Atto II

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Atto I Atto III

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ATTO SECONDO.

SCENA PRIMA

Camera in casa di Pantalone con tre porte.

Pantalone e Rosaura.

Pantalone. Via, cossa xe sto pianzer? Cossa xe sto suspirar? Vostro danno, no dovevi incapriziarve in t’un forestier. Savè pur che i offiziali adesso i xe qua, doman i xe là; che i xe soggetti ai ordini del so general. Ve manca partidi da par vostro in città? Aveu paura de no ve maridar con zente da par vostro, con zente ricca e civil?

Rosaura. Ah, signor padre, ora le vostre parole non sono più a tempo. È vero, non dovea innamorarmi di don Alonso, lo confesso, lo accordo: ma ora il male è fatto, nè fia possibile che me lo stacchi dal cuore. [p. 286 modifica]

Pantalone. Abbiè pazenzia. L’anderà via. Dise el proverbio: la lontananza ogni gran piaga sana. Se sanerà anca la vostra.

Rosaura. Ciò non sarà possibile. Piuttosto mi vedrete struggere di giorno in giorno, e morire.

Pantalone. Eh! Coss’è sto morir? Coss’è ste frascherie? Animo, animo, a monte. Ve manderò, ve troverò un bel zovene de vostro genio. No ve dubitè gnente, che un chiodo scazza l’altro.

Rosaura. Quello di don Alonso mi sta troppo fitto nel cuore.

Pantalone. Oh, alle curte. Don Alonso no xe per vu.

Rosaura. Oh cielo! Perchè mai?

Pantalone. Per cento rason. E pò, no vedeu? Sempre colla spada in man, sempre criori, sempre baruffe.

Rosaura. Don Alonso è assai ragionevole. Non si riscalda, se non è provocato.

Pantalone. A proposito. Cossa ha dito quel sior tenente, che v’ha offeso vu, e ha obbligà quell’altro a sfidarlo alla spada?

Rosaura. Mi ha detto pettegola, fraschetta, impertinente.

Pantalone. Cussì se parla con una putta? Perchè v’alo dito ste impertinenze?

Rosaura. Perchè, venuto nelle mie camere senza ambasciata, io lo ripresi d’inciviltà.

Pantalone. El xe un bel fior de vertù. Manco mal che no m’ha toccà a mi a averlo in casa. In t’un’armada ghe n’è de tutte le sorte, ghe n’è de boni, e ghe n’è de cattivi; e bisogna pregar el cielo, dovendo darghe quartier, che s’imbatta in t’i boni.

Rosaura. Di don Alonso non vi potete dolere.

Pantalone. No me ne posso gnanca lodar.

Rosaura. Perchè? Che vi ha egli fatto?

Pantalone. El t’ha innamorà, el t’ha incantà, el t’ha destrutto, e de una putta bona, quieta e innocente, che ti gieri, el t’ha fatto deventar un’anema desperada.

Rosaura. Povero don Alonso! Non gli imputate a delitto ciò che egli ha fatto senza sua colpa.

Pantalone. Via, basta cussì: no ghe ne parlemo altro. In casa [p. 287 modifica] mia, mai più offiziali; pagherò più tosto del mio el fitto de una casa a posta; la fornirò a mie spese, la darò per quartier a chi la vorrà: ma in casa mai più nissun. Se tanto ho da soffrir, avendoghene un bon, cossa sarave stà, se fusse vegnù a star da mi quel caro sior tenente Garzia.

Rosaura. Signor padre, osservate chi viene.

Pantalone. Chi èlo quello?

Rosaura. È il tenente Garzia.

Pantalone. Cossa vorlo? Retireve.

Rosaura. Regolatevi con prudenza. Non vi azzardate a rispondergli con calore. (Oh cielo! Mancava alle mie pene l’odiosa vista di quell’audace). (da sè, parte)

SCENA II.

Don Garzia e Pantalone.

Garzia. Ehi, ehi, signorina, non fuggite, che non sono il diavolo. (verso a Rosaura)

Pantalone. Cossa comandela, signor? La favorissa de parlar con mi.

Garzia. Siete voi il padrone di casa?

Pantalone. Per servirla.

Garzia. Bene: avrò l’onore d’essere alloggiato in casa vostra.

Pantalone. In casa mia?

Garzia. Sì; casa vostra mi è stata destinata per mio quartiere.

Pantalone. (No ghe mancheria altro). (da sè) In casa mia xe allozà sior don Alonso.

Garzia. Don Alonso è arrestato in casa del capitano.

Pantalone. Ma qua ghe xe la so roba.

Garzia. La sua roba si farà portar via.

Pantalone. La me perdona, no me posso tor sta libertà...

