La capanna dello zio Tom/Capo XVI

XVI. La padrona di Tom e le opinioni di lei

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Harriet Beecher Stowe - La capanna dello zio Tom (1853)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1871)
XVI. La padrona di Tom e le opinioni di lei
Capo XV Capo XVII
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CAPO XVI.


La padrona di Tom e le opinioni di lei.


— «Ed ora, Maria, spunta per voi l’età dell’oro — disse Saint-Clare. — Abbiamo qui la nostra cugina della Nuova Inghilterra, donna positiva, accorta, operosa che terrà il governo della casa, e vi darà modo di godere d’un perfetto riposo e ridiventare giovane e bella. Converrebbe che la cerimonia di consegnarle le chiavi si facesse solennemente.»

Queste parole eran dette mentre si stava facendo colazione, dopo pochi dì dacchè miss Ofelia era giunta.

— «Certo ella è la ben venuta — disse Maria, appoggiando languidamente il capo entro la palma della mano destra. — Non tarderà molto, io credo, ad avvedersi che qui gli schiavi sono nostri padroni.» [p. 170 modifica]

— «Oh! senza dubbio, ella s’avvedrà di ciò, e scoprirà non meno altre verità di non lieve importanza» rispose Saint-Clare.

— «Si parla de’ nostri schiavi come se noi li ritenessimo per qualche nostro vantaggio. Se consultassimo il nostro interesse, noi dovremmo concedere a tutti la libertà.»

Evangelina fissò i grandi occhi in volto alla madre, e con atto pieno d’ardore e di perplessità ad un tempo, disse ingenuamente: «Perchè dunque li teniam noi?»

— «Io nol saprei, salvo se non sia per mio tormento. Io credo che la più parte delle mie infermità mi sieno cagionate da loro. I nostri servi sono i peggiori che abbiano mai tormentato persona viva.»

— «Oggi vi siete desta d’umore assai nero — soggiunse Saint-Clare. — Dovete esser convinta voi stessa, ch’essi non meritano questi rimproveri. Non è forse Mammy, a cagion d’esempio, la miglior creatura del mondo, e tale che voi non potreste passarvene?»

— «Mammy è la migliore ch’io mi conosca; ma essa ha un egoismo, un egoismo tremendo. È il difetto comune a tutta quella razza.»

— «L’egoismo è un vizio orribile» soggiunse gravemente Saint-Clare.

— «Or bene, Mammy n’è guasta fino alle midolle. Non è forse egoismo quel suo dormire così profondo la notte? Ella sa bene ch’io ho bisogno di mille attenzioni minute quasi ad ogni ora. Eppure quanta fatica bisogna durare a riscuoterla? S’io quest’oggi sono più ammalata del solito, egli è a cagione degli sforzi che dovetti fare la scorsa notte per destarla.»

— «Non vegliò ella ultimamente più notti presso di voi, mamma?» disse Evangelina.

— «Come lo sai? — riprese Maria assai aspramente. — Se ne è lagnata, non è vero?»

— «No, essa non se ne è lagnata; mi disse soltanto che avete passato assai male varie notti consecutive.»

— «Non potreste concedere che Giovanna o Rosa facessero per una o due notti le veci di Mammy, e questa prendesse un po’ di riposo?»

— «E potete voi farmi questa proposta? — rispose Maria — Ah! voi parlate assai inconsiderato. Io sono così nervosa, che il più lieve soffio m’irrita: la presenza d’una persona ch’io non fossi usa a vedermi vicina mi renderebbe affatto furiosa.»

— «Se Mammy avesse per me tutto l’affetto che dovrebbe, ella si desterebbe più facilmente. Ho udito raccontare d’alcuni che hanno servi oltremodo affettuosi e devoti. A me non toccò mai questa fortuna.» E qui Maria sospirò.

Miss Ofelia stava ascoltando questa conversazione, mostrando una certa gravità scrutatrice e penosa. Finora ella teneva le labbra strette e compresse, [p. 171 modifica]come se fosse risoluta di esaminar bene la propria posizione prima di avventurarsi ad esporre un parere.

— «Mammy ha parecchie buone qualità — ripigliò Maria: — essa è dolce, rispettosa; ma in fondo al cuore essa ha una gran dose d’egoismo. Lo credereste? ella non è ancor giunta a sopportare in pace la sua lontananza dal marito. Allorchè mi recai a vivere qui, dopo il mio matrimonio, io dovea necessariamente condurla meco, nè il marito di lei, fabbro assai esperto, poteva allontanarsi da mio padre, a cui era assolutamente necessario. Consigliai allora a Mammy di separarsi affatto e per sempre dal marito, perchè non è probabile che possano mai più riunirsi e vivere insieme. Mi duole ora di non aver usato maggiore insistenza, e non avere maritato Mammy ad un altro. Io fui poco assennata e troppo indulgente. Le dissi ch’essa non doveva sperare di rivederlo più che una o due volte in sua vita, poichè l’aria del soggiorno di mio padre mi sarebbe ora estremamente perniciosa, nè vi tornerò più. La consigliai di tôrre un altro a marito: ma ella stette salda sul niego. Mammy ha in certe cose una ostinazione, che nessuno può conoscere quanto io.»

— «Ha essa figliuoli?» chiese miss Ofelia.

— «Sì, ne ha due.»

— «Credo ch’essa avrà provato gran dolore a partirsene.»

— «Io certo non poteva prenderli con me. Erano due piccole creature sudicie. Non avrei potuto vedermeli intorno: oltrecchè le avrebbero tolto troppo gran parte del suo tempo: ma credo che Mammy me ne serbi un secreto rancore. Non vuole maritarsi ad alcuna altro: e bench’ella conosca quanto ho bisogno di lei e quanto è debole il mio capo, credo che ritornerebbe presso a suo marito domani, tanto solo ch’ella il potesse. Sì, ne sono persuasissima: a tal segno sono egoisti anche i migliori tra loro.»

— «Il solo pensarne fa fremere» disse seccamente Saint-Clare.

Miss Ofelia gli piantò subito gli occhi in volto, e s’avvide della vampa di rossore che gli saliva alla fronte, e del compresso dispetto, e del sorriso sardonico che gli contraeva le labbra.

