L'impresario delle Smirne/Atto II
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ATTO SECONDO.
SCENA PRIMA.
Camera in casa della signora Tognina.
Tognina e Pasqualino.
Tognina. Caro signor Pasqualino, da qualche tempo in qua fate una gran carestia della vostra persona. Altro che dire: Tognina è la mia virtuosa, l’amo, la stimo, non anderò a cantare senza di lei, chi vuol me per tenore, deve prenderla1 per prima donna, e cent’altre cose tenere ed amorose. Due giorni senza venirmi a vedere? Dove siete stato questi due giorni?
Pasqualino. Sono stato...
Tognina. Non vi credo niente.
Pasqualino. Ma lasciatemi dire.
Tognina. Tacete. Credete ch’io non lo sappia, che andate gironi qua e là dappertutto, fiutando tutte le virtuose del mondo? Ditemi, siete stato ancora a veder quella fiorentina, che è capitata qui ieri sera?
Pasqualino. No; non ci sono stato.
Tognina. Ma sapete che è arrivata.
Pasqualino. Lo so.
Tognina. Ci scommetto che le avete fatto una visita.
Pasqualino. No davvero. (sorrìdendo)
Tognina. Ridete?
Pasqualino. Rido, perchè voi supponete che tutte le ragazze mi corrano dietro.
Tognina. Oh, non dico che tutte siano di voi incantate. Non vi crediate d’essere l’idolo di Citerea. Dico che voi andate qua e là, facendo lo spasimato ed il leccardino.
Pasqualino. Credetemi, Tognina...
Tognina. Tacete. So tutti i vostri raggiri.
Pasqualino. Ma voi mi mortificate...
Tognina. Guardate! povero innocentino! Non lo mortificate, il poverino. Dite, monellaccio del diancine, quanto è che non siete stato dalla Bolognese?
Pasqualino. Io? (sorrìdendo)
Tognina. Non ridere, galeotto, che da quella ch’io sono, se tu mi ridi in faccia, ti do un ceffone.
Pasqualino. Oh cospetto di bacco, baccone! Volete ch’io ve la dica? Sono stucco e ristucco. Pare ch’io sia appo di voi un servitore pagato. Ho per voi della stima, della considerazione, dell’amore anche, se voi volete, ma poi, alla fin fine, il troppo volere annoia.
Tognina. Via, via, la non si riscaldi il polmone, la non dia in frenesia. Se dico, lo dico... Lo so io perchè dico. Maledetto sia quando si prende a voler bene a questi ominacci.
Pasqualino. (Eh lo so, con queste donne non conviene lasciarsi prendere la mano).
Tognina. Favorisca, signore. (con serietà)
Pasqualino. Comandi. (sorridendo)
Tognina. Anche ora ridete?
Pasqualino. Rido, perchè voi sapete quanto bene vi voglio, e fingete di dubitarne.
Tognina. Sguaiataccio!
Pasqualino. Ma voi...
Tognina. Via, via, meno ciarle.
Pasqualino. Io non posso soffrire...
Tognina. Tacete, vi dico. Ho da parlarvi.
Pasqualino. Dite pure; vi ascolto.
Tognina. Meritereste che io facessi di voi quel caso che voi fate di me, e che in un’occasione simile mi vendicassi della vostra poca attenzione.
Pasqualino. Di che potete dolervi di me? Se io....
Tognina. Finiamola. Siete ancora impegnato? Avete fatto scrittura con qualche teatro?
Pasqualino. Questo è un torto che voi mi fate. Prima ch’io mi impegnassi, voi lo sapreste.
Tognina. Posso credervi?
Pasqualino. Voi mi fareste dare al diavolo.
Tognina. Sentite. Voglio farvi una confidenza. Ho promesso di non parlare; ma al mio Pasqualino non posso niente tener nascosto: promettetemi però, e giuratemi, di non dir niente a nessuno.
Pasqualino. Ve lo prometto, e potete esser sicura della mia parola.
Tognina. Il conte Lasca è venuto a farmi una visita, e mi ha detto in confidenza, e colla maggior segretezza del mondo, che è venuto in capo ad un Turco di formar una compagnia per le Smirne; che è ricco, che ci farà delle condizioni avvantaggiosissime, che io sono la prima a saperlo, e che nessun altro l’ha da sapere.
