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II IV
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III.

Donna Anna Maria non era senza preoccupazione al riguardo della sua ospite. Una parigina, una dama d’onore di Maria Antonietta, in quel paese, in una casa vasta e signorile fin che si vuole, ma ben lontana, oh! infinitamente lontana dalle magnificenze e dalle raffinatezze di una reggia.... «Come farò io a indovinare i suoi gusti? E come passerà ella le sue giornate? Quali distrazioni le potrò io offrire?» — I problemi che donna Anna Maria posava a se stessa, sicura di non poterli sciogliere, facevano sorridere Aurelio: il problema suo era d’altra natura.

L’amava egli quella straniera? Alla domanda di sua madre aveva risposto francamente di no: poteva rispondere a se stesso con altrettanta franchezza? Era possibile concepire un amore in così poco tempo.... per una straniera.... una ignota?!...

Avrebbe voluto andarsene, ritornare a Venezia, passare nelle provincie pericolanti, là dove c’era da far qualcosa, da affrontare, forse, i nemici: da rischiare la vita. Ma sua madre si [p. 47 modifica]sentiva stanca e non voleva più saperne di restar sola. Non un nemico, non pericoli di morte egli era chiamato ad affrontare; bensì il dolce sorriso, la voce carezzevole, lo sguardo riconoscente di una bellissima creatura, con la quale egli si era trovato in un istante supremo dinanzi alla morte. Cosa era mancato che morissero insieme? Un istante, un piccolo fatto casuale: che il corsaro non vedesse la fregata inglese. Ricordava perfettamente i suoi pensieri di quel momento: l’onore di cavaliere gl’imponeva di morire con quella donna, se non riesciva a salvarla. Su questo non era da discutere: nel momento supremo, nitida era apparsa ai suoi occhi la legge inesorabile. Ciò non poteva stupirlo. Lo stupiva per altro ripensandovi adesso, l’entusiasmo, l’ebbrezza della sua anima in quel momento. Bianca gli sembrava tanto bella, col viso pallido, gli occhi ardenti di una quasi selvaggia energia, nella sua disperata risoluzione, quasi una creatura sovrumana.... Morire con lei, serrarla sul suo petto, esalare l’estremo sospiro su quelle labbra voluttuose. Quella visione di un fatto che sembrava ormai inevitabile l’aveva assalito d’un tratto ed egli non aveva pensato ad altro, nemmeno a sua madre!..

Eppure fino a un momento prima egli aveva considerata la giovine donna come un essere senza sesso: un sacro deposito confidato a lui da uomini [p. 48 modifica]venerati e per questi soli gli pareva d’avere operato e sofferto: e per essi soltanto, per non perdere la loro stima, credeva di affrontare la morte. Dunque niente amore!.. «No, no» — ripeteva a se stesso afferrandosi al diniego. La stranezza del momento, la visione della morte, la tragica fine a cui sembrava destinata una creatura così bella e così giovine gli avevano sconvolto i sensi, accesa l’anima. La sua sensibilità esaltata aveva assunto una parvenza d’amore. Una mera parvenza. Il suo cuore era libero, assolutamente libero, tanto vero che non desiderava neppure di rivederla... Temeva forse di rivederla?

Kgli rimase qualche tempo perplesso. Non riesciva a comprendersi: forse l’investigazione non era abbastanza sincera, o si arrestava sbigottita ad una certa profondità....

Forse..... Ma che!.... Egli si drizzò risoluto e troncò l’inutile meditazione.

Uomo semplice, uomo d’attività, l’indagine psicologica non conveniva al suo spirito. Quei rivolgimenti, quelle incertezze lo mortificavano. La sua intelligenza, pure essendo abbastanza acuta per l’analisi, propendeva alla sintesi, e il bisogno d’agire gli creava la necessità di una base positiva. Odiava i fantasmi; i misteri lo infastidivano; come l’eroe antico egli avrebbe rotto l’incanto del nodo gordiano con la spada. [p. 49 modifica]

«Sarà quello che sarà» mormorava scrollando le spalle, e si proponeva di non pensarci più. In capo a poche ore il pensiero ritornava tenace, assiduo. Dunque l’amava?