— «Ben è vero — proseguì Maria — ch’io l’ho guasta dimostrandomele troppo amorevole. Vorrei che alcuno de’ vostri domestici del Nord potesse dar uno sguardo alla guardaroba di Mammy. Vi vedrebbe vesti di seta, di mussolina, e persino un fazzoletto di batista. Io lavorai talvolta lunghe ore per guarnirle una cuffia, acciocchè potesse recarsi a una festa. Maltrattata non fu mai. Non venne sferzata che una o due volte. Essa ha il suo caffè e il suo thè come il nostro, e zucchero finissimo. È un grand’abuso, senza dubbio; ma Saint-Clare vuole che gli schiavi la facciano da signori, e ognuno di loro vive come gli aggrada. Se sono egoisti, [p. 172 modifica]la colpa è nostra in gran parte. Ma io ne ho parlato tante e tante volte a Saint-Clare, che ormai sono stanca.»

— «Ed io pure» disse Saint-Clare dando di piglio a un giornale.

Evangelina frattanto, la bella Evangelina, era stata ascoltando sua madre con quella espressione di profonda e misteriosa meditazione che le era particolare. Ella andò pianamente presso alla seggiola della sua madre, e le avvolse le braccia intorno al collo.

— «Or bene, Evangelina, che vuoi?» chiese Maria.

— «Mamma, non potrei vegliarvi io una notte, solo una notte? Son certa che non vi produrrei alcuna irritazione nervosa, nè mi lascerei vincer dal sonno. Spesso sto svegliata le intiere notti pensando.»

— «Tu farnetichi, cara mia, tu farnetichi! Oh vedete che strana fanciulla!»

— «Mamma, mi permettete ch’io lo dica? io penso — disse timidamente — che Mammy non istia bene. Non è guari che ella mi disse che la travagliava un ostinato dolore di capo.»

— «Oh! questo è uno de’ soliti capricci di Mammy. Essa non è punto dissimile agli altri negri. Per ogni piccolo dolore di capo, per la più lieve puntura ad un dito si tengono morti. No, io non incoraggerò giammai queste frascherie, giammai. Ho intorno a ciò i miei principii assai fermi: e voi vedrete — disse ella volgendosi a miss Ofelia — quanto sia necessario averne. Se voi darete ansa agli schiavi di lagnarsi d’ogni lieve dolore, di badare ad ogni leggiera indisposizione, ben presto vi romperanno il capo da mane a sera con le loro querele. Io, che pure son travagliata da tanti mali, non compiango giammai me stessa. So che c’incombe il dovere di soffrire con pazienza, e soffro.»

A questa inaspettata perorazione i grand’occhi di miss Ofelia manifestarono una sorpresa sì comica, che Saint-Clare non potè far di meno di non dare in un fragoroso scroscio di risa.

— «Saint-Clare ride sempre, allorchè io fo qualche allusione alla mia cattiva salute. Desidero ch’egli non abbia, un dì o l’altro, a conoscere con suo rammarico quanto egli è ingiusto.»

E così dicendo, Maria si gettò il fazzoletto negli occhi. Queste parole furono seguite da varii istanti d’insipido silenzio. Finalmente Saint-Clare si alzò: diede uno sguardo al suo orologio, e disse ch’egli era aspettato a un ritrovo. Evangelina lo seguì; e miss Ofelia e Maria rimasero a tavola sole.

— «Ecco come è Saint-Clare! — disse Maria, ritirando un po’ dispettosamente il suo fazzoletto, tostochè il colpevole disparve. — Egli non giungerà mai ad imaginare ciò che io soffro, ciò che ho sofferto da molti anni. Se io fossi simile a quelle stucchevoli piangitrici, che non finiscono [p. 173 modifica]mai di lagnarsi per ogni nonnulla, egli avrebbe ragione di compatirmi sì poco. Gli uomini s’annoiano facilmente d’una donna che spesso si querela. Ma io ho sempre sofferto i miei mali in silenzio, li ho soffocati coraggiosamente, finchè Saint-Clare si è posto in capo che io dovessi sopportar tutto e sempre.»

Miss Ofelia non sapea che rispondere. Mentre ella pensava che dire, Maria si rassettò le vesti, si rasciugò le lagrime, come colomba che si lisci le penne dopo la tempesta. Entrò quindi in lungo ragionamento intorno gli armadi, i gabinetti, le biancheria, le provvigioni, e simili altre materie che s’affidavano alla cura di miss Ofelia, e moltiplicò talmente gli avvisi, le osservazioni, i consigli, che una testa meno sistematica di quella di miss Ofelia si sarebbe trovata in un labirinto inestricabile.

— «Parmi avervi detto ogni cosa — aggiunse finalmente Maria: — sicchè la prima volta, ch’io cadrò ammalata potrete prendervi cura della casa, senza che abbiate a consultarmi. Ma sopra tutto badate ad Evangelina: vuol essere sorvegliata attentamente.»

— «A me pare d’un’indole eccellente. Non vidi mai fanciulla più cara.»

— «Ella è d’un’indole affatto singolare. Ha certe stranezze ch’io non so comprendere. Oh! essa non mi somiglia punto.» E Maria sospirò, come se fosse côlta da un pensiero profondamente doloroso.

«Lo spero bene» disse in cuor suo miss Ofelia; ma la prudenza le vietò di esprimere ad alta voce questa sua speranza.

— «Evangelina ha dimostrato sempre d’amare la compagnia dei domestici: e credo che per certi fanciulli non sia ciò verun inconveniente. Anch’io solea giocare co’ piccoli negri di mio padre, nè ci vidi mai alcun male. Ma Evangelina pare che consideri come suoi eguali tutti coloro che si avvicinano, fossero anche della più umile condizione. Mi sono adoperata a tutto potere per divezzarla di questa manìa così strana: ma ho gettato la fatica. Credo che Saint-Clare in ciò la incoraggi. Saint-Clare è condiscendente all’estremo con chiunque gli stia intorno, fuorchè con sua moglie.»

E di bel nuovo miss Ofelia stette muta.

— «Eppure non v’ha che un sistema unico a tenersi cogli schiavi, ripigliò Maria; trattarli come richiede la loro bassa condizione, e far che la sentano. Io tenni questo metodo pur da fanciulla. Ma Evangelina è capace di porre il disordine in tutta una casa: e allorchè ella dovrà esser al governo di questa, non so che potrà seguirne. Certo, bisogna essere umani e cortesi verso i domestici, ed io sono tale; ma bisogna altresì che si faccia conoscere ad essi la loro condizione. Evangelina non sa farlo: anzi non c’è modo a farle entrare in capo un’idea del grado in [p. 174 modifica]cui dee tenersi uno schiavo. L’avete udita pur ora offerirsi a vegliarmi la notte, per lasciar dormire Mammy! Eccovi un saggio della condotta ch’ella terrebbe, se fosse abbandonata a sè stessa!»

