L'arte popolare in Romania/Capitolo II
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CAPITOLO II.
la casa romena
La forma più elementare della casa carpato-balcanica è quella del ricovero temporaneo del pastore.
Si è spesso parlato dei pastori di queste regioni, e, per quanto concerne i Romeni, tanto di quella parte della razza che abita la penisola, quanto di quella che si trova a nord del Danubio. Per trovare una spiegazione facile di certe situazioni storiche, si è preteso che i discendenti degli antichi contadini e coloni romani, venuti spontaneamente o stabiliti su questa terra dacica dall’imperatore Traiano, mescolatisi intimamente con la popolazione indigena traco-illirica e formanti un sol corpo con quegli abitanti più antichi della stessa terra, fossero ridotti, dopo che le legioni e i funzionari ebbero abbandonata la Dacia, a lasciare l’agricoltura per dedicarsi esclusivamente alla vita del pastore migratore, transumante.
Fra le molte e varie ragioni che si possono invocare per respingere tale opinione, una ve n’ha che procede dal campo dei nostri studi. La casa del contadino stabilito nelle valli stesse della montagna, nella regione collinosa, nelle antiche radure della grande foresta sulle piane del Danubio, non è una semplice derivazione da questo ricovero pastorale. Non ostanti le evidenti somiglianze nelle linee generali, essa ha visibilmente un carattere diverso. Entrano, nella sua composizione, degli elementi che non possono derivare da
Casa valacca di famiglia nobile delle montagne (Vălenii— de— Munte)
quell’abbozzo di abitazione, antichissimo, che è la stâna, il cui nome può essere ricollegato col termine greco στευόν, significante stretta, gola di monti, che i pastori dovevano preferire per mettervi al sicuro le loro pecore.
Vi furono tuttavia molti transumanti nei Balcani. Il loro modo di condurre le mandrie da una regione all’altra, secondo il corso delle stagioni e le facilità offerte dalla vegetazione, è lo stesso cui accenna un passo di Varrone, classico per queste condizioni economiche, e cui si riferiscono alcune iscrizioni, sistema che, del resto, si conservò a lungo durante il Medio Evo (1). Nella penisola iberica, da secoli i pastori seguono attraverso le sierras la stessa via della «mesta», alla quale si connette tutta una legislazione, destinata a proteggere l’agricoltura e a salvaguardare i diritti dei proprietari. Certe regioni dell’Asia, dalla parte dell’Iran, conoscono pure questo costume della transumanza, e sui pianori della Persia ci si ritrae con timore al passaggio delle nere genti selvagge che si conducono dietro tutto un piccolo mondo di esseri umani e di animali (2).
Nella penisola balcanica non in tutte le catene di montagne vi sono dei transumanti: i Balcani, il Rodope, ai tempi nostri non sembrano conoscere tale sistema, che è invece caratteristico del Pindo, la montagna parallela all’Appennino, che con la sua linea orientata da nord a sud separa l’occidente balcanico, adriatico, dai paesi rivolti a oriente, verso le rive del Ponto Eusino. In questo Pindo vi sono dei Romeni, degli Slavi, Bulgari e Serbi, e degli Albanesi, senza contare i Greci delle città e i Turchi colonizzati. L’Albanese è in gran parte guerriero; lo Slavo, per essere stato colonizzato, come servo, a questo scopo, si consacra volentieri all’agricoltura; il Romeno solo pratica in maggioranza l’allevamento del bestiame, e, andando in cerca dei mutevoli pascoli, è transumante, o, per servirci del termine da lui stesso impiegato, «cambia dimora» (a se muta, mutare).
