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226 | ATTO SECONDO |
prendersi un poco di pena. Io non faccio così. In casi simili so che si possono fare due parti eguali, e che le donne siano perfettamente contente. Quando andremo alle Smirne, farò io un libro apposta, nel quale le due donne avranno tanti versi, tante arie, e tanti movimenti eguali per ciascheduna, e se vi sarà la difficoltà, chi debba uscire la prima, le farò sortire tutte due in una volta.
SCENA III.
Carluccio e detti.
Carluccio. Schiavo di lor signori. Riverisco la bravissima signora Zuecchina1, la bellissima signora Mistocchina.
Annina. Annina è il mio nome.
Tognina. Ed io mi chiamo Tognina.
Carluccio. Eh, tutti noi abbiamo per solito un soprannome. Anch’io so che mi chiamano Cruscarello, quasi ch’io fossi la crusca di Farinello; ma farò vedere al mondo, ch’io sono fior di farina della più scelta e della più pura. Ma parliamo d’un’altra cosa. Donne mie, amico Pasqualino, avete recite? Siete impiegati, avete trattati, scritture, chiamate? O siete qui in ozio, senza utile e senza speranze?
Tognina. Oh io, per grazia del cielo, non istò lungo tempo disimpegnata.
Annina. S’io voglio delle recite, non me ne mancano.
Pasqualino. Sono assai conosciuto, e son sicuro di non restar così lungamente.
Carluccio. Chiacchiere, discorsi vani, speranze in aria. E voi, signor Maccario, avete da lavorare? Come impiegate il vostro tempo, il vostro stupendo, meraviglioso talento? (con ironia)
Maccario. La non burli, perchè il mio talento è conosciuto, e non mi manca il modo di metterlo in pratica.
- ↑ Nelle più antiche edizioni goldoniane c’è qui un punto fermo.