Bianca intanto non usciva dalla sua camera, dove soltanto donna Anna Maria e la cameriera avevano il permesso d’entrare.

La povera dama d’onore provata da tanti dolorosi avvenimenti, senza famiglia, senza amici intimi, balestrata da un paese all’altro, da una casa all’altra, aveva i nervi affranti, le forze depresse. L’ultima burrasca l’aveva esaurita. Passava i giorni sdrajata in un seggiolone presso la finestra, gli occhi smarriti in una contemplazione interna. Se prendeva in mano un libro, vi leggeva alcune righe e lo abbandonava svogliata. Se la signora Anna Maria entrava a visitarla, le rispondeva gentilmente ma ben presto lasciava cadere il discorso, o non rispondeva che a monosillabi, assorta in tetre riflessioni.

I soliti visitatori della contessa Castellani avevano preso l’abitudine di parlar sommesso nella grande sala, dove il domestico portava in giro la coccuma in punta di piedi. Non parlavano quasi più di politica: la nobile straniera, l’infelice signora che languiva oppressa da un dolore indimenticabile, là in una di quelle camere a pochi passi da loro, formava il soggetto dei [p. 50 modifica]trascorsi, il fondo dei loro pensieri. Ardevano di conoscerla. Ettore Almerighi le mandava fasci di fiori che donna Anna Maria disponeva in bei vasi orientali sul davanzale della finestra, su i mobili della camera dove Bianca trascorreva le sue ore malinconiche. Un giorno però ella disse nella sua lingua.

— Perchè mi portate tanti fiori? Non dovete spogliare per me il vostro giardino... E poi, non mi rallegrano i fiori....

Donna Anna Maria che intendeva perfettamente il francese le rispose in italiano.

— Questi fiori non sono del mio giardino. Un signore mio amico e vostro ammiratore li manda per voi, dalla sua villa.

La giovine fece un atto di meraviglia, ma non replicò. Aurelio intanto aveva scritto a Venezia per informare il suo parente Giovanni Resta e il procurator Francesco Pesaro dello stato di languore di Bianca Verdier, e pregarli, se potevano aver notizie del padre della giovine signora, di comunicargliele al più presto. Nei brevi dialoghi Bianca parlava sempre di suo padre che era stato, ed era ancora, uno tra i capi più ostinati della controrivoluzione nelle provincia dell’Ovest, quindi sempre in pericolo d’essere ucciso. Arrivò finalmente una lettera nella quale si assicurava che il marchese di [p. 51 modifica]Verdier era vivo: e avevano trovato il modo di fargli sapere che sua figlia si trovava ospitata decorosamente in una nobile famiglia.

Quel giorno Aurelio fece chiedere alla dama il permesso di riverirla.

— Consolatevi, signora — egli le disse dopo di averla inchinata. — Vostro padre vive; è in Brettagna; questo lo sapevate già, credo. L’importante è che egli vive e sta bene. Lo hanno informato che siete qui e credo che ben presto, se le vicende della guerra lo permetteranno, avrete sue nuove dirette.

Un lampo di gioia illuminò il volto pallido e sofferente e una lagrima brillò nei grandi occhi azzurri.

— Oh! vi ringrazio. Signore, vi ringrazio. Voi siete molto buono e vi prego di credere che sono gratissima a voi ed alla vostra signora madre... Mi duole di darvi tanta pena. Ora che so qualche cosa del mio caro padre cercherò di farmi forza. Vi prometto. Oggi verrò alla vostra tavola.

Con queste parole dette in un italiano tra piemontese e veneto, assai grazioso in bocca sua, ella gli porse la mano che Aurelio non seppe trattenersi dal baciare.

Dopo un breve palpitante silenzio, ripresero la conversazione in lingua francese. Parlarono [p. 52 modifica]degli avvenimenti politici, di Verona dove già Buonaparte comandava: del panico non ancora interamente cessato, e d’altro.

— Questo vostro paese — ella gli diceva abbandonando i grandi argomenti — è delizioso; sembra d’essere fuori del mondo: solo il mare si agita qualche volta: solo le navi che passano all’orizzonte ci fanno sentire che il mondo esiste ancora.... laggiù.... lontano.