Garzia. Alle corte. Per ordine di chi comanda, si è fatto il cambio dei quartieri. Don Alonso non ha più d’abitare in casa vostra. Il Quartier-Mastro l’ha assegnata a me, ed ecco l’ordine in iscritto. [p. 288 modifica]

Pantalone. (Oh poveretto mi! Adesso stago fresco). (da sè) La me permetta che prima parla col Quartier-Mastro...

Garzia. Mostratemi prima l’appartamento, e poi parlate con chi volete.

Pantalone. L’appartamento xe serrà.

Garzia. Apritelo.

Pantalone. (No so come liberarme). (da sè) Le chiave le gh’ha sior alfier.

Garzia. (Questo vecchio non mi vorrebbe in casa). (da sè) Le chiavi dunque le ha il signor alfiere?

Pantalone. El gh’ha la roba, l’ha porta via le chiave.

Garzia. Qual è l’appartamento di don Alonso?

Pantalone. Quello. (mostra una porta chiusa)

Garzia. E quell’altro di chi è?

Pantalone. Quelle xe le mie camere. (ne addita un’altra)

Garzia. Ebbene, fintanto che don Alonso manda le chiavi del suo appartamento, abiterò nelle vostre camere. (s’incammina dov’è Rosaura)

Pantalone. La supplico, la se ferma. Là ghe xe la mia fameggia.

Garzia. Che cosa importa a me, che vi sia la vostra famiglia? Ci sarà loco anche per me. Ehi, entrate. (chiama alla scena)

SCENA III.

Arlecchino ed altri soldati con bauli, selle, stivali,
schioppi, pistole e altre robe del tenente
.

Pantalone. Cossa xe sta roba?

Garzia. Questa è una parte del mio bagaglio: verrà poi il resto; dite frattanto dove si deve mettere.

Pantalone. Ma... La perdona...

Garzia. Animo, non vi è tempo da perdere. I miei soldati non sono bestie.

Pantalone. Come! Arlecchin soldà?

Arlecchino. Sior sì, domandeghelo al mio preterito.

Garzia. Orsù, entrate in quelle camere. (accenna quelle di Rosaura) [p. 289 modifica]

Pantalone. L’aspetta; piuttosto... averziremo ste altre.

Garzia. Ma se non avete le chiavi!

Pantalone. Proverò se questa averze. Me par de sì. (Oh diavolo maledetto! Bisognerà che manda la putta fora de casa). (da sè; apre colle chiavi)

Garzia. (Vecchio malizioso, non mi voleva in casa). (da sè)

Pantalone. La toga; xe averto; ma ghe xe la roba de sior alfier.

Garzia. Il Quartier-Mastro la manderà a prendere. Andate. (ai soldati)

Arlecchino. (Oh che bel gusto a far el soldà! Oh che bella sodisfazion!) (da sè; entra in camera con li soldati)

Garzia. Avete buona stalla? (a Pantalone)

Pantalone. Oh, mi no gh’ho altro che una stalletta, dove appena ghe sta un cavallo1.

Garzia. E dove metteremo li miei quattro cavalli?

Pantalone. Da mi no gh’è liogo. La me creda, che casa mia no xe bona per un tenente.

Garzia. Non importa. Li terremo nell’entrata; alzeremo le panche e faremo le mangiatoie.

Pantalone. Oh poveretto mi! El me rovina tutta la casa: ma la diga, no diseveli che i doveva marciar stassera o doman?

Garzia. Abbiamo l’ordine di star preparati, ma la marcia non è sicura. Se partiremo, lascierò qui il mio bagaglio, ed al ritorno ci goderemo, staremo allegri, beveremo delle bottiglie, faremo delle feste di ballo, alzeremo una tavola di faraone; io taglierò, e voi sarete interessato nella banca. (parte)

Pantalone. Oh maledetto! come diavolo alo fatto a cazzarse in casa mia? Ho finto de no saver gnente delle insolenze che l’ha dito a mia fia, per no metterme a cimento de precipitar. Ma anderò a ricorrer; farò de tutto che el vaga via. Serrerò mia fia in camera, e se l’averà l’ardir d’avanzarse, ghe xe bona giustizia, me ne farò render conto. (entra in camera di Rosaura) [p. 290 modifica]

SCENA IV.

Corallina, poi Arlecchino e soldati.

Corallina. Che imbroglio è mai questo! Nuova gente in casa? Povero don Alonso, avranno saputo ch’egli faceva all’amore colla padrona di casa, e lo avranno levato dall’occasione. Per me non ci penso. Anzi, per dir vero, mi piace la novità.

Arlecchino. Corallina. (esce dalla camera ov’era entrato cogli altri soldati)

Corallina. Arlecchino?

Arlecchino. Andè, camerade, che vegno. (i soldati partono)

Corallina. Che fai in questa casa coll’abito da soldato?

