Atto I

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Personaggi Atto II

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ATTO PRIMO.

SCENA PRIMA.

Corallina ed Arlecchino seduto ad una tavola,
che mangia e beve.

Corallina. Animo, animo, mangiate e bevete, che buon pro vi faccia.

Arlecchino. Oh che onorata castalda! Oh, quanto che ve son obligà! Cussì sti bocconcini la mattina per el fresco i me tocca el cuor.

Corallina. Mangiate, che ve lo do volentieri. (Già il padrone non sa niente, ed io mi voglio far degli amici, per tutto quello che potesse nascere). (da sè)

Arlecchino. Alla vostra salute. (beve)

Corallina. Viva il signor Arlecchino!

Arlecchino. Oh caro! Oh che vin! Oh che balsamo! Alla vostra salute. (beve) [p. 116 modifica]

Corallina. È del meglio che sia in cantina. Ai miei amici voglio dar di quel buono.

Arlecchino. Mah, vu sì fortunada, che servì un patron ricco: ma mi servo un maledetto spiantà, povero e superbo.

Corallina. Ditemi, come vi tratta il signor Ottavio?

Arlecchino. El me dà tre piatanze al zorno.

Corallina. Tre pietanze? Non c’è male. In che consistono queste tre pietanze?

Arlecchino. Polenta, acqua e bastonade.

Corallina. Oh, il caro pazzo che siete!

Arlecchino. Alla vostra salute. (beve)

Corallina. Buon pro vi faccia. Qui almeno in casa del signor Pantalone si mangia a tutte le ore.

Arlecchino. Questa l’è la rabbia del me padron. Che i altri magna, e lu no.

Corallina. E pure va egli ancora spesse volte a mangiare qua e là.

Arlecchino. Oh, se savessi perchè el ghe va!

Corallina. E per qual ragione va egli?

Arlecchino. No la poderessi mai immaginar.

Corallina. Ditemela dunque.

Arlecchino. El ghe va per la fame.

Corallina. Questa la sapevo da me.

Arlecchino. E mi mo savi per cossa che vegno qua?

Corallina. E voi per qual motivo?

Arlecchino. Per l’appetito. Alla vostra salute. (beve)

Corallina. Bravo; sempre più mi piacete.

SCENA II.

Ottavio in abito succinto da campagna, e detti.

Ottavio. Che cosa fai qui? (ad Arlecchino, aliterato)

Arlecchino. La compatissa... alla so salute. (beve)

Corallina. Serva di vossustrissima. (ad Ottavio)

Ottavio. Buon giorno. (a Corallina) Animo, levati di lì. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Se la comanda anca ela? (ad Ottavio) [p. 117 modifica]

Corallina. Abbia la bontà di lasciarlo terminare la colazione.

Ottavio. Via di là, dico, ghiottone, villanaccio indiscreto. Hai tu bisogno d’andar a mangiare fuori di casa?

Arlecchino. Coll’occasion che in casa no se magna...

Ottavio. Briccone, non mangi tu di quello che mangio anch’io?

Arlecchino. Sior sì, l’è vero.

Ottavio. Dunque di che ti lamenti?

Arlecchino. Me lamento che magnemo poco tutti do.

Ottavio. Pezzo d’asino! un mio servitore tutto il giorno a mangiare qua e là per le case?

Corallina. In campagna è lecito. Vi vanno i padroni, possono andar anche i servitori.

Ottavio. I miei servitori non hanno bisogno del vostro pane.

Corallina. Oh quanto fumo!

Ottavio. Che dite?

Corallina. Fanno il bucato; viene un fumo che non si può soffrire.

Ottavio. Presto; va al mio palazzo a spazzar le camere. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Oh che fumo!

Ottavio. Come?

Arlecchino. No la sente? El bugado.

Ottavio. Animo, non fare che ti dia delle bastonate.

Arlecchino. Sentìu! bastonade, una delle tre piatanze. (a Corallina)

Ottavio. Vattene, disgraziato.

Arlecchino. Sior padron, una parola in segreto, e vado via subito.

Ottavio. Che vuoi?

Arlecchino. Sta mattina ho magnà ben. La polenta solita de casa la salveremo per doman. (piano ad Ottavio, e parte)

SCENA III.

Ottavio e Corallina.

Ottavio. Impertinente! Costoro non pensano che a mangiare, che a divertirsi, e non si curano di servir il padrone.

Corallina. Arlecchino, signore, non mi par cattivo figliuolo. É vero ch’egli è un poco semplice, ma qualche cosa da tutti [p. 118 modifica] convien soffrire, ed è meglio un servitore un poco semplice, piuttosto che troppo accorto. Perchè, dirò come si suol dire, il semplice falla per ignoranza, il furbo per malizia.

