L'educazione della donna ai tempi nostri/IV
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IV.
L’educazione della donna in collegio
Tutti lo dicono e tutti Io scrivono: i convitti non sono adatti a dare una sana educazione.
La vita in comune, di molti fanciulli e giovanetti, genera il contagio dei vizi, avvezza alle monellerie, agl’intrighi, ai pettegolezzi, desta le basse passioni della gelosia e dell’invidia, e suscita l’arte vile d’infingere e simulare per evitare le punizioni, a cui si va facilmente incontro per la spensieratezza della vita giovanile e per la serietà della disciplina del convitto. La vita del collegio non prepara a quella della famiglia, anzi distrae da essa, perchè i giovanetti, vivendo nell’istituto, s’avvezzano a certe comodità che poi non trovano a casa propria, come, per esempio, ad avere puntualmente la colazione, a mangiare certi dati cibi, ad abituarsi a certe delicatezze e riguardi che influiscono sul carattere e che rendono poi poco caro l’ambiente ben diverso della famiglia, per la quale diminuiscono i santi affetti.
Ho conosciuto dei giovanetti che, tornati a casa dal collegio, nelle vacanze, serbavano un contegno altero con tutte le persone di famiglia, s’imponevano ai fratelli e alle sorelle, pretendendo dei riguardi e delle attenzioni, come se fossero i personaggi più importanti della casa, ed evitavano anche di unirsi per istrada ai vecchi compagni di scuola, che non avevano potuto, come loro, recarsi a continuare gli studî in un collegio, e indossare, come loro, la divisa che li rendeva tronfi e pettoruti.
Insomma la vita del convitto, fatta di artifizio, di convenzioni, di necessità e di espedienti per accomunare attitudini, energie e volontà differenti, non prepara nè alla vita della famiglia nè a quella sociale; ed è facile vedere quanto i gravi difetti cui dà origine la vita collegiale nocciano specialmente all’educazione della donna, che è chiamata dalla natura ad essere l’educatrice della prole.
A questo dovrebbero badare i genitori che, senza necessità alcuna, mettono le proprie figlie in collegio a scopo di educazione. «La donna — dice il Tommaseo — non sia rinchiusa nei collegi, se non quando le cure materne le manchino, nè possono tenerne le veci altre cure». Ma, generalmente parlando, le famiglie civili credono che l’educazione d’una giovanetta non possa essere completa, se non vive per alcuni anni in un buon collegio.
Veramente questa credenza ha un fondamento di ragione: si pensa che la vita sistematica del convitto sia adatta a far contrarre delle abitudini durevoli, e, certamente, quando le abitudini buone si sono formate, anche l’educazione è compiuta. Ma il guaio è che spesso il convitto fa contrarre abitudini non buone, a togliere le quali occorre gran fatica, se pur si riesce; e poi quali abitudini migliori per una giovinetta di quelle che può contrarre in famiglia, sotto l’occhio vigile ed esperto di sua madre? E non è alla famiglia che deve essere diretta principalmente l’educazione delle donne?... Sicchè è da supporre che le signore che mettono le figlie in collegio, senza veruna necessità, lo fanno o per un mal inteso sentimento di vanità, o per difetto di abilità nell’educare, o per desiderio di essere in casa libere dal grave peso dell’educazione dei figli.
Eppure l’educazione del collegio è una necessità per molte famiglie, che non sono costituite in modo da dare una seria educazione alle proprie figliuole, per famiglie private dell’angelo tutelare di essa, la madre, per orfane di ambo i genitori e per genitori che, volendo far compiere alle loro figlie un corso di studî, sono costretti a condurle in un altro paese ed a chiuderle in convitto per le difficoltà di trovare famiglie che ne possano curare assiduamente l’educazione morale. Ma quanto è difficile scegliere un buon istituto d’educazione per fanciulle e giovinette!