Se ne può trarre questa conclusione sicura: che la transumanza, in quanto non è d’origine asiatica, iranica o turanica, appartiene alle nazioni romane. Si direbbe anzi — e una teoria filologica magiara, tendente a spiegare l’origine dei Romeni, lo ha affermato in un certo senso — che sia un fenomeno puramente italico, e, aggiungiamo, antichissimamente italico. Ma siccome è cosa certa che la comunità traco-illirica sta alla base delle istituzioni e di quanto si conosce dell’arte di tali paesi, bisogna ammettere che quei lontanissimi antenati barbari, partecipanti a una civiltà popolare arcaica che si estendeva almeno alle tre penisole meridionali dell’Europa, fossero già stati dei transumanti. Varrone, del resto, lo dice, quando descrive le forti donne, vigili e prolifiche, prima ancora del matrimonio, che si aggirano insieme coi pastori per le montagne illiriche (3)
La vita pastorale tanto dei Balcani quanto dei Carpazi appartiene dunque alla sola razza romena: essa sola l’ha diffusa lungo i Carpazi da un lato e dall’altro fino alle loro più lontane ramificazioni a occidente. Ne deriva il pastore della Galizia, fino alla regione cracoviana, ove il «gorano», il «montanaro», ancora nel XVII secolo era chiamato valacco (4). L’Uzulo, Huțul, il cui nome deve venire da un soprannome romeno huț (cfr. i Moți della Transilvania occidentale, i Cuzo-Valacchi, da cuț, nel Pindo), in una regione interna, dai due lati della frontiera della Bucovina a nord, partecipa della stessa vita, e, nonostante il suo attuale dialetto slavo, senza dubbio fa parte anche della stessa razza. Questo pastore, con lo stesso costume e gli elementi della stessa lingua speciale si trova fino in Moravia, a occidente di Brno-Brünn; senza parlare della sua sporadica estensione nell’Asia Minore ove, in mezzo agli iurucchi turchi, simili a quelli che furono trasportati in Macedonia ove sussistevano ancora qualche anno fa, si trovano pure i pastori cristiani dell’Anatolia, discendenti da quelli che vi furono un tempo trasportati dall’amministrazione bizantina, durante le guerre e le rivoluzioni, e che conservano un gran numero di caratteri distintivi del gruppo pastorale romeno nella pratica del mestiere e nella lingua.
Se si volessero ricercare materiali presso altre nazioni balcaniche, il lavoro sarebbe particolarmente difficile. Per la Serbia si ha tutta una serie di volumi, frutto d’un lungo e paziente lavoro, sulle «abitazioni del popolo serbo» (5), ma la vita dei pastori non è però mai descritta sotto tutti i suoi aspetti, nè quindi sotto quello dell’arte prodotta da questa categoria sociale. Tanto meno si possono trovare delle informazioni precise sul modo di vivere, di costruire, di decorare di quei pastori della Grecia la cui origine è indubbiamente romena, unicamente romena, dai Vlachi, che nel Medio Evo nutrivano col loro formaggio i monaci del Monte Athos, fino a quelli che, usando i loro fucili contro nemici diversi dai lupi, contribuirono essenzialmente alla guerra di liberazione della nazione greca (6). Per la vita pastorale dei Romeni, invece, noi possiamo valerci, oltre che dei nostri ricordi, delle informazioni date da varie pubblicazioni (7)
Il pastore si costruisce senza l’aiuto di nessuno — e il suo vicino, l’abitante del villaggio, compie anch’egli da solo le funzioni di tutti i diversi artigiani — la sua stână, o meglio, in quella «stână» che comprende anche il chiuso delle pecore e l’apparecchio di legno che serve a mungerle, si costruisce la strungă, la sua capanna, quella colibă il cui nome s’incontra da un capo all’altro del territorio carpato-balcanico.
Nel recinto formato da verghe intrecciate o da rami appoggiati a tronchi fissati in terra, si piantano quattro di questi tronchi, pari (da palus latino, da cui: palizzata), sopra i quali il tetto, coperemânt, coperiș (da cooperire) forma un frontone triangolare come quello del tempio greco al di sopra della «cella» quadrata. Siccome in questa impalcatura primitiva di legno, coperta di scorza di pino o di piccole assicelle formanti corazza, è impossibile introdurre un focolare (in romeno vatră) di muratura, e siccome è inutile avere un massiccio cuptor (dal coctorium del latino volgare) per il pane, ci si contenta della polenta di granturco, che si prepara facendo bollire la farina dorata in una «caldaia» (căldare in romeno) attaccata a un pezzo di legno congiunto a uno di quei «pali», il «cavallo» (cal in romeno). Introducendo un altro pezzo di legno, il năclad, si impedisce al fuoco di incendiare le pareti facilmente infiammabili della capanna. Gli unici utensili sono quelli contenuti in una bisaccia appesa alle pareti, e dei vasi di legno, (il cui nome, găleată, dev’essere antichissimo), per contener il latte e per preparare il formaggio.
