La Stella dell'Araucania/Capitolo IX
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CAPITOLO IX.
In mezzo ai ghiacci.
La scoperta dello stretto di Magellano rimonta, come è noto, al 1518.
Buona parte dell’America del Sud e anche del Nord era stata già non solo scoperta, ma anche conquistata dagli arditi avventurieri spagnuoli, tuttavia si ignorava che esistesse una comunicazione fra l’oceano Atlantico ed il Pacifico. Cosa singolare, gli spagnuoli, gli inglesi, i francesi e gli italiani, invece di cercare quel passaggio verso il mare del sud, si erano sempre ostinati a cercarlo al nord, dove si diceva esistesse un canale chiamato d’Aman che serviva di passaggio a navigli dai pennoni d’oro e dalle prore d’argento.
La supposizione che potesse esistere anche al sud dell’America, un canale che permettesse di passare dall’Atlantico al Pacifico, la fece pel primo Ferdinando Magellano, avventuriere portoghese, il cui genio non era stato giustamente apprezzato dalla sua patria.
Questo audace marinaio dopo aver passata la sua gioventù a guerreggiare nelle Indie Orientali ed in Malesia, concepì il disegno di andare a esplorare i mari del Sud e di spingersi sempre verso occidente per tornare in Europa dalla parte opposta. Progetto grandioso e arditissimo, specialmente in quell’epoca in cui ancora si dubitava se il globo fosse veramente rotondo e si ignorava ancora più dove si spingessero le onde del Pacifico e quali terre bagnasse.
Gettata l’idea, Magellano cercò tosto di metterla in esecuzione. Disgustato di non trovare appoggi nel Portogallo, rinnegò la patria, che non comprendeva la grandezza del suo disegno e andò ad offrire i suoi servigi a Carlo V il quale gli affidò cinque piccole caravelle: la Trinità, il San Giacomo, il Sant’Antonio, la Concezione e la Vittoria, dopo d’avergli fatto fare il giuramento di fedeltà nella Chiesa di Santa Maria della Vittoria.
Fino dal principio la spedizione minacciò di finire male, in causa de’ sospetti della popolazione di Siviglia, che non aveva creduto alla sincerità del suo giuramento e che aveva scambiato gli stemmi della sua famiglia per quelli del Portogallo.
Una sommossa popolare minacciò di bruciare i suoi legni prima che scendessero il Guadalquivir, e Magellano si vide costretto a difenderli a colpi di spada.
Un altro si sarebbe certamente scoraggiato; invece il futuro grande navigatore, fermo nella sua idea, fidente nel suo genio, non abbandonò l’impresa e prese il mare, quantunque sapesse ormai di condurre con sè degli equipaggi di fedeltà molto dubbia, che lo consideravano sempre come uno straniero pronto a tradirli per fare gl’interessi della sua patria.
Favorito dai venti, si spinge risolutamente verso il sud. Si fornisce di viveri alle Canarie, raggiunge le coste del Brasile, che esplora per lungo tratto e, piegando verso l’ovest sotto il 49° 50° di latitudine australe, va a gettar l’àncora in una profonda baia per svernare, e là dopo due mesi vede i primi patagoni, che in quell’epoca dovevano avere delle stature superiori alle attuali, perchè i più alti uomini della flotta non giungevano che alla cintola di quei giganti.
In quella baia, il grande navigatore per un pelo non perdette la vita, in causa d’un complotto ordito dai capitani delle navi. Scopertolo a tempo, il fiero marinaio ne fece squartare uno, pugnalare un’altro, ed abbandonare un terzo assieme ad un prete suo complice, sulla terra dei patagoni.
Il 21 ottobre, dopo uno svernamento di cinque mesi, Magellano che intuiva d’essere in vicinanza del passaggio, giunge dinanzi ad uno stretto che chiamò poi delle Undicimila Vergini e che è il principio del canale che deve unire le acque dell’oceano Pacifico e dell’Atlantico.
Vi si addentra arditamente, malgrado i pericoli che offre quello stretto ed i colpi di vento che scendono dalle alte e nevose montagne della Terra del Fuoco, e manda innanzi ad esplorarlo il Sant’Antonio e la Concezione.
