La castalda/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Rosaura e Beatrice.
Rosaura. La vostra compagnia in ogni tempo mi è cara; ma ora più che mai, qui in questo luogo, ove mio zio mi fa morir di malinconia.
Beatrice. Sono venuta a posta per divertirvi, ed ho condotto meco a tal fine un personaggio deliziosissimo per una bella villeggiatura.
Rosaura. Il signor Lelio, vorreste dire.
Beatrice. Sì, per l’appunto.
Rosaura. So ch’egli è un originale ridicolo, ma io, per dirvela, non so che farne.
Beatrice. E si professa egli di essere innamorato di voi.
Rosaura. Come? Dove mi ha egli veduto?
Beatrice. Non vi ha veduta mai; ma egli s’innamora così. Sente discorrere di una fanciulla, sente le lodi che a lei si danno, e tanto basta, perchè s’innamori senza vederla.
Rosaura. È sciocco davvero, dunque.
Beatrice. Ma è ricco, Rosaura mia. Felice quella che sapesse adattarsi...
Rosaura. Oh, io non mi adatterei certamente.
Beatrice. Lo so io il perchè non sapreste farlo.
Rosaura. Sì, voi sapete tutto il cuor mio. Ve l’ho confidato, è vero; amo il signor Florindo.
Beatrice. È qui ancor egli.
Rosaura. Me l’avete condotto voi?
Beatrice. Non è venuto con me; ma ieri sera alla conversazione si è stabilito di ritrovarci qui tutti.
Rosaura. Avete fatto benissimo. Vi sono veramente obbligata.
Beatrice. Ma che dirà il signor Pantalone?
Rosaura. Non so; veramente egli è poco amante della società; ma questa volta converrà che ci stia.
Beatrice. Se vedo che non mi accolga con buona grazia...
Rosaura. Chi è quello che viene?
Beatrice. Il signor Lelio.
Rosaura. Andiamo per un’altra parte.
Beatrice. Eh no, riceviamolo, che riderete.
Rosaura. Il signor Florindo dov’è, che non si vede venire?
Beatrice. Verrà anche lui. Sarà forse andato prima dal signor Pantalone.
Rosaura. Voglia il cielo ch’egli non gli faccia alcune delle sue solite sgarbatezze.
SCENA II.
Lelio e dette.
Lelio. Madama, io mi era quasi perduto nel labirinto di queste camere.
Beatrice. Infatti non si sapeva dove voi foste. (a Rosaura)
Lelio. È questa la padroncina di casa? (a Beatrice, additando Rosaura)
Rosaura. Sono una vostra umilissima serva. (a Lelio, inchinandosi)
Lelio. Dite il vero: è ella la serva? (a Beatrice)
Rosaura. (Ditegli di sì). (piano a Beatrice)
Beatrice. (Facciamolo). (da sè) Sì, è la cameriera. (a Lelio)
Lelio. Me ne rallegro infinitamente. Se è così bella la cameriera, con un argomento a fortiori quanto sarà più bella la sua padrona!
Beatrice. (Come ci sbroglieremo noi?) (a Rosaura)
Rosaura. Vi prendete soggezione di un simile babbuino? (piano a Beatrice)
Lelio. Cameriera bellissima, come avete nome? (a Rosaura)
Rosaura. Corallina, signore.
Beatrice. (Oh bella! Il nome della vostra castalda). (piano a Rosaura)
Rosaura. (Mi è venuto alla bocca, non so dir come). (piano a Beatrice)
Lelio. Corallina! Questo è uno di quei nomi che mi piacciono infinitamente.
Beatrice. Perchè?
Lelio. Perchè vi si vede l’ingegno di chi un tal nome le ha dato. Non vedete voi ch’ella ha i coralli nel labbro? La natura l’ha suggerito, l’arte l’ha provveduto, ed è il di lei nome anagramma purissimo della di lei bocca.
Beatrice. Bravissimo. (Che ve ne pare?) (piano a Rosaura)
Rosaura. (Non lo credevo ridicolo a questo segno). (piano a Beatrice)
Lelio. Che dice? (piano a Beatrice)
Beatrice. Loda il vostro spirito. (piano a Lelio)
Lelio. Corallina mia, se voi non foste una serva, avreste a quest’ora fissato il chiodo alla ruota della fortuna.
Rosaura. Che vuol dir, signore?
Beatrice. Non l’intendete? Egli si sarebbe dichiarato per voi.
Rosaura. Non posso crederlo. Non ho io attrattive bastanti per obbligar il cuore di un cavaliere così gentile.
Lelio. Basta; non proseguite, non mi guardate sì tenera, non mi parlate sì dolce, che or ora dimenticandomi chi voi siate, degenero da quel che sono.