— Dovete annoiarvi terribilmente in questo eremo....

— No, sapete.... no. Il dolore esclude la noia!.... D’altra parte, il mare mi distrae.... E poi, la vostra buona mamma mi ha messo qui tanti libri francesi e tedeschi. Io però ne vorrei alcuni italiani: vorrei imparare un po’ meglio la vostra bella lingua.

— Se volete avere la compiacenza di passare nella biblioteca, potrete scegliere a piacer vostro.

Ella esitò un istante, poi si levò in piedi pronta a seguirlo.

La biblioteca era una grande stanza al secondo piano, dove il padre di Aurelio, uno studioso ed un instancabile viaggiatore in Oriente e in Occidente, aveva riunito una quantità di volumi di scienza, di filosofia, di lettere e di curiosità. Tutte le pareti erano coperte da alti [p. 53 modifica]scaffali dove brillavano in eleganti legature i magnifici volumi del settecento, dalla stampa nitida, dai caratteri rotondi, dalla bella carta solida e opaca, allineati cronologicamente e divisi per materia. Un grande riparto era dedicato ai poeti italiani, incominciando dai primissimi che occupavano lo scaffale più alto discendendo fino ai più recenti. Sopra una larga tavola erano ammucchiate le edizioni più recenti, italiane ed estere acquistate da Aurelio, e alcune gazzette. Sul caminetto, nel centro di una parete, fra due finestre, un dipinto di scuola tizianesca.

Bianca Verdier girò gli occhi intorno e rimase un po’ stupita.

— Era un vero bibliofilo, vostro padre!....

Aurelio scrollò il capo:

— Un semplice curioso egli era, uno spirito avido di sapere per il sapere, senza uno scopo, nè ambizioso, nè utilitario: un curioso impassibile. Avrebbe voluto vedere tutto, conoscere i misteri della Natura, la vita dei popoli.... così «per non aver fatto il gran viaggio della vita come un baule chiuso» sono sue parole. Io non lo vidi mai commosso, nè stupito: sorrideva di tutto bonariamente e ironicamente: sorrise fino in punto di morte.

Bianca ascoltava pensosa.

— E voi?.... siete anche voi così? [p. 54 modifica]

— Io?.... Purtroppo, no. Curioso fino a un certo punto, ma niente affatto impassibile....

— Oh! che dite mai?.... Io vi ho veduto molto impassibile davanti al pericolo, davanti alla morte!....

Aurelio sentì la dolcezza di quel ricordo: un lampo di gioia brillò nei suoi occhi:

— Ogni gentiluomo sa essere forte di fronte al pericolo estremo. Invece non so se ogni gentildonna saprebbe preferire la morte alla schiavitù, come voi, signora....

I loro sguardi s’incontrarono: le labbra del conte ebbero un tremito. Quando riprese a parlare la sua voce sembrò mutata.

— L’impassibilità di mio padre era più completa: veniva da un giudizio sicuro, dalla convinzione profonda della vanità di tutte le cose umane, comprese le più care, le più sacre. Era un pessimista sereno, uno scettico pronto a tutto, perfino a ricredersi; ma non soltanto a parole come tanti. Io invece sono predisposto all’illusione e non mi rassegno al disinganno altro che gittandomi in una nuova illusione. — Quando scoppiò la rivoluzione a Parigi, mentre tutti inorridivano, egli, già ammalato, disse sorridendo: «Era inevitabile». Poco prima di morire affermò tranquillamente che la «Serenissima» era come lui agli estremi. Io invece, vedendo [p. 55 modifica]troppo dove tutto collima, non so rassegnarmi neppure oggi a crederla irreparabilmente perduta; e mi indigna il vedere che non si fa nulla di veramente energico per salvarla.

— Vostro padre era un filosofo, voi un combattente ed un appassionato. Io non amo i filosofi: sono essi che hanno rovinato la Francia.

— .... E chi amate voi? I poeti?