Arlecchino. Ho acquistà el primo grado d’onor.

Corallina. Sì? me ne rallegro. Che cosa sei diventato?

Arlecchino. El facchin della compagnia.

Corallina. Almeno guadagnerai qualche cosa.

Arlecchino. Oh, siora sì.

Corallina. Ti pagano bene? Ti regalano?

Arlecchino. E come!

Corallina. Che cosa ti hanno regalato?

Arlecchino. Vintiquattro bastonade2.

Corallina. Oh povero Arlecchino! E vuoi continuare a fare il militare?

Arlecchino. Se savesse come far a desmilitarme!

Corallina. Si prova.

Arlecchino. Ho provà.

Corallina. E così?

Arlecchino. I m’accoppa de bastonade.

Corallina. Dunque è finita? Non puoi più avere la tua libertà? Povera Corallina, che ha perso il suo caro Arlecchino! Ti voleva tanto bene, e ora a vederti soldato mi sento crepar dal dolore.

Arlecchino. Auh, auh, auh, coss’oia mai fatt? Auh. (piange)

Corallina. Se fosse in libertà il signor don Alonso, procurerei io la tua cassazione. [p. 291 modifica]

Arlecchino. Te preg, quand el vien, parleghe.

Corallina. Ma se questa sera marciano, addio Arlecchino; non ci vediamo mai più.

Arlecchino. Mai più? Auh, auh. (piange)

Corallina. Non vi sarebbe altro che un rimedio solo.

Arlecchino. Dimmelo, cara ti.

Corallina. Ma vi vuol coraggio.

Arlecchino. Tra el corai e la paura, m’inzegnerò.

Corallina. Vien qui, che non ci sentissero. Bisognerebbe disertare.

Arlecchino. Cossa vol dir desertar?

Corallina. Vuol dir fuggire.

Arlecchino. Scampar? oh magari! Ma come?3

Corallina. Potresti travestirti in maniera di non essere conosciuto4. È poco che sei fatto soldato, tutti non ti conosceranno.

Arlecchino. Disi ben; questa la m’incontra infinitamente; come m’oia da travestir?

Corallina. Ci penseremo. Verrai a trovarmi, e la discorreremo.

Arlecchino. Son qua in casa col sior tenente.

Corallina. Sì? meglio; avremo campo di pensare.

Arlecchino. Cara Corallina, te son obbligà dell’amor che ti gh’ha per mi.

Corallina. Caro Arlecchino, vorrei vederti in libertà.

SCENA V.

Don Garzia e detti.

Garzia. Che fai tu qui? (ad Arlecchino)

Arlecchino. Gnente. (con timore)

Garzia. Perchè non vai a prendere il resto della mia roba? [p. 292 modifica]

Arlecchino. Son andadi i altri camerada...

Garzia. E tu chi sei?

Arlecchino. La me compatissa.

Garzia. Briccone! così obbedisci gli ordini che ti ho dato? (alza il bastone)

Arlecchino. Ah, lustrissimo padron... (si ritira)

Garzia. Fermati.

Corallina. Gli perdoni, poverino. (a don Garzia)

Garzia. Fermati, dico. (lo bastona)

Corallina. Ah signor ufficiale, per carità, basta così.

Garzia. Via, in grazia di questa giovane, ti perdono. (ad Arlecchino)

Corallina. (Maledetto! gli perdona dopo che lo ha bastonato). (da sè)

Arlecchino. Grazie alla bontà de vossustrissima...

Garzia. Che fai?

Arlecchino. Fazz la me obbligazion. (gli bacia il bastone) (Ah, se poss sbignarmela!) (da sè) Corallina.

Garzia. Non parti? (alza il bastone)

Arlecchino. Subito5. (parte)

SCENA VI.

Don Garzia e Corallina.

Corallina. (Io non posso vedere far male a una mosca). (da se)

Garzia. Bella giovane, siete voi la cameriera?

Corallina. Per servirla.

Garzia. Dite alla vostra padrona, che sia con me meno austera.

Corallina. Sì signore, la servirò.

Garzia. Dite, che se farà stima di me, non si pentirà d’avermi mandato del pari con don Alonso.6

Corallina. Ho capito.

Garzia. E voi non perderete il vostro tempo. [p. 293 modifica]

Corallina. Eh, benissimo.

Garzia. Sentite, non fo per lodarmi, ma son generoso con le donne.

Corallina. Oh, me l’immagino. (Se gli potessi cavar di sotto qualche cosa!) (da sè)

Garzia. Prendete tabacco? (tira fuori la tabacchiera d’argento)

Corallina. Sì signore, quando ne ho.

Garzia. Sentite questo, vi piace? (offerisce tabacco a Corallina)

Corallina. Oh buono! È proprio di quello che piace a me.