Pasqualino. Finora, per quel ch’io sento, siamo in due a saperlo, poichè il signor Conte ha fatto a me pure la medesima confidenza.
Tognina. Il conte Lasca sa che noi siamo amici, sa che io non voglio recitare senza di voi, per questo vi avrà fatto la medesima proposizione, e colla medesima segretezza.
Pasqualino. Vi ha detto il Conte qual è il posto che vi daranno?
Tognina. Oh, non c’è dubbio. Son la prima a saperlo. Son padrona di sciegliere; nessuna potrà levarmi la parte di prima donna.
Pasqualino. Se vi son due tenori, voglio essere il primo.
Tognina. Caro Pasqualino, voi siete giovane; avete un buon falsetto e de’ buoni acuti, non potreste far voi la parte del primo soprano?
Pasqualino. Per qual ragione?
Tognina. Perchè, caro il mio bene, mi preme che, anche quando recitiamo, facciamo all’amore insieme; si canta con più piacere l’aria tenera, quando si applica secondo l’intenzione. Se vi è un’aria che dica: Caro, per te sospiro, propriamente le si dà della forza quando si dice di cuore, e il popolo conosce, e giubbila, e dice: bravi.
SCENA II.
Maccario, Annina e detti.
Maccario. Si può venire? (di dentro)
Pasqualino. Chi è questi?
Tognina. Non lo conoscete? Il signor Maccario, il poeta.
Pasqualino. E la donna?
Tognina. Siete cieco, o fìngete di esserlo? Non conoscete Annina bolognese, detta la Mistocchina? Vengano, vengano; sono padroni. (verso la scena) Fingete di non conoscerla, per darmi ad intendere che non ci andate. (a Pasqualino, con un poco di sdegno)
Pasqualino. Ritorniamo da capo? (con sdegno)
Tognina. Prudenza quando c’è gente, e sopratutto non dite nulla del Turco.
Maccario. Servo di lor signori.
Annina. Serva della signora Tognina.
Tognina. Padrona mia riverita.
Annina. Come sta?
Tognina. Per servirla.
Annina. Ella ha una ciera che consola.
Tognina. Ed ella, sta bene?
Annina. Bene, per grazia del cielo. Bene, a’ suoi comandi.
Tognina. Via, non le dite niente? Siete ben poco civile. (a Pasqualino)
Pasqualino. Io l’ho già riverita. (a Tognina)
Tognina. (Eh, maschera, ti conosco). (a Pasqualino)
Pasqualino. (lo non so che cosa vi diciate). (a Tognina)
Tognina. Che cos’è? Siete venuto rosso? (a Pasqualino) Dica, signora Annina, è molto che non viene il signor Paqualino da lei?
Annina. Oh, è un pezzo, la mia cara gioia. E poi che occorre che facciate con meco di queste scene? Se è cosa vostra il signor Pasqualino, ci venga, o non ci venga, per me è tutt’uno. Male azioni io non ne so fare.
Tognina. Ve ne avete avuto per male? (ad Annina)
Annina. Oh pensate; e poi non abbiate timore, che presto presto me ne anderò.
Tognina. A recitare?
Annina. Sì, può essere; così spero.
Tognina. Dove? Si può sapere?
Annina. Il dove non lo posso dire.
Tognina. Di che avete timore? A me lo potete confidare liberamente.
Annina. Ve lo direi volentieri, poichè, per dirvela, è una recita che mi fa onore, ma non posso ancora parlare.
Tognina. È qualche arcano?
Maccario. Vi dirò io, signora. L’affare che si è intavolato, non è ancora concluso, e fin che non si veda la cosa ultimata, la signora Annina ha impegno positivo di non parlare.
Tognina. E voi siete il suo segretario.
Maccario. Io non fo il segretario a nessuno, ma è mio proprio interesse, che di ciò non si parli, poichè in quest’affare devo essere ancor io impiegato, e se si penetra, qualcun altro mi potria scavalcare.
Pasqualino. Vogliono far libro nuovo?
Maccario. O nuovo, o accomodato...