Ottavio. Guardate se colui è attento al servizio del suo padrone. S’alza, se ne va, e mi pianta senza darmi nemmeno la cioccolata.

Corallina. La farà; è ancora presto.

Ottavio. Questa è l’ora ch’io la prendo. La sera non ceno; se tardo a prenderla, mi si illanguidisce lo stomaco.

Corallina. Se comanda che la serva io, la servo subito.

Ottavio. Briccone! Non averà nemmeno acceso il fuoco. Non sarà a tempo la cioccolata nemmeno da qui ad un’ora.

Corallina. Via, signore, che serve? Se la vuole, la cioccolattiera è al fuoco; presto, presto si fa.

Ottavio. Via; giacchè è pronta, la beverò qui.

Corallina. (Già me l’immaginava). (da sè) Compatirà, se non sarà da suo pari.

Ottavio. La sentirò volentieri, perchè di cioccolata io me n’intendo assai.

Corallina. So che ella è dilettante; e che sia la verità, la va assaggiando per tutto.

Ottavio. E quando dico io che è buona, possono star sicuri che è tale.

Corallina. Sentirà la nostra. (Godo moltissimo a far la generosa colla roba del mio padrone). (da sè, parte)

SCENA IV.

Ottavio I.

Questo salame ha un odor che rapisce. Sarà perfettissimo, e la castalda lo dà a mangiare alla servitù. Poveri padroni! Questi castaldi, questi fattori ci assassinano; per me per altro è finita. In cinque o sei anni ho spacciato tutto il mio patrimonio, ed ora mi è mancato il potere, e mi è restata la volontà. Anch’io una volta dava da mangiare a tutti, e ora non ne ho [p. 119 modifica] nemmeno per me. Quel salame e quel pane mi tirano fieramente la gola. Se non avessi vergogna... Ma vergogna di chi? Non vi è nessuno. Presto, presto, due fette di salame e un bicchierino di vino. Oh fame, oh fame! Sei pur dolorosa! (mangia) Oh buono! Non ho mangiato il meglio. Mah! La fame condisce tutte le vivande. Sentiamo questo vino. (versa da bere) Prezioso! (bevendo)

SCENA V.

Corallina colla cioccolata, ed il suddetto.

Corallina. Signore, buon pro le faccia.

Ottavio. (Tossendo) Maledetta tosse! Quando mi prende la tosse, se non bevo, mi affogo.

Corallina. Le piace quel vino?

Ottavio. Non ha che fare con quello della mia cantina.

Corallina. Lo so che il suo è gagliardissimo, anzi mi è stato detto che sia andato in fumo.

Ottavio. Date qui la cioccolata.

Corallina. Eccola.

Ottavio. Oibò...

Corallina. Perchè torce il naso? Non le par buona?

Ottavio. Eh! così e così, mezzanamente.

Corallina. Tutti dicono che è preziosa.

Ottavio. Non ha che far colla mia.

Corallina. La sua avrà più bel colore.

Ottavio. Certamente.

Corallina. Sarà amaretta.

Ottavio. Sì, questa è troppo dolce.

Corallina. Sarà molto più densa.

Ottavio. Questa veramente è liquida.

Corallina. Nella caldaia riesce meglio.

Ottavio. Come c’entra la caldaia?

Corallina. Me l’ha detto Arlecchino, signore.

Ottavio. Che cosa? [p. 120 modifica]

Corallina. Che da lei si fa la cioccolata nella caldaia.

Ottavio. Sì, quando l’invito è grande.

Corallina. E poi la tagliano in fette...

Ottavio. Orsù, parliamo d’altro; voi non siete di questa villa.

Corallina. No, signore, son di Toscana, ma sono stata molto tempo in Venezia, maritata in casa del signor Pantalone de’ Bisognosi. Restai vedova, ed ora sono tre anni che servo in qualità di castalda.

Ottavio. Basta, si vede che la sapete lunga.

Corallina. E sì sono innocente come l’acqua.

Ottavio. Come l’acqua de’ maccheroni, eh!

Corallina. Oh, appunto quell’acqua con cui ella si lava il viso.

Ottavio. Siete un’impertinente.

Corallina. Davvero? non mi conosco. Ho piacere ch’ella mi abbia avvertita. Da qui avanti mi saprò regolare.

Ottavio. Colle persone della mia condizione si parla con rispetto.

Corallina. Capperi! Eccome!

Ottavio. Finalmente son chi sono.

Corallina. Finalmente ella è...

Ottavio. Che cosa sono?

Corallina. Quel che ha da essere, e che sarà.

Ottavio. Che vuol dire?

Corallina. Eh, m’intendo da me, quando dico torta.

