La castalda/Atto III
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ATTO TERZO.
SCENA PRIMA.
Corallina, poi Frangiotto.
Corallina. Ora sì, mi conviene mutar registro. Chi me l’avesse mai detto, che io dovessi divenir padrona! Sciocca ch’io sono stata! Non me ne sono accorta mai, non ci pensava. Ora mi dispiace quello che si è gettato. Mi pento ora delle superflue spese, che ho fatte fare al signor Pantalone. Per causa mia, tanti e tanti hanno mangiato a diluvio; ma in avvenire la cosa non anderà così. Si tratta di risparmiare per me, si risparmierà davvero. Ecco Frangiotto. Ha finito costui di farmi le grazie. Non voglio però ancora dir tutto, poichè il padrone si potrebbe ancora pentire. Non diciamo quattro, finchè non è nel sacco.
Frangiotto. Corallina mia, quando sto due ore senza vedervi, patisco.
Corallina. Ed io patisco, quando vi vedo.
Frangiotto. Questo è segno che mi volete bene.
Corallina. In che senso lo prendete voi il pentimento che ho nel vedervi?
Frangiotto. Lo prendo e lo capisco nel vero senso. Io amo, per esempio, la minestra di maccheroni, e se li vedo, patisco, quando, vedendoli, non ne possa mangiare.
Corallina. Io all’incontro patirei più, se vi dovessi mangiare.
Frangiotto. Lo credo anch’io; perchè mi volete bene.
Corallina. Davvero?
Frangiotto. Sì certamente. Se fossi io cosa che si mangiasse, finirei di essere il vostro caro Frangiotto.
Corallina. Mi consolo che non lo siate, e non lo siete mai stato.
Frangiotto. Brava; questo è amor vero. Se fossi già cosa vostra, passato sarebbe quel fortunato principio delle nostre contentezze matrimoniali.
Corallina. Questo principio non verrà mai.
Frangiotto. Sempre più conosco che mi amate. Chi ama, teme.
Corallina. Io non ho alcun timore.
Frangiotto. Perchè siete sicura dell’amor mio.
Corallina. No, perchè all’amor vostro non ci penso un fico.
Frangiotto. Come!
Corallina. Vi pare che questo sia un altro segno d’amore?
Frangiotto. Mi par di no, veramente.
Corallina. Ho piacere che non vi stiate più a lusingare.
Frangiotto. Conosco per altro, che voi scherzate.
Corallina. No, no, assicuratevi che parlo sincerissimamente.
Frangiotto. Ma come? Vi siete cangiata così presto?
Corallina. Che maraviglie? In un giorno si vedono dei cambiamenti più grandi. Il sole splendido diventa fosco. Torrente arido si vede pieno. I fiori nascono, e presto muoiono. Ed una femmina non può cangiar? Questa canzonetta viene a proposito.
Frangiotto. Io vi risponderò con un’altra: È un’usanza l’incostanza - Delle donne universal...
Corallina. Bravissimo; quando dunque la cosa è universale, non vi farete maraviglia di me.
Frangiotto. Io non vi credeva come l’altre.
Corallina. Vi dirò: mi distinguo dall’altre in questo. Le donne per lo più sogliono lusingare gli amanti, ed io vi dico liberamente che non ci pensiate.
Frangiotto. Ma io non mi so dar pace.
Corallina. Ve la darete col tempo.
Frangiotto. Ditemi almeno il perchè.
Corallina. Ve lo dirò quanto prima.
Frangiotto. Voglio saperlo ora.
Corallina. Voglio?
Frangiotto. Sì, voglio.
Corallina. Al voglio convien rispondere adequatamente.
Frangiotto. Rispondetemi dunque.
Corallina. Sì, vi rispondo: non voglio.
Frangiotto. La risposta è insolente.
Corallina. La vostra domanda fu temeraria.
Frangiotto. Cospetto!
Corallina. Non andate in collera, che vi riscalderete il fegato.
Frangiotto. Almeno vorrei sapere il perchè.
Corallina. Bravo; questo vorrei mi piace un poco più.
Frangiotto. Cara Corallina, vi prego.
Corallina. Meglio assai; ora mi piacete.
Frangiotto. Ditemelo dunque, per carità.
Corallina. Ve lo dirò quanto prima.
Frangiotto. Abbiate compassione del povero Frangiotto.