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Abbiamo in Italia una gran quantità di convitti femminili, distinti coi nomi di collegi o educandati privati; orfanotrofi, conservatori, ricoveri, ecc., dipendenti da enti morali; convitti municipali o provinciali, annessi a scuole secondarie governative, come le normali, o a scuole primarie e secondarie per signorine, istituiti dai Comuni o dalle Province; e orfanotrofi e educandati governativi. Ma tutti questi convitti femminili si possono distinguere in religiosi e laici per l’indirizzo che danno all’educazione, delle ragazze, o, meglio, secondo che sono diretti da donne, che appartengono o no a corporazioni religiose.
I convitti religiosi danno, generalmente parlando, e salvo le debite eccezioni, un’educazione incompleta, perchè, essendo affidati a donne che hanno vincoli di coscienza, risentono dell’educazione da esse ricevuta. Nelle scuole private annesse si dà una sufficiente coltura letteraria, ma non sempre una sufficiente coltura scientifica. Eppure essa, contenuta in giusti limiti, giova, come ho già detto, a fortificare l’animo della donna, la quale, per l’indole naturale arrendevole e per l’ambiente in cui vive, dà facile ascolto ad ogni sorta di pregiudizî.
Vi si insegnano il disegno, la musica, i lavori donneschi e l’economia domestica; ma non troppo la storia patria. Così viene a mancare l’educazione patriottica e civile, a cui la storia è base; perchè dal fatto storico emerge il dovere di amar la patria con disinteresse e il convincimento che l’onore e la grandezza di essa dipendono dall’ingegno, dalla virtù de’ suoi figli, i quali debbono saper consacrare al bene di essa quello proprio.
Vivendo in tali convitti, le giovinette ricevono buoni ammaestramenti per il governo della casa e molta istruzione religiosa; ma ciò nonostante l’educazione generale rimane incompleta, per l’insufficiente coltura scientifica accennata e per la mancanza di quella patriottica e civile, che è tanto indispensabile alla donna, per la missione che deve compiere di madre di famiglia ed educatrice della prole. Vi sono però convitti religiosi senza scuole private annesse, essendo le alunne iscritte alle pubbliche scuole, alle quali vengono accompagnate ogni giorno da una suora, e l’educazione data in essi è migliore, per l’opera educativa della scuola.
I convitti laici dànno poi, anche generalmente parlando, un’educazione più completa, non facendo difetto in essi, per le scuole primarie e secondarie annesse, nè l’istruzione letteraria e scientifica, nè la educazione patriottica e civile. Tali convitti non trascurano neppure l’educazione domestica, quella musicale, artistica e religiosa delle giovinette; ma si fa ad essi facilmente il rimprovero di dare un’educazione morale difettosa, forse perchè qualcuno non è stato ben diretto ed ha dato motivo a lamenti.
Quest’accusa vien fatta specialmente ai convitti annessi alle scuole normali, i quali, si dice, abituano le giovanette ad essere poco serie, onde v’è chi ne favorisce la chiusura. Eppure la diminuzione di tali convitti, che vanno a mano a mano scomparendo, mi sembra molto dannosa, non solo perchè qualche fatto o inconveniente isolato, non dava il diritto di generalizzare un’accusa molto grave, mentre vi sono molti convitti laici così ben diretti da non far sentire, per nessun motivo il bisogno di convitti religiosi; ma anche perchè vengono a mancare in alcune città importanti i convitti laici, che molti genitori ricercano per l’educazione delle loro figliuole.
Una volta il Governo s’interessava maggiormente dell’ordinamento dei convitti normali e desiderava che ogni scuola normale avesse il suo; ora, col regolamento 3 dicembre 1896, dà al R. Provveditore agli Studi la facoltà di permettere che un Comune od una Provincia istituisca un convitto annesso alla scuola normale e di approvare la scelta delle persone preposte alla direzione e all’amministrazione interna di esso; e ciò, in qualche luogo, è stato interpretato come un’opinione contraria all’esistenza dei convitti medesimi. Questa interpretazione veramente, è esagerata, perchè il Governo centrale non può ignorare che i convitti normali servono a integrare la funzione educativa della scuola normale; ma sta il fatto che il suo disinteresse ha nociuto, in parecchie città, alla vita dei convitti medesimi, che sono stati chiusi, ciò che ha messo in imbarazzo molti genitori, i quali, volendo far compiere alle loro figliuole il corso degli studî normali, e desiderando giustamente per esse un’educazione completa, hanno dovuto affidarle a qualche convitto privato di speculazione o ad una famiglia pur che sia.