È molto raro che si usino dei procedimenti artistici per ornare questa dimora passeggera che sarà abbandonata o anche distrutta a una nuova emigrazione del gruppo pastorale. Ma le cose vanno altrimenti per i bastoni, cațe, bâte, le mazze di legno resistente di «caprifoiu» (lanicera caprifolia) (8) che formano lo «scettro» permanente di questi conduttori di greggi. I flauti, di cui alcuni regolano la marcia della piccola truppa, portano degli ornamenti dello stesso genere, e così pure i cucchiai, i coltelli e altri elementi di questo sbrigativo impianto domestico. Ma, siccome appartengono alla categoria degli utensili, saranno studiati insieme con quelli, molto più numerosi, che si trovano nella casa del contadino.
Nella regione collinosa, da cui più d’una volta partì la colonizzazione della pianura traversata dalle invasioni, la casa romena, che corrisponde a quella di tutta la regione della penisola balcanica fedele alle tradizioni traco-illiriche — diverse, come presto vedremo, da quelle mediterranee — ha il suo carattere più completo e la più ricca ornamentazione. Ma bisogna dire che fra il sistema ornamentale del pastore e quello del contadino non vi è alcuna differenza essenziale. Ciò non significa che noi vogliamo attribuire al pastore in questi paesi un’antichità più grande che al contadino — suo vicino e suo parente — , perchè il primo in certi momenti si stacca dall’ambiente del secondo per montare verso gli altipiani elevati o per discendere nella larga pianura.
Vi sono molti tipi di case, talora anche diversi secondo le vallate che formano le divisioni naturali della terra romena, in quella regione montagnosa ove, se i villaggi non sono molto abitati, si ha come una continuità di case, da un aggruppamento all’altro, da un villaggio al villaggio vicino. Ma, tranne per i magazzini di granturco, fatti di verghe di salcio intrecciate, e solo in certi distretti, non si trova mai altra forma che quella d’un quadrato o piuttosto d’un parallelogramma, più largo dal lato della facciata che, specie se sostiene dei vasi di fiori su assicelle o sul davanzale del balcone, sembra sorridere al passeggero e invitarlo a riposare un momento sotto il suo tetto.
Per questa costruzione si possono adoperare dei tronchi squadrati le cui estremità si incastrano le une nelle altre, e tagliare in queste masse di legno le porte e le finestre. Di solito, e specialmente al tempo nostro, il procedimento è diverso e somiglia a quello della capanna pastorale. Ma l’abitazione non è aperta a tutti i venti: i «pali» non si trovano solo agli angoli, e fra i loro sostegni è intercalato un tessuto di verghe molto fitto che vien poi coperto d’argilla mista agli escrementi del bestiame, o anche di palle fatte di verghe e di questo miscuglio attaccaticcio.
La parte inferiore delle pareti così formate sporge in avanti, sia, come nella regione collinosa valacca, con la base, fatta di pietre rotonde prese nel ruscello vicino e che fa le veci di fondamenta, sia con quella che nella Moldavia montagnosa si chiama la prispa e che è fatta di semplice terra battuta. Spesso si dorme su questo letto all’aria aperta e vi si passa la serata a chiacchierare sotto la chiara luce lunare o sotto l’incerto scintillio delle stelle. Su questa parte di basamento si appoggiano delle colonnette disposte su una sola fila o che possono anche sporgere come un bastione sopra l’ingresso della cantina, come avviene in Valacchia, ove le fondamenta, di natura speciale, si elevano al di sopra del suolo tanto da permettere di praticarvi una porta d’entrata. Talvolta il legno è ricoperto d’intonaco, e nelle case più ricche può anche comparire la colonna in muratura o persino il sostegno quadrangolare dello stesso materiale. Dalle parti di Vârciorova si vedono pure degli archi in muratura che congiungono le sommità delle colonne di legno, le quali allora mancano del capitello.
