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cucina, imparando dalla cuoca a preparare le minestre; debbono per turno dirigere il lavoro di pulizia delle varie stanze del convitto e aiutare le domestiche a mettere in ordine i mobili, debbono per turno apparecchiare e sparecchiare le mense, aiutare là direttrice a custodire la dispensa e a portare i conti dell’amministrazione interna del convitto, assistere le domestiche, quando lavorano o fanno il bucato o stirano, e impratichirsi di queste e di tutte le faccende casalinghe. Quanto giovi la conoscenza di queste cose all’educazione della donna non occorre dire. Anche la ricca signora non deve ignorarle, perchè «mal ordina chi non sa», dice un vecchio proverbio.

Ma la vita del convitto deve impratichire maggiormente la normalista nei lavori donneschi, nel cucito in bianco, nel ricamo e nei lavori di sarta, abituandola pure ad una vita modesta e operosa e a una esemplare semplicità nel vestire e nel mangiare, conforme all’ambiente in cui dovrà vivere in avvenire. Con quest’educazione domestica una giovanetta si prepara a divenire una maestra impareggiabile e una donna preziosa, che formerà la ricchezza della casa all’uomo che avrà la fortuna di scioglierla per compagna della sua vita.

E il tempo — sento domandarmi — per abituare le convittrici a tutte queste cose, per il governo della casa, oltre a curare la loro educazione morale, religiosa, fisica, ecc., se spesso manca loro quello di ben prepararsi per le lezioni di scuola? L’ho già detto, gli studî delle scuole complementari e normali femminili dovrebbero restringersi in più giusti confini, affinchè non impedissero alle giovinette di occuparsi contempora-