Corallina. Sì, vi compatisco infinitamente.
Frangiotto. Ci giocherei la testa, che la cosa è come io la penso.
Corallina. Che cosa pensate voi?
Frangiotto. Che voi fingete, che voi mi volete bene.
Corallina. Ma se vi dico di no.
Frangiotto. Ma se io voglio creder di sì. (parte)
SCENA II.
Corallina, poi Ottavio ed Arlecchino.
Corallina. Pover’uomo, da una parte lo compatisco. L’ho lusingato, egli è vero, e forse, forse... Ma non sono sì pazza a perdere la mia fortuna. È vero che il signor Pantalone è vecchio, e questi è giovane, ma i denari fanno parer tutto bello. I denari hanno una forza indicibile; scemano gli anni, lisciano la pelle, raddrizzano le gobbe e coprono le magagne.
Ottavio. Vi saluto, castalda.
Corallina. Serva umilissima.
Arlecchino. Quella zovene, bondì sioria.
Corallina. Buon giorno, Arlecchino. (Costoro hanno finito di mangiare, per conto mio). (da sè)
Ottavio. Oggi non si desina in questa casa?
Corallina. Veramente l’ora è assai avanzata.
Arlecchino. Sento che le mie budelle le par tanti flauti, perchè le xe piene de vento.
Corallina. Avete però fatta una buona colazione.
Arlecchino. In verità, che non me l’arrecordo gnanca più.
Corallina. Così presto ve ne siete scordato?
Arlecchino. Ste cosse me le desmentego facilmente.
Ottavio. Colui è un ghiotto, che non si sazia mai.
Corallina. Ella averà desinato. (a Ottavio)
Ottavio. No, sono venuto a pranzare col vostro padrone. So che egli ha dei forestieri. Non gli dispiacerà che io gli serva di compagnia.
Corallina. Anzi si chiamerà onorato da un personaggio di tanto merito.
Arlecchino. E mi farò i onori della cusina.
Corallina. Bravissimo; vi resteremo tutti obbligati.
Ottavio. Ma la cosa va troppo in lungo: per me non parlo, che sono avvezzo a mangiar tardi, e chi mangia bene ogni giorno, non patisce sì facilmente. Ma i forestieri che hanno fatto il viaggio per acqua, averanno buono appetito.
Arlecchino. Mi ogni zorno me par d’esser in mar. Ho sempre una fame da mariner.
Corallina. Bisognerà dunque sollecitare.
Ottavio. Farete una cosa buona.
Arlecchino. Anca mi ve sarò obbliga.
Corallina. Voglio andare in cucina e gridar col cuoco, se non fa presto.
Ottavio. Sì, ditegli che se non fa gran cose, non importa; ma che solleciti.
Corallina. Anch’ella, per quel che sento, anderebbe a tavola volentieri.
Ottavio. Non parlo per me; parlo per i forestieri.
Arlecchino. E mi no parlo per i forestieri, parlo per mi.
Corallina. Ora darò piacere a tutti. Vado in cucina, e torno.
Arlecchino. Vegnirò anca mi, se la se contenta.
Corallina. No, non v’incomodate.
Ottavio. Portatevi da vostra pari, che un giorno... Chi sa! La casa mia sarà sempre a vostra disposizione.
Corallina. Farò capitale delle sue generose espressioni.
Arlecchino. Anca mi ve esebisso delle espressioni cordialissime.
Corallina. So quanto mi posso compromettere dell’uno e dell’ altro. Vado e torno. (Ora voglio dar gusto a questi due affamati). (da sè, parte)
SCENA III.
Ottavio ed Arlecchino.
Ottavio. Ma tu ti vuoi sempre frammischiare con me.
Arlecchino. Caro sior padron, semo qua tutti do per l’istessa causa.
Ottavio. Io son qui per la conversazione.
Arlecchino. E mi son qua per la conservazion.
Ottavio. Non ti basta mangiare una volta al giorno?
Arlecchino. Se ozi posso magnar do volte, l’anderà per quei dì che stago senza magnar.
Ottavio. Se qualche giorno stai senza mangiare, non puoi lagnarti, sendo ancor io alla medesima condizione.
Arlecchino. La mia panza no l’ha gnente da far colla vostra.
Ottavio. Il servitore non può pretendere di aver più del padrone.
Arlecchino. E el padron no l’ha da pretender, se el magna elo, che zuna1 el so servitor.