Tali colonnette, mentre forniscono alla casa, che in Moldavia ricingono su tre lati se non tutt’attorno, una stanza all’aria aperta propizia alle sieste e corrispondente in pari tempo a un corridoio e a un mirador spagnuolo, servono anche a sostenere il tetto. Questo, coperto di traversine o di assicelle, e in seguito, secondo l’uso sassone della Transilvania, di tegole — il nome romeno țiglă viene da ziegel germanico — è di solito molto alto e imbutiforme per permettere senza pericolo l’accumularsi delle grandi nevi o per riversare lungi dalle fondamenta gli acquazzoni frequenti, talora torrenziali. Alle due estremità, le guglie fiancheggiano la cresta sottile del vertice.
Prima d’imparare a conoscere quanto l’ornamentazione possa offrire alla bellezza delle linee sobrie e armoniose trovate per istinto dal costruttore rurale, vediamo come si presenti l'interno.
La scala non esiste affatto in Moldavia; si accede alla casa dalla parte di mezzo, al livello stesso della corte, e una sola pietra può sostituirla. In Valacchia, quando al centro c’è l’ingresso della cantina, la scala si trova di fianco, quasi sempre a sinistra, ed è formata da pochi gradini di legno. Si giunge così a quel balcone, aperto che ricorda il peristilio dei templi di marmo, le cui origini, in parte almeno, vanno ricercate nella semplicità di queste abitazioni d’origine millenaria.
Appena entrati, si trova, non la stanza centrale, contenente il focolare, come avviene in pianura, ma uno scompartimento oblungo, talora illuminato da una finestra che è al fondo o da una specie di spiraglio al di’ sopra della porta. A destra e a sinistra si apre una stanza d’abitazione: prima che si introducesse il termine turco odaie, indicante la camerata dei giannizzeri o un ridotto per il bestiame, queste stanze si chiamavano case, come la casa stessa: la grande camera a destra, casa mare, solo per gli ospiti; la piccola a sinistra per tutti gli abitanti e per tutte le occupazioni (9). Vi sono casi frequenti in cui la linea molto elastica, la dorsale cascante del tetto discende a destra e a sinistra, massime in fondo, in modo da riparare un rispostiglio o una cucina, aggiunti alle altre parti della casa.
Il portone (vedi più oltre), da un capo all’altro del territorio romeno, è spessissimo una cosa indipendente, di grande importanza. Certe volte non ci sono che le due assi cui è attaccata la porta propriamente detta, la porta grande, e la portița, la porticina. Ma assai spesso sono riunite da una tettoia speciale, coperta di tavole e di assicelle, e si ha allora come un arco di trionfo per questa cavalleria rusticana. Ho visto delle stanzette di legno, veri posti d’osservazione stabiliti sopra la porta, o ricovero per i colombi. Forme di tetti simili a queste coprono le fontane e le croci innalzate lungo la strada, per ricordare fatti storici, omicidi, o anche per manifestare la religiosità di persone i cui redditi non consentivano di costruire una chiesa.
Questo tipo di casa rurale s’incontra ovunque nei
Costume dell’Oltenia (distretto di Gorj)
Casa valacca signorile: Vălenii-de-Munte
Carpazi e nella regione collinosa che li fiancheggia, tanto nel territorio romeno quanto nei luoghi ove altre razze presero e conservarono l’eredità degli antichi Traci. La Polonia, a parte anche le sue isole rutene, ne presenta numerosi esemplari, con varianti locali. Gli Sziculi della Transilvania, antichi custodi delle marche, ivi stabiliti da quei colonizzatori che furono i Cavalieri Teutoni all’inizio del XIII secolo, adottarono, al loro stanziarsi in quell’ambiente millenario, il metodo di costruire, se non quello di ornamentare, dei Romeni: le loro case di legno nell’angolo sud-est della provincia, non si differenziano in nulla, come linea, dall’abitazione romena; il che però non avviene colà dove si trovano mescolati ai Sassoni, la cui abitazione è quella di tutti i Renani (10). Da questo lato tale sistema di costruzione ha come frontiere, a est il tipo di casa russa, di carattere finno-asiatico, l’izba; a ovest, la casa germanica dei coloni stabiliti dai re d’Ungheria nel «deserto» dell’avida loro fiscalità.