Rosaura. Con sua licenza, signore. (vuol partire)
Lelio. Non mi private sì presto del bel piacere....
Rosaura. (Amica, compatitemi s’io vi lascio). (piano a Beatrice)
Beatrice. (Dove andate con tanta fretta?) (piano a Rosaura)
Rosaura. (Dove mi porta il cuore). (piano a Beatrice)
Beatrice. (V’ho inteso. A rintracciare Florindo). (piano a Rosaura)
Lelio. (Che dice ella di me?) (a Beatrice)
Beatrice. Ella è incantata del vostro merito. (a Lelio)
Lelio. Ah, se voi saprete aspirare all’acquisto della mia grazia... (a Rosaura)
Rosaura. Serva umilissima della sua cara grazia. (parte)
SCENA III.
Beatrice e Lelio.
Lelio. Parte ruvidamente così?
Beatrice. Come volete ch’ella resista alle dolci parole che voi le dite? Una povera giovine si sente solleticata dai vostri vezzi; è forzata partire per modestia, per confusione.
Lelio. È verissimo, dite bene. Questa è la mia disgrazia. Quasi tutte le donne mi piantano per verecondia. Ma chi è questa altra bellezza, che viene alla volta nostra?
Beatrice. Aspettate... ella è... (accresciamo il divertimento). (da sè)
Lelio. Che? Non la conoscete?
Beatrice. Non volete ch’io la conosca? È la signora Rosaura, la nipote del signor Pantalone.
Lelio. Giusto cielo! Già mi sento ardere nel vederla ancor di lontano.
Beatrice. Non viene qui, per altro.
Lelio. Andiamole incontro; muoio di voglia...
Beatrice. Anderò ad incontrarla.
Lelio. Voglio esserci ancor io.
Beatrice. Aspettate prima, ch’io le dica chi siete.
Lelio. Mi raccomando alla eloquenza vostra.
Beatrice. Farò giustizia al merito.
Lelio. Io poi terminerò di convincerla, di conquistarla.
Beatrice. Trattenetevi un sol momento. (Corallina ha dello spirito. Seconderà la burla). (da sè, parte)
SCENA IV.
Lelio solo.
È un gran destino il mio! Che non abbia a passar un giorno senza che m’innamori! E talvolta più bellezze in un giorno successivamente m’incantano. Buon per me, che con egual facilità me ne scordo; per altro, fra tante fiamme, sarei andato in cenere cento volte.
SCENA V.
Beatrice, Corallina e detti.
Beatrice. Ecco qui la signora Rosaura, che vuol riverirvi e conoscervi.
Lelio. Conoscerà ella un adoratore della sua bellezza.
Corallina. (Son nell’impegno; bisogna starci). (da sè) Signore, la prego di non farmi arrossire.
Lelio. Quanto più arrossirete, tanto più somiglerete alla rosa, e tanto più vi starà bene di Rosaura il nome.
Beatrice. Il signor Lelio è mirabile nel ritrovare le allegorie dei nomi.
Lelio. Mi piacciono i Greci in questo. Tutti i loro nomi hanno qualche significato.
Beatrice. Il vostro ha significato veruno?
Lelio. Il mio vien da Lelex, re dei Lacedemoni, e poi il mio nome ed il mio cognome sono anagrammatici: Lelio Capretini: Il mio core a lei.
Beatrice. Non mi pare purissimo quest’anagramma.
Lelio. Vi saranno solamente tre o quattro lettere cambiate.
Corallina. Lei è un signor virtuoso, per quel ch’io sento.
Lelio. Ah, voi siete più virtuosa di me.
Corallina. Io? Come?
Lelio. Mi spiegherò con un paragone. Passa saltando per i solchi non suoi un esperto villano; vede, conosce, ammira maraviglioso innesto di provido agricoltore. Chi ha maggior merito, chi ha maggior pregio? L’operatore, o il conoscitore?
Tale voi siete nel confronto mio:
Intendami chi può, che m’intend’io.
Beatrice. È anche poeta il signor Lelio.
Lelio. Per obbedirla.
Corallina. Risponderò ancor io con un paragone. Passa per la via il somarello. Conosce all’odore la biada; che merito ha egli per averla riconosciuta?
Lelio. Ha il merito che intendo aver io nell’aver conosciuto la vostra bellezza, biada amorosa per questo cuore.
Corallina. Caro quel cuore, che non isdegna il paragone d’un somarello.
Lelio. In materia d’amore, tutti gli animali s’accordano.
Beatrice. Vi accordereste voi colla signora Rosaura?
Lelio. Così ella non fosse recalcitrante.
Corallina. Sarei più ostinata del mulo, se non mi arrendessi.
Lelio. Signora Beatrice, sono perduto; non son più mio.
Beatrice. E di chi siete voi al presente?
