anch’essa un senso profondo: chiedendo di non esser tentate, le creature umane confessavano tutta la debolezza loro. Ella era caduta, come tante altre; ma per rialzarsi, come poche altre. Ed il Pater noster di quella Benedizione nuziale non si chiudeva come l’ordinario: la voce dell’accolito si sposava a quella del prete, implorando ancora:
— «Liberane dal male».
— «Salva i tuoi servi».
— «In te, mio Dio, speranti».
— «Manda loro, Signore, un santo aiuto».
— «E da Sionne custodiscili».
— «Sii ad essi, Signore, torre di fortezza».
— «Contro la faccia del nemico».
— «Signore, esaudisci la mia prece».
— «E salga a te la voce mia».
— «Il Signore sia con voi».
— «E con lo Spirito tuo».
Il canto tacque, e le labbra del dolente cessarono di tremare e gli occhi di piangere. Tutta la sua attenzione era diretta a comprendere le formule sacre, a non perderne una sillaba sola. Rivolto ancora ai coniugi, il sacerdote ora supplicava:
— «Volgiti in grazia, Signore, sopra questi tuoi servi, ed agli istituti tuoi, coi quali ordinasti la propagazione dell’umano genere, benignamente assisti, affinchè coloro che dall’autorità tua sono congiunti, col tuo ausilio ti servano».
Era giusto che sull’amore fecondo di quegli sposi, di quei genitori, si stendesse la benedizione divina. L’amor suo era stato invece condannato alla sterilità; tutti i suoi amori fuori legge erano stati senza frutto, spasimi vani, adulterazioni dell’ufficio di natura. I suoi occhi inariditi si fermarono sul corpo della donna genuflessa ora dinanzi all’altare, con lo sguardo sulle pagine del libro sacro. Nella positura abbattuta, dietro l’ampio giro della veste cadente, le sue forme parevano scomparse; nè la memoria gliele rappresentava ormai più. Aveva egli premuto quel corpo con le mani tremanti di desiderio, con le labbra ardenti di febbre? A quell’ora lo stesso ricordo del possesso un tempo esercitato era svanito; come non vedeva il corpo di lei, egli non sentiva più il proprio, assiderato, congelato nella rigidità del dolore.
— «Per Cristo Signor nostro. Figlio tuo, che teco vive e regna nei secoli dei secoli».
— «Così sia».
Finita la Benedizione, cominciava ora la Messa.
— «In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Mi accosterò all’altare di Dio».
— «A Dio che è letizia della giovinezza mia».
La voce dell’organo accompagnò la recitazione del Salmo; un supplice ardore, uno slancio di tutta l’anima sulle ali della speranza; poi queruli gridi soffocati di dolore e di rimorso, la prostrazione, l’abbattimento; e poi ancora il richiamo potente della fede sicura, squilli di gloria trionfale. «Giudicami, Signore, e scerni la causa mia da quella della gente non santa.... Poichè tu sei, Dio, mia fortezza, come mai m’allontani da te?... Canterò al suono della cetra le vostre lodi, mio Dio; perchè sei triste, anima mia, e perchè mi conturbi? Confida nel Signore, poichè lo loderò ancora come mia salute e mio Dio.... Mi confesso a Dio onnipotente.... Abbia misericordia di voi l’onnipotente Iddio, e perdonàti i vostri peccati vi conduca alla vita eterna.... Dimostrane, Signore, la tua misericordia e concedine la grazia tua salutare»....
Baciato l’altare, il sacerdote recitò una preghiera sommessa; poi, con voce ispirata, disse agli sposi il passo di Tobia:
— «Il Dio d’Israello vi unisca ed egli stesso sia con voi. Fa’, o Signore, che da oggi questi due più che prima ti benedicano. Beati coloro che temono il Signore e procedono per le sue vie. Sia gloria al Padre, al Figlio ed allo Spirito Santo».
