La cascina/Atto I
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ATTO PRIMO.
SCENA PRIMA.
Campagna parte in collina, parte in pianura, con animali bovini che vanno qua e là pasturando.
La Lena e la Cecca, sedendo sopra alcuni sassi al piano, colle 1 loro rocche filando. Pippo e Berto in collina, tagliando il fieno.
La Lena e la Cecca, cantando insieme.
E pur lo provo al cor.
Ditemi voi, pastore,
Che cosa sia l’amor.
Pippo e Berto rispondono dall’alto
È un bambinello amor.
Amor è un ladroncello,
Che mi ha rubato il cor.
Lena. Hai sentito?
Cecca. Ho sentito.
Seguitiamo a cantare.
Lena. Io non vorrei
Dicessero costoro,
Che si canta per loro.
Cecca. Oh, per l’appunto!
E una vecchia canzon che noi sappiamo.
Seguitiamo a cantar.
Lena. Sì, seguitiamo.
Vorrei saper, pastore,
Dove si trova amor:
Dove si trova amore,
Che v’ha rubato il cor.
Pippo e Berto.
Quel che si chiama amor,
Sta in seno della Lena,
E della Cecca ancor.
Lena. Oh meschina di me! li avete intesi?
Cecca. Li ho intesi i bricconcelli.
Lena. Affé, vengono abbasso.
Cecca. Non ci stiamo a partir dal nostro sasso.
Pippo. Berto, va dalla Lena;
Falla un poco cantar.
Berto. Va tu da lei;
Ch’io dalla Cecca andrò.
Berto. Perchè? So pur che sei,
Pippo, amante di lei.
Pippo. Nol vuò negare,
Ma vicino di lei non posso stare.
Berto. E perchè?3
Pippo. Mi vergogno.
Berto. Eh via, sciocco che sei.
Parla, scherza con lei.
Fa quel che farò io colla mia Cecca.
Esse son da marito,
Noi non abbiamo moglie.
Siamo tutti a servire
In un istesso loco;
Possiamo bene divertirci4) un poco.
Vien qui; se non sai fare,
Fa come farò io.
Pippo. Mi vuò provare.
Berto. Buon giorno, Cecca bella. (alla Cecca
Pippo. Lena, buon giorno.
Lena. Non rispondo certo. (da sè, filando
Berto. Vi ho sentito cantar. (alla Cecca
Cecca. Sì, ci spassiamo
Colla compagna mia.
Pippo. Vi ho sentito cantare. (alla Lena
Lena. Andiamo via. (piano alla Cecca
Cecca. Perchè?
Pippo. (Non mi risponde). (a Berto
Berto. (Segui, risponderà). (a Pippo
Lena. Cecca. (s’alza, e chiama Cecca
Cecca. Che vuoi? (alzandosi
Lena. Andiamo via di qua.
So pur che gli vuoi bene.
Lena. Caldo e freddo mi viene.
Andiamo via, Cecchina.
Cecca. Eh, lo vedo. Sei cotta, poverina.
Con cento pastorelli
Ti veggo ragionar.
Non hai timor di quelli,
Costui ti fa tremar.
Cosa vuol dire, eh?
Ci conosciam sorella:
Questo si chiama amor.
Amor è il ladroncello,
Che ti ha rubato il cor. (parte
SCENA II.
Pippo, Berto, e la Lena.
Berto. Non partire,
Graziosa pastorella;
Sii cortese e gentil, quanto sei bella.
Lena. Lasciami andare.
Berto. Osserva.
Va la mandria dispersa al prato intorno:
Tu l’abbandonerai?
Lena. Farò ritorno.
Berto. Ma chi, ma chi frattanto
Custodirla potrà?
Lena. Non so... vorrei...
Fatemi voi il piacere
Custodirla per me. Torno fra poco.
Berto. Andar deggio diviato in altro loco.
Ma quel che far non posso,
Lena. Dimmi: chi lo farà?
Berto. Quel pastorello. (accenna Pippo
Pippo. Io lo farò... se vuoi... (alla Lena
Lena. Come c’entrate voi? (a Pippo
Pippo. Non parlo più.
Berto. Lena gentil, troppo crudel sei tu.
Lena. Io crudele, perchè?
Che ha da fare con me quello ch’è lì?
Io me ne vado via, s’ei resta qui.
Pippo. Pazienza.
Berto. Pippo, intendi?
Vattene, poverino;
Cerca miglior destino.
Non mancan pastorelle
Grate, gentili e belle.
Chi non ti ama, seguir non ti conviene.
Vanne da Elisa tua, che ti vuol bene.