Ottavio. Non vorrei che vi prendeste spasso di me.

Corallina. Oh, la mi compatisca, so il mio dovere. Illustrissimo, mi raccomando alla sua protezione.

Ottavio. Dove posso, comandatemi.

Corallina. Grazie alla bontà sua. Permetta che le baci la mano.

Ottavio. Oh, no, no...

Corallina. La prego... (gliela bacia)

Ottavio. Via, brava, portatevi bene; e se non trovate il vostro conto a stare con Pantalone, verrete a stare con me.

Corallina. Oh, il ciel volesse! Mi licenzierò, se dice davvero.

Ottavio. Non voglio far mal’opera con questo buon uomo. Ma occorrendo... basta, sapete dov’è il palazzo. Addio, (parte) [p. 121 modifica]

SCENA VI.

Corallina sola.

Eh, so dov’è quel nido di passere. È un palazzo che casca a pezzi. Che caro signor Ottavio! In casa sua si sguazza quando piove. Sì, anderò a star con lui, e tutti due andremo poi a stare con qualchedun altro. Con tutto che egli sia spiantatissimo, ha un’albagia del gran diavolo. Io, grazie al cielo, non ho bisogno di lui; non cambierei il padrone che ho, con quanti ne conosco nei nostri contorni. Egli è il più buon uomo di questo mondo. Mi vuol bene, mi tratta bene, e spero con esso lui di fare la mia fortuna.

SCENA VII.

Frangiotto servitore, e la suddetta.

Frangiotto. Corallina, il padrone è alzato.

Corallina. Presto dunque, ch’io vada a portargli la cioccolata.

Frangiotto. L’acqua l’ho messa ora al fuoco; lasciate che si riscaldi.

Corallina. Ve n’era di fatta nella cioccolattiera.

Frangiotto. Ve n’era, ed ora non ve n’è più.

Corallina. Chi l’ha bevuta?

Frangiotto. Io.

Corallina. Buon pro vi faccia, e buon sangue.

Frangiotto. Dovreste dire anche buone carni e buone ossa, e buono e forte temperamento.

Corallina. Sì, caro Frangiotto, governatevi bene; nutritevi bene; se avete ad esser mio, vi voglio bello, grasso e robusto.

Frangiotto. Tocca a voi a pensarci.

Corallina. A me tocca?

Frangiotto. Sì, a voi. Se ho da essere cosa vostra, tocca a voi a ingrassarmi.

Corallina. Colla biada del padrone ingrasseremo tutti due, non abbiate timore. [p. 122 modifica]

Frangiotto. Basta che voi vogliate, potete far tutto. Egli si fida di voi.

Corallina. Sono tre anni che non solo faccio io a mio modo, ma egli medesimo fa a modo mio.

Frangiotto. Vostro marito, quando viveva, non aveva egli il possesso in casa, che avete voi.

Corallina. Nè io ardiva allora di metter bocca. Era un uomo bestiale. Ma adesso che, grazie al cielo, me ne son liberata...

Frangiotto. Grazie al cielo, eh?

Corallina. Sì, non ho da ringraziare il cielo, che mi ha levato d’attorno un marito il più fastidioso di questo mondo?

Frangiotto. Prima di prenderlo, che cosa vi pareva di lui?

Corallina. Gli voleva bene; mi pareva una pasta di zucchero. Non vedeva l’ora di prenderlo, e poi è diventato un demonio.

Frangiotto. Corallina mia, a me mi volete bene?

Corallina. Lo sapete, senza che ve lo ridica.

Frangiotto. Vi pare ch’io sia per essere un buon marito?

Corallina. Alla cera mi par di sì.

Frangiotto. Ma di me v’annoierete voi presto?

Corallina. Chi sa! per ora spero di no. Tocca a voi a portarvi bene.

Frangiotto. Se morissi presto, direste voi sia ringraziato il cielo?

Corallina. Secondo la vita che mi fareste fare.

Frangiotto. Facciamo i nostri patti prima.

Corallina. Facciamoli.

Frangiotto. Prima di tutto...

Corallina. Prima di tutto... principierò io. Prima di tutto, voglio fare a mio modo.

Frangiotto. A vostro modo in che?

Corallina. In tutto.

Frangiotto. In tutto?

Corallina. Sì, in tutto.

Frangiotto. Ed io?

Corallina. E voi, a modo mio.

Frangiotto. Sicchè voi tutto. [p. 123 modifica]

Corallina. In questo tutto.

Frangiotto. E per me niente.

Corallina. E per voi tutto.

Frangiotto. Ma come tutto per me, se volete tutto far voi?

Corallina. Il tutto per me non ha da pregiudicare il tutto per voi.

Frangiotto. Spiegatevi, ch’io non vi capisco.