— Forse. Il mio povero Armando era un poeta. Io, adesso, amo i morti, amo con tutto il mio cuore la mia vecchia Francia che non esiste più; i miei poveri Sovrani e tutte le vittime della rivoluzione, ma sopra tutte Armando Clarance mio marito. Tra i vivi amo mio padre e la Brettagna che non muterà mai la sua fede, i suoi ideali, neppure vinta.

Vi fu una pausa. Bianca sembrava smarrita nei suoi tristi ricordi.

— L’avete amato molto lo sposo vostro? — osò interrogare Aurelio.

Ella lo guardò quasi sdegnata, ma quel cipiglio si dileguò subito lasciando al suo posto un languido sorriso.

— Moltissimo — fu la risposta. — Moltissimo, perchè egli seppe ispirarmi una intensa ammirazione. Egli era veramente degno di tutto il mio affetto. Forse esistono al mondo altri amori; io li ho ignorati, e spero d’ignorarli sempre. Il [p. 56 modifica]mio sentimento non doveva essere il solito amore, l’amore comune... bensì qualcosa di più elevato, di più complesso: fu ad ogni modo il mio solo amore e voglio che resti il solo.

Ella pronunciò queste parole a voce bassa ma con accento risoluto, quasi di sfida, senza guardare Aurelio, guardando dentro di sè, come se parlasse a se stessa.

Il conte non osò replicare.

Bianca si avvicinò allo scaffale che conteneva le opere dei poeti italiani e si mise a leggerne lentamente i titoli e i nomi degli autori. D’un tratto le sfuggì un piccolo grido di gioia quasi infantile:

.... — Ah! Metastasio!.... Il poeta caro alla mia Regina.... l’amico di sua madre.... Voglio leggerlo per il primo... se permettete...

Aurelio si affrettò a togliere dallo scaffale alcuni degli eleganti volumetti contenenti i numerosi melodrammi e le liriche del celebre abate.

La dama appariva profondamente com mossa: prendeva in mano un volumetto, ne sfogliava le pagine con mano tremante, le guardava senza fermarsi a leggere: poi senza abbandonare il primo, ne prendeva un altro, poi un altro ancora, come se avesse voluto leggerli tutti d’un fiato, o piuttosto come se da quelle pagine [p. 57 modifica]uscissero per lei ricordi ineffabili, immagini di persone care che ella voleva ritenere, che temeva le sfuggissero.

— Ecco! queste poesie delle stagioni, Maria Antonietta le sapeva a memoria... Ah! ecco qui la famosa quartina... Sapete, Maria Teresa e il poeta avevano in un certo tempo.... fatto una scommessa: l’imperatrice diceva che sarebbe nata ancora una principessa: e il poeta, che conosceva il desiderio segreto di lei, scommise che sarebbe un principe. Nacque Maria Antonietta della quale si disse subito che somigliava alla madre. Allora il galante abate mandò alla puerpera questa strofetta:

«Io perdei. I.’angusta figlia
A pagar mi ha condannato:
Ma s’è ver che a voi somiglia....
Tutto il mondo ha guadagnato».

Ah! se il buon poeta avesse potuto leggere nel futuro il destino di quella bimba!

Una lagrima brillò tra i folti cigli scuri che formavano contrasto con la bionda capigliatura; le tremarono le mani scosse come da un fremito e i volumetti di cui si era caricata scivolarono a terra.

Ella si chinò per raccoglierli.

— Non vi disturbate, vi prego; ci penso io — disse Aurelio chinandosi a sua volta e raccogliendoli in fretta. [p. 58 modifica]

In quei movimenti rapidi, non ben misurati, le due giovani teste si sfiorarono e Aurelio sentì sulla fronte il dolce alito della gentile creatura.

Si rialzò barcollando e poco mancò non cadesse. Per nascondere il suo turbamento, si affrettò a riunire tutti i volumetti metastasiani in una paniera.

— Ora li porto in camera vostra... — disse e scappò.

Quel giorno Bianca si presentò per la prima volta alla tavola comune.

A quei tempi, ed anche assai più tardi, le famiglie benestanti di quei paesi usavano fare il pasto principale — il pranzo — al tocco dopo mezzogiorno La mattina prendevano di solito il cioccolato, e la sera cenavano tra le dieci e le undici.