Lelio. Di questa rosa vermiglia, che mi ha fitta nel cuore una dolce spina.
Corallina. Così presto, signore, vi ho penetrato?
Lelio. Al primo balenare dei vostri sguardi.
Corallina. Caviamola questa spina...
Lelio. No; raddoppiatela con un’altra.
Corallina. Come?
Lelio. Guardatemi dolcemente.
Corallina. Così?
Lelio. Così. La spina viene. Seguitate.
Corallina. Povero signor Lelio!
Lelio. La spina è al petto.
Corallina. Mi fate pietà.
Lelio. Basta, basta; la spina è dentro.
Corallina. Siete dunque doppiamente ferito?
Lelio. Sì; lo sono.
Corallina. Che posso far per guarirvi?
Lelio. Le punture delle spine si guariscono colla rosa, come le morsicature del cane si guariscono col suo pelo.
Beatrice. Lo capite, signora Rosaura?
Corallina. Non troppo.
Lelio. Mi spiegherò più chiaro.
Corallina. No, no, vi dispenso.
Lelio. Ah barbara!
Corallina. Ah furbo!
Lelio. Un’altra spina. Non posso più.
Corallina. Mi dispiace non essere io arbitra delle mie rose.
Lelio. Andrò a chiederla al giardiniere.
Beatrice. Che vuol dire?
Lelio. Vuol dire:
Che l’odoroso fior chiedendo al zio...
Intendami chi può, che m’intend’io. (parte)
SCENA VI.
Beatrice e Corallina.
Beatrice. Che vi pare di questo pazzo?
Corallina. È originale davvero.
Beatrice. Voglio che lo godiamo. Si ha a seguitare la burla.
Corallina. Seguitiamola pure; ma badate voi, signora, che non mi si dica ch’io mi avanzo in cose che non convengono al mio carattere. Giustificatemi presso degli altri.
Beatrice. Già la cosa durerà poco. Partiremo da qui a due o tre ore al più.
Corallina. Non volete restare a pranzo?
Beatrice. No, non ci resterò; niuno ancora mi ha detto niente.
Corallina. La signora Rosaura sarà contentissima che voi restiate.
Beatrice. E il signor Pantalone?
Corallina. Il signor Pantalone fa a modo nostro; fra lei e me lo facciamo dire di sì a tutto.
Beatrice. Spiacemi che meco vi è questo pazzo di Lelio; non mi conviene lasciarlo partir solo, se qui è venuto con me.
Corallina. Resti a pranzo egli pure. Non vi è nessuna difficoltà.
Beatrice. Dubito che il signor Pantalone...
Corallina. Non ve l’ho detto, signora? Il signor Pantalone fa tutto quello che noi vogliamo.
Beatrice. So ch’egli non passa fra gli uomini liberali.
Corallina. E noi lo facciamo liberale; egli ama la solitudine, e noi gli facciamo...
Beatrice. Noi, noi; voi badate a dire noi facciamo, ed io credo che siate voi sola quella che fa.
Corallina. Per dir il vero, il povero mio padrone si lascia assai regolare da me.
Beatrice. Meglio per lui. Almeno gli farete fare una miglior figura nel mondo.
Corallina. Certo che i suoi denari glieli fo spender bene.
Beatrice. In fatti una volta si parlava di lui con pochissima stima. Tutti lo avevano per avaro.
Corallina. E lo sarebbe ancora, se non foss’io.
Beatrice. Ma, Corallina mia, fra voi e me, dove andrà a finire questa parzialità che ha per voi il signor Pantalone?
Corallina. Chi può saperlo? Morendo, mi potrebbe lasciar qualche cosa.
Beatrice. E vivendo, non potrebbe fare di più?
Corallina. Certo che qualche cosa gli cavo di sotto. Il mio tempo non lo getto via.
Beatrice. Non sarebbe il primo caso, che un vecchio padrone sposata avesse la sua castalda.
Corallina. Oh, siamo lontani assai.
Beatrice. Perchè?
Corallina. Perchè non mi ha mai dato un menomo cenno per poterlo sperare. Anzi, per dirvi la verità, si è meco spiegato che ha intenzione di accasarsi.
Beatrice. Con chi?
Corallina. Non mi ha detto con chi; ma se avesse qualche idea sopra di me, si sarebbe spiegato.
Beatrice. Corallina mia, giacchè siamo su questo proposito, vi dirò... Sono vedova anch’io, e non sarei lontana dal prenderlo, s’ei mi facesse una contraddote.
Corallina. Signora Beatrice carissima, su questo proposito non so che dire. Egli è padrone della sua volontà; voi avete del merito, ma io non ci voglio entrare. Se vuol fare la pazzia di rimaritarsi, è padrone di farla. Se voi siete venuta qui per questo, maneggiatevi per altra via. Vado a vedere in cucina...