Corallina. Siete pur zotico. Tutto per me il maneggio di casa, tutte per me le chiavi, tutto per me il fare, il disfare, l’andare, lo stare, il tornare, il disponere, il comandare.

Frangiotto. Per voi?

Corallina. Per me.

Frangiotto. E per me?

Corallina. Tutto per voi, il mangiare, il bevere, il lavorare.

Frangiotto. E non altro?

Corallina. E per voi tutto il cuore di Corallina, e Corallina istessa tutta tutta per voi.

Frangiotto. Per me?

Corallina. Per voi.

Frangiotto. Tutta?

Corallina. Tuttissima.

Frangiotto. A crederlo vi ho qualche difficoltà.

Corallina. Mi fate torto, signor Frangiotto.

Frangiotto. Compatitemi, son uno che parlo schietto.

Corallina. Di che cosa potete voi dubitare?

Frangiotto. Che siccome facciamo noi a metà col padrone de’ beni suoi, egli non abbia a fare a metà con me del cuore di mia consorte.

Corallina. Del cuore non sarebbe gran cosa.

Frangiotto. Sì, ho parlato con modestia. Ma c’intendiamo; quando dico del cuore, m’intendo anche della coratella.

Corallina. A questo proposito, vi dirò prima di tutto, essere la gelosia il peggior canchero che soffrir si possa. Che questa poi è più bestiale e più irragionevole in chi serve, e ha bisogno di coltivarsi il padrone; e per ultimo, essendo il nostro [p. 124 modifica] padrone vecchio, dabbene e di poca salute, voi siete un pazzo a dubitare di lui.

Frangiotto. Per altro, s’ei non fosse vecchio e di poca salute, potrei dubitare dunque.

Corallina. Potreste dubitare di lui, ma non di me.

Frangiotto. Questo è quello ch’io voleva dire.

Corallina. Orsù, lasciamo da parte queste malinconie. Lasciatemi badar per ora a metter da parte più ch’io posso, per istar bene dopo la di lui morte.

Frangiotto. E lo stesso posso far ancor io.

Corallina. Sì, facciamolo tutti due. Già, vedete che tutto passa per le mie mani.

Frangiotto. Vi è sua nipote, che mi dà un poco di soggezione.

Corallina. A me niente. La signora Rosaura mi vuol bene. Secondando io qualche sua inclinazione, qualche suo amoretto, l’ho fatta mia: siccome ho procurato e procuro di guadagnarmi l’amore e la stima di tutti quelli che frequentano questa casa.

Frangiotto. L’amore e la stima di tutti?

Corallina. Di tutti.

Frangiotto. Anche del signor Lelio, del signor Florindo?

Corallina. Anche del diavolino che vi porti, signor geloso sguaiato.

Frangiotto. Via, non andate in collera. Ditemi almeno in qual maniera intendete voi di cattivarvi l’affetto di queste tali persone.

Corallina. Facilissimamente. Facendo la generosa con tutti. Dispensando le grazie del padrone, senza da lui dipendere, e facendomi merito colla roba sua.

Frangiotto. E del vostro non donate niente?

Corallina. Niente; non son sì pazza.

Frangiotto. Niente, niente?

Corallina. Nulla affatto.

Frangiotto. Nemmeno un’occhiatina, un vezzetto...

Corallina. Un cancherino che vi mangi; un pezzo di legno che vi bastoni...

Frangiotto. Ma via, non vi riscaldate sì presto. Finalmente, se parlo... [p. 125 modifica]

Corallina. Voi non dite che degli spropositi.

Frangiotto. Parlo per amore.

Corallina. Parlate per ignoranza.

Frangiotto. Vi voglio bene.

Corallina. Non è vero.

Frangiotto. Sì...

Corallina. Ecco il padrone.

Frangiotto. A rivederci.

Corallina. Addio.

Frangiotto. Vogliatemi bene.

Corallina. No.

Frangiotto. Maladetta!

Corallina. Asino!

SCENA VIII.

Pantalone e detti.

Pantalone. Com’èla?

Frangiotto. Signor padrone, la riverisco. (parte)

Corallina. Ecco qui, sempre mi tocca gridare.

Pantalone. Per cossa? Cossa xe sta?

Corallina. Frangiotto è un asinaccio; non mi obbedisce, mi fa andare in collera.

Pantalone. Baron! El manderò via. Chiamèlo; voggio licenziarlo subito. Noi ve obbedisse? Lo voggio mandar via.

Corallina. Basta; perdoniamogliela per questa volta. Se si manda via, ne possiamo trovare un peggio. Basta correggerlo.

Pantalone. Dove xelo? Chiamèlo. Voggio darghe una romanzina. Che el vegna qua mo. Sentire cossa che ghe dirò.