Garzia. Avete la tabacchiera?

Corallina. Guardi, ho questa porcheria. (ne mostra una cattiva)

Garzia. Lasciate vedere.

Corallina. Eccola. (Ora mi dona la sua d’argento). (da sè; don Garzia mette un poco di tabacco nella scatola di Corallina, e poi gliela dà)

Garzia. Eccovi quattro prese del mio tabacco.

Corallina. Oh, la ringrazio. (Bel regalo! Principiamo bene). (da sè)

Garzia. Questo non è niente. Vedrete quel che io farò per voi. Come vi chiamate?

Corallina. Corallina.

Garzia. Corallina mia cara, mi piacete7, e se mi vorrete bene, farete la vostra fortuna.

Corallina. Oh, io non merito che vossignoria...8

Garzia. In verità non ho veduto una donna che mi piaccia più di voi.9

Corallina. Ella mi mortifica.

Garzia. Avete due occhi che incantano.10

SCENA VII.

Brighella e detti.

Brighella. Illustrissimo padron, la perdoni. Sua Eccellenza il signor General la domanda.

Garzia. (Parte senza dir nulla, e senza guardar in faccia Corallina.) [p. 294 modifica]

Corallina. Oh bella! Così mi lascia?

Brighella. Coss’è, patrona? De cossa se lagnela?

Corallina. Mi par che il vostro signor tenente abbia poca civiltà colle donne. Se ne va senza nemmen salutarmi?

Brighella. Son qua, supplirò mi alle mancanze del signor tenente. Bisogna compatirlo; quando un offizial sente un ordine del comandante, el lassa tutto per rassegnazion; ma torno a dirve, se ve occorre qualcossa, son qua mi.

Corallina. Mi pare che quel signore sia un bello spilorcio.

Brighella. Perchè, padrona? Perchè?

Corallina. Mi esibisce tabacco; mi chiede la tabacchiera, vede che non ho altro che questa, me ne mostra una d’argento, e poi con quattro prese di tabacco se la passa, e mi rende la mia.

Brighella. Oh, cos’alo fatto? Che el me perdona, el s’ha portà mal. El vede che una signora della so sorte gh’ha una scatola de metallo, e nol ghe offerisce la soa? La favorissa: che tabacco èlo? Oh cattivo; cattivo tabacco, e pezo scatola; la se lassa servir da mi. L’averà una scatola da par suo. (va prendendo varie prese di tabacco)

Corallina. A me piace il tabacco rapè.

Brighella. So el mio dover. (versa il resto del tabacco in mano) La tegna la scatola, e a bon reverirla.

Corallina. (Buono! Mi ha levato anche le quattro prese di tabacco). (da sè) Quando ci rivedremo?

Brighella. Quando torneremo dalla campagna.

Corallina. Andate forse a combattere?

Brighella. Cussì se spera.

Corallina. Quando?

Brighella. Stassera o domattina.

Corallina. E vi andate con tanta franchezza? con tanta allegria?

Brighella. Signora sì, quando andemo a combatter, andemo a nozze. L’ozio ne rovina. Vorressimo sempre menar le mani. Chi mor, bon viazo, chi vive, pol sperar d’avanzar. Anca mi de soldado son deventà caperal e de caporal son passà a esser [p. 295 modifica] sergente: chi sa che col tempo no arriva a esser qualche cossa de più. In do maniere l’omo se pol avanzar, colla penna e colla spada: ma colla penna se va de passo, e colla spada se va de galoppo. (parte)

Corallina. Sì; ma galoppando vanno più presto all’altro mondo.11 (parte)

SCENA VIII.

Piazza remota.

Don Sancio e don ALONSO, ed alcuni soldati.

Sancio. L’occasion della marcia vi ha facilitata la libertà. Il signor generale ha parlato a don Garzia, ed è la cosa accomodata. Quando il tempo lo permetterà, io vi farò abboccare insieme, e tornerete amici.

Alonso. Vado ad allestirmi per la partenza.

Sancio. Dove?

Alonso. Al mio quartiere.

Sancio. Sapete voi dove sia il vostro quartiere?

Alonso. Non è la casa del signor Pantalone?

Sancio. No; vi fu cambiato. Il vostro equipaggio e il vostro quartiere sono alla locanda del Sole.

Alonso. Perchè questa mutazione?

Sancio. Per levarvi l’occasione di far all’amore.

Alonso. L’amore non impedisce di far il dover mio.

Sancio. Vi fa però cimentar colla spada.

Alonso. A ciò m’astrinsero le impertinenze di don Garzia.

Sancio. Originate dalla vostra passione.

Alonso. Dite più tosto dalla sua indiscretezza.

Sancio. Orsù, or non è tempo di garrire. Due ore mancano alla [p. 296 modifica] sera, due ore mancano alla nostra marcia. Avete udito battere la generala? Poco può tardare a suonar il rappello12.