Una terribile tempesta sorprende le caravelle mettendole in grave pericolo per trentasei ore; la perizia ed il sangue freddo del valente capitano le salva. Passando di baia in baia, di canale in canale, le quattro navi s’avvicinano all’oceano Pacifico e durante una notte oscura il Sant’Antonio, che era comandato dal pilota Gomez, nemico accerrimo del Portogallo, abbandona la flotta e fugge per recare primo in Spagna la notizia della grande scoperta e farsene un vanto. Supponendolo naufragato, dopo lunghe ricerche infruttuose, Magellano raggiunse l’estremità dello stretto ed il 27 Novembre del 1520 le sue tre navi, essendosi la S. Giacomo fracassata sulle coste della Patagonia, solcano le acque dell’oceano Pacifico.
Il grande navigatore non doveva però, rivedere la Spagna, nè tutte tre le navi superstiti tornare in Europa.
In un conflitto avuto cogl’indigeni di Sandwik veniva barbaramente trucidato con un colpo di lancia e una sola caravella riusciva a compiere il giro del mondo, la S. Maria, condotta da Cano e montata dallo istoriografo italiano Pigafetta.
La grande scoperta non ebbe un effetto immediato, anzi ci vollero ben tre anni prima che la Spagna pensasse ad occuparsene e con poca fortuna. Infatti mandatevi sette navi al comando di Garcia da Lopes, venivano assalite da una così furiosa tempesta che tre sole riuscivano a salvarsi, raggiungendo due i porti del Messico e l’ultima le Filippine.
Solo molto più tardi furono stabilite delle colonie per assicurare alla Spagna il possesso dello stretto, reputato di sì grande importanza e che poi fu a poco a poco abbandonato in causa delle difficoltà che vi incontravano le navi, le quali anche oggidì preferiscono allungare il viaggio e passare al sud del capo Horn.
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La Quiqua cominciava a provare per tempo i pericoli che offre lo stretto magellanico durante la stagione invernale.
Aveva appena superate con fortuna le scogliere di Santa Marta, quando si trovò improvvisamente dinanzi ad un enorme banco di ghiaccio che s’avanzava fra il Capo Negro e le secche di Tichon e di Tubun, ingombrando quasi tutto il canale.
La marea che montava, lo spingeva innanzi con una notevole velocità, facendolo lentamente girare su sè stesso e accostandolo talvolta ora verso l’una ed ora verso l’altra riva dello stretto. La sua massa poi era tale da costituire un gravissimo pericolo, anche per la salda prora della Quiqua.
Piotre, appena accortosi della presenza di quell’ostacolo, aveva abbandonato la barra del timone spingendosi fino al barile che è sulla crocetta dell’albero maestro e serve d’osservatorio ai balenieri per meglio spiare le mosse dei grandi cetacei, allorquando stanno per tornare a galla.
Quando, dopo alcuni minuti d’osservazione, discese, sembrava assai preoccupato.
Il signor Lopez lo raggiunse nel momento in cui stava per tornare verso poppa a riprendere la barra del timone.
— Potremo passare, senza compromettere la vostra nave? — gli chiese.
Piotre lo guardò per qualche istante in silenzio, tenendo le braccia incrociate, poi disse con voce lenta e con un certo orgoglio:
— Vi è del pericolo, però la mia Quiqua è solida e la guido io, signore.
— Abbiamo i banchi del Tichon e della Tubun a tribordo. Se il ghiaccio vi urta manderà la baleniera in secco.
— Vi è un passaggio ch’io conosco, signor Lopez. Ma non ci lasceremo toccare.
— Che cosa ne dite di questa avanzata di ghiacci dentro il canale?
— Che all’uscita incontreremo delle vere barriere, signore.
— Indicano un inverno rigidissimo.
— Lo credo. I guanachi erano appena caduti, quando si videro apparire i cacciatori. (Cap. IX).
— Che ne sarà d’Alonzo? Che freddo che regnerà al sud! —
Piotre aggrottò la fronte e alzò invisibilmente le spalle, senza pronunciare parola.
