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502 ATTO PRIMO
Lavinia. Son tenuta davvero

Alla di lei bontà,
Che m’ha voluto accompagnar fin qua.
Conte. Vi servirei, madama,
Con vostra permissione,
Negli antipodi ancora, e nel Giappone.
Lavinia. Obbligata, signor.
Conte.   Fo il mio dovere.
Lavinia. Ella è troppo gentil.
Conte.   Son cavaliere.
Lavinia. Finezza è ch’io non merto,
L’onor che mi comparte,
Di venire a graziarmi in questa parte.
Conte. Senza di voi, madama,
Era la città nostra
Senza sol, senza luna, e senza stelle.
Le vostre luci belle
Son venute a illustrare il bosco, il prato,
Ed io qual girasol vi ho seguitato.
Lavinia. Queste, qualunque sieno,
Povere luci mie, tutta han perduta
La primiera possanza
Per il mesto pallor di vedovanza.
Conte. Ah, peccato, peccato!
Viva il nume bendato.
Mio l’impegno sarà, se nol sdegnate,
Di ravvivar quelle pupille amate.
Lavinia. Ah, come mai?
Conte.   Come dal fosco cielo
Suol le nubi scacciar Febo ridente,
Sparirà immantinente
Il pallido pallore,
Che vi copre il bel viso e ingombra il cuore,
Se qual vite feconda, e fecondata,
Voi sarete a quest’olmo avviticchiata.