Alonso. Con vostra permissione; or ora sono alla compagnia.

Sancio. Dove andate?

Alonso. Concedetemi un quarto d’ora, e mi vedrete alla mia bandiera.

Sancio. Voglio sapere dove indirizzate i passi.

Alonso. Ve lo dirò.

Sancio. Avvertite di non ingannarmi, che saprò il vero.

Alonso. Capace non son io d’ingannarvi. Vado a dar l’ultimo addio alla mia adorata Rosaura.

Sancio. E sarà vero, che in un tempo in cui dovete animarvi per la battaglia, perdere vogliate i momenti nelle tenerezze d’amore?

Alonso. Alle battaglie non ho bisogno di prepararmi. Il mio valore non esige esortazioni, nè consigli, per incontrare il cimento. Il tempo che mi avanza di libertà, voglio donarlo al mio cuore, senza pregiudizio dell’onor mio.

Sancio. Voi parlate con troppo ardire.

Alonso. Perdonate la mia sincerità.

Sancio. Nipote, non vi abusate dell’amore di vostro zio.

Alonso. Un capitano che zio non mi fosse, non cercherebbe di togliermi un momento di bene, che può essere l’ultimo della mia vita.

Sancio. A niuno più di me preme la vostra gloria.

Alonso. Perdonatemi, preme a me, quanto a voi.

Sancio. Col porla a rischio, mostrate curarla poco.

Alonso. Posso compromettermi della mia virtù.

Sancio. Questa è una presunzione.

Alonso. Il tempo passa, e lo perdo in vano; addio, signore.13

Sancio. Andate, giovine incauto; precipitatevi, se volete14.

Alonso. No, non lo temete. Son chi sono, e vi farò toccare con mano, che l’amor nel mio cuore cede il loco al dovere15 di buon soldato. (parte) [p. 297 modifica]

SCENA IX.

Don Sancio e soldati.

Sancio. Eppure lo compatisco. Gli mostro in faccia rigore, ma sento nel mio cuore pietà.16 Se nota non mi fosse la sua prudenza, l’avrei con la forza arrestato.

SCENA X.

Arlecchino vestito da donna, e detti.

Arlecchino. Per tutto l’è pien de soldadi. No so dove sconderme, no so dove andar.

Sancio. (Che donna è questa?) (da sè)

Arlecchino. (Oh diavol! L’è qua el me capitanio. Anderò da un’altra parte). (da sè)

Sancio. Mi ha guardato, ha mostrato timore e vuol andarsene indietro? Voglio conoscerla. Elà, donna, chi siete voi?

Arlecchino. (Oh, poveromo mi!) (da sè, vuol fuggire)

Sancio. Fermatevi, dico; chi siete?

Arlecchino. Sono una fanciulla. (alterando la voce)

Sancio. Dove andate?

Arlecchino. A cercar mio padre. (come sopra)

Sancio. Chi è vostro padre?

Arlecchino. Non lo so. (come sopra)

Sancio. (Vi è qualche inganno). (da sè) Scopritevi.

Arlecchino. Signor no. (come sopra)

Sancio. Perchè non vi volete scoprire?

Arlecchino. Per la mia pudicizia.

Sancio. (Costui è un uomo, che carica la voce. Sarebbe mai qualche spia?) (da sè)

Arlecchino. (Oh, se podesse scappar!) (da sè)

Sancio. Scopriti, o ti farò scoprire a forza di bastonate.

Arlecchino. (Ah, ghe son!) (da sè) [p. 298 modifica]

Sancio. Scopriti, giuro al cielo. (lo scuopre)

Arlecchino. Sior sì.

Sancio. Ah scellerato! Chi sei?

Arlecchino. Son un galantomo.

Sancio. Parla, confessa, sei una spia?

Arlecchino. Sior no, son un soldado onorato.

Sancio. Soldato!

Arlecchino. Sior sì, i m’ha fatto soldado stamattina.

Sancio. Di qual compagnia?

Arlecchino. De quella de vussioria.

Sancio. Come ti chiami?

Arlecchino. Arlecchin Battocchio.

Sancio. Sì, tu sei quello ch’è stato arrolato stamane. E ora, che pensavi di fare?

Arlecchino. Scappar, se podeva.

Sancio. Per qual ragione?

Arlecchino. Perchè no me piase le bastonade.

Sancio.17 Caporale. (chiama)

Caporale. Comandi.

Sancio. Fate arrestar costui. Sia posto in ferri, e custodito nelle prigioni.

Arlecchino. Manco mal, che nol me fa dar delle bastonade.