In casa dei conti Castellani, per le abitudini prese da Aurelio, si pranzava alle tre; e questo ritardo dava alla gente minuta una grande idea di lusso e di signorilità.

Quel giorno, come spesso accadeva, vi erano alcuni invitati: il fratello di donna Anna Maria, don Ludovico arciprete del paese; il podestà nobile degli Alessandri e il gran cacciatore Virgilio de’ Grassi, tre bei «codini» con uno spruzzo di cipria, specialmente il de’ Grassi che volentieri dissimulava per tal modo la sua incipiente [p. 59 modifica]canizie. Vestivano piuttosto all’antica, per convinzione non per trascuraggine, che anzi erano azzimati, perfino il prete, e quel giorno più azzimati del solito, essendo stati avvertiti che la dama francese avrebbe pranzato con loro.

Bianca apparve in un elegante abito di leggierissima seta bianca, un crepon quasi velato con un largo fisciù di tulle e pizzi di Bruxelles, incrociato sul petto e fermato dietro in quella foggia che ancora oggi si dice alla Maria Antonietta: le gonne succinte secondo la moda del momento: le braccia nude e nudo il collo; le spalle appena velate dal fisciù. Era questo l’unico costume elegante ch’ella possedeva. I biondi capelli acconciati semplicemente à l’enfant e lo sguardo soave delle pupille color del cielo le davano un’aria di fanciulla modesta, quasi timida. Nessuno avrebbe pensato, a vederla così, ch’ella avesse vissuto nel fasto di una corte regale, presso ad una regina come Maria Antonietta, e meno ancora che quegli occhi sereni avessero veduto le terribili scene della rivoluzione.

Il suo incedere, il portamento, la scioltezza e la compostezza de’ suoi atti temperavano con un profondo rispetto la vivissima ammirazione che a tutti ispirava. Appena la videro, i signori si levarono in piedi, meno l’arciprete, che però [p. 60 modifica]fece uno sforzo per restare seduto. Ella andò diritta a donna Anna Maria e la baciò sulle guancie. S’inchinò poscia a don Ludovico chiamandolo «Monsignore» o finalmente rispose con bel garbo al saluto degli altri, stringendo la mano al conte Aurelio.

Durante il pranzo ella fu quasi gaia e confidenziale, in modo da bandire la soggezione che sentiva d’imporre involontariamente. Mangiò poco, ma di tutto assaggiò e fece comprendere che tutto le piaceva.

La conversazione si svolse su i fatti pubblici, sugli ultimi bollettini, la cui importanza non permetteva che passassero in seconda linea: poi sulla letteratura francese e italiana: Bianca era evidentemente assai colta, ma non sfoggiava la sua coltura, parlando a frasi brevi, non insistendo mai sopra un argomento, a meno che gli altri mostrassero desiderio d’insistervi, che in tal caso ella sapeva assecondarli con molta finezza. Verso donna Anna Maria e don Ludovico ella mostrava ad ogni occasione la maggior deferenza. Il suo contegno rivelava indiscutibilmente ad un occhio esperto, una educazione raffinata, cominciata dalla nascita; ma ogni suo atto, ogni suo detto avevano una impronta di semplicità, ed una spontaneità adorabile.

All’ora del caffè arrivarono i soliti visitatori e tutti rimasero sorpresi — i più, [p. 61 modifica]contentissimi — di trovare la forestiera nella sala. Tutti le furono presentati. Marco Apolonio ed Ettore Almerighi la complimentarono nella sua lingua ed ella scambiò con essi alcune frasi, nelle quali peraltro non seppe dominare una istintiva ostilità. Li sapeva rivoluzionari: negl’intimi colloqui, donna Anna Maria aveva parlato: sapeva pure che da Ettore provenivano i mazzi di (lori freschi che ella sempre trovava sul suo davanzale, e quella insistente galanteria l’aveva un po’ seccata come una imposizione. La sua freddezza aveva dunque una doppia fonte. L’Almerighi ne fu punto e non le rivolse più la parola. Invece si mise a discorrere cogli altri, ad alta voce delle vittorie francesi, delle idee rivoluzionarie che si diffondevano negli stati veneti di terraferma e nella stessa Venezia, dimostrandosi insomma più che mai un ardente rivoluzionario, un nemico accanito delle vecchie dinastie, come pure del governo della repubblica di San Marco che egli chiamava governo di marmotte.