A sud, fino alla regione costiera, nella direzione dei tre mari, l’Adriatico, l'Arcipelago e il Mar Nero, la tradizione architettonica è la stessa; la si ritrova tanto nelle vallate della Serbia montuosa e in quelle della Bosnia-Erzegovina, quanto presso i Bulgari dei Balcani e del Rodope; e con i casali all’illirica, alla «vlaca», copre il versante orientale del Pindo.
Da queste regioni marittime e soprattutto da quelle del Mar d’Occidente e del Mar del Sud — la riva del Mar Nero e il suo territorio interno albergano una popolazione colonizzata per ordine amministrativo o per migrazione popolare, rinnovatasi parecchie volte — proviene un altro sistema, di cui vedremo fra poco il raggio di estensione: quello della casa adriatica.
Ma prima di presentare alcuni dei suoi caratteri altamente interessanti e tali da poter influire sull’antico sistema di costruzione traco-illirico, provocando delle sintesi nuove, bisogna esaminare la forma che la casa della montagna e della collina deve, degenerando, adottare in pianura, forma che riproduce l’aspetto della capanna dacica sulla colonna di Traiano.
Il legname spesso manca, sebbene le grandi foreste si fossero conservate in epoca anteriore fino al Danubio; così, nella regione meridionale di quella Moldavia orientale che dal 1812 al 1918 costituì la Bessarabia russa, gli alberi sono rari, e si presentano solo a gruppi nella cinta del villaggio. Tuttavia neppure in tal caso se ne fece un uso più largo: e forse bisogna ricercarne la ragione nelle condizioni sociali, ben diverse da quelle della regione carpatica e subcarpatica, perchè ivi il contadino non è più libero, almeno a partire da una certa data, verso il 1600, ma appartiene al proprietario, al boiaro, che possiede in genere la superficie alberata. A ogni modo, se per determinare il quadrato della casa si adoperano le stesse pertiche appena sgrossate, se per sostenere il tetto si piantano le colonnette nella prispa che è di terra semplice, manca però la parte inferiore comprendente la cantina, il magazzino. Tale modificazione può anche attribuirsi al fatto che questi abitanti della pianura non hanno da conservare nè vino nè liquore di prugne (la zuica): agricoltori, essi vivono del prodotto del loro vampo e accanto alla casetta si innalza il coșar, la costruzione rotonda di verghe strettamente intrecciate, che non ha la base di legno come presso i montanari, viticultori, coltivatori di susini; quel coșar dove si mette a seccare il granturco e che rappresenta nella loro economia domestica una parte più importante che altrove. Nel distretto di Dolj, in Oltenia, paese di ricca cultura e di contadini agiati, almeno dopo la liberazione e la distribuzione delle terre, il legname scompare anzi del tutto. Il modo di costruire è curioso, e conduce a inattesi risultati di resistenza. Si batte la terra, argillosa, attaccaticcia, facile a indurirsi, in mezzo alle tavole, e così si innalza la parete sotto ripetuti colpi di mazza; ma appena il sole ha fatto l’opera sua, si levano le tavole, e la costruzione resiste, sebbene priva di ossatura.
Anche nelle altre parti della pianura l’ufficio dell’intonaco è molto più importante, rispetto al legname e al graticcio, il quale ultimo sostituisce in gran parte il legname. Lo strato è tanto spesso da permettere, per via di certi procedimenti meccanici, una decorazione complicata e varia, di ottimo gusto, sulla quale torneremo in quest’altro capitolo.
Se la foresta non sempre si trova nelle vicinanze, se spesso non è libera, il campo di grantuco o lo stagno offre di che sostituire il tetto di assicelle, la cui forma vien conservata per quanto è possibile, ma in condizioni che, nonostante le piogge assai frequenti e anche furiose, non offrono la stessa facilità di scolo. La sommità è tracciata con delle pertiche e guardata, anche qui, dalle due guglie più o meno ricche di ornamenti. Ma l’orlo inferiore non ha più la complicata dentellatura dell’altra regione; anzi non la si distingue nemmeno, perchè lo scheletro di legno è coperto da giunchi o da gambi di granturco, sopra i quali si son gettate delle pertiche per tenerli fermi. Talora vi è mescolata della terra vegetale, e allora un vero giardino aereo di erbe selvatiche si eleva sopra il modesto riparo dell’antico servo. Questa maniera di coprire la casa s’incontra in Russia e in Polonia, e anche nell’antico Veneto, ma non che io sappia nei Balcani, più ricchi di boschi, più generalmente montagnosi da un capo all’altro; e se dà un’aria di povertà, che non sempre corrisponde alla vera condizione dei contadini in una regione tanto fertile, suscita tuttavia la nostra ammirazione per l’arte delicata con cui i fasci di gambi son disposti in modo da formare parecchi strati sporgenti gli uni sugli altri, e legati insieme in modo abilissimo e durevole. E siccome le case, su quei grandi spazi liberi, sono separate da verzieri, c’è assai poco pericolo di incendio per la comunità.