Sancio. Chi sa che costui non sia entrato nelle nostre truppe con intelligenza degl’inimici? Chi sa che ora non tentasse di uscire per avvisar l’inimico delle nostre mosse? In tempo di guerra convien temere di tutto18. (parte)

Caporale. Andiamo, camerata. Avete fatto presto a pentirvi.

Arlecchino. In grazia del vostro maledetto baston.

Due Caporali. Domani avrete finito di penare.

Arlecchino. Ah, sia ringrazià el cielo!

Due Caporali. Quattro schioppettate fanno il servizio.

Arlecchino. L’e meio quattro schioppettade, che dodese bastonade. (partono tutti) [p. 299 modifica]

SCENA XI.

Camera di Rosaura con porte laterali.

Rosaura e Beatrice.

Beatrice. Cara amica, perdonate s’io vengo a recarvi incomodo. È egli vero che don Garzia sia venuto di quartiere in casa. vostra?

Rosaura. Sì, pur troppo è la verità.

Beatrice. E don Alonso?

Rosaura. E il povero don Alonso è in arresto per sua cagione.

Beatrice. Come ha fatto don Garzia a introdursi nella vostra casa?

Rosaura. Chiederò a voi come abbia fatto a lasciar la vostra.

Beatrice. Spererà di star meglio.

Rosaura. È difficile; poichè voi abbondate di camere, e noi siamo ristretti.

Beatrice. Sì; ma supplisce il merito della padrona di casa.

Rosaura. Eh! signora mia, io non faccio la conversazione cogli uffiziali.

Beatrice. Nè per me si battono gl’innamorati.

Rosaura. Amo don Alonso, perchè deve esser mio sposo.

Beatrice. Ed io amo don Garzia per la stessa ragione.

Rosaura. Se don Garzia vi ama egualmente, perchè vi abbandona?

Beatrice. A questa interrogazione risponderete voi stessa.

Rosaura. Io?

Beatrice. Sì, voi saprete chi me l’ha levato di casa.

Rosaura. Io so che con prepotenza si è fatto aprire le camere di don Alonso.

SCENA XII.

Corallina e detti.

Corallina. Signora padrona, avete sentito?

Rosaura. Che cosa?

Corallina. La generala.

Rosaura. Che cosa è questa generala? [p. 300 modifica]

Beatrice. Marcia forse l’armata?

Corallina. Sì, signora, tutti prendono l’armi, si vanno unendo alla piazza, e quanto prima se ne anderanno.

Rosaura. Oh cielo! Partirà don Alonso, senza che io lo possa vedere?

Beatrice. Partirà don Garzia, senza mantenermi la fede?

Corallina. E il mio povero Arlecchino, chi sa se gli riuscirà di fuggire.

Rosaura. Cara Corallina, informati di don Alonso, se parte, se resta; oh prigionia fortunata, se gli vietasse il partire!

Beatrice. Procurate di vedere don Garzia; ditegli che vi è persona cui preme di favellargli. (a Corallina)

Corallina. Sì, signora, vi servirò, e nello stesso tempo m’informerò d’Arlecchino: siamo tre povere donne colpite da Venere, e assassinate da Marte. Il cielo ci liberi da Mercurio. (parte)

Beatrice. Quali sono le camere occupate da don Garzia?

Rosaura. Nell’altro appartamento a mano dritta, fuori subito di quella porta.

Beatrice. Vorrei sorprenderlo, s’egli viene. Mi permettete che io entri ad attenderlo?

Rosaura. Fatelo, se vi conviene di farlo.

Beatrice. Ad una vedova qualche cosa più si permette che ad una fanciulla.

Rosaura. Io so le mie convenienze, voi saprete le vostre.

Beatrice. Non vi prendete pena per me. Amica, a rivederci. (Barbaro don Garzia, tu m’hai da mantenere la fede). (da sè, entra)

SCENA XIII.

Rosaura sola.

Misera me19! Se parte don Alonso, quali spasimi proverà il mio cuore! Almeno lo vedessi una volta, almeno potessi dargli un addio. Poco potrò vivere da lui lontana. I suoi pericoli mi [p. 301 modifica] assaliscono con mille spade al seno, e l’immagine della sua morte accelera ad ogni istante la mia. Oh cielo! sento che mi abbandonan le forze. (si getta a sedere)

SCENA XIV.

Don Alonso e detta.

Alonso. Rosaura, idolo mio.

Rosaura. Oimè! voi siete? Voi, mio caro? In libertà? In questa casa? Come? Perchè? Partite? Restate? Consolatemi, per pietà.

Alonso. Se basta la fede mia a consolarvi...

Rosaura. Sedete, caro, non posso reggermi in piedi. (Alonso siede)

Alonso. Se basta la mia fede, eccomi di nuovo ad assicurarvene eternamente. Voi possedete il mio cuore; per voi, se il cielo mi serba in vita, per voi sarà questa mano; e se dispone il fato ch’io mora, morirò vostro marito20, col dolce nome di Rosaura fra le mie labbra.