Allora Bianca che lo aveva guardato con disdegno si trovò improvvisamente d’accordo con lui. Ella odiava quel governo che dopo aver accordato l’ospitalità al conte di Provenza l’aveva obbligato ad andarsene per obbedienza, per servilismo al Direttorio e al generale Buonaparte: lo odiava e lo disprezzava per l’insulto fatto al suo [p. 62 modifica]principe e per la triste condizione in cui ella stessa si trovava in conseguenza di quell’atto.

— Avete ragione! — ella esclamò improvvisamente. — Un governo indegno che deve scomparire. — Ella non s’accorse della smentita che dava con sì fiere parole al suo contegno delicato di poco prima.

Un senso di gelo passò in quei petti di fedeli sudditi della Serenissima. Lo stesso Almerighi fu stupito di quell’ardire e la guardò fisso negli occhi, ma non fiatò. Senza volere, quasi senza sapere, ella rispose a quello sguardo con uno sguardo ugualmente fermo e profondo.

Era una sfida reciproca? O la vittoria di un reciproco irresistibile fascino?... Quelle due anime ardenti ebbero forse in quell’istante un misterioso avvertimento del loro destino?

Forse non fu che un baleno. Ma vi sono baleni che fulminano, sguardi che legano i cuori.

Un silenzio pieno d’imbarazzo circondò l’imprudente. Ella comprese, si guardò intorno e non vedendo che volti pallidi e accigliati n’ebbe rimorso, per donna Anna Maria, per Aurelio e per l’arciprete. Aveva offeso e addolorato quelle buone persone, quegli ospiti generosi che avevano per lei, straniera, povera — nemica forse — tante cure, tante delicatezze! Perchè si era lasciata trascinare a quell’esclamazione così [p. 63 modifica]inopportuna? Grano forse le parole di quel giovine rivoluzionario che avevano agito sul suo spirito?....

E mentre ella si rivolgeva questa domanda i suoi sguardi ritornavano involontariamente a Ettore Almerighi. Il quale intanto aveva dovuto interrompere le sue invettive per rispondere al gran cacciatore de’ Grassi che gli si era avvicinato e gli parlava di una certa acqua corrente nei loro rispettivi e limitrofi possedimenti.

Certo il de’ Grassi aveva colto quel pretesto per creare un diversivo all’imbarazzo del momento.

Col medesimo pensiero donna Anna Maria faceva cenno al domestico di portare in giro il caffè.

E Bianca Verdier tornava a guardare Ettore Almerighi come per esaminarlo. Il non breve esame terminò con un lieve gesto di sprezzo. «È troppo bello» — pensò la giovine dama. — «E troppo bello.... deve essere uno sciocco».

Voltò la testa da un’altra parte e prese la tazza che il domestico le presentava. Aurelio le si avvicinò. Prima che l’estate avanzasse egli voleva proporle una gita nei dintorni. Mancavano, o quasi, le strade carrozzabili in quei dintorni, ma Bianca gli aveva già dimostrato di [p. 64 modifica]essere, come tutte le dame dei suo tempo, buona cavalcatrice; e la scuderia del conte era ben fornita.

— Ebbene? Come state? Il nostro piccolo mondo vi sembra più noioso della solitudine? Dite!

— Noioso?..... Perchè pensate questo? Sono tutte persone a modo. Perfino questo vostro feroce rivoluzionario ha l’aspetto e i modi di un vero gentiluomo....

— L’Almerighi?.... Lo è difatti. A Venezia, dove suol passare l’inverno, è l’idolo dei salotti: la sua bellezza, il suo spirito, le sue bizzarrie gli hanno creato una fama esagerata di homme à bonnes fortunes. Potrebb’esserlo, ma l’animo elevato non gli consente di appagarsi di siffatte glorie.

Bianca arrossì lievemente e poi sorrise.