Ottavio. Basta, per oggi te la passo.
Arlecchino. Magnemo ozi, che un altro zorno qualcossa sarà.
Ottavio. Credi tu che oggi staremo bene?
Arlecchino. Mi spererave de sì.
Ottavio. Ci sono dei forestieri; la tavola sarà magnifica.
Arlecchino. Anca in cusina no se starà mal.
Ottavio. Ecco Corallina che torna.
Arlecchino. Tutto xe all’ordene. Parecchiemose a devorar.
SCENA IV.
Corallina e detti
Corallina. Eccomi di ritorno.
Ottavio. Come va la cucina?
Corallina. Male.
Arlecchino. Cossa gh’è de novo?
Corallina. Male.
Ottavio. Il cuoco non ha fatto?
Corallina. Ha fatto.
Arlecchino. No xe cotto?
Corallina. È cotto.
Ottavio. Dunque non si mette in tavola?
Corallina. Non si mette in tavola.
Arlecchino. No se magna?
Corallina. Non si mangia più.
Ottavio. Più?
Corallina. Più.
Arlecchino. Mai più?
Corallina. Mai più.
Ottavio. Come va questa cosa?
Arlecchino. Com’elo sto negozio?
Corallina. Vi dirò. Il cuoco ha fatto un bellissimo desinare.
Ottavio. Bravo.
Arlecchino. Pulito.
Corallina. Una zuppa d’erbe con due capponi.
Ottavio. Buonissima.
Arlecchino. Preziosissima.
Corallina. Un pezzo di carne pasticciata, squisita.
Ottavio. (Oh cara!) (da sè)
Arlecchino. (Oh vita mia!) (da sè)
Corallina. Un arrosto di vitello che consolava.
Ottavio. Arlecchino!
Arlecchino. Sior padron! (consolandosi fra di loro)
Corallina. E poi tre o quattro piatti di ultimo gusto.
Ottavio. Tutto bene.
Arlecchino. Non se pol far meggio.
Corallina. E poi...
Ottavio. E poi?
Arlecchino. E cussì?
Corallina. E poi, e così, e così, e così, e poi. Indovinatela.
Ottavio. Che cos’è?
Arlecchino. E cussì?
Corallina. Si è attaccato fuoco al camino. Tutte le pentole sottosopra, le vivande disperse, il desinare in fumo.
Ottavio. Eh!
Arlecchino. Oh!
Corallina. Onde, signori miei, per oggi non si desina più.
Ottavio. Ih!
Arlecchino. Uh!
Corallina. Però vi consiglio a non perdere il tempo invano, e andarvene a casa vostra.
Ottavio. Da me non si è provveduto niente.
Arlecchino. No gh’avemo gnanca legne da impizzar el fogo.
Corallina. L’osteria non è molto lontana.
Ottavio. Io all’osteria? Non vi è pericolo che ci vada.
Arlecchino. Non avemo un soldo.
Corallina. Fate così; andate a passeggiare, che vi passerà la fame.
Ottavio. Ma il vostro cuoco tornerà a cucinare.
Corallina. Oggi da noi non si desina più.
Arlecchino. Se cenerà sta sera?
Corallina. Nemmeno.
Ottavio. I forestieri come faranno?
Corallina. Or ora se ne anderanno.
Arlecchino. Senza magnar?
Corallina. Senza mangiare.
Ottavio. E voi altri di casa non mangerete niente?
Corallina. Per oggi beveremo la cioccolata.
Ottavio. La tornerò a bevere ancora io.
Arlecchino. La beverò anca mi.
Corallina. Or che ci penso, anche la cioccolata è in fumo.
Ottavio. Dunque?
Corallina. Dunque qui non si mangia, qui non si beve.
Arlecchino. Semo licenciadi.
Corallina. Licenziati e spediti.
Arlecchino. Senza remedio.
Corallina. Senza remissione.
Ottavio. Andiamo. Era venuto qui per la compagnia, non era venuto qui per mangiare. A casa mia non mi manca da desinare. Arlecchino, va subito a scannare due o tre capponi. Schiaccia il capo a sei piccioni; ammazza dodici quaglie del mio serbatoio. Avvisa il cuoco che presto presto tiri la pasta per un pasticcio, e prepari una lauta cena; e voi, Corallina, fate sapere alla compagnia del signor Pantalone, che in casa mia vi sarà da cena per tutti. (parte)
Arlecchino. Siora sì, diseghe a tutti che i vegna dal mio padron, che ghe sarà da cena per tutti, se i ghe ne porterà, (parte)
Corallina. Gli scrocconi non torneranno più. Conosceranno che non si vogliono. Se ho da esser io la padrona, vo’ risparmiare, e quello che vorrebbono mangiar gli altri, lo vo’ riserbare per me.