— «Ma — rispose Ofelia bruscamente — io credo che non vi esca di mente che i vostri servi sono creature umane, e che bisogna conceder loro qualche riposo quando sono stanchi.»

— «Senza dubbio: io concedo loro di buon grado tutto ciò che è convenevole, purchè possa conciliarsi coi loro doveri. Mammy può riposarsi in un tempo o in un altro: nè è a temere ch’essa nol faccia: non conobbi mai donna così dormigliosa come questa: ella dorme mentre cuce, in piedi, seduta, a qualunque ora, in ogni luogo. Ma trattare gli schiavi come se fossero fiori esotici, o vasi delle China è una ridicolaggine.»

Così dicendo, Maria s’immerse in un ampio e soffice cuscino, e flutò una boccetta di cristallo elegantemente lavorata.

— «Voi vedete — proseguì essa con flebile e languida voce, simile all’ultimo alito morente d’un gelsomino d’Arabia, o ad alcun che altro di etereo — voi vedete, cugina Ofelia, ch’io non parlo spesso di me stessa. Non è mio costume, non mi piace, nè potrei farlo. Io vi ho accennato i punti intorno a cui Saint-Clare ed io siamo discordi. Saint-Clare non mi ha mai compresa, non mi ha mai apprezzata a dovere; e questa è forse la cagione di tutti i dolori ch’io soffro. Saint-Clare ha buone intenzioni, non ne dubito; ma gli uomini sono naturalmente egoisti e inconsiderati verso le donne. M’ingannerò forse; tale nondimeno è la mia opinione.»

Miss Ofelia, ricca assai di quel senno naturale che distingue particolarmente gli abitanti della Nuova Inghilterra, rifuggiva oltremodo d’impacciarsi nei dissapori domestici. Ella s’avvide che le si minacciava di porla a parte di qualche spiacevole confidenza. Compose pertanto il suo viso in modo che dimostrasse una ferma neutralità, e traendo fuori una calza di smisurata lunghezza, la quale ella teneva in serbo come uno specifico contro ciò che il dottor Watts asserisce essere una personale abitudine di Satana quando le persone si stanno colle mani alla cintola, cominciò a far la maglia assai energicamente, strinse le labbra, e parea dire col suo contegno: — «v’adoprate indarno: non riuscirete a farmi entrare in questi ragionamenti: non voglio saper nulla dei vostri affari:» infatti ella non dimostrava maggior simpatia, che un lione di pietra. Maria non se ne turbò punto. Ella avea trovato con chi sfogarsi: credeva che il parlare fosse suo dovere; quindi proseguì il suo discorso, poich’ebbe ripreso nuove forze fiutando la sua boccetta da odore.

— «Vedete — ella disse — allorchè io sposai Saint-Clare, io gli recai in dote, oltre i miei beni, anche un certo numero di schiavi, i quali posso governare a mio talento. Saint-Clare ha pure il suo patrimonio e [p. 175 modifica]i suoi schiavi, ed io sono lietissima che li tratti come meglio gli torna: ma egli vuole impacciarsi dei miei. Egli ha certe idee stravaganti intorno a varie materie, e particolarmente intorno al governo degli schiavi. Egli opera in guisa, che si direbbe ch’egli consideri gli schiavi come superiori a me e a sè stesso. Spesso gli cagionano un grave imbarazzo, e nondimeno tollera o finge di non avvedersene. Benchè egli sembri d’indole assai dolce, egli in certe cose è terribile, e mi fa veramente paura. Lo credereste? ha stabilito, checchè possa avvenirne, che in casa sua non si potrebbe dare pure una sferzata, salvo se non fosse per sua mano o per la mia. Che ne consegue? Potete facilmente comprenderlo. Saint-Clare non s’indurrebbe a sterzare i negri quando pure gli passassero sulla persona: quanto a me, ben lo vedete, sarebbe una vera barbarie il richiedere ch’io facessi un simile sforzo. Or voi sapete che gli schiavi non sono altro che gran ragazzi.»

— «Io non so nulla — rispose laconicamente miss Ofelia — e ringrazio Iddio di non saperne.»

— «Sia pure; ma voi dovrete saperne qualche cosa, e a vostre spese se rimarrete con noi. Non potreste mai immaginare che stupida, irritante, sguaiata, irragionevole, puerile, ingrata razza di sciagurati sono costoro.»

Parea che Maria fosse rianimata da una forza sovrannaturale, ogniqualvolta le sue parole cadevano su tale argomento: gli occhi di lei si spalancavano, e parea che dimenticasse il suo usato languore.

— «Non potreste mai immaginare che duro e continuo supplizio sieno costoro per una padrona di casa. Io non me ne lagno più a Saint-Clare; sarebbero parole gettate. Egli pretende che costoro sono quali abbiamo voluto, e che quindi dobbiamo rassegnarci: dice che tutti i difetti loro derivano da noi, e che saremmo crudeli ed ingiusti a punire in essi le colpe di cui siam complici; aggiunge, che se noi fossimo al luogo loro non saremmo punto migliori; come se tra noi e loro fosse qualche cosa di comune, o reggesse il confronto!»

— «Non credete voi dunque che Iddio gli abbia fatti del medesimo sangue che noi?»

— «No, in fede mia, no assolutamente! sarebbe una curiosa opinione davvero! Essi sono una razza degradata.»

— «Ma non credete voi, ch’essi abbiano un’anima immortale?»