Rosaura. Oimè! che nuova specie di tormento mi arrecano le vostre voci? Ah, se prima sospirai di vedervi, or bramerei di non avervi veduto. Che fiero distaccamento per me fia questo! Che immagine d’orrore m’infonde nell’anima la vostra partenza! Ah don Alonso, il vostro periglio è incerto, e la mia morte è sicura.

Alonso. No, cara, non temete che il dolore vi uccida. Ciò accaderebbe, se la speranza non vi consigliasse ad attendere il mio destino. Vado a combattere per l’onor mio, e mi vedrete tornar glorioso a deporre a’ vostri piedi la spada. Sì, vi ho promesso il sacrificio di questa spada, e lo farò, mia vita; sì, lo farò, e meco vivrete contenta, ed io m’appagherò del trionfo del vostro cuore, dell’acquisto della vostra bellezza.

Rosaura. Belle lusinghe ad un’anima innamorata! Queste durano fin che vi vedo. Ah, partito che siete, il dolore s’impossessa vie più del mio spirito, e non vi prometto di vivere lungamente. [p. 302 modifica]

Alonso. Deh, non vi avvilite con immagini così funeste. Con qual coraggio anderò io a combattere, se voi m’indebolite a tal segno?

Rosaura. Oh, giungessi io ad avvilirvi cotanto, che foste più di me che della gloria invaghito!

Alonso. Ah no, Rosaura, non vi trasporti l’amore sino a desiderarmi indegno del nome di cavaliere. Cagliavi dell’onor mio quanto della mia vita, e apprendete la massima, che meglio è morire con gloria, che vivere con disonore.

Rosaura. Quai lezioni volete voi insegnarmi ora, che non conosco me stessa per la violenza dell’amorosa passione? Sono un’anima addolorata; compatitemi e consolatemi, se potete.

Alonso. Altro non posso dirvi, mia cara, se non ch’io v’amo; altro non posso offerirvi che la mia mano, in prova21 dell’ amor mio.

Rosaura. Sì, don Alonso, la vostra mano in questo punto fatale può far argine alla forza del mio dolore.

Alonso. Eccola, mia vita, eccola tutta vostra.

Rosaura. Cara mano, il cielo ti renda vincitrice e gloriosa.

Alonso. Addio, Rosaura.

Rosaura. Deh, non mi abbandonate sì tosto.

Alonso. Volano i momenti, e il mio dovere mi sprona.

Rosaura. Ancora un poco trattenetevi, per pietà.

Alonso. Sì, idolo mio, giacchè il cielo mi rende in questo punto felice...

Rosaura. Ricordatevi di chi v’adora. (si sente il tamburo)

Alonso. (Sì alza e sì pone il cappello in capo.)

Rosaura. Oimè! partite?

Alonso. Sì. Addio.

Rosaura. Fermatevi.

Alonso. L’onor mio noi consente.

Rosaura. Un momento.

Alonso. Addio. (va per partire) [p. 303 modifica]

SCENA XV.

Don Garzia e detti.

Garzia. Bravo signor alfiere! Chi porterà per voi la bandiera?

Alonso. Io farò il mio dovere. (vuol uscire)

Garzia. Eh, divertitevi colla vostra bella. (l'impedisce)

Alonso. Liberate il passo. (tenta passare)

Garzia. Consolatevi ancora un poco. (come sopra)

Alonso. Eh, giuro al cielo! (dà una spinta a don Garzia, che traballando si scosta; indi parte correndo. Rosaura entra in altra camera.)

SCENA XVI.

Don Garzia, poi Beatrice.

Garzia. Ah temerario! ti raggiungerò. (mette mano alla spada e va per uscire dalla porta)

Beatrice. Dove colla spada alla mano?

Garzia. A voi non rendo conto de’ passi miei.

Beatrice. Per questa porta non passerete. (chiude l’uscio)

Garzia. Lieve ostacolo per uscire.

Beatrice. No, non si passa senza uccidere chi l’impedisce. (si sente suonar il tamburo)

Garzia. Presto, toglietevi da quella porta.

Beatrice. No, se prima non mi sposate.

Garzia. Che sposarvi? Ho da sposarvi22 a suon di tamburo?

Beatrice. Avete a darmi la mano; avete a mantenermi la fede; altrimenti di qui non parto.

Garzia. (Oimè! il tempo passa, la compagnia è sull’armi; pericola l’onor mio). (da sè) Giuro al cielo, toglietevi di costì!23

Beatrice. Svenatemi.