SCENA V.
Corallina e Rosaura.
Rosaura. Corallina mia, aiutatemi.
Corallina. Che c’è, signora Rosaura? Comandatemi; son qui tutta per voi.
Rosaura. Mio zio vuol maritarmi con quello sguaiato di Lelio; nega di volermi dare a Florindo, ed io, se non ho per marito questo, non ne prendo altri assolutamente.
Corallina. (Oh, mi preme ch’ella si mariti). (da sè) Non dubitate, signora, che farò io in modo che sarete contenta.
Rosaura. So che mio zio ha della stima di voi.
Corallina. Così voi aveste della bontà per me!
Rosaura. Che dite mai, Corallina? Sapete pure che vi voglio bene.
Corallina. Ora ho bisogno che me ne vogliate più che mai.
Rosaura. Ed io ho bisogno di voi, nel caso in cui sono.
Corallina. Aiutiamoci insieme, dunque.
Rosaura. Che potrei fare per voi? Disponete di me medesima.
Corallina. Sappiate, signora Rosaura, che, poche ore sono, il signor Pantalone mi si è dichiarato amante.
Rosaura. Buono; tanto meglio per me.
Corallina. E mi ha proposto di volermi sposare.
Rosaura. Va benissimo. Fatelo, Corallina, fatelo, per amor del cielo.
Corallina. Lo farò più volentieri, se voi mi date animo a farlo.
Rosaura. Ditegli di sì a mio zio, ma con una condizione.
Corallina. Con qual condizione?
Rosaura. Che a me dia per manto il signor Florindo.
Corallina. E per il resto siete contenta?
Rosaura. Contentissima.
Corallina. Non dubitate dunque, che il signor Florindo sarà per voi.
Rosaura. E voi resterete la padrona di questa casa.
Corallina. (Questo è quel ch’io desidero). (da sè)
Rosaura. Altrimenti io non mi marito; e avrete in casa una disperata.
Corallina. Venite meco. Andiamo a vedere, se si può parlare al signor Florindo.
Rosaura. Se il zio mi vede...
Corallina. Se siete meco, non abbiate paura.
Rosaura. Andiamo dunque, se così vi piace.
Corallina. Oggi saremo tutte due contente. Ma chi lo sarà più di noi?
Rosaura. Spererei che dovesse esser maggiore la mia contentezza.
Corallina. Per qual ragione?
Rosaura. Perchè il mio sposo è giovane, e il vostro è vecchio. (parte)
Corallina. Per me vorrei ch’egli avesse altri vent’anni di più, purchè per ogni anno gli crescessero mille scudi. (parte)
SCENA VI.
Beatrice e Pantalone.
Beatrice. Favorisca, signor Pantalone: pare ch’ella mi sfugga.
Pantalone. Son qua, cossa me comandela?
Beatrice. È vero che ho scarso merito, ma la sua gentilezza è tanto grande, che mi fa sperar qualche cosa.
Pantalone. Cara siora Beatrice, la me mortifica. Se posso servirla, la me comanda.
Beatrice. Veramente è stato troppo ardire il mio, venir qui a darle incomodo...
Pantalone. Me maraveggio. La xe vegnua a favorir mia nezza...
Beatrice. Eh, signor Pantalone, non sono venuta qui per la signora Rosaura.
Pantalone. No? Mo per cossa donca?
Beatrice. Non mi è lecito dir di più. Ho detto anche troppo.
Pantalone. (No la me despiase; no la xe miga cattivo tòcco). (da sè)
Beatrice. Voi la mariterete presto la vostra nipote.
Pantalone. Certo; più presto che poderò.
Beatrice. E poi resterete solo.
Pantalone. Ma! Pur troppo.
Beatrice. Eh no, non resterete solo. Avrete la cara compagnia della vostra castalda.
Pantalone. Certo, per dir el vero, de Corallina no me posso lamentar.
Beatrice. Ma finalmente è una serva.
Pantalone. La xe una serva...