— «Oh! quanto a questo poi — rispose Maria sbadigliando — niuno ne dubita; ma paragonarli a noi? tenerli quasi come eguali a noi? è impossibile! Saint-Clare sostiene che tener Mammy lungi dal marito, sia come se tenessero me lontana dal mio. Siffatti confronti non possono farsi. Mammy non può avere quei sentimenti che ho io; v’ha una differenza enorme, benchè Saint-Clare dica, che non sa vederla. Egli è lo [p. 176 modifica]stesso che se mi volessero far credere che Mammy possa amare quelle sue schifose bertucce, come io amo Evangelina. Udite questa: Saint-Clare con tutta serietà s’affaticò a persuadermi esser mio dovere, malgrado la mia salute cagionevole, e tutto ciò ch’io soffro, di lasciar tornare Mammy presso il marito, e di togliere invece di lei qualche altra persona a mio servizio. Questa poi passava la celia! Spesso mi rimango di esprimere ciò che sento: soffro in silenzio e pazientemente, giacchè so che questa è la trista condizione a cui furono condannate le donne. Ma allora io non ho potuto star salda, e mi sborrai di santa ragione. Indi in poi non me ne fece più parola; ma da certe sue parole dette così alla sfuggita, da certe sue allusioni, m’avveggo ch’egli è sempre di quello stesso parere; e la è cosa che provoca ed aizza cotanto!»

Miss Ofelia non osò risponder nulla in contrario; ma la precipitazione con cui adoperava i suoi ferri da calzette era assai eloquente, se Maria avesse saputo comprenderla.

— «Vedete pertanto qual carico vi è imposto, allorchè vi si commette il governo di questa casa. Qui non è regola, non è ordine: vi hanno schiavi avvezzi a fare ciò che lor piace, ad avere quanto desiderano, salvo se talvolta, per quanto lo comporta la mia salute, io non prenda a sorvegliarli. Allora do di piglio ad un nerbo, e ove le circostanze il richiedono, lo adopero; ma è cosa che mi riesce di troppa fatica. Ah! se Saint-Clare volesse un po’ imitare l’esempio degli altri proprietari!....»

— «E che fanno?»

— «Mandano i loro negri alla Calabuse, o in altro luogo ad esser bastonati. È l’unico sistema ragionevole. S’io non fossi così debole e malaticcia, vorrei mostrare nel governarli ben altra energia che non mostra Saint-Clare!»

— «Ma in che modo riesce egli a farsi ubbidire? Voi mi avete detto che non li batte mai.»

— «Ben sapete che gli uomini giungono più facilmente a ottenere ubbidienza; nè hanno a durare per ciò grande fatica. Oltrecchè, avete voi mai fissato attentamente gli occhi di Saint-Clare? Hanno veramente qualche cosa di singolare; quando egli parla risoluto, par che saettino fuoco, si che io stessa ne sono sbigottita. Ottengo assai meno io col mostrarmi adirata, col gridare, ch’egli non faccia con un solo sguardo. Oh, certo, egli ottiene quanto desidera; ma è a dolere, che non voglia mai pensare alla condizione in cui son io. Vi chiarirete fra poco, che non è possibile ridurre i negri al loro dovere, ove non si faccia uso di estrema severità, tanto sono malvagi, astuti, pigri!»

— «Sempre la stessa canzone — disse Saint-Clare rientrando improvviso; — che terribile conto dovranno rendere nell’ultimo di queste [p. 177 modifica]sgraziate creature, massimamente a cagione della loro pigrizia! Ben vedete cugina — proseguì egli stendendosi sopra un sofà di ricontro a Maria — che la loro colpa è perciò massimamente inescusabile, che Maria ed io diamo loro esempi edificantissimi.»

Loker rotolò giù nel burrone. Capo XVII.

— «Quanto siete cattivo, Saint-Clare!» disse Maria.

— «Io? e perchè mai? I credeva d’aver detto bene, e di meritarne i vostri elogi. Mi studio sempre di avvalorare le vostre osservazioni.»

— «Ah! ben altre sono le vostre intenzioni!»

[p. 178 modifica]— «Mi sarò dunque ingannato. Intanto vi ringrazio del rimprovero che mi movete.»

— «Voi cercate ogni mezzo per farmi diventare di mal umore.»

— «Tolga il cielo! — Orsù, cara mia, la giornata è calda oltremodo, ed io ho avuto con Adolfo una disputa che mi ha stracco eccessivamente; siate dunque amabile, ve ne prego, e concedetemi un po’ di riposo nella luce del vostro sorriso!»

— «Che disputa avete voi avuto con Adolfo? L’impudenza di questo sciagurato mi riesce ogni dì più intollerabile. S’egli fosse abbandonato interamente alla mia direzione per qualche giorno, saprei tenerlo a segno ben io!»

— «Ciò che dite, mia cara, ha l’impronta della vostra usata perspicacia, e del vostro buon senso. Quanto ad Adolfo, ecco di che si tratta. Egli ha posto cura da lungo tempo ad imitare le mie grazie e perfezioni per modo, ch’egli giunse finalmente a scambiarsi col suo padrone, ed io fui costretto a farlo ricredere un tantino.»

— «Ma come?» chiese Maria.

— «Fui costretto a fargli intendere in modo assai esplicito, che io bramerei di serbare alcuni dei miei abiti per mio uso personale. L’ho anche invitato a far meno scialacquo d’acqua di Colonia, e starsi contento ad una dozzina dei miei fazzoletti di batista. Adolfo li portava con una arroganza tale, che mi fu bisogno reprimerla con misure veramente paterne.»

— «O Saint-Clare, quando imparerete voi a governare i vostri servi? L’indulgenza che usate verso loro è veramente detestabile!»

— «Al far de’ conti è gran colpa che questo povero diavolo si studii di somigliare al padrone? E s’egli, mercè l’educazione ch’io gli diedi, ripone la suprema felicità nell’acqua di Colonia e nei fazzoletti di batista, perchè non gliene daro io?»

— «E perchè non gli deste voi educazione migliore?» disse miss Ofelia risolutamente.

— «Troppo incomodo, cugina; tutto il male deriva dalla pigrizia, dalla pigrizia che perde più anime, che non possiate riuscire a correggerne; io stesso, se non fosse la pigrizia, sarei un angelo. Inchino a credere che la pigrizia sia veramente, quale solea chiamarla il vostro vecchio dottor Botherem, nel Vermont, l’essenza del mal morale. È un pensiero veramente assai terribile!»

— «I possessori di schiavi hanno una responsabilità tremenda — disse miss Ofelia. — Io non vorrei averla per tutto l’oro del mondo. Dovete educare i vostri schiavi, trattarli come creature ragionevoli, come creature immortali, con cui dovrete un dì presentarvi al tribunale di Dio! Così la penso;» aggiunse la buona miss Ofelia, dando finalmente libero sfogo allo zelo, che più e più in tutto quel mattino le si accendeva in cuore.