Beatrice. Corallina, non vi sdegnate...
Corallina. Già in questo mondo tutti pensano al loro interesse.
Beatrice, lo diceva così...
Corallina. E non guardano per l’interesse di pregiudicare a quello degli altri.
Beatrice. Siamo entrate in questo ragionamento...
Corallina. È difficile per altro che venga una padrona in questa casa, fino che ci sono io.
Beatrice. Nè io ci verrei certamente...
Corallina. Basta. Ho piacer di saperlo.
Beatrice. Vi dico che non sono qui...
Corallina. Credetemi che vi sarà da discorrere.
Beatrice. Se non mi lasciate parlare....
Corallina. Ho inteso tanto che basta, signora.
Beatrice. Voi mi credete dunque....
Corallina. Credo quello che vedo, credo quello che sento; e se varranno le mie parole....
Beatrice. Mi volete lasciar parlare, sì o no?
Corallina. Parlate, signora.
Beatrice. Vi dico liberamente, che io...
Corallina. Ed io vi dico che non farete niente.
Beatrice. Ma questa poi è una impertinenza.
Corallina. Prendetela come vi pare....
Beatrice. Siete voi la padrona di questa casa?
Corallina. Anzi sono la serva.
Beatrice. Parlate dunque con più rispetto.
Corallina. Se vi ho offeso, vi domando perdono.
Beatrice. Che occorre che vi riscaldiate per questo? Se avete gelosia che vi rubino il vecchio, non vi sarà nessuna che voglia pregiudicarvi....
Corallina. E se vi fosse chi volesse farlo, l’averebbe a fare con me. Con sua buona licenza....
Beatrice. Sentite, voglio giustificarmi.
Corallina. Ho che fare; perdoni, son domandata. Un’altra volta poi con più comodo. Serva umilissima. (Ho scoperto terreno; vi rimedierò). (da sè, parte)
SCENA VII.
Beatrice sola.
Costei mi farebbe montar in collera davvero, colla sua impertinenza. Ma già che sono in villa per divertirmi, voglio che anch’ella mi serva di divertimento. Se tanto ci patisce, temendo di perdere il dominio di questa casa, vo’ farla disperare davvero. (parte)
SCENA VIII.
Rosaura e Florindo.
Rosaura. Qui ora non c’è nessuno; posso sentire ciò che volete dirmi; ma dite presto, perchè potremo esser sorpresi.
Florindo. Per dirvi dunque il tutto in poco, sappiate, Rosaura mia, che sono venuto per amor vostro.
Rosaura. Questo già me l’immaginava. So che mi volete bene, e spero che mi siate fedele. Ma avete altro da dirmi?
Florindo. Sì; ho delle cose importantissime da comunicarvi.
Rosaura. Spicciatevi dunque, per amor del cielo.
Florindo. L’amor mio mi sollecita a desiderare le vostre nozze.
Rosaura. Ed io le desidero quanto voi; andiamo innanzi.
Florindo. Già sapete che non ho alcuno che mi comandi; che son padrone di me medesimo....
Rosaura. Queste cose le so; venghiamo alla conclusione.
Florindo. Quella lite che m’inquietava....
Rosaura. Ora ci mancava la lite.
Florindo. È terminata. L’ho vinta.
Rosaura. Me ne rallegro. Spicciatevi.
Florindo. Ho comperata una casa grande....
Rosaura. Se seguitate di questo passo, vi pianto assolutamente.
Florindo. Cara Rosaura, sono venuto espressamente per questo.
Rosaura. E come pensate di contenervi?
Florindo. Penso chiedervi al vostro zio....
Rosaura. Eccolo lì, ch’egli viene. Parlategli dunque subito, ch’io mi ritiro. (parte)
Florindo. Egli viene opportunamente. Ma è in compagnia con un altro. Lo vorrei solo. Passerò nel cortile, e attenderò il momento più favorevole. (parte)
SCENA IX.
Pantalone e Lelio.
Pantalone. Caro sior Lelio, la prego de lassar le cerimonie da banda, e le parole studiae: la me diga el so sentimento chiaro, schietto, alla bona, se la vol che l’intenda, e se la vol che ghe responda a proposito.
Lelio. Dirò dunque, brevemente e chiarissimamente parlando....
Pantalone. Via, da bravo.
Lelio. Che siccome gli effetti simpatici dell’attrazione operano negl’individui umani....
Pantalone. Tornemo da capo.
Lelio. Così la magnetica possanza delle amorose pupille della nipote hanno attratto gli effluvi dell’acceso mio cuore.
Pantalone. Mo che diavolo de parlar xe questo!
Lelio. Onde....
Pantalone. Onde....
Lelio. Quantunque sia il merito mio a quello della nipote vostra eterogeneo....
Pantalone. Eterogeneo....