Pasqualino. O accomodato, o rovinato....
Maccario. Mi maraviglio, signore. Voi non conoscete la mia abilità.
Tognina. Eh via, lasciamo andare. Signora Annina, ho giusto motivo di lamentarmi di lei.
Annina. Per qual ragione?
Tognina. Chi crede ella ch’io sia? Ciarliera non sono, e non lo sono mai stata. S’ella si confida, le giuro e le prometto, che anch’io le confido un segreto; può essere più interessante del suo.
Annina. Davvero? Non voglio nemmen parere di diffidarmi di lei. Lo dico, o non lo dico, signor Maccario?
Maccario. Per me sostengo ch’ella farebbe ben di tacere.
Tognina. Oh voi, signor Maccario, voi andate cercando il mal come i medici.
Annina. Orsù, venga qui, che la vuò soddisfare (sono anch’io curiosa di sapere il segreto suo), ma la prego di segretezza,
Tognina. Che serve? Le ho data la mia parola.
Annina. Sappiate, signora Tognina, che a Venezia è venuto un Turco, e che questo Turco vuol far una compagnia...
Tognina. Ah, lo sapete anche voi?
Annina. Che? Anche voi lo sapete?
Tognina. Se lo so? E come! Ditemi, potrei sapere da chi voi l’avete saputo?
Annina. Oh, non lo posso dire. E a voi, chi l’ha detto?
Tognina. A me? Il conte Lasca.
Annina. Fate dunque il conto, che il medesimo signor conte Lasca me L’ha detto in confidenza, e con segretezza.
Pasqualino. E meco ha fatto lo stesso.
Annina. Una bella azione ci ha fatto.
Tognina. Bel protettore!
Maccario. Non mi pare, signore mie, che per questo abbiate motivo di lagnarvi di lui. Se il signor Conte ha fatto a voi due questa confidenza, può essere utile all’una e all’altra nel medesimo tempo. In un dramma vi vuole prima e seconda donna, onde tutte due potete essere egualmente impiegate.
Pasqualino. Non dice male il signor Maccario; la cosa può essere innocentissima.
Tognina. Bene; se la cosa è così, non dico niente, lo prima, e voi seconda, saremo tutte due contente.
Annina. Oh perdonatemi, la prima ho da esser io.
Tognina. Per qual ragione, signora? Stimo il vostro merito, ma nella professione ho qualche anno e qualche credito più di voi. Son tre anni ch’io recito da prima donna, e una principiante non verrà a soverchiarmi.
Annina. Principiante! Con chi credete voi di parlare? È vero che son giovine più di voi, e me ne vanto, ma una che canta all’improvviso, non si dice una principiante. ho fatto finora da seconda per esercitarmi, per imparar l’azione, ma d’ora innanzi non voglio far che da prima.
Pasqualino. Ecco qui, per queste preminenze, per queste pretensioni, vi è sempre il diavolo nelle compagnie. Signore mie carissime, pensate ad aver delle recite, ed a guadagnar del denaro. Non siete ancora sicure di andare alle Smirne, e ciascheduna di voi pretende il posto di prima donna?
Tognina. Veramente il signor Pasqualino ha una gran premura per me. Mi consiglia egli, che per un vil guadagno vada a fare una trista figura?
Pasqualino. Io ho parlato a tutte due con eguale onestà e rispetto. Ma la signora Annina, che si vanta di essere giovinetta, e lo è in effetto, quando verremo al caso, spero vi renderà giustizia, e vi cederà il primo posto.
Annina. Oh, io non cedo a nessuno.
Tognina. Molto meno cederò io.
Maccario. Aggiusterò io questa faccenda. Que’ poeti che scrivono de’ drammi per musica, o non sanno, o non vogliono prendersi un poco di pena. Io non faccio così. In casi simili so che si possono fare due parti eguali, e che le donne siano perfettamente contente. Quando andremo alle Smirne, farò io un libro apposta, nel quale le due donne avranno tanti versi, tante arie, e tanti movimenti eguali per ciascheduna, e se vi sarà la difficoltà, chi debba uscire la prima, le farò sortire tutte due in una volta.
SCENA III.
Carluccio e detti.
