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232 | ATTO SECONDO |
Annina. (Non vorrei ch’ella ci andasse prima di me). Signor Nibio, vuol ella favorire di accompagnarmi?
Nibio. Quando vuol ella andarvi?
Annina. Subito, se volete.
Nibio. Andiamo. Sono con lei.
Tognina. Come, signora Annina? Vuol ella andare a farsi sentire dal Turco senza la mamma e senza il fratello?
Annina. (Cospetto! ella sempre mi stuzzica. In casa sua non le voglio rispondere, ma se canteremo insieme, le farò mangiar l’aglio). (parte con Nibio)
Carluccio. Io rido di quei che si affollano, come se loro mancasse da vivere. Io sto sul mio decoro, non vo a cercare nessuno, e chi mi vuole, ha da venire da me. (Ho buona gamba, e spero di arrivare prima degli altri). (parte)
Tognina. Si sentono cose che fanno inorridire! Che dite di quella prosontuosa di Annina? Mi tratta come s’io fossi una virtuosa da dozzina. Non sa ella che ho cantato a Rimini, a Sinigaglia, a Chiozza ed alla fiera di Rovigo? Povera sciocca! Non è degna di far meco l’ultima parte. La prima sera la vuò far morir disperata. Se mi sentono alle Smirne, farò la mia fortuna e quella dell’impresario. Fatemi una bella parte, signor Maccario, e non dubitate. Son donna riconoscente, e vi esibisco l’alloggio, la tavola e qualche incerto a misura delle mie avventure. (parte con Pasqualino)
Maccario. Tutto è buono. Ad un povero autore, come son io, non faranno male allo stomaco anche gl’incerti delle virtuose. (parte)
Fine dell’Atto Secondo.