Lasciò un’altra volta la barra e si diresse verso prora, guardando attentamente il banco dall’alto del castello.
Quel masso era veramente gigantesco, perchè doveva avere un mezzo miglio e anche più di superficie ed un’altezza di una quindicina di metri. S’avanzava attraverso lo stretto, spingendo innanzi a sè una quantità enorme di ghiacciuoli i quali ne raddoppiavano il volume.
Era l’avanguardia dei colossali ice-bergs antartici, che durante l’inverno si ammassano talvolta in numero strabocchevole presso l’entrata dello stretto e lungo la Terra del Fuoco, rendendo la navigazione pericolosissima, anche per le navi che fanno il giro del capo Horn. Piotre lo supponeva.
Spinto dal vento, che faceva presa sui margini frastagliati, e anche dalle onde che venivano dall’oceano, il banco correva con notevole velocità, cappeggiando pesantemente e crepitando.
I suoi bordi massicci sfracellavano i ghiacciuoli, con un baccano assordante, sminuzzandoli, polverizzandoli, aprendosi così il passo fra quella moltitudine d’ostacoli.
Essendo in quel luogo il canale assai stretto e non avendo quel banco una direzione costante, la Quiqua poteva venire spinta verso la costa e fracassata.
L’ex ufficiale era però troppo valente marinaio per non evitare quel primo pericolo. Con alcuni comandi brevi e recisi fece contrabbracciare le vele a tribordo, poi, collocatosi al timone, diresse la sua baleniera verso il capo Negro, in modo da passare fra il ghiaccione e la costa, prima che il passo potesse venire chiuso.
Sotto la sua mano di ferro, la baleniera sembrava che fosse diventata maneggiabile come un piccolo canotto.
Un leggiero colpo di barra, e subito deviava rimettendosi subito al vento.
Freddo, tranquillo, impassibile, Piotre manovrava come mai nessun altro uomo di mare avrebbe potuto fare. Nessuna cosa sfuggiva ai suoi sguardi d’aquila.
Quando una vela accennava a sbattere perdendo il filo del vento, con un cenno l’additava ai suoi uomini, lanciando poscia un comando gutturale; quando dovevano allentare o stringere una scotta, con un grido indicava la manovra. Se il banco di ghiaccio minacciava di urtare la sua nave, con un rapidissimo colpo di timone lo evitava.
Aveva gli occhi dappertutto, sulla velatura e sul mare; sulla montagna di ghiaccio, sulle due coste e sui bassi fondi.
— Che marinaio! — disse papà Pardoe al signor Lopez, il quale contemplava non senza un po’ d’apprensione l’enorme ghiaccio che pareva volesse precipitarsi sulla nave e ridurla in bricciole. — Vi assicuro che con tale uomo noi andremo molto al sud.
— Sì, è un bravo comandante, — rispose il padrino di Mariquita. — Robustezza di mano, colpo d’occhio e sangue freddo. Vale Alonzo.
— Se non di più, — disse papà Pardoe. — Tutti coloro che hanno navigato con Piotre hanno raccontato meraviglie della sua audacia e della sua valentìa.
Eh! se avesse veramente voluto, non so se la Rosita sarebbe andata fino sulle coste della Terra del Fuoco e se Alonzo sarebbe ancora vivo.
Si capisce che voleva solamente spaventarlo o minacciarlo.
— Che storia è questa, Pardoe?
— Non sapete che Piotre due o tre volte ha tentato di abbordare e di tagliare in due la nave del suo rivale?
— Sì, me lo hanno raccontato e perciò io sono assai sorpreso che Piotre, dopo d’aver tentato di sopprimere il suo rivale, abbia ora accettato di andare a salvarlo.
— Non avrà saputo resistere alle preghiere di vostra figlia. Piotre è un orso, un semi selvaggio, di temperamento cupo e taciturno, eppure in fondo non deve essere cattivo.
E poi mi hanno detto che prima di ricevere quel rifiuto di Mariquita, non era così.
— Lo so, — rispose il signor Lopez. — Egli era il più brillante ed il più baldo ufficiale della flotta argentina e anche il più ammirato dalle belle di Buenos Ayres. Peccato che sia diventato ora così ruvido e così cupo.