L’interno conserva la distribuzione in due camere, salvo nelle capanne più umili; talora la camera piccola può ridursi a una stanza d’ingresso, la tindă. La prispă sostituisce la base di pietra del balcone, propria delle regioni montagnose: essa sembra prolungarsi all'interno per diventare il letto — un unico letto per tutti, attorno alla camera (lavița11). Ma in mezzo c’è il focolare, quel focolare così caratteristico’ delle antiche civiltà preelleniche. Esso occupa quasi tutta la stanza di mezzo, e serve a cuocere il pane più che ai bisogni d’una cucina romena che d’estate si fa in un forno esterno, mentre ha anche l’ufficio di riscaldare i membri della famiglia nelle rigide notti d’inverno. Il mantenersi di questa vatră, di questo cuptor in pianura, allorché le colline non conoscono che la stufa: cuptor, la quale nelle sue modeste dimensioni non può avere questa seconda funzione, prova che questa popolazione danubiana non ha mai abbandonato un territorio in cui l’abitazione umana fin dall’epoca neolitica lasciò nelle viscere della terra tracce così numerose e importanti a testimoniare una ricca civiltà preistorica.
La casa mediterranea, nei Balcani come altrove, comprende due piani di una costruzione di pietra, che quivi è coperta di tegole convesse. In alcune regioni si ha al pianterreno la bottega o un magazzino; in altre questa parte, conservando il solo carattere di luogo di deposito, non è mai abitata, tranne nelle case di capi potenti, ove le guardie sono allogate in questo piano dell’edificio. Dall’alto, dal balcone appoggiato su brevi colonne tozze di pietra, si spia l’avanzare del nemico, contro il quale si spara da feritoie. È una vera cittadella senza cinta che s’innalza isolata sopra una cima o in luogo donde si possano sorvegliare le strade. I Turchi l’hanno chiamata «cula», mentre il nome greco, «pyrgos», è passato in quasi tutte le lingue balcaniche. Questo termine s’è poi esteso in Albania a costruzioni di difesa che, con mura appena forate da strette aperture, riuniscono delle stanze laterali in continuazione della «torre» propriamente detta.
Tale variante della casa mediterranea trovasi, accanto al castello gotico, nei paesi greci, in Epiro, in Albania, in gran parte del territorio serbo, insieme con l’altro tipo sopra descritto. In nessuno di questi paesi si trovano forme miste, nè si constata la fusione con l’abitazione trace o traco-illirica.
Diversamente stanno le cose presso i Romeni. Dapprima, in paese libero, non sottomesso ai re d’Urgheria, fra il Banato soggetto allo straniero e la linea dell’Olt, dotato di un clima specialissimo, e orientato verso l’Adriatico, si continua inalterata la «cula» serbo-albanese. Ma, siccome la ricchezza è maggiore, la potenza del principe assicura la pace e ci si può difendere altrimenti che in una «torre» contro l’invasione straniera (dei Turchi a sud, degli Ungheresi a nord, talora dei Tatari della steppa), si respira più liberamente nella casa, che si spoglia presto del suo aspetto cupo e minaccioso. La parte inferiore, che resta, beninteso, la più importante, è forata non solo da feritoie oblunghe, ma spesse da vere finestre, corrispondenti a quelle del piano superiore. Questo si eleva elegante, con sul davanti una fila di colonne delicatamente ornate; alle quali, a Curtișoura (Gorj), è unito un balconcino, appoggiato su due colonnette e sormontato da un piccolo frontone triangolare; a Brabova (Dolj) sui fianchi vi sono degli archi senza colonne. Come in Albania, alla torre» propriamente detta possono annettersi delle costruzioni secondarie formanti un’ala (Măldărești, Vâlcea). In certi casi — come a Pojogeni (Gorj) — la parte superiore non è che un posto d’osservazione, di legno, sotto il tetto, mentre i due piani di’ pietra si susseguono al di sopra della cantina. La decorazione in pietra compare qua e là alle finestre, alle semplici aperture; all’interno, vi sono delle volte dai profili gotici, dagli ornamenti di stucco. Talora sotto i due piani, destinati all’abitazione, c’è la cantina la cui porta è al di sopra del livello della corte. In confronto all’altezza dell’edifizio, che presso questi Romeni d’Oltenia conserva il suo nome turco, serbo-turco (culă), il tetto, di solito formato da assicelle, sembra assai basso.