[p. 179 modifica]— «Via! tranquillatevi — disse Saint-Clare alzandosi frettolosamente; — non vogliate giudicarci prima di conoscerci bene.»

Quindi egli si sedette al piano-forte, e prese a suonare un brano di musica assai gaio. Saint-Clare avea per la musica una disposizione maravigliosa. Il suo tocco era fermo e brillante; le sue dita scorrevano la tastiera rapidissimamente, nè l’agilità noceva punto alla fermezza e precisione. Egli esegui varii pezzi, come uomo che voglia liberarsi d’un pensiero molesto; quindi, gittando i suoi quaderni da un lato, sorse, e mostrandosi tutto gaio, disse: — «Ci avete dato un’ottima lezione, cugina, e adempiuto a un dovere. Avete acquistato con ciò un nuovo titolo alla mia stima. Voi m’avete lanciato una perla di verità, ma mi ferì al viso così dirittamente, che in sulle prime non seppi apprezzarla secondo il suo valore.»

— «Quanto a me — disse Maria — non veggo a che giovino siffatti ragionamenti. Io credo che non vi sia alcuno che faccia a vantaggio de’ suoi domestici più di quello che facciam noi. Ma la è fatica perduta; anzichè divenir migliori, peggiorano. Quanto a parlar loro de’ proprii doveri, posso assicurarvi, ch’io ne parlai tante volte e tante, e sì a lungo, che spesso n’ebbi la voce arrantolata; essi possono recarsi alla chiesa quando loro aggrada, benchè non comprendano una parola del sermone, e quindi, come vedete, non sia loro possibile di trarne profitto; ma in somma ci vanno. I mezzi di migliorarsi dunque loro non mancano. Ma come vi ho detto, essi appartengono ad una classe degradata, e non muteranno giammai. Tutti gli sforzi che possiate fare per loro, riusciranno sempre a vuoto. Voi non li conoscete ancora, cugina; ma io li conosco perfettamente, poichè nacqui e crebbi fra loro.»

Miss Ofelia, credendo che bastasse l’avere già espresso assai chiaramente la propria opinione, se ne stette silenziosa. Saint-Clare prese a zufolare un’arietta.

— «Saint-Clare — disse Maria — vi prego di non fischiare; mi fate crescere il mal di capo.»

— «Me ne rimango subito, cara. V’ha altro che non vogliate ch’io faccia?»

— «Vi pregherei di avere qualche compassione dei miei tormenti; ma voi mi dimostrate sempre un’assoluta indifferenza.»

— «Mio caro angelo accusatore!»

— «M’irritate, parlandomi in questo modo.»

— «In che modo volete dunque ch’io vi parli? Ditelo pure, ch’io per farvi piacere parlerò così appuntino come mi prescriverete.»

Il fragore di liete risa che sorgevano dalla corte penetrò in quell’istante traverso le cortine di seta della verenda. Saint-Clare si fece innanzi, rimosse le cortine e si diede egli pure a ridere cordialmente.

[p. 180 modifica]— «Che c’è?» disse Ofelia facendosi alla finestra.

Tom stava assiso sopra un verde cespo nella corte, ed aveva un mazzolino di gelsomini ad ogni occhiello dell’abito; Evangelina, gaiamente ridendo, gli sospendeva al collo una ghirlanda di rose. Fatto ciò, abbandonava il suo corpicciuolo sulle ginocchia, e rideva tuttavia.

— «O Tom, che curiosa figura fate!»

Tom rideva d’un sorriso tranquillo e benevolo, e pareva godere di quello scherzo quanto la sua padroncìna. Quand’egli s’accôrse di Saint-Clare, lo affissò con un guardo e un atteggiamento mezzo apologetico e deprecativo.

— «E potete voi tollerar queste cose?» chiese miss Ofelia.

— «E perchè no?» rispose Saint-Clare.

— «Non saprei, ma ne sento ribrezzo.»

— «Non avreste ribrezzo vedendo un fanciullo accarezzare un gran cane, fosse anche nero; e vi fa poi ribrezzo una creatura che pensa, che ragiona, che sente, che è immortale! Non sono veramente strani questi pregiudizi degli Americani del nord? Noi non ne abbiamo di simili; nè dico già che questo avvenga in noi per virtù; l’abitudine opera ciò che dovrebbe operare il cristianesimo; essa ci toglie queste personali ripugnanze, ripugnanze che, come ebbi occasione di conoscere mercè i miei frequenti viaggi nel Nord, sono assai più forti in tutti voi, che non fra noi. Rifuggite non altrimenti che da un rospo o da un serpe.»

— «Vorreste che non fossero maltrattati, ma non vi sapreste piegare ad aver qualche cosa di comune con loro. Bramate che si mandino in Africa, lungi dai vostri occhi per sempre, e che si spedisca colà qualche missionario che facesse l’eroico sacrificio di educarli in succinto. Non è così?»

— «V’ha qualche cosa di vero nelle vostre parole» rispose miss Ofelia, dopo essere stata un qualche istante pensosa.

— «Che farebbero mai i poveri e gl’infelici senza i fanciulli?» disse Saint-Clare appoggiandosi al davanzale e ponendo mente ad Evangelina, che si allontanava tenendo Tom per mano.

— «I fanciulli sono i soli e veri democratici. Tom è ora un eroe per Evangelina; le sue storie le paiono meravigliose, i suoi canti, i suoi inni metodisti hanno per lei più pregio che un’opera; i trastulli ch’egli ha in saccoccia sono per lei una miniera di pietre preziose. Evangelina è una di quelle rose dell’Eden che Iddio ha sparso guaggiù espressamente per conforto del povero e dell’infelice, per cui non ne germogliano d’alcuna altra guisa.»

— «A udirvi, cugino, si crederebbe che siate un professante» disse miss Ofelia.

— «Un professante? Non vi comprendo.»

[p. 181 modifica]— «Sì, uno che professi manifestamente qualche religione.»

— «Niente affatto; non sono un professante; e quel che è peggio, non sono nemmeno un praticante.»

— «Ma perchè dunque parlate così?»

— «Nulla è più facile che il parlare. Shakspeare, se non erro, dice per mezzo di uno de’ suoi personaggi: — Mi sarebbe più facile assai insegnare il bene a venti persone, che essere uno dei venti pronti a porre in opera quel che avessi insegnato. — È un’ottima cosa la divisione del lavoro. Io son assai valente in parole; e voi, cugina, nei fatti.»