Lelio. Mi consolo e mi animo con il poeta
Che ogni disuguaglianza amore uguaglia.
Pantalone. Ala finio?
Lelio. No, signore, ho principiato appena.
Pantalone. Avanti che la se inoltra nel discorso, vorla che ghe diga mi do parole?
Lelio. Le ascolterò con quel piacere con cui si odono le melodie più sonore.
Pantalone. Ho capio quel che la me vol dir.
Lelio. Effetto della vostra perspicacissima mente.
Pantalone. Ghe piase mia nezza Rosaura?
Lelio. Come alle api la fresca rosa.
Pantalone. Che intenzion mo gh’ala sul proposito de sta riosa?
Lelio. Coglierla vorrei sul mattino; levandola dal giardino vostro per trapiantarla nel mio.
Pantalone. Ho inteso tutto. Ma co sta sorte de termini no se tratta un affar serio de sta natura. Parlemose schietto. Sior Lelio, burleu o diseu da senno?
Lelio. Parlo del miglior senno ch’io m’abbia.
Pantalone. Mia nezza ve piase?
Lelio. La preferisco a Diana, a Venere ed alle Grazie istesse.
Pantalone. Che intenzion gh’aveu sora de ela?
Lelio. Se una propizia stella....
Pantalone. Lassemo star le stelle e la luna, parlè sul sodo; la voleu per muggier?
Lelio. Ecco il punto, ove tendono le linee dei miei desideri.
Pantalone. (E no gh’è remedio, che el voggia lassar sti strambotti). (da sè)
Lelio. Voi scrutatore degli animi innamorati....
Pantalone. Alle curte, sior Lelio. Mia nezza no gh’ha altro che siemile ducati de dota.
Lelio. Perdonate. Vostra nipote ne ha assai di più.
Pantalone. No xe vero. No la gh’ha de più; tanto ha avù so mare, e tanto ghe dago a ela.
Lelio. Oltre la dote materna....
Pantalone. Ve digo che no la gh’ha altro.
Lelio. Ed io asserisco di sì.
Pantalone. Voleu saver più de mi?
Lelio. Il zio non può privarla di quel tesoro ch’ella possiede.
Pantalone. Del mio son paron mi; e ve torno a dir, no la gh’ha de più de siemile ducati.
Lelio. Ed io sostengo ch’ella ne ha trentamila.
Pantalone. Come?
Lelio. Eccovi l’aritmetica dimostrazione. Diecimila il bel labbro, diecimila il suo bellissimo cuore.
Pantalone. Ve contenteu de sta dota?
Lelio. Son contentissimo.
Pantalone. Anca senza i siemile in contanti?
Lelio. Questi non li calcolo un zero.
Pantalone. Co l’è cussì, ve la dago coi trentamile.
Lelio. Aggiungete: altri diecimila le porporine sue guancie.
Pantalone. La gh’ha anca una bella man; quanto voleu che la calcolemo?
Lelio. Un tesoro.
Pantalone. Sì, un tesoro. Co la ve comoda, la xe vostra.
Lelio. Verba ligant homines.
Pantalone. Per mi son contentissimo. Sentirò se Rosaura xe contenta anca ela.
Lelio. Ella lo desidera, siccome la vite aspira avviticchiarsi all’ olmo.
Pantalone. Come lo saveu?
Lelio. Me lo assicurarono le di lei voci.
Pantalone. Ave parla con ela?
Lelio. Oui, monsieur.
Pantalone. E la xe contenta?
Lelio. Contentissima.
Pantalone. Diseu dasseno?
Lelio. Lo giuro sulla purezza dell’onor mio.
Pantalone. Quando gh’aveu parla?
Lelio. Poc’anzi. Teste domina Beatrice.
Pantalone. Me consolo infinitamente.
Lelio. La esultazione vostra produce la giubbilazione dell’animo mio.
Pantalone. Sior Lelio, fazzo stima del vostro carattere; ma vorria che lassessi sto modo de parlar stravagante.
Lelio. Mi lascierò da voi condurre qual navicella errante dal suo prudente piloto.
Pantalone. Parlerò con mia nezza.
Lelio. Colla cinosura de’ miei pensieri.
Pantalone. Co mia nezza, ve digo....
Lelio. Coll’oroscopo delle mie fortune amorose.
Pantalone. Con quel che volè.
Lelio. Ed io anderò frattanto a porger voti a Cupido, che faccia volare rapidamente il tempo, e faccia splendere nel terzo cielo la bella stella di Venere, pronuba dei nostri fortunati imenei.
Pantalone. Mo dove diavolo troveu sti spropositazzi!
Lelio. Deh, mio amorosissimo suocero1, non li chiamate con questo nome. Io, vedete, io ho sfiorato con un faticosissimo studio i più bei fiori del secolo oltrepassato.
