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112 | Capitolo IX. |
tevole velocità, facendolo lentamente girare su sè stesso e accostandolo talvolta ora verso l’una ed ora verso l’altra riva dello stretto. La sua massa poi era tale da costituire un gravissimo pericolo, anche per la salda prora della Quiqua.
Piotre, appena accortosi della presenza di quell’ostacolo, aveva abbandonato la barra del timone spingendosi fino al barile che è sulla crocetta dell’albero maestro e serve d’osservatorio ai balenieri per meglio spiare le mosse dei grandi cetacei, allorquando stanno per tornare a galla.
Quando, dopo alcuni minuti d’osservazione, discese, sembrava assai preoccupato.
Il signor Lopez lo raggiunse nel momento in cui stava per tornare verso poppa a riprendere la barra del timone.
— Potremo passare, senza compromettere la vostra nave? — gli chiese.
Piotre lo guardò per qualche istante in silenzio, tenendo le braccia incrociate, poi disse con voce lenta e con un certo orgoglio:
— Vi è del pericolo, però la mia Quiqua è solida e la guido io, signore.
— Abbiamo i banchi del Tichon e della Tubun a tribordo. Se il ghiaccio vi urta manderà la baleniera in secco.
— Vi è un passaggio ch’io conosco, signor Lopez. Ma non ci lasceremo toccare.
— Che cosa ne dite di questa avanzata di ghiacci dentro il canale?
— Che all’uscita incontreremo delle vere barriere, signore.
— Indicano un inverno rigidissimo.
— Lo credo.