Corallina. No, signor padrone, siete troppo caldo; non voglio che la bile vi faccia male. Lasciate fare a me, lo correggerò io.

Pantalone. Sì, fia, fè vu, crièghe, feve portar respetto; e chi no ve vol obbedir, via subito de sta casa.

Corallina. Mi preme che il padrone sia ben servito.

Pantalone. Coss’alo fatto colù? Per cossa gh’aveu crià? [p. 126 modifica]

Corallina. Non ha ancora fatta bollire la cioccolata. Sa che il padrone è svegliato, sa che gli devo portare la cioccolata, ed egli non l’ha ancora fatta bollire.

Pantalone. In fatti l’ho aspettada un pezzo; ho chiamà, e nissun m’ha resposto. Ma diseme, cara vu: gieri se ghe n’ha fatto boggier un baston de sie onze; s’ala consuma tutta?

Corallina. Sì, signore, tutta.

Pantalone. Quando? Come? Chi l’ha bevua?

Corallina. Ieri sono capitati tre forestieri. Stamattina è venuto il signor Ottavio; si è consumata.

Pantalone. E a tutti, chi va e chi vien, s’ha da dar la cioccolata?

Corallina. Caro signor padrone, non credo che trovar possiate una donna economa più di me; procuro di risparmiare il vostro, ma fino a quel segno che non pregiudichi il vostro decoro. Un uomo della vostra sorta, ricco, senza figliuoli, che ha una nipote che non ha bisogno di voi, che volete che dica il mondo, se vi date allo sparagno, alla spilorceria? Diranno che siete un avaro, si burleranno di voi, e infatti se non vi godete sino che siete al mondo i vostri beni, chi li goderà dopo la vostra morte? Pur troppo vi sarà chi manderà a male il vostro, e tripudierà alle vostre spalle, senza nemmeno fare un brindesi alla buona memoria del signor Pantalone.

Pantalone. Cara fia, disè ben. Gh’ho della roba, son solo; e fin che son solo, no gh’è bisogno che pensa nè a avanzar, nè a sparagnar. Ma no son gnancora tanto vecchio, che no possa sperar d’accompagnarme, e no gh’ho tante schinelle1 intorno, che no possa sperar d’aver fioi. In sto caso bisognerave andar con un poco de regola, con un poco d’economia.

Corallina. (Non vorrei che gli venisse in capo di prender moglie. Avrei finito allora di comandare e di metter da parte). (da sè)

Pantalone. (Corallina xe vedoa, la xe una donna de garbo, la me piase, ghe voggio ben; chi sa che un dì no me resolva de torla per muggier?) (da sè) [p. 127 modifica]

Corallina. (Conviene ch’io procuri di sconsigliarlo). (da sè)

Pantalone. Cossa me diseu sul proposito che ave sentìo? Faràvio mal, se me mandasse?

Corallina. Malissimo; non potreste far peggio.

Pantalone. Mo perchè?

Corallina. Per più ragioni, signore: se lo faceste per aver successione, vi converrebbe sposar una giovane, e questa, poco contenta della vostra età, vi farebbe disperare per tutti i versi. Voi siete avvezzo a godere fino al giorno d’oggi la vostra libertà; perchè volete perderla miseramente, allora quando ne avete più di bisogno? Se lo fate per il governo, a chi ha denari, come voi avete, non manca servitù, assistenza, governo. Se poi la vecchiezza in voi fa quegli effetti che non ha fatto la gioventù, prendete aria, fatevi passar il caldo, e imparate da me che, benchè giovane, donna e vedova, sacrifico volentieri tutti gli stimoli dell’appetito al tesoro preziosissimo della cara mia libertà.

Pantalone. (Ho inteso, no faremo gnente). (da sè)

Corallina. Piuttosto pensar dovreste, signore, a collocar la nipote. È tempo che le troviate marito. Che volete voi fare di quest’ impiccio in casa? Dovreste esserne bastantemente annoiato.

Pantalone. Gnente, fìa. A mi la me serve de devertimento.

Corallina. Buon pro vi faccia. Se a voi serve di divertimento, a me riesce di poco gusto.

Pantalone. Sì, ve compatisso, cognosso anca mi che sta putta in casa ve dà del da far. La mariterò; lo farò presto, più per contentarve vu, che per contentarla ela. Cara Corallina, vedè se son pronto a darve ogni sodisfazion; ma vorria che anca vu buttessi un pochetto più condessendente con mi; che ve uniformessi un poco più al mio genio, alla mia inclinazion.

Corallina. In che proposito, signore?

Pantalone. Sul proposito che v’ho dito. Mi me vorria maridar.