— «Kyrie eleison».
— «Kyrie eleison».
— «Christe eleison».
— «Christe eleison».
Una gran voce, un coro di voci clamanti percosse l’aria, fece tremare i vetri delle alte finestre. Al più rapido ritmo il penitente sentì slargarsi il petto oppresso, riaffrettarsi il debole polso, un’onda di sangue salirgli al viso ed alla fronte.
— «Esaudiscine, onnipotente e misericordioso Iddio, affinchè ciò che per nostro ufficio è amministrato, dalla tua benedizione sia meglio adempiuto. Per Cristo Signore nostro, Figlio tuo, che teco vive e regna nei secoli dei secoli».
La muta voce dell’anima vinta assentì: «Così sia». La ribellione era vana, la rassegnazione inevitabile. Egli non ne era più avvilito, come una volta. Nelle frasi dell’Epistola agli Efesii, che il sacerdote ora leggeva, lo spirito stanco riconosceva verità necessarie, attuali ed eterne. «Siano le donne soggette ai loro sposi come a Dio, poichè l’uomo è capo della donna....» ed era bastato che quell’uomo si fosse presentato perchè tosto riprendesse la donna sua.... «Uomini, amate le vostre spose....» e colui amava la consorte d’un amore sincero, sicuro, costante, senza convulsioni, senza follie. «Chi ama la sua sposa ama sè stesso.... Perciò l’uomo abbandonerà il padre suo e la madre sua, e si stringerà alla sua sposa, e saranno due in una carne....». L’immagine di quelle due carni aderenti, la visione di quei due corpi accoppiati, la gelosia fisica delle voluttà procurate a quella donna da un altro, ora non lo torturavano più, egli non presumeva più che ella ne fosse stata contaminata.
Il salmo del Graduale e del Tratto risonarono in mezzo a una melodia dolce e lene, ad un fremito d’ale che finì in un clangore di trombe e di tube.
— «La tua sposa sia come una vite abbondante tra le mura della tua casa. Siano i tuoi figli come novelle piante d’olivo nel cerchio della tua mensa. Alleluja! Alleluja! Mandi a voi il Signore aiuto dal suo santuario, e da Sionne vi custodisca. Alleluja! Ecco così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore. Ti benedica il Signore da Sionne, e vedrai i beni di Gerusalemme per tutti i giorni della vita tua, e vedrai i figli dei figli tuoi. Pace sopra Israello»....
Le formole sacre si ripetevano, ritornavano più e più volte, integralmente, o appena modificate, quasi perchè s’incidessero profondamente sulle fronti, nei cuori, come un indelebile stampo di fuoco. La Sequentia dell’Evangelo di San Matteo diceva: «In quel tempo si accostarono a Gesù i Farisei tentatori e dissero: È lecito all’uomo abbandonare la donna sua per qualsivoglia cagione? Il quale rispose loro: Non leggeste che chi creò l’uomo in principio li fece maschio e femmina? E disse: Perciò l’uomo abbandonerà il padre e la madre e si stringerà alla sua sposa, e saranno due in una carne. Talmente che non sono due, ma una carne. Ciò dunque che Iddio congiunse, l’uomo non divida».
Era stato il sogno d’un’ora, poter disgiungere quegli sposi, distruggere quella famiglia per crearsene una sulle rovine. Ella aveva avuto ragione di opporsi, di frapporre l’ostacolo insuperabile. Era troppo tardi, oramai, e bisognava passare sopra troppi dolori per giungere ad una gioia dubbiosa e insidiata. Lasciare quella donna al suo destino, andare incontro al proprio, null’altro era possibile. Le vie che essi seguivano si erano incrociate, per poi divergere sempre più, nella vastità del mondo e della vita. Era l’ultim’ora dell’incontro; che cosa sarebbe accaduto di lui, da quell’ora in avanti?
— «In te sperai, Signore; dissi a me stesso: tu sei il mio Dio, nelle tue mani stanno i giorni miei».