L’esterna situazione di Tom era tale a quel tempo, che, come suol dirsi, non avea di che lagnarsi. L’affetto di Evangelina per lui, l’istintiva riconoscenza d’un’indole generosa l’aveano spinta a chiedere a suo padre che la facesse accompagnare da Tom, ogni volta ch’ella avesse bisogno di scorta nella sua passeggiata; epperò Tom avea avuto ordine d’interrompere ogni altra occupazione per ubbidire ai cenni di Evangelina, quando le piacesse d’uscire; e si comprenderà facilmente che un ordine siffatto non gli fu certo discaro. Egli fu vestito assai decentemente, poichè in ciò Saint-Clare era assai minuzioso. Il suo servizio circa la scuderia, era un vero scioperìo, poichè non consisteva che nella ispezione giornaliera e nella direzione di un pallafreniere, giacchè Maria avea dichiarato ch’ella non avrebbe potuto soffrir mai che le si avvicinasse una persona che putisse di scuderia; e perciò avea richiesto, che Tom fosse sciolto da ogni incarico per cui le potrebbe riescire spiacevole, giacchè, come ella diceva, il suo sistema nervoso era incapace a reggere ad alcuna prova di tal genere, ed ogni alito di lezzo basterebbe a chiuder la scena, e porre un temine a tutte le sue prove terrene. Tom pertanto ebbe abiti di panno diligentemente spazzolati, un cappello di castoro, stivali lucidi, colletto e manichini bianchissimi. Così vestito, con quel suo nero viso, grave, e che svelava la naturale bontà dell’animo, era in vista degno di tanta riverenza, quanto bastasse per far di lui un vescovo di Cartagine, come già furono gli uomini del suo colore.

Oltrecchè egli abitava un soggiorno assai delizioso, il che per gli uomini della sua razza non fu mai cosa indifferente. Con gioia tranquilla ei godeva dei fiori, degli uccelli, delle fontane, della luce e della bellezza di quella corte, e delle cortine di seta, dei quadri, delle lampade, delle statue, delle indorature, che facevano di quel soggiorno un palazzo di Aladino.

Se l’Africa possederà mai una razza culta e rialzata alfine dalla sua abbiezione — e certo è forza che un giorno ella abbia la sua parte nel gran dramma dell’umano incivilimento — la vita vi si risveglierà con uno splendore ed una magnificenza tale, che le nostre fredde tribù dell’occidente non ne hanno pure il pensiero. In quella lontana e misteriosa terra [p. 182 modifica]dell’oro, delle gemme, delle spezie, delle palme ondeggianti, dei fiori maravigliosi, della fertilità prodigiosa, sorgeranno nuove forme d’arte, nuovi generi di splendido stile; e la razza nera, non più spregiata, nè oppressa, ci recherà forse le ultime e più magnifiche rivelazioni della vita umana. Senza dubbio, a cagione della loro dolcezza, della loro amabile docilità di cuore, della loro inclinazione ad affidarsi ad una mente superiore e riposarsi in un più alto potere, dell’ingenua semplicità del loro affetto, della facilità con cui perdonano, esse offriranno la più sublime forma della vità cristiana. Forse quel Dio che castiga coloro che ama, ha posto la povera Africa al crogiuolo della afflizione, acciò ch’ella sia di tutte le nazioni la più grande e la più nobile in quel regno ch’egli fonderà allorchè ogni altro regno sarà caduto; perocchè i primi saranno gli ultimi, e quelli ch’erano gli ultimi saranno i primi.

Erano forse queste le idee di cui si occupava Maria Saint-Clare la mattina d’una domenica, mentre, pomposamente vestita, stava chiudendo un braccialetto sfavillante di diamanti? Certo che no. Ma pure ella s’occupava di qualche cosa. Le istituzioni utili le stavano a cuore, ed in quel momento ella si disponeva a recarsi molto divotamente, e carica di diamanti, di seta di trine, di gioielli, alla chiesa di moda; poich’ella s’era fatta una legge di esser molto divota alla domenica. Tu l’avresti veduta allora così svelta, così elegante, così aerea e ondulante, in tutti i suoi movimenti, così avvolta, come in un tenue vapore, nella sua lfascia di merletto! Era veramente una graziosa creatura: ed ella si sentiva allora molto divota e molto elegante. Miss Ofelia, che le stava accanto, faceva con lei un perfetto contrasto: aveva essa pure una veste di seta, un bello sciallo, e un fazzoletto trapunto; ma essa avea un nonsochè di ruvido, di angoloso, d’intirizzito, che offendeva lo sguardo, quanto lo dilettava la grazia della sua elegante vicina: — non parlo della grazia di Dio, intendiamoci bene.

— «Ov’è Eva?» chiese Maria.

— «La fanciulla — rispose Ofelia — si fermò sulla scala per dire qualche cosa a Mammy.»

Or che stava dicendo Evangelina? Ecco le sue parole che da Maria non erano udite.

— «Cara Mammy, so che vi duole il capo estremamente.»

— «Iddio vi benedica, miss Evangelina! è vero, da qualche tempo il capo mi duole assai. Ma non vogliate prendervene pensiero.»

— «Ho caro che finalmente usciate. L’aria aperta ed il moto spero che vi gioveranno. Intanto prendete qui la mia boccetta di essenza.»

— «Che! la vostra bella boccetta ornata di diamanti? Ah! non posso accettarla.»

— «E perchè non potete voi accettarla? Voi ne avete bisogno, ed io [p. 183 modifica]no. La mamma se ne serve sempre pel mal di testa; senza dubbio ve ne sentirete meglio. Or via, accettatela per farmi piacere.»

— «Sentite che care parole!» sclamò Mammy. E frattanto Evangelina le poneva in seno la boccetta, l’abbracciava, e correva quindi a raggiungere la madre.

— «Perchè hai ritardato cotanto?»

— «Mi trattenni alquanto per dare la mia boccetta d’odore a Mammy, acciocchè se la porti in chiesa.»

— «La tua boccetta d’oro a Mammy? — gridò Maria, battendo impazientemente col piede il terreno. — Non verrà mai il giorno che tu impari ciò che richiedono le convenienze? Torna indietro, e riportala subito!»

Eva si fece trista e confusa, e ritornava indietro lentamente.

