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mazioni precise sul modo di vivere, di costruire, di decorare di quei pastori della Grecia la cui origine è indubbiamente romena, unicamente romena, dai Vlachi, che nel Medio Evo nutrivano col loro formaggio i monaci del Monte Athos, fino a quelli che, usando i loro fucili contro nemici diversi dai lupi, contribuirono essenzialmente alla guerra di liberazione della nazione greca (1). Per la vita pastorale dei Romeni, invece, noi possiamo valerci, oltre che dei nostri ricordi, delle informazioni date da varie pubblicazioni (2)

Il pastore si costruisce senza l’aiuto di nessuno — e il suo vicino, l’abitante del villaggio, compie anch’egli da solo le funzioni di tutti i diversi artigiani — la sua stână, o meglio, in quella «stână» che comprende anche il chiuso delle pecore e l’apparecchio di legno che serve a mungerle, si costruisce la strungă, la sua capanna, quella colibă il cui nome s’incontra da un capo all’altro del territorio carpato-balcanico.

Nel recinto formato da verghe intrecciate o da rami appoggiati a tronchi fissati in terra, si piantano quattro di questi tronchi, pari (da palus latino, da cui: palizzata), sopra i quali il tetto, coperemânt, coperiș (da cooperire) forma un frontone triangolare come quello del tempio greco al di sopra della «cella» quadrata. Siccome in questa impalcatura primitiva di legno, coperta di scorza di pino o di piccole assicelle formanti corazza, è impossibile introdurre un focolare (in romeno vatră) di muratura, e siccome è inutile avere un massiccio cuptor (dal coctorium del latino volgare) per il pane, ci si contenta della polenta di granturco, che si prepara facendo bollire la farina dorata in una «caldaia» (căldare in romeno) attaccata a un pezzo di legno congiunto a uno di quei «pali»,

  1. Yéméniz: La Grèce moderne, Paris, 1862.
  2. Densusianu: Viața păstorească în poesia noastră populară, Bucarest 1922; D. Dan, nella Junimea literară di Cernaust, anno 1923; un articolo recente nella rivista di Densusianu, Grai și suflet (1930).