Allora, dalle più intime fibre, dalle viscere più profonde, il fremito precorritore dell’ispirazione si propagò per tutto l’essere suo. Mentre il celebrante prendeva dalla patena e sollevava l’ostia, l’opera alla quale egli aveva pensato invano, le immagini da collocare sulla cima Antalba, gli balenarono dinanzi agli occhi della mente; un asceta con la fronte al cielo, una penitente coi ginocchi sulla terra, prossimi e pur separati, concordi ed uniti solo nell’adorazione dell’ignota potenza che governa l’universo. Mentre il sacerdote deponeva l’ostia sul corporale e mesceva il vino e l’acqua nel calice, e l’offeriva, e si chinava davanti all’altare, mentre l’organo distendeva sulla trama dell’Offertorio un tenue ricamo di sospiri melodiosi, le immagini si precisarono: egli vide in sè stesso l’uomo lontano ormai dalle vie del mondo, inaccessibile alle cupidità dei sensi, consunto da un interno ardore; vide in lei la creatura ancora bisognosa di soccorso, ancora genuflessa per implorare aiuto nelle prove della vita.
— «Con spirito d’umiltà ed animo contrito, accogline, Signore, e sia tale il nostro sacrifizio oggi nel tuo cospetto, che piaccia a te, Dio Signore».
Il senso recondito della volontà di lei, nel costringerlo a prender parte a quella cerimonia, si manifestava ora chiaramente: rinunziando entrambi alla gioia contesa, mortificando entrambi la loro passione, entrambi dovevano farne olocausto ai piedi dell’altare, entrambi dovevano attinger forza e trovar pace nel pensiero di Dio.
— «Laverò le mie mani fra gl’innocenti e circonderò il tuo altare, o Signore, per udire la voce delle tue lodi e narrare le universe tue meraviglie».
Ella aveva fatto assegnamento sulla santità del luogo, sulla solennità del rito, per compiere l’opera di persuasione; sulle parole, gli accenti, i gesti del celebrante; sulle melodie e le armonie dell’organo, sulle luci velate filtranti dalle finestre istoriate, sulle faci ardenti dinanzi alle immagini sante.
— «O Signore, amai lo splendore della tua casa e il luogo ove abita la gloria tua. Non fare che si perda con gli empî, Dio, l’anima mia»....
E come un’onda venuta di lontano, sospinta ed incalzata da soffî gagliardi, ingrossata nella corsa rapida e fragorosa; come la piena d’un torrente improvvisamente gonfio dei mille rivoli d’una lunga pioggia dirotta, la memoria della fede nutrita nella remota adolescenza, delle preghiere recitate con cuore sincero, delle paure e delle speranze per la salute dell’anima invasero lo spirito suo. Le parole della Secreta, mormorate dal celebrante a capo chino, non si udirono; ma nelle supplicazioni del Canone, nel pietoso Memento dei vivi e dei morti, nel mistero della Consacrazione e dell’Elevazione, tutto ciò che di più dolente e di più grandioso, di più mortificato e di più trionfale era nell’immortale poesia dei Salmi, toccò una viva fibra del suo cuore, tradusse un pensiero della sua mente. Tutta la sua vita trascorsa, le sue gioie e i suoi dolori, le sue lusinghe e i suoi disinganni, le sue aspettazioni e i suoi rimpianti, gli parvero un punto: nell’estremo tratto di via che ancora gli restava da percorrere vide e sentì che due cose sole poteva e doveva fare: meditare il formidabile enimma del destino umano, significarlo con l’arte sua. Ed era ancora merito di lei: all’inizio dell’amor loro, come nel punto del distacco, ella lo ispirava, gli additava il suo ufficio, gli suggeriva visioni di bellezza e di nobiltà.
— «Preghiamo. Da salutari precetti ammoniti, ed alla divina istituzione uniformati, osiamo dire: Padre nostro che stai nei cieli»....