— Voi me lo dipingete quasi come un eroe! Già l’Italia è un paese strano, forse il solo dove un uomo può essere statuariamente bello senza per ciò essere sciocco, nè ridicolo.

Vi ringrazio.... per i miei connazionali. Ora sentite un’altra cosa. Poichè il destino vi ha portata in questo paese, non vi dispiacerà forse di conoscerne le selvagge bellezze. Vi proporrei.... una gita nei dintorni.... una cavalcata..... Non dite di no!....

— Saremo in molti? [p. 65 modifica]

— Oh!.. siamo sempre pochi. I presenti e mia zia Emilia Alvisi con sua figlia Elena.... Ah! eccole appunto. Avrò il piacere di presentarvele.

La vedova Alvisi entrò con la sua solita aria di gran signora provinciale, piccoletta, grassoccia, sfarzosa, ma senza gusto. Elena, invece, più semplice del consueto, in un vestito di mussola bianca senza ornamenti, chiuso fino al collo, con lunghe maniche, una civetteria che velava le sue forme ancora esili e dava risalto alle piccole mani bianche e delicate. Unico sfoggio, i suoi magnifici capelli neri, allacciati negligentemente e cascanti in lunghi riccioli. Non alta, nè appariscente, figuretta svelta, di una grazia fine, dal viso dolce d’un ovale un po’ allungato, con due occhietti vivi pieni d’intelligenza, dei quali era impossibile precisare il colore. Nell’insieme, una di quelle creature che non sono molto ammirate, nè invidiate ed hanno la fortuna di non destare troppe gelosie, pur essendo assai piacenti.

La parigina la squadrò subito e ne intuì il valore; e intuì pure che nessuno degli uomini presenti se ne occupava. L’arrivo di queste due signore allargò la conversazione: il domestico servì loro il caffè. I fatti del giorno, le prepotenze di Buonaparte, le ansie di Venezia, il [p. 66 modifica]passaggio delle navi d’ogni misura, che si movevano dai vari porti per recarsi a custodire l’Estuario veneto e proteggere Venezia, fornirono l’eterno inesauribile soggetto alle conversazioni.

Si parlò pure della leva militare imposta dal Senato.

— Noi possiamo dare otto teste — disse il podestà.

— Tra questi ci sarà il figliuolo della Margherita Fanti: l’ho incontrata adesso piangente. Non si potrebbe risparmiarlo?

— Ben volentieri, cara signora, ma non è possibile!

L’Almerighi osservò che non era il caso di disperarsi: quei giovani non correvano alcun pericolo: al primo sparo il Senato avrebbe chiesto la grazia di arrendersi.

Nessun amico della Serenissima rilevò l’insulto: sentivano forse anch’essi la triste verità.

Aurelio annunciò a sua madre che egli accompagnava le reclute alla Dominante.

— Come! Tu vuoi andare a Venezia adesso? — interrogò Ettore Almerighi. — Con questo passaggio di navi che vanno a difendere l’Estuario.... non si sa mai! La tua casa è esposta.....

— Questo è vero — osservò il podestà. — La casa è molto esposta. Ma le signore non sono sole: vi sono tre uomini di servizio, mi pare. [p. 67 modifica]

— Sì sono tre — rispose Aurelio. — Beppo e i due uomini di scuderia; ma Beppo è vecchio e Rocco va a dormire a casa sua. Resta Luigi, palafreniere e giardiniere elio dorme nella scuderia.

— È poco; tanto più che non è mai impossibile uno sbarco di soldati..

— E i corsari?

— Finchè dura questo passaggio di navi, quelli non si fanno vedere — osservò Aurelio.

Ettore Almerighi, il capitano Gori, Virgilio de’ Grassi, Apolonio e per fino il farmacista conte Furegoni protestarono che, qualunque cosa avvenisse, le signore sarebbero protette e difese da tutti loro.

Per il caso di una invasione notturna di corsari od altri, io posso dormire qui; le camere non mancano — disse il gran cacciatore.

Io pure affermò il vecchio capitano.

Le signore ridevano: Aurelio ringraziava e Almerighi e Apolonio lanciavano frizzi ai due stagionati paladini.