— «Maria, lasciate tranquilla questa fanciulla; e permettete che faccia ciò che le piace» disse Saint-Clare.

— «Ma, Saint-Clare, come imparerà ella dunque a condursi nel mondo?»

— «Iddio lo sa! ma essa si condurrà al cielo meglio assai di voi e di me.»

— «Oh! papà, non parlate così! — disse Evangelina, posandogli lievemente la mano sul braccio: — voi affliggete la mamma.»

— «Ebbene, cugino — disse miss Ofelia volgendosi, come se girasse sopra d’un perno, verso Saint-Clare — siete voi pronto a recarvi alla chiesa?»

— «Mille grazie: io non ci vengo.»

— «Io vorrei che Saint-Clare si decidesse a venirci — disse Maria: — ma egli non ha punto di religione; e ciò gli fa veramente torto.»

— «Lo so bene — rispose Saint-Clare, — voi altre donne andate alla chiesa per impararvi come dobbiate condurvi nel mondo, io credo; e la vostra pietà manda un raggio edificante anche su noi. Se io dovessi andare a qualche chiesa andrei a quella ove suol andare Mammy: almanco vi troverei di che tenermi desto.»

— «Come? andreste a sentir urlare un Metodista? Che orrore!» disse Maria.

— «Sì, io preferirei ogni cosa alla tranquillità morta delle vostre rispettabili chiese. E un chieder troppo alla pazienza di un galantuomo il volere ch’ei vi regga. Evangelina, t’è caro di ardarvi? Oh! férmati a casa che giocheremo insieme.»

— «Vi ringrazio, papà; ma m’è più caro d’andare alla chiesa.»

— «Non ti annoi?»

— «Sì qualche volta; e allora sento che sta per prendermici il sonno: ma mi sforzo di tenermi desta.»

— «E perchè dunque ci vai?»

[p. 184 modifica]— «La cugina mi ha detto — replicò sotto voce Evangelina — che Iddio desidera che ci si vada: quanto noi abbiamo è tutto dono di lui: ed egli ci chiede sì poco!»

— «Che cara angioletta! — disse Saint-Clare, dandole un bacio. — Va dunque, che tu sei una buona fanciulla; e prega per me.»

— «Oh sì! io lo fo sempre» rispose Evangelina, saltando nella carrozza dopo la madre.

Saint-Clare si soffermò per qualche tempo, e mandava colla mano molti baci ad Evangelina, mentre la carrozza si allontanava: e gli occhi frattanto gli si empievano di lacrime.

— «Oh Evangelina — sclamò — quanto ti sta bene il nome che ti fu imposto! Iddio mi diede veramente in te un Vangelo!»

Stette in questi pensieri un istante: quindi prese a fumare un sigaro; lesse il Picayune, e dimenticò il suo piccolo vangelo. Forse che gli altri sono migliori di lui?

— «Vedi — disse la madre ad Evangelina cammin facendo; — è cosa lodevolissima mostrarsi benevoli verso i domestici, ma disdice molto il trattarli come se fossero amici o persone del nostro grado. A cagion d’esempio, se Mammy fosse malata, tu non vorresti certamente lasciarla porre nel tuo letto.»

— «Mi pare appunto ch’io lo farei, perchè il mio letto è migliore del suo, e mi sarebbe più facile di prestarle assistenza.»

Maria fu presa da un sentimento di vera disperazione all’udir quella replica, che dimostrava una mancanza assoluta di percezione morale.

— «Che potrò fare acciò ch’essa mi comprenda una volta?»

— «Nulla» disse miss Ofelia ricisamente.

Evangelina stette qualche tempo sconcertata e pensosa: ma fortunatamente le impressioni in quell’età si dileguano in breve. Dopo alcuni istanti ella rideva di vari oggetti che le si presentavano per via traverso i vetri della carrozza.




— «Or bene, mie signore — cominciò Saint-Clare, allorchè tutti furono seduti comodamente a mensa; — qual era oggi il programma della chiesa?»

— «Oh! il dottor G.... fece un brillante sermone — rispose Maria — un sermone che meritava esser udito da voi: vi si esprimevano perfettamente le mie idee.»

— «Dovea esser d’una utilità veramente grande — disse Saint-Clare. — Il soggetto era assai vasto.»

[p. 185 modifica]— «Io parlo delle mie idee intorno alla società. Il testo era questo: — Egli fece ogni cosa bella nella sua stagione. — Provò che tutte le distinzioni sociali vengono da Dio: che tutto era ordinato in tal guisa, che vi doveano essere necessariamente classi superiori e classi inferiori, uomini nati per comandare ed uomini nati per servire. Confutò vittoriosamente tutte le ridicole calunnie che si spacciano contro alla schiavitù: provò chiaramente, che la Bibbia sta dal nostro lato e avvalora tutte le nostre istituzioni. Mi duole che non l’abbiate udito.»

— «Oh! io non ne ho bisogno. Io posso leggere le stesse cose nel Picayune quando voglio, e frattanto fumare un sigaro; il che ben sapete, non potrei fare in chiesa.»

— «Che? — disse Ofelia — avete forse opinioni contrarie?»

— «Io? Ben lo sapete, sono così abbandonato dalla grazia, che l’aspetto religioso che vuol darsi a siffatti soggetti non mi edifica punto. Se io avessi a dir qualche cosa intorno alla schiavitù, io direi a parole tonde: Noi l’abbiamo, ne profittiamo, e vogliamo mantenerla, poichè così vuole la nostra convenienza e il nostro interesse. Il problema sarebbe sciolto con due parole, che sono infine il compendio di tante ciarle divote che si fanno su questo soggetto, e che non illudono ormai più nessuno.»

— «Che irriverenza! — disse Maria: — non si può proprio reggere ad udirvi.»

— «Non si può reggere? Non dico che la pura verità. Perchè questi vostri predicatori non fanno anche qualche passo più innanzi? Tutte le cose son belle alla lor stagione: perchè non giustificano altresì parecchi usi frequentissimi tra noi giovani, e non dimostrano, mercè di questo testo, ch’ella è ottima cosa il bere a suo tempo qualche bicchiere di più, il passar le notti al giuoco, il darsi a varie altre distrazioni ugualmente providenziali? Sarebbe caro a sentire, che tutte queste cose sono sante e buone.»

— «Insomma — chiese miss Ofelia — credete voi che la schiavitù sia cosa ingiusta?»