Beatrice. Chi sa? Potrebbe anche divenir padrona.
Pantalone. Nol saria el primo caso.
Beatrice. Bell’onore per altro, che voi fareste alla vostra casa!
Pantalone. Saravelo un disonor per mi?
Beatrice. Non so con qual faccia vorreste comparire fra i galantuomini pari vostri.
Pantalone. (L’ha fatto tanti altri; lo posso far anca mi). (da sè)
Beatrice. Vi mancherebbero migliori partiti, se ne voleste?
Pantalone. In sta età no xe cussì facile.
Beatrice. Più facile di quello che vi pensate.
Pantalone. Disela dasseno?
Beatrice. Un uomo sano, ben fatto, come siete voi, è desiderabile da qualunque donna.
Pantalone. Oh, che cara siora Beatrice!
Beatrice. Molto più poi da una vedova, che non abbia certe frascherie nel capo.
Pantalone. Cussì diseva anca mi.
Beatrice. Basta che la vedova sia una donna civile, e non sia una servaccia.
Pantalone. No saveria cossa dir.
Beatrice. Ah, signor Pantalone, se mi fosse lecito di parlare...
Pantalone. La parla, cara ela, la diga con libertà.
Beatrice. Voi siete troppo innamorato della vostra castalda.
Pantalone. Ghe dirò... se poderave anca dar...
Beatrice. Basta, se mi potessi di voi fidare!
Pantalone. La se fida; no son miga un putello.
Beatrice. (Parmi che egli vada cedendo). (da sè)
Pantalone. (Se Corallina sentisse, poveretto mi!) (da sè)
Beatrice. Se vi confido una cosa, mi promettete di tenerla in voi?
Pantalone. Siora sì, ghe lo prometto da galantomo.
Beatrice. Bene, sappiate dunque...
SCENA VII.
Corallina e detti.
Corallina. Oh! perdonino... sono venuta innanzi senza badare.
Pantalone. Vegnì, vegnì, cossa voleu?
Corallina. Non voglio dar loro soggezione. Con sua licenza. (in atto di partire)
Pantalone. Vegnì qua, ve digo. (No vorria desgustarla). (da sè)
Beatrice. Se ha qualche cosa da fare, lasciate pur ch’ella vada. (a Pantalone)
Corallina. Per ora non ho da far niente. Ma partirò, per lasciar in libertà la signora Beatrice.
Beatrice. Io di voi non mi prendo soggezione veruna.
Corallina. No, signora? E pure può essere che io gliene dia.
Pantalone. (Me par de esser in t’un brutto intrigo). (da sè)
Corallina. (Ora sono in impegno). (da sè)
Beatrice. (Se podessi fidarmi di questo vecchio!) (da sè)
Corallina. Signor padrone, io non sono mai stata di quelle che abbiano voluto far dispiacere a nessuno. Vedo che la signora Beatrice mi guarda di mal occhio, onde sarà meglio che io me ne vada di questa casa.
Pantalone. Mo per cossa? Sior no. Siora Beatrice xe una persona de garbo; no la gh’ha motivo de vardarve storto. Mi son paron de sta casa. Savè quel che v’ho dito za un ora, e me maraveggio che parie cussì.
Beatrice. (È innamorato, non farò niente). (da sè)
Corallina. Vi dirò, signore: è vero che io non voglio dar dispiacere a nessuno, ma ho anche la delicatezza di non volerne soffrire.
Pantalone. Chi ve dà despiaser? De cossa ve lamenteu?
Beatrice. La delicatissima signora Corallina vuol vedersi sola. Ha troppa gelosia della sua autorità.
Corallina. Penso al mio stato, penso al mio interesse, e son compatibile, se temo di perdere la mia fortuna.
Pantalone. Ma come? In che maniera? Cossa ve andeu insuniando?
Corallina. Volete ch’io vi dica il mio sogno? Eccolo qui, signore: la signora Beatrice è una persona civile, una garbata vedova, una fresca donna. Ella è venuta qui per accidente, e potrebbe restarvi per sempre. Il signor Pantalone, che vuole rimaritarsi, non farebbe cattiva giornata accomodandosi con una persona di tanto merito. In tal caso, che sarebbe di me? La prima cosa: Corallina via. Vi pare che abbia io ragione di scuotermi, e di domandarvi anticipatamente la mia licenza? (a Pantalone)
Pantalone. No xe vera nissuna de ste cosse. (a Corallina)
Beatrice. Il signor Pantalone non ha veruna stima di me.