Lena. (Tristo Berto, briccone,
Vuol farmi disperare). (da sè
Pippo. Sentimi... non potrò. (piano a Berto
Berto. Fingi d’andare. (piano a Pippo
Pippo. Berto, addio. (in atto di partire
Berto. Dove vai?
Lena. (Dove anderà?) (da sè
Pippo. Vado... sì; vado là...
Berto. Già t’ho arrivato, (a Pippo
Dalla Lisa sen va. (alla Lena
Lena. (Disgraziato) 5. (da sè
Berto. Ti dispiace ch’ei vada? (alla Lena
Lena. A me? perchè?
Vada pur dove vuole.
Berto. Egli anderà.
Pippo. (Non so partir di qua). (da sè
Berto. (Non lasciar ch’egli vada; è un buon ragazzo,
Che ti vuol bene assai). (piano alla Lena
(Pippo, se forte stai,
La Lena sarà tua, non dubitare). (piano a Pippo
(Fa a modo mio, non tel lasciar scappare).
(piano alla Lena
Pippo, Pippo, una parola. (a Pippo
Vieni qui, ti vuò parlar.
Vieni qui, buona figliuola, (alla Lena
Che ti voglio astrologar.
Quell’occhio mi dice,
Che Pippo felice
Vuol esser per te.
Cagion dell’amore, (a Pippo
Che senti nel core,
L’Elisa non è.
Se un dì parlerete, (a Lena e Pippo6
Contenti sarete;
Credetelo a me. (parie
SCENA III.
Pippo e la Lena.
Lena. Elisa ti aspetta.
Pippo. Io non ci penso.
. Voglio restar con te.
Lena. Che vorresti da me?
Va dalla tua graziosa pastorella.
Pippo. Tu sei quella, ben mio...
Lena. No, non son quella. (parte
SCENA IV.
Pippo, poi Costanzo col nome di Silvio, in abito di Pastore.
Costanzo. Pippo.
Pippo. Che cosa vuoi?
Costanzo. Una parola.
Pippo. Spicciati.
Costanzo. La padrona
Sai tu dove si trovi?
Pippo. Io l’ho veduta
Sul margine del fonte
Starsi sedendo in compagnia del Conte.
Costanzo. (Misero me!) (da sè
Pippo. Vuoi altro?
Costanzo. Erano soli?
Pippo. Soli.
Costanzo. (Fremo di gelosia). (da sè
Pippo. Addio.
Costanzo. Non mi lasciar.
Pippo. Voglio andar via.
Costanzo. Dimmi: nulla intendesti
Di ciò che ragionava
La padrona con lui?
Pippo. Abbadar io non soglio ai fatti altrui.
Lascio che ogni uno faccia,
Lascio che ogni uno goda. Oh, Silvio mio,
Così fosse di me con chi dich’io.
Costanzo. Ma la padrona nostra
Vedova, sola e vaga,
Parmi che poco sappia il suo dovere,
Confidenza donando a un forastiere.
Pippo. Che importa a te?
Costanzo. Son del suo onor geloso.
Nè di lei, nè di te.
Ho da pensar per me, misero e gramo,
Che non mi vuole amar quella ch’io amo.
Costanzo. Chi è colei che tu adori?
Pippo. È la più bella
Graziosa pastorella,
Che mirare si possa al prato, al bosco.
Non la conosci ancor?
Costanzo. Non la conosco.
Pippo. Ah, s’io ti dico il nomtile
Della ninfa che adoro,
In tua presenza io moro.
Senti: m’ingegnerò
Di descriverla almen come potrò.
Ha la mia ninfa
Due luci belle,
Che paion stelle...
Altro che stelle!
Paion due soli,
E di più ancora,
Se dar si può.
Fronte serena
Di grazie piena,
Più bel visino,
Più bel nasino,
Più belle rose,
Tant’altre cose,
Che dir non so.
Un giorno spero
Che lo saprò.
Per or ti dico
Quel che si può. (parte
SCENA V.
Costanzo solo.
So quanto può nel petto
Di ogni misero amante un dolce affetto.
Giunse l’amor crudele,
Giunse a far, non so come,
Ch’io cambiassi, infelice, e spoglie, e nome.
Soffro la servitù, soffro la vita
Rustica, vile, abietta,
Per Lavinia diletta, - e per vederla,
E per esser vicino al bel che adoro,
Scordo la patria, ed il natio decoro.
Care selve, piagge amate,
Deh svelate - all’idol mio
Quell’amor, - quel duolo rio,
Che celato ho nel mio cor.
No, tacete ancor per poco
Il mio foco, - i desir miei.