Ogni parola della reiterata preghiera gli passò nell’anima come un elettuario che irrita al primo contatto la nuda carne della piaga, per diffondere subito dopo un senso di refrigerio. Ma il sacerdote, prima di soggiungere il Libera, rivolto nuovamente agli sposi dal lato dell’Evangelo, implorò con nuovo slancio:
— «Sii propizio, Signore, alle preci nostre; ed a questi tuoi istituti, coi quali ordinasti la propagazione del genere umano, presta la tua benigna assistenza, affinchè quanto da te è congiunto col tuo aiuto sia serbato. O Dio che per virtù della tua potenza dal nulla il tutto creasti; che, ordinati i principî dell’universo, e fatto l’uomo a tua immagine, fondasti l’inseparabile aiuto della donna, in modo che originando il corpo femmineo dalla stessa carne virile, c’insegnasti mai non esser lecito disgiungere ciò che da un sol corpo ti piacque formare; Dio che con tanto eccellente mistero l’amplesso coniugale consacrasti, che nell’alleanza nuziale predesignasti il sacramento di Cristo e della Chiesa; Dio, per cui la donna si unisce all’uomo, e questa società, fin dal principio ordinata, si munì della sola benedizione non cancellata nè per la pena del peccato originale nè per la sentenza del diluvio: volgi lo sguardo sopra questa tua serva che dovendosi unire in coniugale consorzio chiede d’esser munita della tua protezione».
Era la benedizione delle vergini spose proferita altra volta da quelle stesse labbra per le nozze della sorella sua. La sorella era stata ostile a quella creatura, aveva visto in lei la colpevole, la seduttrice, colei che lo aveva indotto in tentazione e trascinato al peccato: non sapeva che il tentatore era stato lui stesso; nella calma imperturbata della sua virtù ignorava e non ammetteva le tempeste che sconvolgono le vite umane.
— «Sia in essa il giogo dell’amore e della pace; fedele e casta si sposi in Gesù Cristo e viva imitatrice delle donne sante. Sia amabile allo sposo suo come Rachele, saggia come Rebecca, longeva e fedele come Sara. Nulla di lei, degli atti di lei, usurpi l’autore della prevaricazione. Sia ferma nella fede e nei comandamenti, stretta ad un solo talamo, fugga i contatti illeciti, munisca la sua debolezza con la forza della disciplina; sia rispettabile per verecondia, venerabile per pudore, erudita nelle dottrine celesti, feconda nella prole, laudabile ed innocente, e giunga al riposo dei beati ed al regno celeste, e vedano entrambi i figli dei figli loro sino alla terza ed alla quarta generazione, e pervengano alla desiderata vecchiezza»....
Era come un lavacro, come una redenzione. L’errore antico doveva esserle rimesso in nome di Colui che difese l’adultera. Si era confessata, infatti, ed era stata assolta, poichè il celebrante, dopo avere recitato il Libera, dopo avere portato il calice alle labbra per bere un sorso del vino mistico, si accingeva a comunicarla.
Chiuso il libro, levata la fronte dalla mano con la quale l’aveva sorretta, ella protendeva ora il capo per ricevere l’ostia che il prete, discesi i gradini dell’altare, e paternamente chinato verso di lei, le offriva mentre l’organo cantava il suo più alato canto.
— «Ecco sia così benedetto ogni uomo che teme il Signore, e tu vedrai i figli dei figli tuoi: pace sopra Israello».
Qualche cosa di quella benedizione, di quella pace piamente invocata, scese su lui; poichè, nel proferire la formula, il sacerdote lo guardò. Egli si sentì leggere nell’anima dallo sguardo limpido e dolce, si sentì compreso e compatito e perdonato dal vecchio prete che lo aveva asperso, bambino, dell’acqua lustrale.