— «Quei della Nuova-Inghilterra — rispose gaiamente Saint-Clare — hanno una logica tremenda. S’io rispondessi alla vostra domanda, mi assalireste immediatamente con un’altra mezza dozzina di domande, ognuna delle quali mi porrebbe in maggior impiccio che la precedente. Io somiglio molto a coloro che si dilettano a scagliar pietre contro alle case di vetro dei loro vicini; ma non vogliono già fabbricarsene alcuna, temendo che si faccia loro lo stesso giuoco.»

— «Ecco il suo solito metodo di parlare — disse Maria. — Non ne trarrete mai alcun costrutto. Si schermisce sempre con siffatti raggiri; e tiene, credo io, questo costume perch’egli non ha religione.»

[p. 186 modifica]— «Religione! — sclamò Saint-Clare con un accento che fece spalancar gli occhi alle due signore. — È religione ciò di che vi parlano in chiesa? È religione questa che sale e scende, che si piega or da questa parte, or da quella, che si muta secondo le fasi dell’egoismo d’una società affatto mondana? È una vera religione quella che è meno scrupolosa, meno generosa, meno giusta e amorevole verso l’uomo, che non io, tuttochè irreligioso, mondano, acciecato? No! Quando io cerco la religione, io guardo a qualche cosa che sia sopra di me, non già a ciò che sia al di sotto.»

— «Non credete dunque, che la Bibbia giustifichi la schiavitù?» domandò miss Ofelia.

— «La Bibbia era il libro di mia madre. Ella ne seguì i precetti durante la vita e all’ora della morte; e mi dorrebbe estremamente il sentire che quel libro giustificasse la schiavitù: mi tornerebbe men grave che mi dicessero che mia madre bevea acquavite, masticava tabacco, e giurava per convincermi che io posso fare altrettanto. La mia opinione intorno a questi difetti non si muterehbe per ciò; ma mi verrebbe tolto quel conforto ch’io provo nel rispettare la memoria di lei; ed è veramente cosa dolce l’avere in questo mondo qualche cosa cui rispettare. In somma — aggiunse egli, ripigliando il suo accento gaio — io chieggo che ciascuno tenga lealmente quel linguaggio che dovrebbe tenere. L’intero edifizio della società, sì in Europa che in America, si compone di parti che non reggono all’esame d’una severa morale. Tutti s’accordano a dire, che gli uomini non aspirano ad una giustizia assoluta, ma si stanno contenti ad operare come fanno i più. Sicchè, se alcuno mi dirà: — la schiavitù è necessaria; non possiamo abolirla; poichè, tolta che fosse, saremmo ridotti alla mendicità — io risponderò: Sia lode al cielo! che questo linguaggio è almeno chiaro e leale, e merita che si pregi perchè sincero; e, a giudicarne dalla esperienza, tutti vi si acconcieranno di leggieri. Ma ove io mi vegga innanzi un muso da ipocrita, che con voce nasale venga ad allegarmi la Bibbia, non ne sarò certo molto edificato.»

— «Non siete troppo caritatevole» soggiunse Maria.

— «Supponiamo — ripigliò Saint-Clare — che una qualunque cagione facesse invilire per sempre il prezzo del cotone, non credete voi che la Bibbia ci sarebbe tosto interpretata assai diversamente? Quali fiumi di luce inonderebbero allora la Chiesa! Come si scoprirebbe tosto che la Bibbia e la ragione stanno per l’opposta sentenza!»

— «Comunque ciò sia, io mi stimo felice — disse Maria, stendendosi, sovra un seggiolone — di esser nata in un paese ove esiste la schiavitù; io la credo legittima, sento che deve esser così, e non potrei farne senza.»

— «Che ne pensi tu, cara mia?» chiese Saint-Clare ad Evangelina, mentr’egli rientrava tenendo un fiore in mano.

[p. 187 modifica]— «Intorno a che, papà?»

— «Che ti par meglio? vivere come in casa di tuo zio nel Vermont, o aver la casa piena di domestici come abbiamo noi?»

— «Oh! la nostra maniera di vivere è migliore d’assai!»

— «E perchè?» chiese Saint-Clare, carezzandole il capo.

— «Perchè abbiamo così molte più persone da poter amare» rispose Evangelina, fissandogli attentamente gli occhi in viso.

— «Una delle solite risposte di Evangelina — disse Maria... — Sempre le medesime stranezze!»

— «Ho detto una stranezza, papà?» chiese Evangelina, balzandogli sulle ginocchia.

— «Veramente, nel mondo in cui viviamo, la tua risposta può parer tale, mia cara. Ma, ove sei stata in questo frattempo?»

— «Nella camera di Tom a sentirlo cantare: la zia Dina mi ha recato colà il mio pranzo.»

— «Hai sentito cantare Tom?»

— «Oh, sì! Egli canta certi inni così belli intorno alla Nuova Gerusalemme, agli angeli e alla terra di Canaan!»

— «Ti sembrano più belli dell’opera, non è vero?»

— «Certo; e ha promesso d’insegnarmeli.»

— «Avrai anche lezioni di canto? capperi! la tua educazione progredisce.»

— «Sì, egli canta per mio diletto; ed io gli leggo la Bibbia, ed egli me ne spiega il senso.»

— «Affè, che è la più graziosa celia del mondo!» disse Maria ridendo.

— «Io metterei pegno, che Tom non è un cattivo interprete della Bibbia. Egli ha un genio naturale per la religione. Questa mattina penetrai nella stanza di lui sovra la scuderia, per dirgli che mi sellasse un cavallo, e sentii ch’egli teneva un meeting da per se solo; e in fede mia non udii giammai preghiera migliore della sua. Egli mi raccomandava a Dio con uno zelo veramente da apostolo.»

— «S’era avveduto che lo stavate ascoltando. Il tiro non sarebbe nuovo.»

— «Quando ciò fosse, ei non avrebbe dimostrato troppa politica, giacchè egli diceva a Dio la sua opinione intorno a me con tutta la schiettezza immaginabile. Parea ch’egli credesse fermamente ch’io abbia molto bisogno di mutare in meglio, e faceva ardenti voti per la mia conversione.»

— «Spero che seconderete il suo desiderio» disse Ofelia.

— «La pensate come Tom? — chiese ridendo Saint-Clare. — Bene, vedremo; non è vero, Evangelina?»