Pantalone. E per questo....
Lelio. E per tanto
Men vo dall’idol mio...
Intendami chi può, che m’intend’io. (parte)
SCENA X.
Pantalone, poi Rosaura.
Pantalone. L’è el più bel matto del mondo; ma cossa importa? El xe ricco, el xe nato ben; el xe innamora de Rosaura, el la tol senza gnente; el dise anca che la xe contenta. Co l’è cussì, perchè no ghe l’oggio da dar?
Rosaura. (Non so se Florindo avrà parlato con lui: non lo vedo più. Sarei curiosa di sapere...) (da sè)
Pantalone. Siora nezza, vegnl qua mo.
Rosaura. Che comanda da me il signor zio?
Pantalone. Stamattina parlevimo de matrimonio, e el ballon ne xe capita sul brazzal.
Rosaura. (Ha parlato senz’altro). (da sè)
Pantalone. Cossa diseu? No me respondè?
Rosaura. Sapete che io dipendo da voi.
Pantalone. Gh’avè parla però.
Rosaura. Un momento, per accidente.
Pantalone. E in quel momento, gh’avè fatto saver che nol ve despiase.
Rosaura. Può esser che sia così.
Pantalone. Brava, siora, brava. Vegnimo alle curte: che intenzion gh’aveu?
Rosaura. Torno a ripetere, che io mi lascio da voi condurre.
Pantalone. Donca, se ve lo darò per mano, lo torè.
Rosaura. Non lo ricuserò certamente.
Pantalone. Sta cossa la se pol far presto.
Rosaura. Vi ha parlato?
Pantalone. El m’ha parlà.
Rosaura. E voi siete contento?
Pantalone. Co sè contenta vu, son contento anca mi.
Rosaura. Per me son contentissima.
Pantalone. Se vede che el ve vol ben; nol cerca dota.
Rosaura. (Florindo mi ama davvero). (da sè)
Pantalone. Siora Beatrice cossa dissela? Ve conseggiela a farlo?
Rosaura. Come sapete ch’ella ne sia informata?
Pantalone. Elo m’ha dito tutto.
Rosaura. La signora Beatrice è mia amica; non desidera che il mio bene.
Pantalone. E mi lo desidero più de tutti.
Rosaura. Caro signor zio, quanto vi sono tenuta!
Pantalone. No vedo l’ora che siè logada; e dopo, sappiè, fia mia, che me veggio maridar anca mi.
Rosaura. Caro signor zio, siete troppo avanzato....
Pantalone. Oh via, siora dottoressa, no me stè a seccar, che debotto mando a monte tutto, anca per vu.
Rosaura. No, no, signor zio. Maritatevi pure, fate benissimo.
Pantalone. Prima vu, e po mi.
SCENA XI.
Florindo I.
Florindo. (Mi farò vedere; Rosaura mi lascierà il campo di poter parlare). (da sè)
Rosaura. Venite avanti, signor Florindo.
Pantalone. Patron mio reverito.
Florindo. La riverisco divotamente. (a Pantalone)
Rosaura. Grazie al cielo, il mio signor zio è contento. (a Florindo)
Florindo. Gli avete voi parlato prima di me?
Rosaura. No; gli ho parlato dopo; ma mi ha detto ogni cosa.
Pantalone. Che discorso xe questo? Mi no lo capisso.
Florindo. Dunque, signore, siete voi contento...
Rosaura. Sì, vi dico, è contentissimo.
Pantalone. Mo de cossa?
Rosaura. Delle mie nozze parliamo.
Pantalone. Sior sì, l’ho promessa; son contento, la xe novizza. (a Florindo)
Florindo. Promessa a chi?
Pantalone. A sior Lelio.
Rosaura. Al signor Lelio? (a Pantalone, con sorpresa)
Pantalone. Mo a chi donca?
Rosaura. Non al signor Florindo?
Pantalone. Co sior Florindo mi non ho gnanca parla.
Rosaura. Non avete voi parlato con mio zio? (a Florindo)
Florindo. Veniva ora per parlargli.
Rosaura. Povera me! Di chi avete voi parlato sinora? (a Pantalone)
Pantalone. Ho parla de sior Lelio. Non alo anca parla con vu? No seu contenta de torlo?
Rosaura. Non è vero, signore.
Florindo. (Che confusione è questa?) (da sè)
SCENA XII.
Corallina I.
Corallina. Signor padrone, una parola in grazia.
Pantalone. Aspettè, cara vu, che senta cossa xe sto negozio. (a Corallina)
Corallina. Il negozio che io ho da dirvi, preme assai più. Favorite ascoltarmi.
Pantalone. Vegno subito. Ma sior Lelio m’ha dito.... (a Rosaura)
Corallina. Di questo parlerete poi. Badate a me, signore.