Forse rimpiange quei tempi lontani.
— È stata Mariquita, signor Lopez.
— Credi che l’ami ancora?
— Sempre.
— Ciò m’inquieta assai.
— E perchè signor Lopez?
— Ho paura che egli si sia arreso alle preghiere di Mariquita con uno scopo segreto.
— Quale?
— Di approfittare di qualche fortunata occasione per far sparire il suo rivale, prima che torni a Punta Arenas.
— Questo sospetto è nato anche nel mio cuore, signor Lopez, — disse il vecchio baleniere. — Ci saremo anche noi quando ritroveremo il signor Alonzo, supposto che sia ancora vivo e non lo lasceremo un solo istante.
Se Piotre vorrà tentare qualche tradimento, troverà sulla sua strada anche me e giuro che il mio coltello non rimarrà inoperoso nella sua guaina.
— Ha i suoi marinai che gli sono devoti e che saranno sempre pronti a difenderlo.
— E noi abbiamo i nostri che sono devoti a voi ed a Mariquita.
— Non azzardiamo giudizi prima del tempo, papà Pardoe. E poi credo che Piotre sia leale.
— Lo vedremo, signore. Ecco il momento terribile. Se Piotre se la caverà, sarà bravo davvero: siamo presi come fra due morse. —
La Quiqua, evitate le secche del Tichon e della Tubun, si era cacciata arditamente fra il banco di ghiaccio e la Terra del Fuoco, dentro una specie di canale che in certi luoghi misurava una larghezza di appena venti metri.
Piotre pareva che avesse concentrata tutta la sua anima nella ribolla del timone. Guai se avesse esitato un solo momento!
Il banco, che continuava la sua marcia irregolare, poteva schiacciare la baleniera contro la costa, che in quel luogo era fronteggiata da miriadi di scoglietti aguzzi e resistenti ad ogni urto.
A bordo regnava una viva trepidazione: soltanto gli uomini di Piotre conservavano una impassibilità assoluta, tanta era la fiducia che avevano quei vecchi balenieri nel loro comandante che da quattro anni li guidava fra i ghiacci dell’oceano Antartico. Mariquita a poco a poco si era accostata all’ex ufficiale, guardandolo fisso, mentre invece pareva che quegli non si fosse nemmeno accorto della fanciulla. Cogli occhi socchiusi, la fronte un po’ aggrottata, il corpo poderoso curvo innanzi, le potenti braccia tese sulla ribolla, e le labbra semi-aperte, pronte a lanciare un comando, guidava impavido la sua nave.
Con una rapida bordata evitò le secche nel momento in cui il banco di ghiaccio stava per toccarle e chiudere il passo, poi deviando bruscamente verso la costa della Terra del Fuoco, filò rapidissimo lungo il canale, passando, con un’ultima e più ammirabile manovra, l’ostacolo.
Al di là non vi erano che frantumi di ghiaccio e lo stretto si allargava assai.
Ad una grande distanza invece, verso l’uscita delle due profonde baie di Possession e di Lomas e verso il capo Dungéness, si vedevano scintillare altri ghiacci di dimensioni enormi, dei veri ice-bergs, ossia delle montagne galleggianti.
Piotre, terminata quell’audace manovra, aveva ripreso il suo posto sulla cassa di poppa, lasciando che la Quiqua s’avanzasse lentamente verso il capo S. Isidoro.
Non aveva scambiata una parola con nessuno; pure i suoi sguardi si erano subito fissati su Mariquita, la quale ora passeggiava fra l’albero di trinchetto e quello maestro, chiacchierando con papà Pardoe.
La seguiva attentamente in tutte le sue mosse, corrugando di quando in quando la fronte, come se un grave pensiero lo tormentasse e facendo talora come un gesto di stizza. Ogni tanto s’alzava per dare uno sguardo al canale; ma poi riprendeva subito il suo posto tornando a guardare la giovane araucana con maggior intensità.
Ogni volta che vedeva Mariquita accostarsi verso la poppa, un rapido fremito passava sul suo viso abbronzato ed un lampo strano accendeva i suoi sguardi, un lampo che non aveva nulla nè di feroce nè di selvaggio. Ed allora un profondo sospiro, appena frenato, gli sfuggiva dalle labbra.