Destar pria si vegga in lei
La pietà, se non l’amor. (parte
SCENA VI.
Camera nobile nel palazzo di Lavinia.
Lavinia ed il Conte Ripoli.
Conte. È mio dovere.
Lavinia. Grazie a lei.
Conte. Son cavaliere:
Colle dame so trattar.
Lavinia. Obbligata, mio signor.
Conte. Mi potete comandar.
Alla di lei bontà,
Che m’ha voluto accompagnar fin qua.
Conte. Vi servirei, madama,
Con vostra permissione,
Negli antipodi ancora, e nel Giappone.
Lavinia. Obbligata, signor.
Conte. Fo il mio dovere.
Lavinia. Ella è troppo gentil.
Conte. Son cavaliere.
Lavinia. Finezza è ch’io non merto,
L’onor che mi comparte,
Di venire a graziarmi in questa parte.
Conte. Senza di voi, madama,
Era la città nostra
Senza sol, senza luna, e senza stelle.
Le vostre luci belle
Son venute a illustrare il bosco, il prato,
Ed io qual girasol vi ho seguitato.
Lavinia. Queste, qualunque sieno,
Povere luci mie, tutta han perduta
La primiera possanza
Per il mesto pallor di vedovanza.
Conte. Ah, peccato, peccato!
Viva il nume bendato.
Mio l’impegno sarà, se nol sdegnate,
Di ravvivar quelle pupille amate.
Lavinia. Ah, come mai?
Conte. Come dal fosco cielo
Suol le nubi scacciar Febo ridente,
Sparirà immantinente
Il pallido pallore,
Che vi copre il bel viso e ingombra il cuore,
Se qual vite feconda, e fecondata,
Voi sarete a quest’olmo avviticchiata.
Conte. Giuro, mia bella;
Giuro ai dei tutelari
Della mia nobiltà,
Di sì bella beltà sono invaghito;
Sarò, qual mi vorrai... servo e marito 7.
Lavinia. Accetto per finezza
D’un cavalier sì degno
L’amor, la grazia, ed il più forte impegno.
Conte. Giove, tu che presiedi8
All’opere più conte; Amor, che accendi
Fiamme nel nostro petto;
Venere, che sei madre del diletto;
E voi, pianeti, e voi, minute stelle,
Onor del firmamento,
Fate applauso di luce al mio contento.
Lavinia. Bella madre d’Amore,
Venere, anch’io t’invoco,
Pronuba generosa al nostro foco.
Resti l’amante amato
Meco vicino in quest’albergo fido,
Qual Enea ricovrato alla sua Dido.
Conte. Non vi darò, mia bella,
L’ingrato guidernone,
Ch’Enea diede a Didone.
Non vuò che il mondo veda,
Che a un amante rival vi lasci in preda.
Ah, se voi foste Dido,
S’io fossi Enea, se Jarba fosse qui,
A quel moro crudel direi così:
Vieni, superbo re,
L’avrai da far con me.
(Non dubitar, mia vita,
Vibra la spada ardita,
Ch’io mi riparerò.
Vuol atterrar Cartagine,
La vuol ridur in cenere,
Sento le fiamme stridere,
Odo le genti gemere.
(Non ti abbandonerò). (a Lavinia
Va tra le selve ircane9
Barbaro, mostro, cane;
No, che timor non ho. (parte
SCENA VII.
Lavinia, poi la Lena.
Lo stato vedovil per me noioso;
Parmi il conte amoroso,
Parmi di cuor sincero;
E da lui la mia pace io bramo e spero.
Lena. Riverisco, signora.
Lavinia. Ti saluto.
Come stai, Lena mia?
Lena. Bene, ai comandi di vossignoria.
Porto alla mia padrona
In un vaso che ho dentro al mio cestino,
Fior di latte raccolto in sul mattino.
Lavinia. Obbligata davvero.
Lena. Oh, cosa dite!
Faccio quel che conviene;
E so che la padrona mi vuol bene.
Lavinia. Certo; perchè lo merti:
Senti, non voglio più vederti sola.
Lena. Sola non istò mai. La mamma mia
Sta meco in compagnia;
E quand’ella non c’è,
Viene la Cecca a lavorar con me.
Lavinia. Eh Lena mia, cotesta
Non è la compagnia che ti destino.
Lena. E chi dunque?
Lavinia. Vuò darti uno sposino.
Lena. Eh via!
Lavinia. Sei nell’età;
Conosco il tuo bisogno.
Lena, lo prenderesti?
Lena. Io mi vergogno.
Lavinia. Vergognarti non dei, chè le fanciulle
Devono accompagnarsi;
Ed è cosa ben fatta il maritarsi.
