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286 | ATTO SECONDO |
Pantalone. Abbiè pazenzia. L’anderà via. Dise el proverbio: la lontananza ogni gran piaga sana. Se sanerà anca la vostra.
Rosaura. Ciò non sarà possibile. Piuttosto mi vedrete struggere di giorno in giorno, e morire.
Pantalone. Eh! Coss’è sto morir? Coss’è ste frascherie? Animo, animo, a monte. Ve manderò, ve troverò un bel zovene de vostro genio. No ve dubitè gnente, che un chiodo scazza l’altro.
Rosaura. Quello di don Alonso mi sta troppo fitto nel cuore.
Pantalone. Oh, alle curte. Don Alonso no xe per vu.
Rosaura. Oh cielo! Perchè mai?
Pantalone. Per cento rason. E pò, no vedeu? Sempre colla spada in man, sempre criori, sempre baruffe.
Rosaura. Don Alonso è assai ragionevole. Non si riscalda, se non è provocato.
Pantalone. A proposito. Cossa ha dito quel sior tenente, che v’ha offeso vu, e ha obbligà quell’altro a sfidarlo alla spada?
Rosaura. Mi ha detto pettegola, fraschetta, impertinente.
Pantalone. Cussì se parla con una putta? Perchè v’alo dito ste impertinenze?
Rosaura. Perchè, venuto nelle mie camere senza ambasciata, io lo ripresi d’inciviltà.
Pantalone. El xe un bel fior de vertù. Manco mal che no m’ha toccà a mi a averlo in casa. In t’un’armada ghe n’è de tutte le sorte, ghe n’è de boni, e ghe n’è de cattivi; e bisogna pregar el cielo, dovendo darghe quartier, che s’imbatta in t’i boni.
Rosaura. Di don Alonso non vi potete dolere.
Pantalone. No me ne posso gnanca lodar.
Rosaura. Perchè? Che vi ha egli fatto?
Pantalone. El t’ha innamorà, el t’ha incantà, el t’ha destrutto, e de una putta bona, quieta e innocente, che ti gieri, el t’ha fatto deventar un’anema desperada.
Rosaura. Povero don Alonso! Non gli imputate a delitto ciò che egli ha fatto senza sua colpa.
Pantalone. Via, basta cussì: no ghe ne parlemo altro. In casa