Corallina. Non seconderò mai una simile bestialità. E se la fate, Corallina non è più per voi.

Pantalone. Ma pussibile?... [p. 128 modifica]

Corallina. Tant’è, vi dico. Se parlate di moglie, vi lascio, vi abbandono, non resto un’ora con voi. (In questa casa non voglio padrone che mi comandino. Si mariti Rosaura; resterò io sola a piangere la morte d’un vecchio ricco, e tanto più la piangerei amaramente, quand’egli mi lasciasse erede di tutto il suo). (da sè, parte)

SCENA IX.

Pantalone solo.

Ho inteso. Custìa2 la xe una femena che intende le parole per aria; la se n’ha accorto che ghe voggio ben, che gh’ho per ela della passion; sentindome parlar de matrimonio, la prevede che m’intendo parlar de ela, e in sta etae che son... bisogna che no ghe comoda un vecchio. No so cossa dir. Da una banda la compatisso, ma dall’altra sento che ogni dì più me scaldo, e no so come che la sarà.

SCENA X.

Rosaura ed il suddetto.

Rosaura. Serva, signore zio.

Pantalone. Bondl sioria, nezza. Cossa feu? Steu ben? Ve conferissela l’aria della campagna?

Rosaura. Meglio assai che quella della città. Qui almeno si respira un poco. Non si sta in una sepoltura, come star mi tocca in Venezia.

Pantalone. Certo, fia, disè la verità. A Venezia le putte civil, le putte savie che gh’ha bona educazion e bona regola in casa, le vive con una gran riserva, con una gran suggizion; ma po in campagna le tratta, le conversa, le gh’ha libertà. Mi per altro, compatime, sta cossa no la posso approvar; se a Venezia se custodisse le putte per zelo del so decoro, s’averia [p. 129 modifica] da far l’istesso anca in villa, dove ghe xe l’istesso pericolo e l’istesse occasion. V’ho menà fora anca st’anno, perchè gieri solita vegnirghe ogni anno colla bona memoria de Stefanello vostro pare e mio caro fradello; ma per altro, Rosaura cara, no son contento de sto modo de villeggiar. Vu se una putta savia, una putta prudente, virtuosa e modesta, ma l’usanza cattiva, el cattivo esempio ve fa far delle cosse che no sta ben; e son seguro che vu medesima le condannè nel tempo istesso che ve trovè impegnada de far cussì.

Rosaura. Signore, fatemi la finezza di dirmi quali sono quelle cose che vi dispiacciono, e che giudicate sieno da me fatte per ragion di cattivo esempio.

Pantalone. Lo savè quanto mi; gh’ave giudizio che basta per distinguer el ben dal mal. Per esempio, a Venezia se sta in ritiro, e qua se va tutto el zorno a rondon3. A Venezia, se vien omeni, se vien zoventù per casa, le putte no le se vede, e qua le xe le prime a ricever, a complimentar. Là rigor grando, e qua libertadazza: se zoga, se spassiza, se chiaccola, e qualche volta se se incantona4, e qua nissun dise gnente, e par che la campagna permetta quel che la città proibisse, e pur credemelo, fia mia, tanto l’aria de città, quanto l’aria de villa, quando no se se regola, le produse le medesime malattie.

Rosaura. Caro signore zio, voi sapete ch’io sono schietta di cuore e schietta di labbro. Accordo tutto quello che dite. Vedo anch’io come va la faccenda; conosco benissimo ch’essendo io in casa con voi, senza altre donne del sangue, non ci sto bene; onde crederei ben fatto che vi liberaste voi dall’incomodo che vi reco, e liberaste me ancora dall’imbarazzo in cui sono.

Pantalone. Voleu tornar a Venezia?

Rosaura. E poi? Non vedo che questo sia provvedimento che basti.

Pantalone. Inclineressi andar in un ritiro? [p. 130 modifica]

Rosaura. Oh no, signore, non ci ho mai nemmeno pensato.

Pantalone. Ho capito. Ve marideressi, nevvero?

Rosaura. Bravo, signore zio. Alla terza ci avete colto.

Pantalone. Veramente ghe doveva chiappar alla prima.

Rosaura. Perdonatemi s’io vi parlo troppo liberamente. So che a me non converrebbe, ma l’occasione mi ha dato animo, e poi la campagna permette.

Pantalone. Sentì, fia mia, per maridarve no gh’ho gnente in contrario. La vostra dota xe pronta; se in età discreta; ma me despiase solamente restar solo in casa, senza una persona dal cuor. Se fosse viva vostr’amia5, la mia cara muggier, v’averave maridà che saria un anno.

Rosaura. Caro signor zio, fate una cosa. Rimaritatevi ancora voi.