Mariquita pareva che non facesse attenzione all’uomo di mare e continuava a passeggiare a fianco di papà Pardoe, soffermandosi di quando in quando ad ammirare le orribili coste della Terra del Fuoco che s’ergevano ad altezze spaventose, senza una pianta che ne rallegrasse la vista, oppure i fulminei volteggi degli uccelli marini od i ghiaccioli che continuavano ad inoltrarsi, attraverso il canale, con mille scricchiolìi.
Ogni volta che era costretta a voltarsi, non poteva tuttavia fare a meno di gettare uno sguardo furtivo sul baleniere, di cui sentiva gli occhi entrarle fino in fondo al cuore, come fossero punte di stiletto.
A mezzogiorno la Quiqua, che era passata dalla riva opposta, molto meno pericolosa, si fermava al di là del capo San Isidoro per lasciar passare un’altro banco di ghiaccio che si era cacciato nel canale e che non si poteva affrontare senza correre il pericolo di venire bloccati o malamente urtati.
Il tempo che fino dal mattino si era mostrato minaccioso, cominciava ora a guastarsi e non era prudente continuare il viaggio colle furiose raffiche che cominciavano a soffiare dalle nevose vette della Terra del Fuoco. Per di più il vento tendeva a girare al sud-est, ed il canale non permetteva ancora di poter fare delle bordate.
Piotre, dopo d’aver fatto sondare il fondo e gettare le âncore, per resistere alle onde ed ai venti, fece suonare la campana del pasto, invitando il signor Lopez e Mariquita a scendere nel piccolo quadro di poppa; ma non li seguì e si scusò dicendo di aver troppe preoccupazioni e di non poter lasciare la tolda mentre la nave poteva correre qualche pericolo.
Era forse un pretesto, perchè in quella piccola baia la baleniera poteva attendere tranquilla che anche quel ghiaccione passasse e che le raffiche cessassero.
La costa che si stendeva a cinquanta o sessanta metri dal veliero, formava in quel luogo un semi-cerchio, ben riparato dai williwans da alte scogliere che ne fermavano, almeno in parte, la foga. Era una terra bassa, tutta cosparsa di metrosideros, piante marine che pendono dalle rocce come le chigophore dei tropici, di muschi grondanti d’umidità e di bolaseglebaria, stravaganti vegetali che formano delle masse emisferiche, compatte e durissime, color verde giallastro, con rami e foglie contorte, e che trasudano una specie di gomma aromatica.
Non pareva popolata che di volatili i quali vi erano radunati in così enormi quantità da oscurare talvolta la luce solare, quando i loro stormi s’alzavano.
Ve n’erano di tutte le specie e pareva che vivessero in buona armonia.
Tutte le rupi erano coperte di micropterus che cicalavano a piena gola, pettegolando come vecchie comari, allineati come tanti soldati; sopra di essi volteggiavano senza posa immense schiere di avoltoi dalla testa scarlatta; di cheucan, volatili che somigliano agli uccelli lira, ma colla coda corta e le zampe grossissime e che lanciavano senza posa i loro guie-guil monotoni; dei chlolphaghe antartici che somigliano alle oche, con forme più eleganti, il becco cortissimo e le penne nero-scure, e di urile le quali strette su tre file, in ranghi serrati, lanciavano grida rauche e scordate da lacerare gli orecchi.
Quanti ve n’erano? Certamente dei milioni e milioni che vivevano del tutto indisturbati, quantunque molti di loro avrebbero potuto fornire carni eccellenti e piume non meno apprezzate di quelle dei volatili nordici.
— Che spettacolo! — esclamò il signor Lopez, il quale, appena terminato il pranzo era risalito in coperta assieme a Mariquita. — Non ne ho mai veduti tanti agglomerati in così breve spazio.
— Ed io ne ho veduti anche di più, — disse papà Pardoe che gli si era accostato. — Le isole australi ne sono così piene che si può camminare sopra i volatili senza nemmeno riuscire ad aprirsi il passo.
— Quante ricchezze perdute!