Pantalone. La stimo anzi moltissimo. (a Beatrice)
Corallina. Il signor Pantalone non ha per me alcuna premura.
Pantalone. No podè dir cussì: savè quel che v’ho promesso.
Corallina. Se è vero quello che mi avete promesso, confermatelo in faccia della signora Beatrice.
Pantalone. Volè mo che diga in fazza della zente...
Corallina. Vi vergognate a dirlo?
Pantalone. Me vergogno un pochetto.
Corallina. Dunque siete un bugiardo, che mi vuol tradire.
Beatrice. Eh via, signor Pantalone. Parlate liberamente; se qualche cosa le avete detto per lusingarla, disingannatela.
Corallina. Via, senza soggezione, dichiaratevi per la signora Beatrice. In confronto di lei, devo cedere per ogni ragione.
Beatrice. Il signor Pantalone è un uomo civile, ne vorrà farsi ridicolo per la piazza.
Pantalone. (Son tra l’ancuzene e el martello). (da sè)
Corallina. Caro signor padrone, conviene alfine che ci separiamo del tutto. Perdonatemi, se non vi ho servito a misura del vostro merito; non potrete però dolervi dell’amor mio e della mia fedeltà. Per voi ho sagrificato, posso dire, la più bella mia gioventù. Per voi ho lasciato tanti partiti per nuovamente accasarmi; ma tutto era dovuto alla vostra bontà. Vi lascio, signore, e vi prego dal cielo ogni bene. Vi domando perdono, se ho avuto l’ardire di lusingarmi d’essere da voi amata. Le mie speranze erano fondate sulle vostre generose espressioni; ma ora conosco l’inganno mio, confesso la mia viltà, il mio demerito; e procurerò di scancellar la mia colpa, a forza di lacrime e di sospiri. (piangendo)
Beatrice. (Che maledetta arte ha costei!) (da sè)
Pantalone. (Singhiozzando) No, cara fia... no me abbandonò; ve vôi ben... sarè mia...
Beatrice. Signor Pantalone...
Pantalone. Lassème star, siora. Corallina xe el mio cuor, le mie vissere.
Beatrice. Dunque...
Pantalone. Donca la vôi sposar.
Beatrice. Signora Corallina, me ne rallegro con lei.
Corallina. Quando sarò sposata, le risponderò.
SCENA VIII.
Lelio e detti.
Lelio. Signore, eccomi a ricevere il premio delle amorose mie pene. Sono sei ore e più ch’io ardo d’amore: è tempo ormai che mi concediate ristoro.
Pantalone. Xe sie ore che sè innamorà? Ve par assae? Mi xe più de sie anni che sospiro, e ancuo spero de consolarme.
Lelio. Consolate me ancora, per quanto vi è caro il favore del Dio bendato.
Pantalone. Adesso manderemo a chiamar la putta, e sentiremo da ela.
Lelio. Non c’è bisogno di mandarla a chiamare. Propizia sorte l’ha qui condotta.
Pantalone. Dove xela?
Lelio. Avete voi le traveggole? Eccola la bella rosa vermiglia...
Pantalone. Chi? La castalda?
Lelio. Questa qui, sì signore. Io non sapeva che avesse nome Castalda.
Corallina. (Va benissimo per Rosaura). (da sè)
Pantalone. Xelo matto sto sior? Cossa diselo? (a Corallina)
Corallina. Signore, è corso un equivoco. Egli mi ha preso per vostra nipote.
Pantalone. E vu avè lassà correr? (a Corallina)
Corallina. Ringraziate la signora Beatrice. Ella è l’autrice di sì bella scena. Ella per l’appunto, che vi ha condotti in casa due giovani, per involarvi la nipote e la serva.
Pantalone. Cussì, siora Beatrice?
Beatrice. Uno scherzo non mette in essere cosa alcuna.
Pantalone. Ma de sti scherzi in casa mia no se ghe ne farà più, patrona. Ala sentìo, sior Lelio? Questa no la xe mia nezza, la xe stada fin adesso la mia castalda, che vuol dir la custode, la direttrice, o sia la fattora de sti mii loghi de villa.
Lelio. Non so che dire. Spiacemi il cambiamento del grado; ma io non posso cambiar amore. La sposerò quantunque.