Se i convitti normali femminili non funzionano bene o non dànno serie garanzie per l’educazione delle giovanette, bisogna riordinarli su solide basi e renderne specialmente obbligatorio il mantenimento per parte dei Comuni o delle Province in cui si trovano le scuole normali, perchè, come ho detto, essi integrano la funzione educativa della scuola stessa e possono contribuire a dare una migliore preparazione alle future maestre e alle future madri di famiglia.
La vita del convitto deve far acquistare alle normaliste le necessarie attitudini al governo della casa, dando quell’educazione domestica che loro viene a mancare per la lontananza dalle famiglie. Perciò, ogni settimana, le allieve debbono assistere per turno alla cucina, imparando dalla cuoca a preparare le minestre; debbono per turno dirigere il lavoro di pulizia delle varie stanze del convitto e aiutare le domestiche a mettere in ordine i mobili, debbono per turno apparecchiare e sparecchiare le mense, aiutare là direttrice a custodire la dispensa e a portare i conti dell’amministrazione interna del convitto, assistere le domestiche, quando lavorano o fanno il bucato o stirano, e impratichirsi di queste e di tutte le faccende casalinghe. Quanto giovi la conoscenza di queste cose all’educazione della donna non occorre dire. Anche la ricca signora non deve ignorarle, perchè «mal ordina chi non sa», dice un vecchio proverbio.
Ma la vita del convitto deve impratichire maggiormente la normalista nei lavori donneschi, nel cucito in bianco, nel ricamo e nei lavori di sarta, abituandola pure ad una vita modesta e operosa e a una esemplare semplicità nel vestire e nel mangiare, conforme all’ambiente in cui dovrà vivere in avvenire. Con quest’educazione domestica una giovanetta si prepara a divenire una maestra impareggiabile e una donna preziosa, che formerà la ricchezza della casa all’uomo che avrà la fortuna di scioglierla per compagna della sua vita.
E il tempo — sento domandarmi — per abituare le convittrici a tutte queste cose, per il governo della casa, oltre a curare la loro educazione morale, religiosa, fisica, ecc., se spesso manca loro quello di ben prepararsi per le lezioni di scuola? L’ho già detto, gli studî delle scuole complementari e normali femminili dovrebbero restringersi in più giusti confini, affinchè non impedissero alle giovinette di occuparsi contemporaneamente delle cose indispensabili al governo della casa. Converrebbe quindi mettere nelle loro mani meno libri e più faccende domestiche.
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Io son convinto che sarebbe opera saggia di governo intelligente, desideroso di una seria educazione della donna, il riordinamento dei con vitti normali femminili, con riforme tali che li avvicinino sempre più alla vita della famiglia, diminuendo i danni inevitabili dell’educazione collegiale, dei quali si è parlato, e rendendoli modelli per la completa educazione delle maestre e delle madri italiane. A questo scopo credo che possa giovare il determinare le occupazioni domestiche a cui debbono attendere le alunne in collegio, senza trasandare lo studio, e il prescrivere che l’ufficio di direttrice del convitto deve essere affidato a preferenza alla direttrice o a una delle insegnanti della scuola normale, e che anche l’ufficio di istitutrice dev’essere conferito a preferenza alle insegnanti della scuola. Così alunne e professoresse formerebbero una sola famiglia, e le ultime potrebbero cooperare efficacemente alla completa educazione delle loro scolare, a quella morale e civile, e a quella intellettuale e fisica.