— «Ti preghiamo, onnipotente Iddio, di accompagnare con benigno favore le istituzioni della tua provvidenza, sicchè coloro che unisci in legittima società conservi in lunga pace. Per Cristo Signor nostro, Figlio tuo, che teco vive e regna nei secoli dei secoli».
— «Così sia».
— «Benediciamo il Signore».
Anche la Messa era finita. Restava ancora l’ultima formula. Ancora una volta dirigendo la parola agli sposi, il prete invocò:
— «Il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe sia con voi, affinchè vediate i figli dei figli vostri sino alla terza ed alla quarta generazione, e poscia abbiate vita eterna senza fine, con l’aiuto del Signor nostro Gesù Cristo, che insieme col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli».
— «Così sia».
Con parola libera, non più costretta nelle formule liturgiche, il celebrante riprese:
— Sposi cristiani, l’esempio che avete dato accostandovi all’altare, santificando la vostra unione, non resterà infecondo. Così possiate serbare intatto il tesoro della fede e amarvi scambievolmente e vivere nel timore di Dio.
Preso ancora l’aspersorio, li benedisse: «Piaccia a te, Santa Trinità....», poi lesse le parole del Vangelo di San Giovanni: «In principio era il Verbo....».
— Lodovico....
Il suono del suo nome, mormorato da Perez, lo scosse. Voltatosi, vide che la chiesa non era più tutta deserta come prima: alcune donne venute a compiere le consuete devozioni, qualche curioso attratto dal suono dell’organo, erano sparsi qua e là, dinanzi alle cappelle, intorno all’altare maggiore. Ma già tutta la cerimonia era finita: il sacerdote, raccolto il calice, inchinatosi dinanzi all’altare, s’avviava alla sacristia. Perez mosse un passo verso la sposa, stendendole la mano:
— Tutti i miei rallegramenti!
Ella rispose, ricambiando la stretta:
— Grazie, Perez.
Mentre questi rinnovava il gesto col marito, ella offerse la mano al suo testimonio:
— Bertini, grazie.
La sua voce era grave, l’espressione del suo viso serena, la stretta di mano franca e forte come quella d’un amico, d’un buon camerata. Anche il marito strinse cordialmente la mano ai due amici; poi, a un invito del custode, tutti ripassarono nella sacristia.
— Poichè abbiamo dato lettura dell’atto nuziale, — disse Don Pietro, — non resta se non che questi signori lo firmino.
Piegò il foglio in due, per il lungo, e scrisse sul fianco, sillabando le parole che veniva tracciando lentamente:
— I sotto-scritti sposi hanno pre-stato il loro mutuo con-senso dinanzi a me cu-rato, ed ai sotto-scritti testi-monî....
Il marito firmò primo, poi la moglie, poi Perez, da ultimo Bertini.
— Ed ora non occorre altro, — disse Don Pietro, spargendo di sabbia rossa la fresca scrittura. — Il Signore vi abbia nella sua santa custodia. Mille anni felici!
Ella gli baciò la mano, il colonnello gliela strinse, prendendo poi a parte il sacrista ed il custode per distribuire del denaro. Mentre Perez intratteneva la sposa dopo essersi inchinato al sacerdote, questi fermò lo scultore che gli aveva anch’egli baciato la mano.
— Lodovico, figliuolo mio, quando ci darai l’opera promessa?... Guarda che il tempo passa, e che gl’iniziatori sono impazienti di vedere attuato il loro disegno.
— Non so, Padre.... Mi dia ancora qualche tempo.
— Possibile che tu non abbia fatto nulla, sinora?... Neanche un abbozzo?... Un lavoratore instancabile come te!
— Bisogna che m’intenda con lei.... Forse ho trovato qualche cosa.... Quando potrò vederla?
— Quando vorrai. Lo sai che per te qualunque ora è buona.
— Grazie, Padre.... Allora, arrivederla presto.
— Arrivederci presto, figliuolo mio.