Pantalone. El m’ha anca zurà.... (a Rosaura)
Corallina. Sia maladetta la mia fortuna....
Pantalone. Via, no andè in collera, son con vu. Parleremo dopo; andè via de qua. (a Rosaura)
Rosaura. Per carità, signore....
Pantalone. Ande via, ve digo. No fè che ve daga una man in tel muso. (a Rosaura)
Rosaura. (Pazienza. Oh cieli! Che cosa sarà di me?) (da sè, parte)
Pantalone. E ela, patron, se no la comanda gnente, la me permetta, che gh’ho un poco da far. (a Florindo)
Florindo. Signore, io voleva parlarvi per la signora Rosaura.
Pantalone. Xe tardi, patron, la xe dada via.
Florindo. Ma se è un equivoco....
Pantalone. Con so bona grazia, adesso no ghe posso badar.
Florindo. Parleremo poi con più comodo.
Pantalone. Sior sì, sior sì, tutto quel che la vol.
Florindo. Vi son servitore.
Pantalone. Patron caro.
Florindo. (Lelio non me la rapirà certamente). (da sè, parte)
SCENA XIII.
Corallina e Pantalone.
Pantalone. Compatime, cara fia; se savessi....
Corallina. Signor Pantalone, quello che mi preme dirgli, è questo. La prego di darmi la mia buona licenza.
Pantalone. La vostra licenza? Per cossa?
Corallina. Perchè già credo che poco ancora potrò stare con lei; onde, prima che abbia d’andarmene con mala grazia, è meglio farlo a tempo e con proprietà.
Pantalone. Che novità xe questa? Che motivo gh’aveu de andar via de sta casa? Ve tràttio mal? Ve podeu lamentar de mi?
Corallina. Sì, signore, mi posso giustamente lamentare di lei.
Pantalone. Mo perchè? Cossa v’oggio fatto?
Corallina. Io non godo più la sua confidenza, a me non si svelano i suoi segreti. Si lavora sott’acqua, si fanno gli accordi senza che io li sappia, per poi tutto ad un tratto darmi un calcio, e mandarmi fuor della porta.
Pantalone. Mi resto incantà, che me parlè cussì. No v’intendo; no so cossa che voggiè dir.
Corallina. Sì, sì, finga pure di non capirmi. Intanto mi dia la mia licenza, che me ne voglio andare.
Pantalone. Sior no, no vôi darve gnente, no vôi che andè in nissun liogo; e fin che vivo, Corallina ha da star con mi.
Corallina. Corallina, se voi vi maritate, non ci starà un momento.
Pantalone. Via; se no volè che me marida, no me mariderò, gh’averò pazenzia; ma voggio che stè con mi.
Corallina. Signor padrone, vonei che mi diceste la verità.
Pantalone. No ve dirave una busia per tutto l’oro del mondo.
Corallina. Con questa signora Beatrice, che ora è qui venuta, il signor Pantalone ha verun interesse?
Pantalone. Gnente affatto; la xe amiga de mia nezza2. La xe vegnua a trovarla ela. Con mi no l’ha da far nè bezzo, nè bagarin3.
Corallina. Dunque questa cara signora con qual fondamento parla ella di matrimonio?
Pantalone. Cossa voleu che ve diga? Anca a mi me par da stranio, che la vegna qua a far de sti pettegolezzi.
Corallina. Dunque lo sapete anche voi.
Pantalone. Lo so certo.
Corallina. Chi ve l’ha detto?
Pantalone. Me l’ha dito sior Lelio.
Corallina. Dunque il signor Lelio fa il mezzano alla signora Beatrice.
Pantalone. No, piuttosto par che siora Beatrice fazza la mezzana a sior Lelio.
Corallina. Perchè si sposi con voi?
Pantalone. No con mi, con mia nezza.
Corallina. E la signora Beatrice con chi?
Pantalone. Cossa seggio mi? Con nissun.
Corallina. Ma non è ella la signora Beatrice, che aspira alle vostre nozze?
Pantalone. Alle mie nozze? Com’èla? No so gnente, contemela mo. (con allegria)
Corallina. (Oh che caro vecchietto! Osservatelo come si mette in allegria, sentendo parlar di nozze!) (da sè)
Pantalone. Me parlè de cosse che non ho mai sentio a motivar. Co siora Beatrice non ho mai parlà.
Corallina. Sarà dunque una sua idea, una sua presunzione. Ma qualunque sia la cosa, signor padrone, ci siamo intesi; se voi vi maritate, me ne vado immediatamente.
Pantalone. Donca per mi el matrimonio l’ha da esser bandìo.
Corallina. E se aveste giudizio, non ci dovreste pensar nemmeno.
Pantalone. Mo per cossa? Songio mi el primo vecchio che parla de maridarse?