Carluccio. Schiavo di lor signori. Riverisco la bravissima signora Zuecchina2, la bellissima signora Mistocchina.
Annina. Annina è il mio nome.
Tognina. Ed io mi chiamo Tognina.
Carluccio. Eh, tutti noi abbiamo per solito un soprannome. Anch’io so che mi chiamano Cruscarello, quasi ch’io fossi la crusca di Farinello; ma farò vedere al mondo, ch’io sono fior di farina della più scelta e della più pura. Ma parliamo d’un’altra cosa. Donne mie, amico Pasqualino, avete recite? Siete impiegati, avete trattati, scritture, chiamate? O siete qui in ozio, senza utile e senza speranze?
Tognina. Oh io, per grazia del cielo, non istò lungo tempo disimpegnata.
Annina. S’io voglio delle recite, non me ne mancano.
Pasqualino. Sono assai conosciuto, e son sicuro di non restar così lungamente.
Carluccio. Chiacchiere, discorsi vani, speranze in aria. E voi, signor Maccario, avete da lavorare? Come impiegate il vostro tempo, il vostro stupendo, meraviglioso talento? (con ironia)
Maccario. La non burli, perchè il mio talento è conosciuto, e non mi manca il modo di metterlo in pratica.
Carluccio. In verità, figliuoli miei, mi fate tutti compassione. Scommetto che non avete niente alla mano per impiegarvi.
Tognina. Ho un trattato, che se riesce, vuol far sospirar qualcheduno.
Carluccio. Se riesce! Mi fate ridere. Se riesce!
Annina. La signora Tognina dice se riesce, ma io dico che riescirà.
Carluccio. Siete sicura? Avete sottoscritto? Buon posto? Buona paga? Buone condizioni?
Annina. Le condizioni sono buonissime, e presto si sottoscriverà.
Carluccio. Si sottoscriverà! ah, ah, ah. (ridendo) Si sottoscriverà!
Pasqualino. Si signore. Le cose sono sì bene incamminate, che si può contare la cosa come fatta.
Carluccio. Oh, quante volte le cose quasi fatte si riducono al nulla. Poveri diavoli! Voi non avete niente di certo, e le vostre speranze o sono mal fondate, o saranno di poco valore. Venite qui, son buon amico. Io, io vi voglio impiegare, vi voglio far del bene; ma che bene! una fortuna; fortuna certa, stabile, estraordinaria. Che dite? Co’ vostri impegni, colle vostre speranze, siete in caso di accettare le proposizioni di un buon amico, di un galantuomo, di un professore della mia sorte?
Tognina. Sentiamo; se la cosa ci conviene...
Carluccio. Se vi conviene? Che? Non mi conoscete? Credete voi ch’io venga a proporvi una recita di cento, duecento o trecento doppie? Zecchini a migliaia, e son chi sono, e quando intendo di far del bene, lo faccio come va fatto. Poveri disperati, se non fossi io, voi andreste a sagrificarvi.
Pasqualino. Eh, la recita che noi abbiamo in veduta...
Carluccio. Corbellerie.
Annina. Se ci riesce, come lo spero, e come son certa...
Carluccio. Corbellerie, vi dico, corbellerie.
Maccario. Ma sentiamo le proposizioni del signor Carluccio.
Carluccio. Sì, povero il mio Maccario, anche per voi ci sarà del pane.
Tognina. Ma via, diteci
Pasqualino. Caro amico, parlate.
Annina. Sentiamo. Levateci di pena.
Carluccio. Sappiate, amici, che un Turco... (tutti fanno una grande risata) Come! ridete? Sì signori. Un Turco...
Tognina. Delle Smirne...
Annina. Ricco mercante...
Pasqualino. Vuol far compagnia...
Maccario. E libro nuovo. (tutti ridendo)
Carluccio. Ah! lo sapete anche voi? (con ammirazione)
Pasqualino. E questo è il gran progetto, il gran benefizio che vuol fare il signor Carluccio a questi poveri disperati.
Carluccio. Ma come, diamine, avete fatto a penetrare di questo Turco?
Annina. Il conte Lasca...
Tognina. Il conte Lasca...
SCENA IV.