Lo prenderai marito?
Lena. Non so dire.
Lavinia. Rispondimi di sì; sei tanto buona.
Lena. Faro quel che comanda la padrona.
Lavinia. Ti voglio regalar.
Lena. Grazie, signora.
Lavinia. Vado a prendere un nastro, e torno or ora. (parte
SCENA VIII.
La Lena, poi il Conte.
Io me lo piglierei;
E il mio Pippo vorrei. Quando lo vedo,
Lo sfuggo il poverino,
Ma però lo vorrei sempre vicino.
Ch’empie la stanza di novel splendore?) (da sè
Lena. (Chi è mai questo signore?
Se non vien la padrona, io vado via). (da sè
Conte. Non so dir s’ella sia
Cintia, Venere, o Clizia, o Luna, o Stella:
So che piace a’ miei lumi, e so ch’è bella.
Lena. Meglio è ch’io me ne vada. (in atto di partire
Ah no, fermate.
Ninfa, non mi private
Della gioia che in voi lieto respiro.
Vaglia per trattenervi un mio sospiro.
Lena. Avete qualche mal?
Conte. Sì, nel mio cuore
Amoroso veleno infonde amore.
Lena. Se siete avvelenato,
Lontan col vostro fiato
State dal labbro mio,
Che non vorrei avvelenarmi anch’io.
Conte. Ah, volessero i numi
Che fuor da questi lumi
Escir potesse avvelenato strale...
Lena. Ah, non vorrei che mi faceste male.
Conte. Anzi ben vorrei farvi:
Amarvi, venerarvi,
Adorarvi, e il cuor mio tutto donarvi.
Lena. Signor, con tanti arvi
Non so s’abbia a dolermi, o ringraziarvi.
Conte. In voi la crudeltà
Possibil che s’asconda,
Come l’aspide rio tra fronda e fronda?
Lena. (Non intendo parola). (da sè
Conte. Idolo mio,
Dite di sì, o di no.
Lena. Che volete che dica? io non lo so.
Cara semplicità, quanto mi piaci!
Fortuna, degli audaci protettrice,
Fammi in questo momento esser felice.
(s’accosta per abbracciarla
Lena. Ehi, lasciatemi stare.
Conte. Non gridate.
Meco non vi sdegnate,
Labhra gentili, pupillette ladre.
Lena. Andate via, che lo dirò a mia madre.
Conte. (Per vincer la ritrosa
Vi vorrà qualche cosa. Un regaietto.
Per esempio... sì, bene: un anelletto). (da sè
Bella, se non credessi
Che aveste ad isdegnare...
Lena. Vi torno a dir, che mi lasciate stare.
A mia madre lo dirò;
La padrona lo saprà;
E nessuno mi ha toccata,
E nessun mi toccherà.
Via di qua.
Griderò, - piangerò.
Che bell’anellino!
(il Conte le mostra un anello
Gli è pur galantino!
Ma quello non è
Regalo per me.
Me l’offrite? me lo date?
Via di qua, non mi toccate,
Che mia madre chiamerò.
Me l’ha dato, me l’ha dato.
Io l’ho preso, e me ne vo. (parte
SCENA IX.
Il Conte Ripoli, poi Lavinia.
Ma la raggiungerò.
Lavinia. Ehi, dove andate?
Conte. Dove mi porta il cuore...
A rintracciar di voi...
Lavinia. No, mentitore.
Tutto so, tutto intesi;
Di voi mi maraviglio.
Da me lungi partire io vi consiglio.
Conte. Eccomi a’ vostri piedi. (s’inginocchia
Lavinia. Itene, indegno.
Conte. Placate il vostro sdegno.
Non intesi oltraggiarvi.
Giuro al nume d’amor, giuro d’amarvi.
Lavinia. Lo crederò?
Conte. Credetelo,
Bella tiranna mia.
Lavinia. Di darmi gelosia, deh tralasciate.
Conte. Sì, sì, non dubitate;
Fido amante, costante a voi sarò,
Fino... fino a quel dì... fin che potrò. (parte
SCENA X.
Lavinia sola.
Volubile e leggiero
Del suo debole cor; ma pure io l’amo,
Ed unirmi con lui sospiro e bramo.
Sia ambizione o amore,
Sia noia del mio stato,
Son contenta, son lieta, e son felice.
L’amante tortorella
Si lagna di star sola,
Il suo dolor consola
Sperando il caro ben.
L’afflitta vedovella
Non trova il suo riposo,
Se il cuor novello sposo
A consolar non vien.
SCENA XI.