— Va bene: quando sarà il momento prenderemo i necessari accordi — concluse il conte Aurelio. — Frattanto io vorrei proporvi una gita per far vedere alla nostra ospite questi dintorni..... oh! capisco bene perchè sorridete, non c’è gran che di bello da farle vedere. In [p. 68 modifica]ogni modo, meglio darle occasione di moversi che tenerla sempre rinchiusa....

— Ma se le strade sono orribili....

— Le conosce di già.

— Se mi date un buon cavallo vado da per tutto — affermò la signora di Clarance.

— Anch’io — sussurrò Mena Alvisi arrossendo un poco.

— Invece io, caro Aurelio, non vado più a cavallo.

— Lo so bene, mamma, ci ho già pensato. Il fattore è già avvertito di tener pronto il carro coi buoi. — E volgendosi a Bianca le disse sorridendo:

— Vedrete che bell’equipaggio!

Continuò così la conversazione su quella piega scherzosa. E quando tutto fu combinato e fissato il giorno, passarono in terrazza per la quotidiana contemplazione del mare. Quel giorno, però, il grande fornitore di spettacoli sembrava addormentato sotto un cielo lattiginoso. Il sole discendeva all’orizzonte come dietro a un sipario. Poche vele bianche e qualche bragozzo dalle vele gialle e rosse passavano lontano sulle acque immobili.

— Non c’è spettacolo questa sera — disse Marco Apolonio.

— E fa caldo [p. 69 modifica]

Si assisero sulle poltroncine impagliate. Aurelio si avvicinò a Bianca, il cui volto pallido dimostrava una grande tristezza.

— Coraggio, signora.

Un malinconico sorriso sfiorò le rosee labbra.

— Non il coraggio mi manca. Vorrei essere con mio padre.... prendere parte alla lotta, ai disagi degli ultimi vendicatori, che saranno vinti, purtroppo; ma non abbandoneranno il loro posto fino all’ultima ora.

— Non tormentatevi, presto avrete sue notizie dirette.

Ella restò silenziosa. Non aveva mai sentito come in quel momento il peso della sua situazione: straniera in casa di stranieri.... mantenuta per carità!.. E.... forse nuovi affanni l’attendevano. Un germe nuovo era penetrato nel suo cuore, un germe fatale di cui ella sentiva oscuramente la dolcezza e lo spasimo.

Appoggiata al parapetto, all’altra estremità della terrazza, Elena Alvisi osservava la parigina e osservava Aurelio, e la sua povera anima si torturava intorno all’angente problema. Si amavano? Si erano intesi?...... «Egli certo l’ama» si diceva la dolorosa. — «Egli l’ama: lo manifestano i suoi occhi, la sua voce. Ma ella?»....

D’un tratto Elena vide o le parve di vedere una cosa che fu per il suo cuore tormentato [p. 70 modifica]quasi un balsamo consolatore. Ettore Almerighi non distoglieva il suo sguardo dalla dama, e questa.... questa non comandava più ai propri occhi: li abbassava, li alzava al cielo, li rivolgeva al mare con una specie di rabbia, ma non riesciva a tenerli fermi; gli sguardi di Almerighi li attiravano con forza irresistibile.

— «Sarebbe vero?» pensò la fanciulla. E le sembrò che il sangue corresse più libero nelle sue vene e un’acre soddisfazione le riempisse il cuore.

Fu breve gioia. Mentre i suoi sguardi si rivolgevano ad Aurelio, raggianti di speranza, lo vide così triste, così affranto che la breve dolcezza le si mutò in rimorso. Come aveva ella potuto rallegrarsi del dolore di lui?

In quel momento si levò il maestrale; una raffica spezzò il sipario biancastro che nascondeva il sole: la terrazza brillò: tutti i volti s’illuminarono, e i petti oppressi respirarono avidamente la fresca brezza. Le voci salirono di un tono, limpide e spigliate.

L’arciprete andò al canocchiale.

— Una grande nave si avanza e porta bandiera tricolore: bandiera francese repubblicana.

— Vorranno vedere i preparativi di difesa della Dominante! — insinuò la voce ironica di Marco Apolonio.