— La maggior parte di quegli uccelli ha la carne pessima, signor Lopez, che puzza orribilmente di rancido e di pesce. Ve ne sono di quelli che meritano lo spiedo, questo è vero, come le oche, che sono anzi squisitissime.
— Io parlo delle loro penne, vecchio Pardoe, — rispose il signor Lopez. — Non sai che i popoli dell’Artico Boreale guadagnano dei bei milioni con la caccia dei loro uccelli marini, che sono poco dissimili da questi?
— Dei milioni! Eh via, signor Lopez! — disse il baleniere.
— Si arricchiscono più cacciando i volatili che le balene.
— Ecco una cosa che duro fatica a credere; ma se fosse vera, bisogna dire che i nostri compatriotti non sanno di avere a portata di mano delle ricchezze che potrebbero raccogliere con poca fatica, giacchè questi volatili si lasciano uccidere colla miglior buona grazia del mondo, senza quasi protestare.
— E invece essi li trascurano. Se gl’isolani dell’Europa settentrionale venissero qui, che stragi immense farebbero e quali ricchezze raccoglierebbero!
Per dartene un’idea, ti basti sapere che nelle sole isole Farol, quegli abitanti non uccidono mai meno di trentamila gabbiani e ottantamila ottarie ogni anno.
— Per le penne?
— Sì, caro Pardoe.
— E che cosa ne fanno?
— Le mandano in Inghilterra ed in Francia per adornarne i cappelli delle signore.
— Ah! Non ne aveva idea!
— Anche in altre regioni fanno delle ecatombi mostruose, ricavandone somme ingenti. In Siberia per esempio, nel solo distretto di Obdorsk, non si ricavano meno di settemila chilogrammi di penne all’anno.
I massacri maggiori si fanno sempre nelle Farol, anzi si può dire che vi siano occupati quasi tutti gli abitanti, e nota che quelle isole sono così dirupate da rendere le caccie estremamente difficili. E ogni anno un gran numero di cacciatori vi lasciano la vita, fracassandosi nelle gole e precipitando sulle rocce marine.
— Non li cacciano coi fucili dunque?
— No, Pardoe, vanno a sorprenderli nei loro nidi e per far ciò sono costretti a calarsi nei precipizi e giù dalle rupi per mezzo di corde, o tentare delle scalate che nè io, nè tu oseremmo fare, anche avendo quarant’anni di meno.
— Sicchè ne ammazzano molti, — disse il baleniere.
— Tanti che si dovette fare una legge per mettere un freno alla temerità di quegli isolani, considerando i morti in tali caccie come suicidi volontarii, e quindi negando loro la sepoltura in terra santa.
— Qui non vi sarebbe bisogno di rischiare la pelle per prenderne a migliaia e migliaia con un semplice bastone. To! che è che li spaventa? —
Tutti quei milioni di volatili, come se avessero ricevuto un comando, si erano alzati formando una nuvolaglia così compatta da intercettare quasi completamente la luce ed ottenebrare improvvisamente la baia. I micropteri invece, che non potevano volare, si erano precipitati nel canale a battaglioni, nuotando con tale rapidità coi loro piedi palmati da sconvolgere l’acqua e da raggiungere la riva opposta in soli pochi minuti.
— Che vi siano dei patagoni in questi dintorni? — chiese Mariquita.
— Non vi pare di udire delle grida lontane, signor Lopez? — chiese il baleniere.
— Sì, vecchio Pardoe.
— Forse gl’indigeni cacciano. Purchè non lascino la selvaggina per prendersela con noi! È bensì vero che non hanno canotti come i peruviani, pure siamo tanto vicini da poter ricevere qualche bolas.
— Ed il canale è stato ora ingombrato da un altro ghiaccione, — disse José, accostandosi. — Per il momento siamo bloccati. —
Allarmato dall’improvvisa fuga dei volatili, anche Piotre aveva lasciato la poppa, dove stava osservando delle carte del canale, e si era accostato al gruppo, fermandosi dietro Mariquita.