Cascina interna, dove si lavora il cacio ed il burro.
Pippo, Berto, poi la Lena e la Cecca, poi il Conte.
Dove siete, ragazze?
Cecca. Eccoci qui.
Lena. Che abbiam da lavorare?
Berto. Il burro questa mane si ha da fare.
Tu qui lavorerai. (assegna il loco alla Lena
Tu qui, bella Cecchina.
Noi porteremo il latte alla cascina.
Cecca. Stamane sono in voglia
Di faticar davvero.
Lena. Anch’io mi sento
Proprio il mio cuor contento.
Pippo. Anch’io vorrei....
Lena. Che cosa?
Pippo. Non so dirlo.
Berto. Tu potresti capirlo.
Lena. Andate via di qua.
Pippo. Berto, andiamo. Crudel!
Berto. Si cangierà. (parte con Pippo
Cecca. Hai molto duro il cor. (alla Lena
Cecca, ti vuò mostrare
Un cosuccio bellino.
Cecca. Cosa mi vuoi mostrare?
Lena. Un anellino.
Cecca. Bello! chi te l’ha dato?
Lena. Un signor me l’ha dato.
Cecca. E perchè mai?
Lena. Mi voleva toccare, ed io gridai.
Cecca. Dunque te l’ha donato.
Acciocchè non gridassi.
Lena. Così fu.
Cecca. E poi?
Lena. E poi non ho gridato più.
Cecca. Guardati, Lena mia...
Lena. Zitto, Cecchina,
Vengono con il latte. Non lo stare
A ridir a nessun.
Cecca. Non dubitare.
Berto. (Con un vaso di latte si accosta alla Cecca.
Com’è candido questo mio latte,
Candidetto è il mio core nel petto,
E vorrei che tal fosse l’affetto,
Che tu nutri nel seno per me.
Cecca. Com’è dolce quel latte che rechi,
È dolcissimo in seno il mio core;
E vorrei che tal fosse l’amore,
Che può Cecca sperare da te.
Pippo10. Lena bella, l’amor che ti porto,
E più puro del latte ch’è qui;
E tu, ingrata, mi lasci così,
Poverino, per te sospirar!
Lena. Questo latte ch’è tanto bellino,
Io lo voglio qua dentro gettar;
Ti vorrei con il maglio pistar.
Pippo. Bel favor!
Carità,
Se ce n’è.
Senti tu,
Bell’amor
Che ha per me! (a Berto
Berto. Lascia dir,
Lascia far:
Cangierà.
L’anellin che ti han donato.
Lena. Ecco qui.
Cecca. Chi te l’ha dato?
Lena. Un signore - forastiere
Cavaliere, - che così...
Eccolo, Cecca, eccolo qui.
(vedendo venire il Conte, corrono a lavorare
Chi mi vende di voi la ricotta?
Pastorella graziosa, grassotta,
Voi potete il mio genio appagar. (alla Cecca
Lena. Chi vuol latte, ci porga dell’oro.
Conte. Siete voi, mio gradito tesoro,
Siete voi, che m’invita a comprar.
(alla Lena
Gioje e monete,
Tutto potete,
Belle, sperar.
Chiedo pietà.
Conte. Deh, tornate: - non usate
Meco tanta crudeltà.
Lena. Sono andati.
(a due Ritornare si potrà.
Conte. Le pastorelle tornano qua.
Chiedo pietà.
Pippo. Berto. |
a due | Morirà, | |
Cecca. Lena. |
a due | Per pietà. (si raccomandono per il Conte | |
Pippo. Berto. |
a due | In grazia delle belle |
Pietose pastorelle.
Mi palpita il core;
Mai più torno qua.
Per carità.
TUTTI.
Viva la pace,
Pera lo sdegno.
Dell’amistà.
Regni l’amore,
Nel nostro core,
Vada il timore
Lungi di qua.
Castello nel giardino d’Amore, per il Ballo.
Fine dell’Atto Primo.
Note
- ↑ Zatta: con le.
- ↑ Zatta: con la. Così più avanti.
- ↑ Così corregge l’ed. Zatta. Nell’ed. Geremia leggesi soltanto: Perchè?
- ↑ Geremia: divertirsi.
- ↑ Zatta: (Che disgraziato!)
- ↑ Manca nel testo questa didascalia.
- ↑ "Sarò, qual mi vorrai, scudiero e scudo”: Gerus. lib., XVI, 50.
- ↑ Nella stampe del settecento: pressiedi.
- ↑ Verso del Metastasio, nell’Artaserse: a. II, sc. 12 (aria).
- ↑ Si capisce che ritorna insieme con Berto.