Ma disgraziatamente in Italia non si vede di buon occhio la comunanza della vita fra insegnanti e alunne, sol perchè si presta al sospetto di illeciti guadagni e di favoritismi per promozioni o dispense da esami, e non dimenticherò mai quello che accadde, parecchi anni fa, ad una distinta professoressa di scuola normale. Essendo nubile e non avendo uno stipendio sufficiente alle esigenze della vita nella residenza assegnatali pensò di prendere a pigione una casa di più stanze e di far vita comune con cinque o sei alunne della scuola in cui insegnava. Fissò per ciascuna una retta mensile provvisoria anticipata, da tenersi in conto alla fine del mese, giacchè essa faceva segnare alle alunne stesse la spesa giornaliera pel vitto, la spesa mensile per le provviste, quella occorrente perla domestica, pel padron di casa, ecc., e divideva tutto in parti uguali, comprendendo anche sè stessa fra le paganti.
Le alunne ne erano molto contente, perchè la spesa mensile era mitissima e avevano il benefizio di impratichirsi dell’amministrazione domestica e di convivere con un’insegnante, la quale faceva loro le veci di madre, usciva con loro a passeggio, studiava con loro e le aiutava, quando era necessario, a far bene i compiti scolastici.
Ma un bel giorno la casa ospitale fu chiusa. Il direttore della scuola ebbe non so quale invidia o sospetto sull’opera d’abnegazione di quella professoressa e ne scrisse o fece scrivere al Ministero, il quale ordinò che essa non avesse più tenuto alunne in casa. Chiamata dal R. Provveditore agli Studî per la comunicazione dell’ordine ministeriale, la distinta signorina giustificò talmente l’opera sua, che l’egregio uomo le promise di difenderla presso il Ministero; ma ella insistè nel chiudere la sua casa alle alunne per non mettersi in urto col suo superiore immediato.
Questo fatto sembrerebbe strano, se non fosse vero; ma e giustificato dal modo di pensare comune fra noi che, quando vediamo professori che tengono in casa propria a pensione alunni appartenenti all’istituto in cui insegnano, andiamo subito all’idea della speculazione e del favoritismo, ma non pensiamo ai grandi benefizî educativi che apporta agli alunni il vivere da vicino coi propri maestri, che s’interessano della loro istruzione ed educazione, benefizi che rendono numerosi in Germania i convitti dei professori pei propri alunni.
Ma noi, Italiani, siamo tutt’altra gente dei Tedeschi e, molto impressionabili per natura, gridiamo facilmente allo scandalo, sospettando delle bassezze prima di averle accertate. E possibile che persone rispettabili, come gl’insegnanti delle scuole secondarie, giungano a macchiare la propria onorabilità concedendo immeritate promozioni ad alunni dell’istituto in cui insegnano, sol perchè questi convivono a pagamento in casa loro, ciò che può essere considerato come un favore reso, più che un mezzo di lecito guadagno? Non lo crederò, se non lo vedrò provato dall’evidenza dei fatti.
Intanto, se non siamo favorevoli ai convitti dei professori per gli alunni dell’istituto in cui insegnano, perchè poi veniamo a decantare tanto l’eccellenza dei Convitti inglesi, la cui vita s’avvicina a quella della famiglia? Ma ciò è possibile in Inghilterra, solo perchè gl’insegnanti hanno l’obbligo d’abitare nell’istituto, anche con la propria famiglia, se l’hanno, e di dividere completamente la vita degli allievi, pigliando parte perfino a loro giuochi.
Ora io credo, a proposito della riforma dei convitti annessi alle scuole normali femminili, che bisognerebbe almeno stabilire che la direzione di essi fosse a preferenza affidata alla direttrice o ad una delle migliori insegnanti della scuola, non aventi famiglia, e che anche l’ufficio di istitutrice fosse affidato a preferenza alle professoresse della scuola, prive di famiglia. Così sarà possibile accrescere il numero delle ingegnanti che considerino la scuola e l’educazione delle scolare come l’opera più importante della loro vita e vi si dedichino interamente. Così avremo le vere professoresse, che non sono tanto quelle che hanno conseguito la laurea o il diploma d’abilitazione, quanto quelle che amano le alunne e hanno la passione di ben educarle Così pure l’ordine e la disciplina dei convitti normali femminili non lasceranno nulla a desiderare, perchè le persone che ne avranno la direzione e l’amministrazione interna saranno le stesse che istruiscono e educano nella scuola le alunne, le quali hanno per le loro maestre rispetto, stima ed anche un giusto timore.