Le grida udite poco prima da papà Pardoe diventavano sempre più distinte. Coloro che le mandavano non si potevano ancora scorgere, perchè al di là delle rocce che limitavano la spiaggia si estendeva una foresta formata da quelle strane piante erbacee chiamate panque, le cui foglie sono così gigantesche da avere una circonferenza di ben otto metri e talvolta anche di più.
Oltre quelle grida, si udivano di quando in quando dei nitriti ed il galoppo pesante di numerosi cavalli.
— Sono patagoni a caccia, — disse Piotre volgendosi verso il signor Lopez che lo interrogava collo sguardo.
— Non se la prenderanno con noi dopo? — domandò papà Pardoe. — Non sarebbe la prima nave che assalirebbero.
— Abbiamo armi a sufficienza per calmarli, — rispose il baleniere, alzando le spalle.
In quel momento fra le roccie si videro sbucare sette od otto animali, i quali attraversarono la spiaggia con rapidità fulminea, balzando come se fossero di gomma.
Era una piccola banda di guanachi, bestie agilissime che rassomigliano un po’ agli asini, quantunque siano più piccoli e abbiano il collo più lungo, la testa assai piccola e le gambe secche e sottili come quelle dei cervi. Ed è una selvaggina che abbonda in tutte le pianure della Patagonia e che è assai ricercata per la squisitezza delle sue carni.
La truppa stava già per scomparire, quando si videro delle palle legate da corde, attraversare lo spazio e piombare in mezzo ai fuggiaschi con sibili acuti.
Tre guanachi scartarono bruscamente mandando dei bramiti dolorosi, poi stramazzarono al suolo agitando disperatamente le gambe che parevano fossero state legate.
— Hanno lanciato le yachicho, — disse il signor Lopez. — Che colpo d’occhio hanno i cacciatori patagoni!.... —
Le yachicho sono le bolas da caccia degli abitanti delle terre magellaniche, i quali anche oggidì le preferiscono ai fucili.
Consistono in tre palle di pietra o di metallo, legate insieme da correggie di pelle intrecciate, che i patagoni lanciano con inarrivabile destrezza e che vengono esclusivamente usate per la caccia dei guanachi.
Di rado uccidono; si avvolgono invece così bene intorno alle gambe della selvaggina da arrestarla di colpo e farla cadere tramortita.
I guanachi erano appena caduti, quando si videro comparire i cacciatori.
Erano una quindicina di patagoni, di statura gigantesca, montati su alti cavalli della pampa, d’aspetto fiero ed imponente, coi volti dipinti bizzarramente, parte in rosso e parte in nero, con qualche striscia bianca intorno agli occhi e le braccia tatuate in azzurro.
Vedendo la baleniera avevano fermato quasi di colpo i loro cavalli, facendoli piegare fino a terra con una strappata poderosa ed istintivamente avevano staccata dalla sella la bola da guerra, quella grossa pietra terminante a punta, sospesa ad una funicella, di cui si servono per fracassare il cranio ai nemici.
Sembravano uomini d’un’altra età, tanto erano giganteschi. Alcuni misuravano perfino due metri d’altezza e sembravano ancora più alti, poichè avendo quei selvaggi il corpo assai lungo in proporzione alle gambe, veduti a cavallo appariscono veramente dei colossi. E poi che spalle, che sviluppo di torace e che testa massiccia, resa ancora più mostruosa dai lunghi e folti capelli sciolti sulle spalle!
Anche gli ampii mantelli di pelle di guanaco, tinti internamente di rosso e col pelo all’infuori, concorrevano ad ingrossarli smisuratamente.
— Sono spaventevoli, specialmente con quelle pitture, — disse Mariquita.
— E non è da stupirsi se i primi navigatori che giunsero qui ne rimasero atterriti, — aggiunse il signor Lopez.
— E dire che dall’altra parte del canale, sulla Terra del Fuoco, gli uomini invece sono così piccoli, — disse papà Pardoe. — Qui due metri o poco meno e laggiù appena un metro e mezzo, quando ci arrivano.
La cosa è molto strana, signor Lopez, ne dovete.... —
La voce di Piotre gl’interruppe la frase.
— Aprite l’armeria, — aveva gridato il baleniere. — Quegli uomini non sono soli. —