Pantalone. Eh via! Cossa diseu? Son troppo vecchio, (ridendo)

Rosaura. Siete ben tenuto, allegro, brillante. Ne trovereste di quelle poche, che vi prenderarmo; io, se trovassi un vecchietto grazioso come siete voi, lo prenderei senza nessuna difficoltà.

Pantalone. Sì? Lo toressi?

Rosaura. Perchè no?

Pantalone. Ve dirò: ghe xe sior Astolfo, omo de sessant’anni, ma ricco, civil e onorato. El xe mio amigo, so che el ve toria; vu lo toressi?

Rosaura. Signore... ho paura di no.

Pantalone. No diseu che toressi un vecchio?

Rosaura. L’ho detto, è vero. Ma...

Pantalone. Ma che?

Rosaura. Ma per dirvela, signore...

Pantalone. Toressi un zovene più volentiera.

Rosaura. Il signore zio è un uomo che legge nel cuore delle persone.

Pantalone. Trovarlo mo sto zovene.

Rosaura. Trovarlo?...

Pantalone. Sì, trovarlo. Bisogna aspettar che el capita. [p. 131 modifica]

Rosaura. Eh! capiterà.

Pantalone. Credeu che l’abbia da capitar presto?

Rosaura. Eh sì, signore, presto.

Pantalone. Saravelo fursi capita?

Rosaura. Potrebbe anch’essere.

Pantalone. Brava! Chi xelo, cara siora?

Rosaura. Spero non anderete in collera.

Pantalone. No, gnente affatto. Chi xelo!

Rosaura. Conoscete il signor Florindo?...

Pantalone. Lo cognosso.

Rosaura. Che vi pare di lui?

Pantalone. No ghe xe mal. Ma se poderia trovar meggio.

Rosaura. Non è forse un giovane proprio e civile? Non è da nostro pari?

Pantalone. Sì, xe vero; ma el gh’ha poche intrae, pochi bezzi; e questi al dì d’ancuo6 i xe quei che se stima.

Rosaura. È vero, signore; ma quando poi...

SCENA XI.

Brighella e detti.

Brighella. Oh de casa! Se pol vegnir? (di dentro)

Pantalone. Chi è? Vegnì avanti.

Brighella. Servitor umilissimo de vussustrissima.

Pantalone. Bondì sioria, cossa comandeu?

Brighella. Illustrissima7 padrona, ghe fazzo umilissima reverenza. (a Rosaura)

Rosaura. Vi riverisco.

Brighella. L’illustrissima siora Beatrice, mia padrona, manda a far riverenza all’illustrissimo sior Pantalon e all’illustrissima siora Rosaura; la manda a veder come i sta de salute, se i ha dormido ben la scorsa notte, e la fa saper alle siorie loro illustrissime, che adessadesso la sarà qua col sterzo, in compagnia [p. 132 modifica] dell’illustrissimo sior Lelio, a bever la cioccolata da vussustrissime.

Pantalone. Caro amigo, me fe star zoso8 el fià. Siora Beatrice e sior Lelio i vien da mi a bever la cioccolata?

Brighella. Illustrissimo sì.

Pantalone. Mo no me lustrè altro le tavarnelle; che i vegna, che i xe patroni.

Brighella. Viva vussignoria illustrissima; sempre galante, sempre gentile. Semper idem. Con permission loro. M’umilio a vussustrissime. Servitor umilissimo de vussustrissime. (parte)

SCENA XII.

Pantalone e Rosaura.

Pantalone. Costù el me struppia de cerimonie.

Rosaura. Ho piacere che venga la signora Beatrice. Ci terrà un poco di compagnia.

Pantalone. E sior Lelio che xe con ela, lo cognosseu?

Rosaura. Lo conosco solamente di vista. Non l’ho trattato mai, ma sento dire che sia un po’ scioccherello.

Pantalone. El gh’ha una bona intrada, el xe fio solo. L’è nato ben; questo me parerave più a proposito per vu. El xe gnocchetto? Meggio per vu, cara fia, lo manizerè a vostro modo.

Rosaura. Voi dite bene, ma io...

SCENA XIII.

Corallina e detti.

Corallina. Signore, una visita. (a Pantalone)

Pantalone. El so, siora Beatrice.

Corallina. Un’altra.

Pantalone. Sì, el sior Lelio.

Corallina. Un’altra. [p. 133 modifica]

Pantalone. Che diavolo! Casa mia xe la casa della comunità. Chi xe st’altra visita?

Corallina. Il signor Florindo.

Rosaura. Il signor Florindo?

Pantalone. Coss’è, patrona, ve giubila el cuor? (a Rosaura)

Rosaura. Eh! niente. Diceva così per modo di dire.

Pantalone. Cossa avemio da far de tutta sta zente?

