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L'IMPRESARIO DELLE SMIRNE 231

Tognina. Il signor Conte.

Lasca. Che impertinenza!... (a Tognina, con caldo)

Tognina. Scusi, non ho detto per lei.

Nibio. Via, quel che è fatto, è fatto. Cerchiamo di rimediarvi. Or che la cosa è sparsa, dobbiamo sollecitar d’avvantaggio. Farò per tutti quel che potrò. Ma io non ho l’autorità di formar le scritture. Il Turco mi ha dato la facoltà di trattare, e si è riserbato l’autontà di concludere.

Tognina. L’impresario deve venir da me.

Annina. E anche da me.

Carluccio. Può esser che prima venga da me.

Pasqualino. O da me.

Nibio. Signori miei, per non far torto a nessuno, mi ha detto il Turco liberamente, che non vuole andare a casa di chicchessia. Chi vuol andar da lui, è padrone; chi non vuole, resti; a chi va, non posso far altro che insegnargli la strada.

Tognina. Ma che cosa mi ha ella detto, signor Conte?

Lasca. Io credeva di poterlo far qui venire; ma vedo che il Turco ha ragione, e vi consiglio di andar da lui.

Tognina. Quest’è una cosa terribile. Una donna della mia sorte andare in casa di un impresario? Non l’ho mai fatto, e non lo farò.

Lasca. E voi, signora Annina?

Annina. Per me... Non so... Ma se ci anderò, ci anderò colla mamma e con mio fratello.

Tognina. (Costei vorrebbe soverchiarmi). Basta, signor Conte, trattandosi di un Turco che non sa le usanze, può essere che io ci vada, s’ella volesse favorire di venir con me.

Lasca. Scusatemi; vi servirei volentieri, ma ho un affar di premura... andate, vi raggiungerò. Può essere che ci troviamo insieme dal Turco. (Non voglio farmi vedere per la città al fianco di una virtuosa di musica). (parte)

Tognina. (Ci scommetterei ch’ei lo fa per non pagare la gondola). Pasqualino, mi farete voi il piacere di accompagnarmi?

Pasqualino. Vi accompagnerò volentieri.