È una casa di boiari, grandi e piccoli, una curte (corte). Il tipo mediterraneo, opera di umili artigiani ambulanti, o anche di contadini indigeni o di schiavi zingari, non è disceso al livello delle masse rurali, non è entrato nel patrimoni di quei semplici compositori di armonie elementari. Essi non hanno bisogno di «torri» per difendere la loro magra fortuna: la foresta vicina con le sue inscrutabili profondità è pronta ad accoglierli. Non hanno modo di procurarsi nè pietre nè mattoni, non hanno tempo di scolpire nella pietra quei capitelli ornati che appartengono all’arte superiore dei fondatori di chiese, di monasteri, dei costruttori di palazzi.
Tuttavia, tranne forse dove il contadino, generalmente povero, non si eleva al di sopra delle proporzioni meschine dell’abitazione comune, dell’uno o dell’altro tipo, un adattamento rurale si ha al di là dell’Olt, iti una regione ben determinata, che comprende, di fronte alla Oltenia amante piuttosto della semplice «cula», le «giudicature» (județe), i distretti di Argeș, di Muscel, di Dâmbovița, di Prahova e una parte di quello di Buzău. Quest’adattamento non deriva solo, come fu affermata, dalla necessità di costruire sopra un terreno ineguale, ascendente verso gli altipiani o verso le cime, così che la parete anteriore deve avere un’altezza più grande. I Romeni, nel loro passato minacciato, costruirono nelle valli o su punti difficili a scoprire; essi non scaglionarono le loro case sul declivio stesso delle colline come in Toscana e in altri paesi occidentali. Questa forma ha un’altra origine, è presa da un’altra nazione, per il tramite di un’altra classe romena: è una semplificazione e una diminuzione.
Su questo territorio, che vide sorgere e crescere la «signoria di tutto il paese romeno» chiamata ordinariamente: principato di Valacchia, in terra quindi di principi, di guerrieri, di nobili, sempre in agguato e perciò sotto l’influenza delle loro grandi e belle costruzioni, si avranno dunque delle case di mattoni, o anche miste di mattoni e di legno, a due piani. Il più basso è abitabile, pur restando di solito consacrato alla cantina, al deposito di bevande da vendere, e occupa generalmente la parte più importante della casa. Il piano di sopra, sorridente dalle sue molte finestre, munite per altro d’inferriate per precauzione, si appoggia su delicate colonnette di legno dai capitelli lavorati, secondo modelli visti nelle chiese — ciò che rimanda a un’altra arte — oppure secondo la stessa fantasia popolare, il che rientra nell’ambito dei nostri studi. Se nella regione della pianura la casa bassa a un piano, copiata su quella dei Turchi, connessa a sua volta con l’antico tipo trace, ammette un tetto di tegole convesse separate da scanalature longitudinali, qui invece si conserva il tetto alto di assicelle. La casa dei signori è divenuta quella dei contadini più ricchi e più fieri. È una forma completamente naturalizzata, come lo provano le numerose varianti che se ne hanno. Una ve n’ha, particolarmente curiosa, a Cartieni, nel distretto di Gorj. Ai due piani vi sono due balconi e quello del secondo piano continua a destra, mentre dalla stessa parte si vede al primo piano tutta una nuova costruzione in muratura, con archi aperti, doppi di altezza. In queste abitazioni di solito non c’è il focolare-cucina, ma c’è invece la stufa in muratura, di forme monumentali, con la sua facciata di colonne che rappresenta un vero sistema di architettura (12).