Garzia. (Che faccio! minacciare una donna?) (da sè)

Beatrice. Via, uccidetemi, se avete cuore. [p. 304 modifica]

Garzia. (Eh, si deluda). (da sè) Orsù, volete la mano? Eccola, venite qui.

Beatrice. No, da qui non mi scosto. Eccovi la mia destra.

Garzia. (Già nessuno mi vede). (da sè) Tenete.24 (le dà la mano)

SCENA XVII.

Pantalone, Brighella e detti.

Pantalone. Eccolo qua. (a Brighella, additando don Garzia)

Brighella. Presto, signor tenente. (a don Garzia)

Garzia. Vengo, lasciatemi. (vuol liberarsi da Beatrice)

Beatrice. Signori, questo è il mio sposo. (tenendolo per la mano)

Pantalone. Me ne rallegro.

Brighella. Presto, che la compagnia marcia. (a don Garzia)

Garzia. Si passa per di là? (a Pantalone, liberandosi da Beatrice)

Pantalone. Sior sì.

Brighella. La vegna con mi. (a don Garzia)

Garzia. Oh donna indiavolata! (parte con Brighella)

Beatrice. Avete inteso, signor Pantalone, il tenente è mio consorte.

Pantalone. Poi esser che la resta vedoa la segonda volta.

Beatrice. Non ho pianto la prima, non piangerei nemmeno la seconda. (parte)

Pantalone. Sì, quando una vedoa pianze, no se sa, se la pianze dal dolor o dall’allegrezza.

Fine dell’Atto Secondo.



Note

  1. Pap.: la mia crozzola de cavallo.
  2. Pap.: potentissime bastonade.
  3. Segue nell’ed. Pap.: «Cor. Tu sei pratico della città e della campagna; potresti andar sulle mura, osservar dove sono più basse, saltar nella fossa, e andarti a nascondere in qualche casa di campagna. Arl. E se me rompo la testa? Cor. Pazienza; almeno averai la tua libertà. Arl. Corallina, no la me comoda; co no posso fuzir co le mie gambe, no vôi saverghene alter. Cor. Potresti anche travestirti ecc.».
  4. Segue nell’ed. Pap.: «e andar via per la porta della città. Ari. Oh, più tosto. Cor. È poco che sei fatto soldato, tutti non ti conosceranno. Arl. Disì ben; questa mo la m’incontra ecc.»
  5. Pap.: Arl. subito parte.
  6. Segue nell’ed. Pap.: «Cor. Che vuol dir ciò? Io non intendo. Garz. Vuol dire che se mi accorderà la sua buona grazia, vedrà che io sono un galantuomo».
  7. Segue nell’ed. Pap.: «Cor. (se l’innamoro, qualche cosa gli caverò di sotto). da sè. Garz. Se mi vorrete bene ecc.»
  8. Pap. aggiunge: mi parli così.
  9. Pap. aggiunge
    «(A tutte così). da sè.»
  10. Segue nell’ed. Pap.: «Cor. Oh, non è vero. Garz. Oh bellissima Corallina, io ardo d’amore per voi. Cor. Oh, non lo credo. Garz. Sì, cara...»
  11. Segue nell’ed. Pap.: «Per me non ci penso; vedo che non posso sperar niente da questi soldati. Ecco qui, nemmeno un poco di tabacco. Uno me lo dà e l’altro me lo leva. si sente suonar il tamburo. Capperi! Questa che suona mi pare la generala. L’ho sentita altre volte e credo di non ingannarmi. Dunque marciano davvero. A buon viaggio; quando saranno partiti i soldati, ci attaccheremo un’altra volta a quelli della città, parte».
  12. Pap.: a suonar la raccolta, o sia il rappello.
  13. Segue nell’ed. Pap.: «Sanc. Fermatevi. Alon. Non mi arrestate. Sanc. Ve lo comando. Alon. Non mi ponete alla disperazione».
  14. Pap. aggiunge: prostituite con un’azione indegna di voi l’onore della vostra famiglia.
  15. Pap.: alla fama, alla gloria, al dovere ecc.
  16. Pap. aggiunge: I miei rimproveri serviranno a confermarlo nelle massime del vero onore.
  17. Precede nell’ed. Pap.: Tu sei un disertore.
  18. Pap. aggiunge: e punire severamente i colpevoli, per terrore di quelli che tai potrebbero divenire.
  19. Pap.: Misera, sventurata Rosaura!
  20. Pap.: morirò vostro, morirò col dolce ecc.
  21. Pap.: che la mia mano sia prova certa ecc.
  22. Pap.: sposarmi.
  23. Segue nell’ed. Pap.: «Beatr. No, se non mi sposate. Garz. Vi ferirò
  24. Segue nell’ed. Pap.; «Beatr. Siete Voi mio sposo? Garz. Sì, presto, aprite. Beatr. Mi giurate la fede» Garz. Sì, presto».