Il Conte Lasca e detti.
Lasca. Eccomi. Chi mi domanda?
Carluccio. Signore, mi maraviglio di voi. Venite a farmi una confidenza, venite a propormi una recita con segretezza, e tutto il mondo lo sa.
Lasca. E voi, se vi faccio una confidenza, perchè andate a propalare il segreto?
Carluccio. Bel segreto! siamo qui in cinque, e tutti cinque lo sanno.
Lasca. Potrei dirvi d’averlo fatto per divertirmi, e ciò dicendo, non farei alcun torto alla vostra prudenza; ma vi dirò, che ho inteso, ammettendovi tutti al segreto, di fare a tutti del bene. Vi è posto per tutti voi, e quando vi ho detto di non parlare a nessuno, ho inteso di dire, che non lo pubblichiate ad altri, ma come ne avete parlato fra di voi cinque, avrete fatto lo stesso con altri dieci, può essere con altri cento; onde me ne lavo le mani.
Tognina. No, signor Conte...
Annina. Non vada in collera.
Maccario. Non ci abbandoni...
Pasqualino. Per me l’assicuro che non ho parlato con chicchessia.
Lasca. Sentite. Io son buono per natura; mi fate compassione, e voglio anche perdonare una debolezza. Mi spiacerebbe che perdeste quest’occasione; specialmente il povero Carluccio...
Carluccio. Io non dico ch’io non andassi volentieri alle Smime, per vedere que’ paesi nuovi, que’ turbanti e que’ mostacci, ma finalmente, se vogliono un buon soprano, non saprei dove potessero cercarne un altro.
Lasca. È possibile che non vogliate moderare questa vostra prosunzione?
Carluccio. L’umiltà è bella e buona, ma qualche volta bisogna che rendiamo giustizia a noi medesimi.
Lasca. E quando lo fate da voi medesimo, impedite agli altri di farlo.
Annina. Non ci perdiamo in queste dispute inutili, poichè il signor Carluccio, quando principia, non la finisce mai.
Tognina. Sì, parliamo di quello che preme. Il Turco verrà egli da me?
Lasca. Se lo prego, spero non mi dirà di no.
Annina. E da me lo farà venire?
Lasca. Se la signora Tognina il consente, voi potete aspettarlo qui.
Annina. Oh signor no, davvero. Io non ho niente che far con lei. Se il Turco vuol sentirmi, ha da venire da me. Ho anch’io, per grazia del cielo, una casa assai propria, che un principe vi potrebbe venire. Ho un buon clavicembalo. Vi è la mamma, vi è mio fratello; e non voglio farmi sentire fuori di casa.
Tognina. (Che maledetta superbia! non la posso soffrire).
Annina. Ha capito, signor Conte?
Lasca. Ho capito.
Annina. E che cosa dice?
Lasca. Dico che fate tutto quel che volete, che poco o nulla m’importa.
Annina. Bella risposta!
Carluccio. Brava, signora Annina. Sostenete il vostro decoro. Così va fatto. Il Turco, se vuol sentirmi, deve venire anche da me.
Lasca. E anche da voi, signor Pasqualino? (ridendo)
Pasqualino. Io non sono meno degli altri.
Lasca. E. anche da voi, signor Maccario?
Maccario. Oh, io poi non sono così diffìcile. Andrò da lui tre, quattro, sei volte, quanto gli parerà e piacerà; e mi raccomando alla di lei protezione.
Lasca. Sì, caro il mio poeta, mi piace la vostra umiltà, m’impiegherò di buon cuore per voi.
SCENA V.
Nibio e detti.
Nibio. Padroni miei riveriti.
Tognina. Venite innanzi, signor Nibio.
Annina. Riverisco il signor Nibio.
Nibio. Son servo a tutti questi signori.
Carluccio. Come sta di salute il signor sensale de’ musici abbandonati?
Nibio. Benissimo. Pronto per tutti, ed anche per il signor Carluccio, se ha bisogno di me.
Carluccio. Oh sì, voi siete quel grand’uomo che ha avuto l’onore di mettere sulla scena per la prima volta la mia persona, e credo di aver fatta io la vostra riputazione.