Corallina. Volete forse mandarli via?

Pantalone. No digo mandarli via; ma a disnar no certo.

Corallina. Anzi dovete invitarli; che dice la signora Rosaura?

Rosaura. Per me sono indifferente. Ma crederei non fosse mal fatto.

Pantalone. Farse magnar el nostro, xe malissimo fatto.

Corallina. Via, signor Pantalone, mostratevi generoso. Finalmente non sono che tre persone.

Pantalone. E el servitor, che xe quattro.

Corallina. Bene, quattro.

SCENA XIV.

Frangiotto e detti.

Frangiotto. Signor padrone, una visita.

Pantalone. Lo savemo, patron.

Frangiotto. Non occorr’altro.

Pantalone. Disè; chi intendeu de dir? Siora Beatrice co sior Lelio, o sior Florindo?

Frangiotto. Nè l’uno, nè l’altro.

Pantalone. No? Mo chi?

Frangiotto. Il signor conte Ottavio.

Pantalone. Sieu maledetti quanti che sè. Ghe n’è più? Gh’è altri?

Frangiotto. Col suo servitore.

Pantalone. Un altro servitor? Diseghe che no ghe son. (Frangiotto parte)

Corallina. Eh via, signore; non date in queste viltà. Un più, [p. 134 modifica] un meno, è lo stesso. Vengano tutti; il signor Pantalone è gentile, è cortese, è affabile, è generoso.

Pantalone. Son stuffo.

Corallina. Acchetatevi per amor mio.

Pantalone. Per amor vostro?

Corallina. Sì.

Pantalone. Sì. Me quieto. No digo gnente. Ma... cospetto de bacco!

Corallina. Che cosa vorreste dire, signore?

Pantalone. Sì, me vôi maridar. (parte)

Corallina. Oh sì, che fareste la bella cosa!

Rosaura. Lasciatelo fare, castalda; che si soddisfaccia anche lui il povero vecchio.

Corallina. Brava: certamente tornerebbe a voi bene ch’egli si accasasse, avesse dei figliuoli, e fosse obbligato lasciare agli altri quello che alla sua morte deve esser vostro.

Rosaura. Corallina mia, dite il vero. Non ci aveva badato. Io stessa sollecitava un danno per me. Vi ringrazio che mi avete suggerito una cosa buona. No, no, stia pure com’è; non lo consiglierò più a maritarsi.

Corallina. Questa è una cosa che la dovete procurare per voi.

Rosaura. Certamente, se potrò, non mi lascerò fuggir l’occasione.

Corallina. Il signor Florindo pare non vi dispiaccia.

Rosaura. Anzi, per dirvela, mi piace assai.

Corallina. Volete voi che io m’adoperi a vostro vantaggio?

Rosaura. Mi farete piacere.

Corallina. Lasciate fare a me.

Rosaura. Vado a ricevere la signora Beatrice.

Corallina. E il signor Lelio come vi soddisfa?

Rosaura. Niente affatto. Gli uomini sciocchi non li posso soffrire, (parte)

Corallina. E a me piacciono tanto. Se avessi a scegliermi un marito, sempre lo cercherei scioccherello, più tosto che spiritoso ed accorto. Anche Frangiotto è debolino di spirito; ma qualche volta, quando ci pensa, sa dire la sua ragione; e poi è troppo [p. 135 modifica] ordinario. Lo vado lunsingando per averlo a mia disposizione occorrendo; ma se trovo meglio, lo lascio. Fin che vive il signor Pantalone, se posso, voglio stare con lui e non voglio che si mariti. Se prendesse me, anderebbe bene; ma la castalda non la vorrà prendere; e poi non mi ha mai detto niente di ciò, non mi ha mai dato un menomo motivo di potermene lusingare. Mi fa delle finezze, ma non sono di quelle che dico io. Basta, tiriamo innanzi così. Solo lui, sola io, viva ancora un paio di anni, e m’impegno di fare la mia fortuna. Vero è, che per avanzare tutto per me, dovrei far tener di mano al padrone, ma se facessi così, mi renderei odiosa e sospetta a tutto il resto del mondo. Vo’ far il mio interesse con buona grazia; non voglio essere di quelle castalde che vogliono tutto per loro, ma di quelle più accorte, che sanno pelar la quaglia senza farla strillare.

Fine dell’Atto Primo.



Note

  1. Acciacchi: v. vol. II, p. 307 ecc.
  2. Costei.
  3. Qua e là: V. vol. II, p. 419, n. c.
  4. Incantonarse, rincantucciarsi, nascondersi: Boerio.
  5. Zia.
  6. Oggi.
  7. Zatta, qui e più sotto: lustrissima.
  8. Giù.