Per porre un termine allo studio di tutte queste forme dell’abitazione popolare, bisognerebbe dire due parole di quella dei pescatori, i pescatori del Danubio, i soli che abbiano un carattere determinato sotto tutti i rapporti, tanto sulla riva romena che su quella bulgara. Avendo a fianco la rudimentale fabbrica di pesce salato, essa è però costruita in modo assolutamente primitivo, che esclude ogni possibilità sia di fornire una linea che di ricevere degli abbellimenti. Del resto, la maggior parte di questa popolazione vive in villaggi come tutti gli altri che partecipano delle stesse condizioni dei loro vicini e connazionali (13).
Sala del Museo etnografico transilvano a Cluj
Casa valacca
Note
- ↑ Vedi: Mélanges d’archéologie et d’histoire de l'ècole de Rome, 1905, p. 293 e sgg.: La transhumance des troupeaux en Italie et son rôle dans l’histoire romaine. In modo speciale questo passo: «I pastori, figli di pastori, si mettono in cammino alla stessa epoca in cui soleva farlo il loro padre. Essi spingono innanzi le loro mandrie attraverso gli stessi sentieri pei quali egli aveva guidato le sue. Questo ritmo dell’attività pastorale è fissato da secoli. Lo si trova, sempre identico, in tutti i periodi della storia d’Italia; si continua forse ininterrottamente nelle invasioni primitive delle tribù nomadi che popolarono l’Europa centrale.
- ↑ cfr. Loti, Vers Ispahan.
- ↑ Varrone, IX: «Eas mulieres esse oportet firmas, non turpes, quae in opere, ut in multis regionibus, non cedant ciris, ut in Illyrico passim videre licet quod vel pascere pecus vel ad focum afferre ligna ac cibum coquere vel ad casus instrumentum servare possunt». «Necnon etiam hoc; quus virgines ibi appellant, nonnunquam annorum XX, quibus mos eorum non denegavit ante nuptias ut succumberent quibus vellent et incomitatis ut vagavi liceret et filios habere».
- ↑ Lettres de Pierre de Noyers, Berlino 1859, pp. 59-60. Cfr. le note di M. P. Deffontaines in La Vie, XII, p. 236: «nei Beschidi son tali i Boiki, di origine valacca, che fin dal XIV secolo si infiltrarono attraverso le montagne: le loro abitazioni sono raggruppate in piccoli aggregati da dieci a venti case e il legno è di nuovo il loro materiale di costruzione, tanto per le pareti di tronchi d’albero, quanto per i tetti di assicelle».
- ↑ Nasélia srpskago naroda, edizione dell’Accademia di Belgrado.
- ↑ Yéméniz: La Grèce moderne, Paris, 1862.
- ↑ Densusianu: Viața păstorească în poesia noastră populară, Bucarest 1922; D. Dan, nella Junimea literară di Cernaust, anno 1923; un articolo recente nella rivista di Densusianu, Grai și suflet (1930).
- ↑ Dan. loc. cit., pag. 105.
- ↑ Lo Jänecke, Das Bauer-und Bojurenhaus, osserva con ragione che da tale distribuzione deriva la locuzione popolare: O pareche de case, «un paio di case».
- ↑ V. lo studio di Sabin Opreanu, nell’«Annuario dell’Istituto geografico di Cluj» (Transilvania), Cluj 1928; Teodoro Chindea, Contribuții la istoria Românilor din Giurgeul-Ciucului, Gheorgheni 1930.
- ↑ Jänecke, op. cit. tavola XXIII, figura 90.
- ↑ V. Jänecke, op. cit., p. 18 e sg.
- ↑ Lo Jänecke cerca una origine sassone per la dimora del Romeno, che egli avrebbe voluto gratificare solo dell’originalità del bordeiu, la tana sotterranea, rarissima e solo in pianura, sulla via delle invasioni. Invece si trovano, come a Prejmer (Tartlau) vicino a Brașov, nella «chiesa castello», delle costruzioni di tipo romeno. V. Sigerus, Siebenbürgische Burgen-und Kirchen-Kastelle.