Nibio. Avrei fatta io la sua, s’ella si fosse condotta con un poco più di prudenza.
Carluccio. Caro Nibio, tu sei pazzo, e ti voglio bene, e se io vado alle Smirne, ti vuò condurre con me.
Nibio. Alle Smirne? (con maraviglia)
Lasca. Caro signor Nibio, voi vedete come il segreto è ben custodito.
Nibio. Chi è stato la bestia che ha parlato?
Tognina. Il signor Conte.
Lasca. Che impertinenza!... (a Tognina, con caldo)
Tognina. Scusi, non ho detto per lei.
Nibio. Via, quel che è fatto, è fatto. Cerchiamo di rimediarvi. Or che la cosa è sparsa, dobbiamo sollecitar d’avvantaggio. Farò per tutti quel che potrò. Ma io non ho l’autorità di formar le scritture. Il Turco mi ha dato la facoltà di trattare, e si è riserbato l’autontà di concludere.
Tognina. L’impresario deve venir da me.
Annina. E anche da me.
Carluccio. Può esser che prima venga da me.
Pasqualino. O da me.
Nibio. Signori miei, per non far torto a nessuno, mi ha detto il Turco liberamente, che non vuole andare a casa di chicchessia. Chi vuol andar da lui, è padrone; chi non vuole, resti; a chi va, non posso far altro che insegnargli la strada.
Tognina. Ma che cosa mi ha ella detto, signor Conte?
Lasca. Io credeva di poterlo far qui venire; ma vedo che il Turco ha ragione, e vi consiglio di andar da lui.
Tognina. Quest’è una cosa terribile. Una donna della mia sorte andare in casa di un impresario? Non l’ho mai fatto, e non lo farò.
Lasca. E voi, signora Annina?
Annina. Per me... Non so... Ma se ci anderò, ci anderò colla mamma e con mio fratello.
Tognina. (Costei vorrebbe soverchiarmi). Basta, signor Conte, trattandosi di un Turco che non sa le usanze, può essere che io ci vada, s’ella volesse favorire di venir con me.
Lasca. Scusatemi; vi servirei volentieri, ma ho un affar di premura... andate, vi raggiungerò. Può essere che ci troviamo insieme dal Turco. (Non voglio farmi vedere per la città al fianco di una virtuosa di musica). (parte)
Tognina. (Ci scommetterei ch’ei lo fa per non pagare la gondola). Pasqualino, mi farete voi il piacere di accompagnarmi?
Pasqualino. Vi accompagnerò volentieri.
Annina. (Non vorrei ch’ella ci andasse prima di me). Signor Nibio, vuol ella favorire di accompagnarmi?
Nibio. Quando vuol ella andarvi?
Annina. Subito, se volete.
Nibio. Andiamo. Sono con lei.
Tognina. Come, signora Annina? Vuol ella andare a farsi sentire dal Turco senza la mamma e senza il fratello?
Annina. (Cospetto! ella sempre mi stuzzica. In casa sua non le voglio rispondere, ma se canteremo insieme, le farò mangiar l’aglio). (parte con Nibio)
Carluccio. Io rido di quei che si affollano, come se loro mancasse da vivere. Io sto sul mio decoro, non vo a cercare nessuno, e chi mi vuole, ha da venire da me. (Ho buona gamba, e spero di arrivare prima degli altri). (parte)
Tognina. Si sentono cose che fanno inorridire! Che dite di quella prosontuosa di Annina? Mi tratta come s’io fossi una virtuosa da dozzina. Non sa ella che ho cantato a Rimini, a Sinigaglia, a Chiozza ed alla fiera di Rovigo? Povera sciocca! Non è degna di far meco l’ultima parte. La prima sera la vuò far morir disperata. Se mi sentono alle Smirne, farò la mia fortuna e quella dell’impresario. Fatemi una bella parte, signor Maccario, e non dubitate. Son donna riconoscente, e vi esibisco l’alloggio, la tavola e qualche incerto a misura delle mie avventure. (parte con Pasqualino)
Maccario. Tutto è buono. Ad un povero autore, come son io, non faranno male allo stomaco anche gl’incerti delle virtuose. (parte)
Fine dell’Atto Secondo.