Pantalone. No la la sposerà comunque.
Beatrice. Caro signor Lelio, la vuol per sè il signor Pantalone.
Corallina. Eccola la di lui nipote. Favorite, signora Rosaura; venite innanzi.
SCENA IX.
Rosaura e detti.
Rosaura. Eccomi, chi mi vuole?
Pantalone. Vedeu, sior? Questa xe mia nezza. (a Lelio)
Lelio. Corallina?
Pantalone. No Corallina, Rosaura; Corallina xe quella. Cossa xe sto barattin de nomi?
Corallina. Tutti vezzi della signora Beatrice.
Pantalone. Cara ela, la prego... (a Beatrice)
Beatrice. Ho inteso, ho inteso. In casa vostra non mi vedrete2 più. -(a Pantalone)
Lelio. Signor Pantalone, la cosa è accomodata.
Pantalone. Come?
Lelio. Sposerò la signora Rosaura.
Pantalone. E l’amor che gh’avevi per una, se baratta co l’altra?
Lelio. Così è; ardo per la signora Rosaura. Convien dire che la forza del nome attragga dal mio cuore le fiamme.
Rosaura. Ah signor zio, vi pare che un tal marito possa piacermi?
Lelio. Sì, mia cara, troverete in me quel merito che non cade sotto la pupilla degli occhi.
Corallina. Signor Pantalone, ora è tempo di pubblicare la vostra intenzione. Dite alla presenza della nipote, vostra unica erede, l’idea che avete sopra di me, e sentiamo s’ella abbia nulla in contrario.
Pantalone. Sì, fia mia, sappiè che ho destina de torla per mia muggier. Seu contenta? Ve despiaselo sto matrimonio?
Rosaura. Per me son contentissima, anzi vi consiglio di farlo presto.
Beatrice. Mi maraviglio di voi, signora Rosaura, che sì poco curate il decoro vostro...
Pantalone. Ela, patrona, la se ne impazza in ti fatti soi. Siora sì, la voggio sposar, e che sia la verità, alla presenza de mia nezza e de tutti, voggio darghe la man.
Corallina. Ed io, alla presenza di tutti, l’accetto.
Beatrice. Ora, signora Rosaura, durerete fatica a trovar marito.
Lelio. Son qui io, la prenderò io; quello ch’ella ha perduto, glielo renderò io.
Corallina. Non s’incomodi, signor Lelio, che alla signora Rosaura non mancheranno mariti. Signor Pantalone, ora son vostra moglie.
Pantalone. Sì, cara, sè mia muggier.
Corallina. La signora Rosaura dunque viene ad essere nipote mia.
Pantalone. Vu sè so amia, e ghe sè in logo de mare.
Corallina. Quando dunque é così, la mariterò io. Favorisca, signor Florindo. (verso la scena)
SCENA ULTIMA.
Florindo e detti.
Florindo. Eccomi a consolarmi con voi...
Corallina. Ed io per potermi con voi consolar egualmente, ecco che vi offerisco della signora Rosaura la mano.
Florindo. Sarò felicissimo s’ella acconsente, e se l’accorda amorosamente il signor Pantalone.
Pantalone. Quel che fa Corallina, xe sempre ben fatto.
Lelio. Ed io resterò senza moglie?
Beatrice. Dopo due matrimoni ridicoli, vi vorrebbe il terzo.
Corallina. Si può far facilmente, s’ella si marita col signor Lelio. (a Beatrice)
Lelio. Io non dico di no.
Beatrice. Ed io per non soffrire altre impertinenze da questa casa, sarà meglio che io me ne vada.
Corallina. Compatisca, signora, se qualche cosa le è dispiaciuto. Finalmente credo di essere compatibile anch’io. Son anni che servo il padrone, ed egli in premio della mia servitù, o per meglio dire per effetto della mia condotta, di serva mi ha volluo fare padrona, e sul punto di far un sì bel passaggio, ogni cosa mi dava ombra, ogni cosa mi faceva tremare. Ora sono contenta, ora sono sposata, e si moltiplica il mio contento con quello della signora Rosaura. Se per lo passato sono stata al signor Pantalone un’amorosa serva, gli sarò in avvenire una discreta moglie, studiando ogni più dolce maniera, perchè egli non si penta d’avere onorato colla sua mano la sua Castalda.
Fine della Commedia.