Corallina. Se i mali esempi servissero di scusa, tutti potrebbono giustificarsi.
Pantalone. Dove fondeu la vostra rason, per creder che fusse in mi sto gran mal, se me maridasse?
Corallina. Prima di tutto nella vostra età pericolosa per voi, e poco comoda per una consorte. Secondariamente per causa della vostra salute, alla quale non può che pregiudicare il matrimonio. Poi per la vostra economia, che con una moglie vedreste precipitata; e finalmente, perchè in quest’età con una sposa al fianco andreste a pericolo, che al quadro delle vostre nozze facesse alcun4 le cornici.
Pantalone. Circa sto ultimo ponto, gh’aveva in testa che no ghe fusse pericolo. Perchè son omo de mondo. So cognosser i caratteri delle persone, e no me imbarcherave senza navegar al seguro.
Corallina. Chi vorreste voi trovare, che vi rendesse certo contro le persecuzioni della gioventù? Qualche vecchia forse?
Pantalone. Oibò! Co avesse da farla, la vorave zovene.
Corallina. E con una giovane al fianco, un vecchio come voi siete....
Pantalone. Mo no ghe ne xe delle zovene da ben e onorate?
Corallina. Ve ne son certo. Ma trovarle, quando si vogliono...
Pantalone. Per esempio: vu no saressi una de quelle?
Corallina. Io? Vi è alcun dubbio? Non sono io una giovane onesta? Mio marito non si è mai doluto di me.
Pantalone. E se ve temessi a maridar, faressi l’istesso con el segondo mario.
Corallina. Io non mi mariterò mai, per non lasciare il signor Pantalone.
Pantalone. Ve poderessi maridar senza lassarme.
Corallina. Quando avessi marito, non potrei servir il padrone.
Pantalone. Serviressi el mario.
Corallina. E se mio marito non volesse, che io servissi il signor Pantalone?
Pantalone. E se sior Pantalon fusse vostro mario?
Corallina. Come! Che dite!
Pantalone. Via, andereu in collera per questo? Siora sì, la mia intenzion la giera de sposarve vu; ma za che no volè, za che me criè, pazenzia; soffrirò così, fin che poderè.
Corallina. (Oh poter di bacco! Che cosa sento? Qui conviene ch’io vi rimedi). (da sè)
Pantalone. Se ve sposasse vu, ghe sarave pericolo del quadro colle cornise?
Corallina. Signore, mi maraviglio di voi; sapete chi sono.
Pantalone. La mia economia anderavela in precipizio?
Corallina. Pare a voi che io non sappia dirigere una casa? spendere con ragione? risparmiar con decoro?
Pantalone. E la mia salute con vu saravela pregiudicada?
Corallina. Niuno meglio di me sa il vostro bisogno. Sono avvezza governarvi da tanto tempo; sareste sicuro del mio amore e della mia attenzione.
Pantalone. Saveu quala saria la difficoltà? La prima che ave dito: che un omo della mia età saria poco comodo per una muggier.
Corallina. Questo potrebbe darsi con altre, ma non con me. Non sono di quelle io.
Pantalone. Donca, Corallina cara, che mal saravelo, che el paron ve deventasse mario?
Corallina. Non mi pare che ci dovesse essere male alcuno.
Pantalone. Per cossa donca m’aveu dito tanta roba, quando ho parla de maridarme?
Corallina. Non mi avete mai detto che parlavate di me.
Pantalone. Donca adesso cossa me diseu?
Corallina. Per ora non vi do positiva risposta.
Pantalone. Mo quando donca?
Corallina. Maritate la signora Rosaura.
Pantalone. Spero d’averla maridada.
Corallina. Con chi?
Pantalone. Co sior Lelio.
Corallina. Rosaura è contenta?
Pantalone. Sior Lelio dise de sì.
Corallina. Ed io vi dico di no. Ma viene la signora Beatrice. Fatemi il piacere di partir subito.
Pantalone. Volentiera. Arrecordeve quel che v’ho dito.
Corallina. Ci parleremo.
Pantalone. E che no ghe sia altre difficoltà. Per la salute gnente; per l’economia me fido; per la zelosia ve cognosso; e per l’etae. Corallina, lasseghe pensar a mi. (parte)
SCENA XIV.
Corallina sola.
Egli va di qua, e Beatrice gira di là. Senz’altro lo vuole abbordare. Non le verrà fatto. Ho scoperto quello che non mi sarei sì facilmente creduto. Vuole sposar me? S’ella è così, lo faccia pure, che farà benissimo; ed io da qui innanzi, se ho da diventare padrona, cambierò stile affatto; non farò più la generosa con tutti. In questa casa gli scrocconi non troveranno più da far bene.
Fine dell’Atto Secondo.